La cucina “zero waste” ovvero che non produce alcun rifiuto è tra i nuovi trend nella cucina d’autore. Non solo quindi attenzione spasmodica al prodotto biologico e, ancora meglio, ai piccoli fornitori locali, ma anche focus sul riciclo, riutilizzo e riduzione di ogni scarto. Una ristorazione pienamente sostenibile passa infatti inevitabilmente dalla lotta agli sprechi alimentari.
Tra i pionieri di questa scelta innovativa di ristorazione ci sono il tre volte stellato Massimo Bottura a e Dan Barber. Lo chef alla guida de “L’Osteria Francescana” ha dato vita nel 2016 al progetto Food for Souls, una Ong che anche grazie all’esperienza maturata con i Refettori, combatte gli sprechi alimentari. Barber invece, tra Londra e New York, ha creato dei temporary restaurant “WastED” con l’obiettivo di mostrare la creatività della cucina del riciclo e allo stesso tempo far riflettere sull’enorme spreco alimentare che, quotidianamente, avviene sulle tavole dei ristoranti di tutto il mondo. Ma non sono i soli. La sostenibilità permea ormai ogni ambito della vita sociale e personale e l’applicazione più integrale di questo approccio ai fornelli porta appunto all’approccio “zero waste”.
È un po’ come tornare indietro alle tradizioni contadine quando non era ammissibile sprecare le già limitate risorse (la francese bouillabaisse è un tipico esempio di queste tradizioni, ma anche la ribollita tanto per “giocare in casa”). Nel nuovo Millennio tuttavia la ricerca del “no waste” si sposa con una maggiore consapevolezza e con la volontà di perseguire fino in fondo i valori sostenibilità ambientale, economica e sociale.
In questi ultimi anni stanno aumentando le sperimentazioni di nuovi modelli di ristorazione a zero rifiuti anche se spesso si ricorre al format “pop up restaurant” piuttosto che a un locale stabile, come è accaduto con il trendy Zero Waste Bistrot di New York, inaugurato nel corso della Design Week per invitare a riflettere sull’economia circolare. In parallelo sono in crescita anche le certificazioni rivolte all’eco ristorazione come le americane Green Restaurant 4.0 Standards e Green Seal Gs-46, la neozelandese The Better Cafè and Restaurant e l’europea Nordic Ecolabelling for Restaurants.
In Italia il trend è ancora agli albori, soprattutto per quanto riguarda l’interpretazione creativa della cucina “no waste”. Ma la direzione è ben segnalata non solo dalle esperienze estere, ma anche dall’elevata sensibilità che le nuove generazioni mostrando sul tema. E a Milano la sperimentazione appare già ben a avviata.
Franco Aliberti ha impresso una svolta sostenibile nella cucina del ristorante Tre Cristi. La parola chiave è cucina attenta all’ambiente ed ecosostenibile: ogni piatto esalta le singole materie prime, presentate in diverse consistenze e utilizzando tutte le parti commestibili di frutta e verdura. Una innata curiosità e voglia di sperimentare: Franco Aliberti si avvale delle più moderne tecniche di cottura ma predilige un ritorno all’uso di cucina ancestrale, materica, come quella della griglia, che diviene garanzia di una cucina personale e decisamente creativa. “Sotto i riflettori il singolo ingrediente, bilanciato al massimo da altri due di supporto, perché amo colpire con la semplicità più che con la complessità, reinterpretando anche un semplice broccolo con una vena giocosa, senza perdere di vista la sostanza del piatto” racconta Franco Aliberti.
Tra le apertura più recenti il Røst porta invece in scena milanese un concetto di cucina circolare, con la riscoperta dei tagli poveri e una selezione di vini naturali di nicchia.
Massima attenzione alla materia prima e utilizzo degli ingredienti nella loro totalità caratterizzano la proposta gastronomica di una carta che ha due focus principali: i vegetali, dove la verdura di stagione è regina del piatto e i tagli poveri. Piatti della tradizione con gusti decisi, realizzati con delicatezza, pensati per tutti. Al numero 3 di Via Melzo, che sempre di più si distingue come la nuova food street del distretto di Porta Venezia. La carta del Røst abolisce le categorie di ordine (antipasti, primi, secondi, contorni), prediligendo un racconto orizzontale tra piccoli piatti da condividere liberamente, per favorire l’assaggio e la convivialità. Le proposte cambiano in relazione alla disponibilità di materie prime, aggiornandosi anche giorno per giorno per valorizzare gli ingredienti ed evitare gli sprechi. Una successione numerica caratterizza ogni menù, a testimonianza della freschezza di ogni selezione. La parete d’ingresso mette in scena i protagonisti con il Wall of Fame: 16 piatti in ceramica, ognuno raffigurante un produttore/fornitore di materie prime, disposti nello spazio a creare la ø di Røst.
Tra le esperienze all’estero più significative in evidenza quella d el Silo a Brighton nel Regno Unito a cura di Douglas McMaster. Porta in alto un concetto integrale di “zero waste”: i prodotti sono coltivati localmente e consegnati senza packaging, le bevande alcoliche (prodotte attraverso la fermentazione) o meno sono prodotte in casa utilizzando anche le erbe del territorio, i piatti sono di plastica riciclata, tavoli e sgabelli derivano dal processo di riciclo del legno, gli avanzi alimentari infine finiscono in una compostiera (messa a disposizione anche al resto della comunità) in grado di generare fino a 60 chili di compost in 24 ore. “Silo è nato dal desiderio di innovare l’industria alimentare dimostrando rispetto per l’ambiente, per la produzione del cibo e per il nutrimento dato al corpo. Questo significa che noi partiamo dalla forma originaria degli ingredienti, evitando gli sprechi nella preparazione dei piatti e preservando l’integrità e i valori nutrizionali degli alimenti” racconta McMaster. Una nuova etica in cucina che si sposa a menù strabilianti. Nei menù degustazione (quattro portate a 33 sterline a testa) troneggia, ad esempio un gelato ai semi di zucca con foglie di fisco, mentre tra gli snack si può scegliere per 3 sterline un piatto di spine di sgombro croccanti fermentate nel chili.
L’idea alla base dei locali Instock, nati ad Amsterdam e ora presenti anche a Utrecht e Anversa, oltre che con furgoncini attrezzati per lo street food, è quella di utilizzare cibi brutti ma buoni, ovvero quelli scartati dalla catena della grande distribuzione per problemi di standard di qualità o di sovrapproduzione, così da sensibilizzare gli utenti a una scelta sostenibile “Buttare via un prodotto alimentare non significa solo gettare via i soldi, ma non curarsi dell’enorme spreco di energia prodotto per la produzione e la conservazione di un alimento poi buttato” sostengono da Instock dove sono persino riusciti a creare due tipologie da patate e pane di scarto, la Pieper Bier e la Bammetjes Bier. L’utilizzo di prodotti invenduti o di scarto da parte degli chef di Instock significa anche che ogni giorno è diverso dall’altro nei locali della catena di ristorazione dove la creatività è, necessariamente, la parola d’ordine.
Nolla a Helsinki di Carlos Henriques, Luka Balac e Albert Franch Sunyer. Il Nolla è il primo ristorante a zero rifiuti della penisola scandinava, divenuto alla fine stabile dopo una serie di aperture temporanee (in ultima quella presso il Christmas Markets). In pochi mesi di vita è subito diventato una delle esperienze da non perdere per chi va a Helsinki grazie creatività ai fornelli e alla tecnologia utilizzare per render possibile il progetto. La scelta dei tre startupper, finanziati tramite una raccolta di crowdfunding, è stata integrale: non solo l’attenzione a evitare ogni spreco in cucina è totale, anche oggetti, utensili, energia e arredi per il locale sono stati accuratamente scelti seguendo il mantra “riduzione degli sprechi, riciclo e riutilizzo”. Il locale si è perfino dotato di una macchina da compostaggio per gli avanzi alimentari. Il percorso degustazione da due portate costa 45 euro, quello da tre invece 59 euro.
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Trentodoc, lo spumante metodo classico “figlio” delle Dolomiti
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Capodanno si avvicina e per il count down le bollicine di alta quota del Trentodoc, il metodo classico italiano nato sulle Dolomiti, possono essere una valida alternativa alle blasonate bollicine francesi. Con poco più di un secolo di storia e a 26 anni dal riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata, il Trentodoc è una delle più apprezzate alternative italiane allo Champagne. Produzione di nicchia, viticoltura eroica e una forte identità sono le carte vincenti di queste bollicine di montagna capaci di attrarre sempre di più i wine lovers di tutto il mondo.
Il Trentodoc ha saputo esaltare fin da subito la forte identità territoriale che contraddistingue queste bollicine di montagna unendo le 54 cantine (e 189 etichette) alleate nel Consorzio Trentodoc. Il risultato è un prodotto riconoscibile grazie alle sue caratteristiche distintive determinate dalle diverse altitudini (l’altitudine media dei vigneti si trova intorno ai 450 metri), dal microclima fresco e temperato che influisce sull’acidità dell’uva e dall’effetto termoregolatore dell’ “Ora del Garda” (il vento con effetto termoregolatore, fondamentale per la viticoltura, che soffia dall’omonimo lago), dalle forti escursioni termiche tra giorno e notte e, inifne, dal terreno caratterizzato a una forte componente calcarea e pietrosa.
La produzione di Trentodoc inizia nel 1902 con la capacità visionaria di Giulio Ferrari, studente all’Imperial Regia Scuola Agraria di San Michele, di identificare le analogie rispetto al territorio dello champagne e replicare in quota il metodo di produzione delle bollicine francesi. Le Cantine Ferrari, sono poi passate negli Anni ’50 alla famiglia Lunelli, mentre le orme di Ferrari sono state seguite da numerosi altri viticoltori tanto che, nel 1984, è stato fondato l’Istituto Trento Doc per la promozione delle bollicine di montagna, nel 1993, si è arrivati al riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata Doc “Trento”, la prima Doc riconosciuta in Italia riservata a un metodo classico e la seconda al mondo dopo lo Champagne.
Oggi la produzione di Trentodoc è affidata al disciplinare che fissa canoni e controlli lungo la filiera a cominciare dai territori dedicati che comprendono la Valle dell’Adige, la Valle di Cembra, la Vallagarina, la Valle del Sarca, la Valsugana e le Valli Giudicarie, incidendo praticamente sul territorio della provincia. Quanto alle uve dalle quali si ottiene il Trentodoc sono lo Chardonnay che dona longevità, eleganza e carica aromatica; il Pinot nero a cui si deve il bouquet fruttato; il Pinot bianco e il più raro e il Pinot meunier, in grado di adattarsi a qualsiasi terreno. La vendemmia è svolta manualmente ed è in genere anticipata rispetto a quella di uve legate alla produzione di vini fermi per assicurare il giusto equilibrio tra acidità e zuccheri.
Secondo quanto previsto dal disciplinare, il “vino base”, dopo l’introduzione di lieviti e zuccheri selezionati, è affidato a una lenta maturazione in bottiglia, che varia da un minimo di 15 mesi a un minimo di 36 per la riserva ma arriva fino a 10 anni sui lieviti per i Trentodoc più raffinati ed evoluti. Rispetto al sentire comunque che vuole le bollicine un prodotto da godere giovane, sono numerose le cantine che stanno sperimentando affinamenti sui lieviti sempre più prolungati per esaltare la ricchezza e la lunga vita del prodotto. I nuovi trend intrapresi negli ultimi anni dal Trentodoc sono infatti legati a tempi e forme di affinamento. La cantina Cesarini Sforza, ad esempio, fondata nel 1974 da Lamberto Cesarini Sforza, conserva per ogni annata mille bottiglie magnum per verificare l’evoluzione del prodotto nel tempo. In un caso, quello dello spumante Lagorai prodotto dalla cantina Romanese (Trento), l’affinamento avviene in acqua, nel Lago di Levico (bandiera Blu d’Europa) dove, a partire dal 2013, 2.000 bottiglie (Dosaggio Zero Lagorai, 100% Chardonnay) riposano per 500 giorni chiuse in quattro gabbie d’acciaio a venti metri di profondità e il vino acquista un perlage con bollicine più cremose e più fini. La temperatura costante del fondale del Lago di Levico, una sorta di cantina naturale, intorno ai sette gradi permette al vino di maturare sui lieviti nelle migliori condizioni anche grazie alla pressione esercitata dall’acqua sul tappo. Un metodo di eccellenza che deve le sue origini al ritrovamento, 10 anni fa, nel Mar Baltico di un antico galeone carico di bottiglie di champagne invecchiate sul fondale marino per oltre 300 anni. È stato proprio questo ritrovamento storico che ha spinto i fratelli Romanese a provare una nuova strada che unisce enologia, territorio e natura.
Tra i trend in crescita nel mercato delle bollicine di montagna, aumentano poi le richieste di dosaggio zero (pas dosé o, per chi preferisce, nature), ovvero lo spumante a cui alla fine dell’affinamento in bottiglia, dopo la fase della sboccatura, non viene aggiunto nient’altro (in caso contrario la bottiglia viene rabboccata con il “liquer d’expedition” che costituisce una ricetta segreta per ogni cantina e può evidentemente intervenire sul vino). Le Cantine Revì, fondate nel 1982 da Paolo Malfer ad Aldeno, sono tra i pionieri questo ambito per cui utilizzano uve Chardonnay e Pinot nero. In ascesa anche le vendite di millesimati (prodotto con uve di una singola annata) e rosé.
Vicepresidente dell’Istituto Trentodoc è Carlo Moser, figlio di quel Francesco Moser che ha fatto sognare l’Italia intera a cavallo di una bici, campione del mondo, recordman dell’ora (e non è un caso che una delle etichette dell’azienda sia il metodo classico Brut 51,151 dal numero di chilometri percorsi in un’ora il 23 gennaio 1984) e vincitore di 273 corse su strada per professionisti. Viticoltori da generazioni, Francesco e il fratello Diego hanno acquistato Maso Villa Warth nel 1979 e da lì hanno avviato la produzione di bollicine di montagna (e non solo) e hanno allestito una sala con bici e trofei dello “Sceriffo”.
Chi vuole saperne di più su questa realtà cosi unica (il Trentodoc è la sola area di produzione di bollicine di montagna) e distintiva può programmare un week end lungo o, meglio ancora, una vacanza a Trento e dintorni, magari iniziando da Palazzo Roccabruna, nel centro del capoluogo di provincia, sede dell’enoteca del Trentino. Quasi tutte le 53 cantine prevedono visite guidate e percorsi di degustazione che permettono di comprendere meglio il territorio e le sue realtà. Meglio tuttavia informarsi in anticipo sugli orari e prenotare per non rischiare di rimanere a bocca asciutta. Le Cantine Ferrari prevedono addirittura sei proposte di tour per un minimo di due persone e con prezzi compresi, a seconda dei prodotti degustati, tra i 15 e i 48 euro Per una giornata indimenticabile si può poi abbinare (a iniziare da 70 euro a persona), la visita alla cinquecentesca Villa Margon, sede di rappresentanza dell’azienda, e una sosta alla Locanda Margon dove si possono gustare i piatti stellati di Alfio Ghezzi. Pedrotti organizza invece visita in cantina e degustazioni a partire da 12 euro fino a 44 euro; Endizzi propone pacchetti a partire da 10 fino a 26 euro; Cantine Monfort da 5 a 20 euro a testa; Maso Martis da 7 a 20 euro. Le 53 meritano tutte di essere scoperte, ognuna infatti ha una sua storia, i suoi valori e i suoi prodotti da raccontare. E sono storie speciali, come il territorio da cui nascono.
Aqua Dome, un’oasi di benessere in quota
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Circondato dai ghiacciai tirolesi, l’Aqua Dome è un’oasi del benessere alpino grazie ai suoi 22mila metri quadrati votati al relax dove trascorrere una vacanza andando alla scoperta di questo angolo di Austria, a meno di un’ora da Innsbruck e mezz’ora dalle piste di Sölden dove ha sciato persino James Bond (a cui non a caso è dedicato un museo).
Il centro termale di Aqua dome sorge all’inizio della valle del Längenfeld ed è subito riconoscibile grazie al design futuristico delle sue vasche esterne e, in particolare, delle sue tre “navicelle spaziali”, piscine termali che pare galleggino nell’aria, dove si possono alternare getti idromassaggio, acqua solforosa e vasca salina (con un contenuto di sale al 5%).
Qui all’Aqua Dome la remise en forme è completa grazie alle dodici vasche e ai tre piani di idromassaggi, cascate, saune e bagni di vapore di ogni tipo e temperatura, stanze al sale e bagni remineralizzanti. Il percorso ideale inizia nel cuore di Aqua Dome, nel “duomo termale”, una gigantesca cupola di cristallo dove ci si rilassa circa tra idromassaggi e getti e ci si lascia trasportare dall’acqua verso le vasche esterne. Si prosegue poi verso il “Gletscherglühen” dove tra saune al fieno, panoramiche o finlandesi, piscine salina circondate da pareti di sale, piscine e bagni di vapore alle erbe, accompagnati da Aufguss (gettata di vapore), effetti di luce o aromi speziati, e infine oasi relax, ognuno può trovare la ricetta del benessere più adatta per sé. Volendo poi si possono ammirare le luci del crepuscolo in accappatoio, magari sorseggiando delle bollicine in uno dei tre bar del centro, per poi scivolare nell’acqua termale ammirando le luci colorate di quest’oasi di benessere e la stellata che si stende sulle cime dell’Ötztal. Per una vacanza indimenticabile infine si può scegliere di soggiornare presso le terme raggiungibili dalle camere grazie a un percorso riscaldato sotterraneo. Gli opsiti dell’hotel, una struttur a cinque stelle, hanno accesso anche a un’area termale riservata, Aqua Dome 3000, da cui si gode un suggestivo paesaggio sui ghiacciai tirolesi.
Un brindisi a tutta Bottega
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Nel mondo, dai duty free alla compagnie aeree, si brinda con i vini Bottega resi iconici dalle bottiglie metallizzate delle bollicine. Un packaging che come raccontato dal capo azienda Stefano Bottega “non è mai stato un artificio fine a se stesso, ma uno strumento per comunicare la qualità del prodotto”. In particolare, le bottiglie metallizzate, in particolare la Gold, richiamano Venezia e la sua raffinata eleganza: una bellezza assoluta e mai stucchevole. “Questa bottiglia ha dato prestigio al Prosecco Doc” sostiene l’imprenditore che poi ricorda come “Le due bottiglie sorelle, Rose Gold e White Gold, contengono nell’ordine un Pinot Nero spumante vinificato rosè e un uvaggio Venezia Doc, nuova denominazione compresa tra le colline di Conegliano e la laguna di Caorle”.
L’idea di proporre un percorso di innovazione anche nella presentazione stessa delle bottiglie nasce tuttavia per Bottega nell ‘universo della grappa per cui era stata adottata £una bottiglie in vetro soffiato per trasmettere un concetto di preziosità del distillato. La grappa spray è nata per regalare l’emozione fuggevole di un assaggio olfattivo, in conformità con l’adagio che la grappa si “assaggia prima di tutto con il naso”. La Grappa Riserva Privata Barricata con l’originale bottiglia a base quadrata e l’etichetta che si sviluppa su due facce ha vinto numerosi premi, tra cui nel 2010 l’Etichetta d’Oro del Vinitaly 15th International Packaging Competition”.
E in effetti Bottega nasce nel mondo della grappa 42 anni fa per poi entrare nell’universo variegato del vino a partire dal 1992. A raccontarlo è lo stesso Stefano Bottega oggi a capo dell’azienda: “L’azienda nasce come distilleria e ancora oggi sento che le mie radici affondano nelle vinacce da cui deriva la grappa. Tuttavia quello della distillazione è un mondo circoscritto che ha spinto me e la mia famiglia ad approcciare il vino che con la grappa condivide la stessa origine. E dalle colline di Conegliano il primo passo non poteva che essere il Prosecco che nei primi anni ’90 non aveva ancora conosciuto il boom attuale, ma era soltanto uno dei tanti vini spumanti del panorama enologico italiano. La crescita del Prosecco e di pari passo quella dell’azienda ci hanno consentito di diversificare e di produrre, oltre a molti altri vini anche i grandi rossi della Valpolicella (Amarone e Ripasso) e della Toscana (Brunello di Montalcino, Bolgheri, Chianti). In Valpolicella, a Valgatara, abbiamo una nuova cantina di proprietà, di cui abbiamo appena terminato la ristrutturazione, conservando l’architettura storica dell’edificio”.
La famiglia Bottega è entrata nel vino nel 1992, dapprima commercializzando il Prosecco prodotto da terzi. Nel 2007 con l’acquisizione della sede a Bibano di Godega e di 10 ettari di vigneti coltivati a Prosecco ha iniziato a produrre nella propria cantina che oggi conta oltre 100 autoclavi. Negli ultimi anni nuove acquisizioni a Vittorio Veneto e a Follina hanno portato a 20 ettari i terreni vitati di proprietà nella zona del Prosecco. Nel 2018 è stata aperta la cantina di proprietà a Valgatara in Valpolicella. Sempre dal 2018 è in funzione un’altra piccola cantina a Vittorio Veneto destinata alla produzione del tradizionale Prosecco Colfondo. Dal 2009 ha in gestione diretta a Montalcino una cantina dove vengono prodotti Brunello di Montalcino, Rosso e Sant’Antimo. Oggi oltre ai vini e alle grappe, il portafoglio di Bottega conta anche Limoncino, liquori a base frutta e crema e gin grazie a cui copre quasi completamente la gamma del beverage ed esporta prevalentemente in Canada, Germania, Uk, Olanda, Svizzera, Usa, Giappone e Scandinavia.
Tra i progetti più innovativi una particolare attenzione meritano i “Prosecco Bar”, un concept ideato da Bottega con la finalità di esaltare le eccellenze del nostro Paese . Nello specifico viene riproposta la filosofia del bacaro veneziano, ovvero di un’osteria informale, dove i cibi vengono presentati sia come “cicheti”, ovvero stuzzichini da consumare al bancone, sia come piatti più strutturati da servire ai tavoli. L’abbinamento con il Prosecco, privilegiato per la sua versatilità, e con altri vini italiani chiude il cerchio. Bottega Prosecco Bar è quindi un’evoluzione di questa filosofia, che estrapolata dalla realtà veneziana, è riproducibile in tutto il mondo. L’asse portante del progetto è il “Perfect Match”, ovvero l’abbinamento ideale tra i cibi tipici delle cucine regionali italiane e i diversi vini proposti da Bottega.
Quanto infine al vino preferito, l’imprendiore non ha dubbi: è il Pas Dosé Millesimato Stefano Bottega, un vino spumante, prodotto con metodo Charmat, che garantisce freschezza e facilità di consumo. Ha la sua cifra identificativa nel basso contenuto di zuccheri e nella prolungata persistenza aromatica, in quanto ha origine da un equilibrato uvaggio che assembla un 80% di uve Glera, le stesse del Prosecco, con un 20% di Chardonnay. Viene spumantizzato in autoclavi d’acciaio, dove in presenza di lieviti selezionati si compie naturalmente l’intero processo di fermentazione. Si può quindi definire un “vino nature”, che accarezza il palato con una struttura essenziale, asciutta e al tempo stesso armonica. Un vino ideale da abbinare alle moeche, ovvero i granchi che tutto l’anno popolano la laguna veneta e che solo per poche settimane all’anno assumono la stato di moeca, abbandonando nel periodo di muta il vecchio carapace.La tradizione vuole che le moeche si mangino fritte accompagnate da una polentina bianca morbida.
Tutti i trend della nuova stagione dello sci
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A Sant’Ambrogio, come da tradizione, si accende l’albero di Natale e prende ufficialmente il via la stagione degli sci e della neve, una stagione sempre più rivolta a un pubblico trasversale. Non solo amanti di sci e snowboard in tutte le loro declinazioni, ma anche sportivi da divano che apprezzano la dolce vita sulla neve oltre che e fan dell’adrenalina a caccia di novità sempre più emozionanti. Magari anche fuori dalle classiche rotte perché Cortina, Courmayeur e l’Alta Badia, tra gli altri, sono una garanzia ….ma si può anche sperimentare unendo, ad esempio, arte e sci in Iran grazie ai comprensori come Darbandsar sulle montagne Alborz a 60 km da Teheran o in sulla Sierra Nevada in Spagna dove le piste sono a 30 chilometri o facendo rotta verso Sud dove la pausa in rifugio è a base di arrostincini o si può sciare guardando, all’orizzonte, il mare o i lapilli dell’Etna.
Per chi poi cerca ritmi più lenti ad Andalo, sulle Dolomiti del Brenta, ci si dedica a corsi di yoga e sci mentre nel comprensorio di Corviglia, in Engadina, è stata inaugurata la prima pista al mondo dove si pratica yoga (pista Paradiso), un percorso lungo il quale sono stati sistemati dei pannelli che dividono la discesa in tappe con la proposta di esercizi da far ovviamente sci ai piedi. Sulla pista del Corvatsch invece ogni venerdì sera si alternano piste a pause in rifugio illuminati dalla luce delle stele sopra St Moritz.
SKYFLY, SNOWFER E SLEGDOG Ecco quindi che accanto alle classiche discipline della neve si affiancano corse nei boschi su una slitta trainata da una muta di cani come la Grande Odyssée Savoie Mont Blanc che a gennaio, per sette giorni, attraversa 750 chilometri e 22 località tra Savoia e Alta Savoia o fughe nella neve a bordo di una fat bike, magari elettrica per fare meno fatica.
Per chi ama l’adrenalina poi le novità in quota sono sempre più elettrizzanti come le “Alpine Coaster”, sorta di montagne russe direttamente sui versanti come le Alpine Coaster Klausberg-Flitzer o quelle presenti sul Latemar o a Bardonecchia; le zipline da vertigine dove provare a “volare” sull’intero territorio imbragati a cavi d’acciaio (come la Skyfly diIschgl che permette di tornare a valle volando a 50 metri di altezza e con una velocità che arriva fino agli 84 chilometri o la zipline di a Limone in Piemonte dove si corre su un percorso di 2410 metri con un dislivello di 560); le proposte di snowkite (farsi guidare, sci ai piedi, da un aquilone in genere su un altipiano come quello di Campo Imperatore) o di snowfer (farsi guidare da una vela su un lago ghiacciato); fughe a cavallo nelle foreste del Parco naturale Adamello Brenta o in heliski al Colle del Lys per poi provare l’ebrezza di circumnavigare il Monte Rosa.
Aumentano poi le offerte di skisafari alla scoperta di un territorio, ovviamente sci ai piedi, come i dieci giorni a caccia del tramonto più suggestivo delle Dolomiti con bagagli a seguito o le proposte guidate tra i 22 comprensori austriaci (dal Tirolo alla Stiria) e i 2750 chilometri delle Kitzbüheler Alpen accessibili con la Super Ski Card. A iniziare da KitzSki Kitzbühel dove cresce l’attesa per la nuova Fleckalmbahn, l’impianto più veloce del mondo (7,5 metri al secondo) con gli interni firmati da Pininfarina. A Courchevel, nel comprensorio delle 3 Vallées, si può poi persino imparare a guidare un gatto delle nevi (courchevel.com), mentre in Svizzera, oltre a dormire in igloo dotati di ogni comfort a Zermatt, Davos e Gstaad (iglu-dorf.com), si può imparare a costruirli. Non solo con l’avvio della stagione nelle località più glamour delle Alpi sono proposti tornei di polo, golf o pallavolo sulla neve. Come a St Moritz dove sono in programma la 36° Snow Polo World Cup (dal 24 al 26 gennaio) e a febbraio le corse dei cavalli.
DOLCE VITA IN QUOTA Non mancano gli appuntamenti all’insegna della Dolce Vita, dall’alta cucina, alle degustazioni guidate, fino alla musica passando da centri termali sempre più emozionanti come i Qc Terme della Val di Fassa, di Près Saint Didier/Courmayeur e Bormio o l’AquaDome un universo con 11 piscine termali comprese tre esterne simili a coppe di champagne a pochi di chilometri di distanza da Soelden, le piste di 007.
AIschgl, il tempio dell’après ski, dei concerti e dei party a un’ora da Innsbruck, la stagione si chiude il 2 maggio con la celebrazione dei 25 anni dell’evento “Top of the Mountains” a 2320 metri nell’arena naturale dell’Idalp. A St. Moritz si fa festa dal 13 al 15 dicembre con musica, eventi che affiancano la gara di Coppa del Mondo di sci alpino femminile. Da non perdere, il 14 dicembre, il concerto gratuito di Alvaro Soler atteso, dalle 19.00 in piazza Rosatsch.
La Val di Fassa triplica gli appuntamenti di dicembre con l’iniziativa “RDS – Play the Winter – Val di Fassa”: il 7 e 8 dicembre nella skiarea Ciampac di Alba di Canazei, 14 e 15 dicembre nella skiarea Catinaccio di Vigo e 21 e 22 dicembre nella skiarea San Pellegrino di Moena. La musica torna protagonista anche a fine stagione quando dal 21 marzo all’11 aprile, prende vita sulle terrazze di alcuni dei rifugi più panoramici, il ritmo del “Val di Fassa Panorama Music”: dieci concerti (concentrati nei week end) per dieci rifugi che fanno rimbalzare, da una skiarea all’altra, l’eco del country che caratterizza la quinta edizione.
L’alta cucina in quota ha un indirizzo ben preciso anche se in quasi tutte le località più glamour delle Alpi orami vanno di moda festival dedicati a un pubblico gourmet. L’Alta Badia è meta d’elezione: qui infatti vi è il più alto numero di cucine stellate in quota. E, proprio in questi luoghi, l’inizio della stagione è celebrato con la gara di Coppa del Mondo sulla pista della Gran Risa a La Villa. Qui, sulla finish line dell’evento, Leitner Ropeways apre le porte (dal 21 al 23 dicembre) a una lounge dove chef stellati e promesse emergenti si alternano ai fornelli per i tre giorni. Da non perdere anche O l’edizione invernale del Trentodoc sulle Dolomiti che, a febbraio (13-16 a Madonna di Campiglio e 20-23 Val di Fassa), coinvolge le 54 cantine di bollicine di montagna associate all’Istituto.
IN ROTTA VERSO SUD Si scia, bene, anche a Sud e spesso con molta più neve naturale rispetto alle forse più tradizionali regioni del Nord Italia. E le vacanze invernali possono rappresentare un ottimo punto di partenza per scoprire territori, tradizioni e culture da una prospettiva diversa, magari mangiando arrosticini a bordo pista o il mare all’orizzonte.
A cominciare dalla Montagna Pistoiese, a metà strada tra Firenze e Bologna, che, per secoli, ha rappresentato l’unico valico di passaggio dell’Appennino tosco -emiliano. Lo stesso generale cartaginese Annibale, nel 217 a.C. durante la seconda guerra punica, avrebbe attraversato per muovere da Piacenza verso Sud e che oggi è celebrato da un impianto di risalita e da una pista rossa nel comprensorio dell’Abetone dedicata al comandate cartaginese. Proprio all’Abetone hanno mosso i primi passi sulla neve icone sportive come Zeno Colò, oro olimpico a cui sono dedicate ben tre piste, Vittorio Chierroni, Celina Seghi e, più recentemente, Giuliano Razzoli. Il comprensorio offre una cinquantina di chilometri di tracciati tra i 1.385 metri di altezza del fondovalle e i 1.940 dell’Alpe Tre Potenze da cui lasciare correre lo sguardo fino a Firenze. Ma l’Abetone non è solo natura, sci, cultura, buona tavola e party (con il Full Moon Party, con discesa in notturna, previsto nelle notti di luna piena). D’inverno si può esplorare il parco con ciaspolate guidate (il sabato e la domenica), camminare su itinerari dinordic walking nei boschi innevati e praticare sci di fondo su 18 chilometri di tracciati.
Si scia poi anche sul Gran Sasso, un gigante di pietra che sfiora i 3mila metri e domina la costa Abruzzese punteggiato da minuscoli borghi medievali spesso palcoscenico di molti file. Come Rocca Calascio, un minuscolo borgo medioevale sovrastato da una rocca millenaria dove sono state girate scene di cult come “LadyHawke” e “Il nome della Rosa”. Qui sul “piccolo Tibet”, come è conosciuto Campo Imperatore, il vasto altipiano che sovrasta i borghi di tra Castel del Monte, Santo Stefano di Sessanio e Calascio e immortalato tra l’altro in “…Continuavano a chiamarlo Trinità”, si scia su 13 chilometri di tracciati sotto il Corno Grande e il Calderone, il ghiacciaio più meridionale d’Europa e su sessanta chilometri di tracciati agli amanti del fondo tra cui si distinguono i percorsi nei pressi di Castel del Monte, pittoresco borgo dagli stretti passaggi lastricati sospeso tra le vette del Gran Sasso e la valle del Tirino. È la meta per gli appassionati di snowkite, di sci d’alpinismo che da qui possono intraprendere la traversata del Gran Sasso e per i patiti dello sci fuori pista che trovano nei caratteristici canaloni numerose opportunità per divertirsi avvolti da una neve “powder” che vanta una consistenza ancora più leggera rispetto ai fiocchi del Nord Italia grazie alla vicinanza al mare.
Emozioni forti si provano poi sull’Etna, un luogo dove finisce la natura, modificata negli anni dalle colate di lava del vulcano, e inizia il mito. Con 3.343 metri di altitudine e i 50 chilometri di diametro, l’Etna domina sull’intera Sicilia e la sua inconfondibile forma a cono si staglia nitida già dal Continente, dallo Scilla e Cariddi, o, e si preferisce, dallo stretto di Messina. Sul vulcano attivo più alto d’Europa, a 150 chilometri dalla costa dell’Africa, si scia guardando il mare in ben due aree che offrono anche anelli da fondo e itinerari per sci d’alpinismo, un’esperienza quasi unica.
CAMERE CON VISTA: UNA MONTAGNA DI OFFERTE
Per chi sceglie la prima neve (fino alle festività natalizie e, in genere a gennaio dopo l’Epifania), non mancano offerte particolarmente interessanti per provare tutte le novità della stagione.
A cavallo tra Piemonte e Val D’Aosta, nel comprensorio che unisce Alagna, Gressoney, Champoluc e l’Alpe di Mera (che in futuro fungerà da ponte per il comprensorio di Cervinia, Zermatt e Valtournanche) si parte con un’iniziativa da non perdere: “Sciare Gratis” valida dal 6 al 24 dicembre; dal 4 gennaio al 2 febbraio e dal 21 marzo al 14 aprile. Trascorrendo una vacanza di almeno tre notti in una delle strutture aderenti alla promozione, sarà possibile scoprire le piste del Monterosa Ski non a caso definite “freeride paradise”, con uno skipass gratuito o scontato al 50 per cento
Anche in Valtellina tra Santa Caterina e Bormio, fino al 20 dicembre, per chi prenota un soggiorno di almeno quattro notti lo skipass per scoprire le prossime piste olimpiche è gratuito. All’Hotel Sport di Santa Caterina (hotelsport.info), a pochi passi dai 40 chilometri di piste del comprensorio, fino al 21 dicembre, quattro notti in mezza pensione in camera doppia costano 260 euro a testa. Qui il “gusto per la tradizione” regna sovrano: dalla reception alle camere, i legni e la pietra richiamano la tradizione alpina, alle pareti le riproduzioni di antiche cartoline testimoniano il fervore che da oltre un secolo anima la Valfurva e in cantina una preziosa collezione di vini d’epoca.
In Valle Aurina, i 74 chilometri di piste delle skiaree di Klausberg e Speikboden (Skiworld Ahrntal) sono facilmente raggiungibili dal Wellness Refugium & Resort Hotel Alpin Royal di San Giovanni (alpinroyal.com). Con l’offerta “Giorni skipass gratis”, dal 1° al 20 dicembre 2019 e dal 6 gennaio al 2 febbraio 2020, 4 notti con trattamento Royal inclusive e uso dell’area Wellness & Spa, lo sci safari nell’area Klausberg, lo skipass per 3 giorni per il comprensorio sciistico Skiworld Ahrntal (Klausberg & Speikboden), una corsa sull’Alpine Coaster Klausberg Flitzer, le montagne russe più lunghe delle Alpi Italiane, partono da 452 euro a persona. È compresa l’HolidayPass Premium per usare in modo illimitato tutti i mezzi pubblici in Alto Adige e partecipare ad un ricco programma di attività.
In Trentino, sulle Dolomiti del Brenta il Solea Boutique & Spa Hotel di Fai della Paganella (hotelsolea.com), propone la “Settimana bianca al Solea 4 = 3 e 7 = 5” dal 6 al 19 gennaio 2020, con un soggiorno di almeno 4 pernottamenti, una notte è in regalo, restando una settimana le notti in omaggio sono 2. È inclusa pensione ¾ e l’accesso al centro benessere. Prezzi a partire da 625 euro a persona per una settimana e da 375 euro per 4 giorni.
Sulle Dolomiti, tradizionalmente, la stagione parte con una formula davvero ghiotta valida fino al 21 dicembre: una giornata di soggiorno, sci sui 1200 chilometri del Dolomiti Superski e noleggio attrezzatura in omaggio oggi quattro, oppure otto giorni al prezzo di sei.
In Val d’Isarco, al My Arbor – Plose Wellness Hotel, l’albergo sugli alberi che domina Bressanone a pochi minuti dai 40 chilometri di piste di Plose, dal 3 novembre al 21 dicembre 2019, il pacchetto “4=3 periodo prenatalizio” costa 522 euro a testa ed è comprensivo di: quattro pernottamenti al costo di tre, buffet di colazione fino a Mezzogiorno, cena My way to eat con due menù tra cui scegliere le portate, il numero e l’ordine delle stesse, Cena My way to eat a Bressanone a scelta dal menù nel ristorante gourmet Grissino in centro città, aperitivo di benvenuto, accesso al centro benessere Spa Arboris di 2.500 mq, programma sportivo, BrixenCard. Si tratta di una nuova struttura costruita su palafitte tra le cime degli alberi che regala la sensazione di essere accolti proprio in un nido sospeso tra i rami e con vista sulle montagne. Il My Arbor – Plose Wellness Hotel è inoltre parte dei circuito dei Vinum Hotel e mette a disposizione degli ospiti 3 degustazioni di vini a settimana con 3 sommelier, una carta dei vini con 300 etichetteconservate nella cantina di proprietà.
In Alta Badia, all’Hotel Posta Zirm di Corvara (postazirm.com), proprio dietro agli impianti del Col Alt da cui intraprendere il SellaRonda,quattro notti al prezzo di tre partono da 576 euro a testa in doppia in mezza pensione. Qui le tradizioni ladine alle spalle oggi si declinano all’insegna del benessere con un’attenzione particolare riservata alla cucina vegana e del feng shui grazie a una zona benessere dedicata di oltre mille metri quadrati.
In Alta Val Pusteria, il Romantik Hotel Santer di Dobbiaco (romantikhotels.com) unisce la comodità a un paesaggio senza rivali. La struttura infatti si trova a pochi metri dalla stazione ferroviaria dalla fermata dello Sci Pustertal Express che, in pochi minuti ai vicini impianti delle Dolomiti Tre Cime (Monte Elmo che festeggia quest’anno un nuovo impianto e Croda Rossa) e a Perca al Plan del Corones. Gli ospiti dell’hotel hanno a disposizione l’Holidaypass con cui spostarsi gratuitamente sui mezzi pubblici (treni e pullman) dell’Alto Adige per tutta la durata del soggiorno. Con la proposta“Dolomiti Super Premiere 3 Zinnen” dal 7 al 22 dicembre 2019, 4 notti sono al prezzo di 3 e 8 al prezzo di 6. Iprezzi a partire da 118 euro per persona al giorno con trattamento di mezza pensione in camera matrimoniale che scendono a 98 euro per soggiorni settimanali.
A San Vigilio, vera e propria mecca dello sci, l’Excelsior Dolomites Life Resort (myexcelsior.com) dal 5 al 20 dicembre 2019, con l’offerta Dolomiti Super Première 4=3, propone pacchetti a partire da 492 euro in camera doppia comprensivi di quattro pernottamenti al prezzo di tre (o otto al prezzo di sei), con trattamento “Pensione Gourmet Plus” (ricca prima colazione, buffet wellness a pranzo, merenda con dolci e selezione di tisane e cena con 4 menu a scelta), 4 giorni di skipass al prezzo di 3, accesso diretto alle piste da sci del Plan de Corones e Sellaronda, deposito sci interno con scalda-scarponi e armadietto personale. Settimanalmente l’hotel, dotato di una skiroom con diretto accesso ai tracciati di Plan de Corones, organizza ciaspolate guidate, gita guidata con lo slittino, skisafari, gara di sci per grandi e piccini, festa con vin brulè e fiaccolata sugli sci. Il resort ha inaugurato lo scorso anno stanze d’autore, ideali per rilassarsi dopo le giornate sulla neve delle Dolomiti. Si tratta delle 16 camere deluxe e suite dell’Excelsior Dolomites Lodge, con la Dolomites Sky Spa per adulti di 500 mq e infinity poolcon acqua a 32°sul rooftop. Le grandi pareti di vetro annullano la distanza tra interno ed esterno, con la sensazione di essere avvolti dalle cime dolomitiche innevate. C’è inoltre l’Outdoor Relax Lounge con caminetto e TV sport, un’ ampia sauna panoramica, Forest la sauna a raggi infrarossi, terrazza Fanes, Dolomites Indoor Relax Room e spa Lounge.
In Val Fiscalina al Bad Moos-Dolomites Spa Resortdi Sesto (badmoos.it ), in Val Fiscalina, la stagione 2019/20 inizia con lo scontograzie al pacchetto “Settimane speciali in inverno”. L’offerta, validadal 5 al 22 dicembre 2019 e poi dal 5 gennaio al 16 febbraio 2020, e dal 1 marzo al 14 aprile prevede uno sconto del 4% sul prezzo della camera che raddoppia qualora si arrivi di domenica o lunedì. La Dolomiti Super Première, valida dall’8 al 22 dicembre parte da 494 euro a persona in trattamento di mezza pensione in camera doppia (quattro giorni al posto di tre). Dalla struttura si può uscire già con gli sci ai piedi: gli impianti di risalita della Croda Rossa, appena fuori dall’hotel, permettono di godersi le piste, sempre ben preparate, del comprensorio sciistico Tre Cime Dolomiti. Complessivamente: cinque montagne collegate, 110 km di piste a innevamento garantito e di tutti i livelli di difficoltà, 31 moderni impianti di risalita. La stagione invernale 2019/20 presenta la nuova seggiovia a 8 posti Premium “Hasenköpfl” sul Monte Elmo, che sostituisce quella a tre posti e rende più confortevole la risalita oltrea ad aprirsi su uno dei panorami più spettacolari del comprensorio, con vista sulla Meridiana di Sesto.
Con “Due figlie, tre valigie”, riparte il Teatro San Babila
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Con “Due figlie, tre valigie”, riparte la stagione del Teatro San Babila di Milano che, dal 2013-2014, è diventato anche teatro di produzione con la Compagnia del Teatro San Babila. Proprio come questa frizzante commedia di Claude Magnier diretta da Marco Vaccari, in cartellone fino al 17 novembre, e che ha tutti i presupposti per ripetere il successo parigino. Nella Ville Lumière infatti la commedia “Due figlie, tre valigie” è andata in scena ben 600 volte. Sul palco milanese Marino Zerbin, Elisabetta Cesone, Marco Vaccari, Stefania Pepe, Gianni Lamanna, Giulia Marchesi, Lornzo Alfieri e Sara Caprera la girandola di comici equivoci che ruota attorno a “Due figlie, tre valigie”. Il testo scritto per il teatro da Claude Magnier (titolo originale: Oscar) ha ispirato due versioni cinematografiche: una francese, con un irresistibile Luis De Funès nel 1967 e la più recente con Sylvester Stallone e Ornella Muti del 1991.
Christian Martin, modesto contabile in una azienda molto importante si presenta una mattina a casa del suo principale Bertrand Barnier per chiedergli un aumento in quanto intende sposarsi. Martin gli rivela anche di avere fatto qualche discutibile manovra sul bilancio aziendale. La richiesta del ragioniere coglie impreparato l’uomo che scopre ben presto di essere vittima di una sorta di ricatto al quale è costretto a piegarsi. La sorpresa è ancora maggiore quando Martin chiede a Barnier proprio la mano della figlia. Ma ecco che improvvisamente irrompe nella storia la giovane Jacqueline che chiede di vedere l’imprenditore. La ragazza dice di essere innamorata di Christian Martin e di avergli mentito spacciandosi per la figlia di Barnier. Travolto dagli eventi Barnier è nella confusione totale. Egli si rende conto a questo punto che Martin non è innamorato di sua figlia Colette. In bilico fra tracollo economico e beghe sentimentali il povero, si fa per dire, uomo d’affari vede popolato il suo delirio da dipendenti dimissionari, un personal trainer tutto muscoli e poco cervello, una moglie un po’ svanita.
Dal 21 novembre sempre sul palco del Teatro San Babila di Milano, sarà in scena “Non sparate sulla mamma”, commedia diretta da Marco Rampoldi e scritta da Carlo Terron; seguono “Che disastro di commedia” (dal 17 al 22 dicembre); “L’ascensore” (dal 7 al 12 gennaio), con Luca Giacomelli Ferrarini, Elena Mancuso e Danilo Brugia; “Un grande grido d’amore” (dal 21 al 26 gennaio) di Josiane Balasko, v con Barbara De Rossi; e ancora, dal 13 febbraio “La coscienza di Zeno” presentato da Corrado Tedeschi; “Maria Callas Masterclass” (17-22 marzo) con Mascia Musy (17-22 marzo) e, di nuovo con la Compagnia del Teatro San Babila, “Colto in flagrante” di Derek Benfield, spettacolo in cartellone anche la notte di Capodanno.
Sugli spalti del Teatro San Babila di Milano torna poi anche l’operetta con la Compagnia di Operette Elena D’Angelo. In scena “La Vedova allegra, “Ballo al Savoy”, “Al Cavallino Bianco” e “La Principessa della Czarda”. Torna anche, con l’Associazione Musica in Scena, la Stagione Lirica con quattro titoli: “Rigoletto”, “Il Barbiere di Siviglia”, “Cavalleria Rusticana” e “Tosca”.
DOVE, COME E A QUANTO
“Due figlie, tre valgigie”
TEATRO SAN BABILA DI MILANO
Corso Venezia, 2/A – 20121 Milano – Tel. 02 798010
Dal 5 al 17 novembre
martedì – giovedì – venerdì – sabato ore 20.30
mercoledì – sabato – domenica ore 15.30
BIGLIETTI da euro 12 a euro 27
Il turismo del vino tra vigne e cantine
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Relais, hotel di charme o locande che affiancano storiche cantine dalle etichette blasonate dove scoprire i segreti dei vigneron, ma anche provare trattamenti di bellezza a base d’uva, trovare ristoranti esclusivi, esplorare il territorio, rimanendo incantati davanti scenari mozzafiato e dai borghi medioevali che costellano la campagna italiane, scovare prodotti tipici da portare a casa, prendere parte a lezioni di cucina o di arti antiche e “quasi” dimenticate. Il turismo del vino è in pieno boom: da Nord a Sud, sono sempre più numerose le cantine dove organizzare fine settimana o intere vacanze wine friendly. In Alto Adige, terra di Pinot e Chardonnay, è nato persino un network di “vinunm hotel” dove scovare la propria struttura da sogno.
Nel frattempo, ecco alcuni posti da mettere in agenda per il prossimo ponte di primavera.
TERENZI –LOCANDA DI CHARME A SCANSANO, NEL CUORE DELLA MAREMMA
L’esclusiva locanda di charme di nove camere domina sulla campagna di Scansano, nel cuore della denominazione del Morellino, e sulla vallate del fiume Albegna. dal casolare si vedono i sessanta ettari di vigneto e i 12 di oliveto di Terenzi, un’azienda agricola fondata dall’omonima famiglia milanese nel 2001 e che ha ridato smalto al Morellino di Scansano. La società oggi è gestita dai tre figli del fondatore Florio Terenzi: Federico, Balbino e Francesca Romana e può contare su una produzione di 360mila bottiglie (tra cui icone come Madrechiesa e Purosangue). E, nonostante la storia piuttosto recente cantina, Terenzi vanta già un gran cru, Madrechiesa, valutato tre bicchieri dal Gambero Rosso. Regalarsi un break da Terenzi significa godere della Maremma e del suo patrimonio enogastronomico, senza considerare che le Terme di Saturnia si trovano a soli cinque chilometri da Scansano. Una pausa nelle vasche naturali di acqua bollente rigenera delle fatiche della settimana e per di più è anche gratis.
ROCCAFIORE –UN RESORT A TODI ALL’INSEGNA DELLA SOSTENIBILITA’
La prossima tappa del viaggio intrapreso da Roccafiore è quella di un hotel diffuso con chalet tra i filari della vigna: casette in legno 100% sostenibili e a basso impatto e che permetteranno di immergersi pienamente nella natura. Nel frattempo Roccafiore è un’isola immersa nel verde, ben 90 ettari di riserva, tra vigne, uliveti e colture di seminativi, all’interno della quale l’ospite può alloggiare e degustare vini e prodotti del territorio, alloggiare. Qui il vino non si versa solo nei calici, è anche un paesaggio ricamato di vigneti in cui perdere lo sguardo ed è impiegato nei trattamenti della beauty farm. Roccafiore, dall’altro delle sue 130mila bottiglie, è un “riserva bionaturale” che conserva la tradizione agricola del territorio di Todi e impiega le innovazioni tecnologiche, trasformandole in strumenti di tutela dell’ecosistema esistente.
CASTELLO DI MELETO – A GAIOLE IN CHIANTI SI DORME IN UN CASTELLO CIRCONDATI DA E ETTARI DI VIGNE DOVE ORGANIZZARE PICNIC
Natura, arte, cucina e spettacoli si intrecciano al Castello di Meleto in Gaiole in Chianti una dimora signorile le cui origini risalgono al 1256 e oggi azienda agricola, hotel storico e, con il suo teatro del ‘700, centro culturale del territorio. Un’azienda con una storia quanto mai peculiare visto che ha avuto origine nel 1968 grazie a una sottoscrizione pubblica lanciata da Gianni Mazzocchi, presidente dell’Editoriale Domus, attraverso il suo magazine Quattroruote, per acquistare casali, terreni, pieve e castello nel Chianti. Oggi il Castello di Meleto conta su ben 180 ettari di vigneto e costituisce una delle maggiori realtà sul territorio di produzione del Chianti Classico Docg, produce olio biologico grazie alla presenza di 1600 olivi secolari e salumi di cinta senese, ed è ormai un centro turistico di forte attrazione turistica. Qui si può ci si può rilassare o imparare a cucinare o a riconoscere il vero extravergine di oliva e i salumi di qualità. Da non perdere i picnic in vigna, oltre agli appuntamenti artistici nel nostro teatro settecentesco: monologhi, musica classica, musical per famiglie.
Primavera in festa nei grandi giardini d’Italia
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La primavera sboccia in numerose ville e castelli storici tra cui i 125 presenti nel network Grandi Giardini Italiani. Ed aprile è il mese migliore per andare alla scoperta di questo patrimonio del verde “made in Italy”, soggiornando in borghi incantanti e scoprendo nuovi percorsi.
La primavera si accende di colori e fioriture, in particolare in questi luoghi:
Castello di Pralormo (Torino) dove si attende la fioritura di 80mila tulipani e narcisi e la fioritura dei ciliegi giapponesi. Ad aprile ha luogo la manifestazione “Messer tulipano
Giardini botanici di Villa Taranto (Verbania-Pallanza) In primavera trionfano tulipani (sono piantumanti oltre 20mila bulbi di 65 varietà diverse), muscari (oltre 40mila bulbi che formano un tappeto blu) e narcisi e fioriscono azalee, rododendri, forsizie e magnolie.
Isola Bella a Stresa Rododendri e camelie, oltre a una magnifica collezione di rose trovano posto nel celebre giardino all’italiana del Lago Maggiore.
Isola Madre a Stresa. Per Gustave Flaubert era “il luogo più voluttuoso al mondo”. Da non perdere la fioritura primaverile di rododendri, camelie, azalee, e magnolie.
Oasi Zegna a Trivero sulle Alpi Biellesi. Un ambiente voluto e ideato da Ermenegildo Zegna a partire dal 1938. Da non perdere la conca dei rododendri
Ma se si ha qualche giorno in più, approfittando magari di uno dei ponti di primavera, potrebbe essere interessante un tuffo nella storia delle ville e dei giardini itlaiani che parte dal giardino rinascimentale e arriva ai nostri giorni, con un parco all’insegna della sostenibilità.
GIARDINI DI PALAZZO FARNESE Il complesso è stato ideato dall’architetto Jacopo Barozzi da Vignola su commissione del cardinale Alessandro Farnese a Caprarola (Viterbo). I giardini di Palazzo Fanese rappresentano un’icona dei giardini all’italiana rinascimentali dove l’uso bosso in forma geometrica, la presenza di grotti, fontane e corsi d’acqua artificiali sottolinea la consapevolezza raggiunta dell’uomo artefice di se stesso e “addomesticatore” della natura. Nei giardini Vignola ha realizzato la sintesi tra natura e artificio architettonico caratteristico delle ville del Lazio del Cinquecento. L’ingresso costa 5 euro.
GIARDINO STORICO GARZONI Il giardino di Collodi (Pistoia) è l’emblema un ‘600 in cui i palazzi aristocratici ospitavano luoghi di svago e cultura per le corti, divenendo centri di relazione personali e politiche. Il giardino incastonato in una collina dove il percorso si dipana tra vialetti, fontane e giochi d’acqua alla scoperta del labirinto, del teatro della verzura, del viale die poveri fino alla villa. Il primo architetto fu probabilmente Romano di Alessandro Garzoni intorno al 1633. Un secolo dopo Diodati Ottaviano, architetto del paesaggio del ‘700 e traduttore dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, ha concorso a disegnare aree del giardino e la Palazzina d’Estate. Il giardino è aperto da marzo a novembre, l’ingresso costa tra i 10 e i 13 euro a seconda della stagione.
CASTELLO DI GRAZZANO VISCONTI Centocinquantamila ettari di parco custoditi a Grazzano Visconti, appena fuori Piacenza. Il castello del XIV secolo ospita il giardino ancora oggi di proprietà della famiglia Visconti e attorno a cui, agli inizi del ‘900, Giuseppe Visconti di Modrone ha voluto ricreare un borgo di all’atmosfera medioevale. Il parco è stato ideato e realizzato tra fine ‘800 e inizio ‘900 sempre da Giuseppe Visconti di Modrone (padre di Luchino Visconti che qui trascorse l’infanzia) come giardino eclettico in cui convivono le simmetrie del giardino all’italiana e l’atmosfera romantica. Il parco è aperto al pubblico con visite guidate nei week end e nei giorni festivi. L’ingresso costa 8 euro
GIARDINO E CASA COSENI Una villa siciliana con un giardino art déco dei primi anni del ‘900 Casa Coseni si trova nella parte collinare di Taormina ed è stata costruita a inizio ‘900 dal pittore inglese Rober Kitson divenendo presto centro artistico internazionale. Da qui infatti sono passati, tra l’altro, Pablo Picasso, Salvador Dalì, Henry Moore e Ezra Pund e, in un periodo successivo, Tennessee Williams, Bertrand Russell e Henry Faulkner. La casa custodisce collezioni a testimonianza del tradizionale Grand Tour Inglese e una sala da pranzo di Frank Brangwin, tra i primi decoratori di Tiffany. Lo stesso Brangwin ha disegnato anche il giardino della villa, utilizzando e prospettive sull’Etna e sul golfo di Naxos e il paesaggio come elementi decorativi. Nel giardino le piante africane si mescolano agli agrumi siciliani e alle rose inglesi. Casa e giardino sono aperti dalle nove di mattina fino a un’ora prima del tramonto. L’ingresso costa 15 euro.
PARCO GIARDINO SIGURTÀ Boschi, fioriture straordinarie (un milione di tulipani, oltre giacinti e narcisi), un labirinto con 1500 esemplari di tasso, specchi d’acqua e ninfee, il viale delle rose e distese erbose per complessivi 600mila metri quadrati di parco voluti, a metà del 900, da Carlo Sigurtà, industriale farmaceutico innamoratosi di Valeggio sul Mincio. Alcune aree del parco sono state disegnate da Cocker Henry, tra i più noti architetti del passaggio del novecento. Oggi il parco, a metà strada tra Verona e Mantova, continua ad essere della famiglia Sigurtà ma tra marzo e novembre è aperto al pubblico. L’ingresso costa 12,5 euro.
La moda entra nei musei del mondo
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La moda va al museo e fa sold out. Negli ultimi mesi sono stati inaugurati due musei dedicati a Yves Saint Laurent : uno a Parigi, nello storico atelier in Avenue Marceau dove trovano spazio le diverse creazioni dello stilista dallo smoking all’haute couture oltre a coloro a cui Saint Laurent si è ispirato (Henry Matisse e Pablo Picasso compresi), e un altro nella città di elezione del couturier francese, Marrakesh, dove oltre a 5mila abiti, 15mila accessori, un auditorium e una biblioteca, trova posto una libreria che riproduce la prima boutique aperta a Parigi dall’artista.
Ma la danza infinita di creatività tra abiti e accessori, profumi e foto di passerella, prende numerose altre vie fino a raggiungere tutti i continenti. Sono sempre più numerosi i musei del fashion e le mostre monotematiche dedicate a singoli stilisti o maison che hanno fatto la storia del settore e attraggono ormai più visitatori dei poli culturali più tradizionali. A dare il via al trend è stata “Savage Beauty” esposizione dedicata ad Alexander Mc Queen organizzata dal Metropolitan di New York nel 2011 (dove è presto diventata una delle mostre più viste di tutti i tempi con 650mila visitatori) e poi ospitata nel 2015 dal Victoria&Albert di Londra è stata vista da più di un milione di persone, eguagliando le mostre dei record generalmente dedicate agli impressionisti.
E non poteva che essere la Francia, la patria dell’haute couture, ad annoverare i maggiori musei che qui gode della stessa attenzione dedicata alle altre arti figurative. A Parigi ilMusée Galliera (Musée de la Mode de la Ville de Paris) vanta oltre 70mila pezzi dal 1780 ad oggi, tra cui abiti appartenuti a Maria Antonietta e outfit indossati da Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany. Ad Albi, in Occitania, dopo un doveroso omaggio al cittadino forse più illustre, Henri de Toulouse-Lautrec, vale la pena cercare nelle vie del centro un museo che è un piccolo scrigno della moda dove ogni anno vengono allestite esposizione a tema grazie alla ricca collezione dai proprietari. Di particolare fascino anche il Museo delle arti decorative della moda e della ceramica di Marsiglia ospitato nel castello Borély, dove trovano posto 5600 capi, 1600 accessori e 100 profumi. In Europa sono da visitare anche le collezioni del Victoria & Albert Museum di Londra e il MoMu di Anversa che, inaugurato nel 2002, ospita principalmente i lavori degli stilisti belgi.
Particolarmente attento al fashion è anche il Giappone che vanta il Kyoto Costume Institute con oltre 12mila capi di abbigliamento (sorprendentemente) occidentali risalenti addirittura al 17° secolo e 16mila documenti (è aperta al pubblico solo una selezione); il Bunka Gakuen Costume Museum di Tokyo che punta a scoprire la cultura giapponese e internazionale attraverso l’abbigliamento; il Sugino Gakuen Costume Museum di Tokyo e il Kobe Fashion Museum. A New York infine sono le gallerie del Metropolitan a giocare da protagoniste e, in particolare, quelle dedicate alla sezione Constume Institute, tra le più frequentate del museo, grazie agli oltre 35mila capi di abbigliamento e accessori provenienti dai cinque continenti a partire dal 15° secolo.
E l’Italia? Nel Paesi dove la creatività è, da sempre protagonista, non esistono musei statali centrati solo sulla moda. A Milano, capitale riconosciuta del prêt-à-porter, Palazzo Morando, sede delle collezioni di Costume Moda e Immagine, ospita collezioni e allestimenti che vale la pena esplorare nelle mostre che ciclicamente vengono allestite. Due anni fa poi Giorgio Armani ha festeggiato i quarant’anni del brand inaugurando Armani/Silos, in Via Borgognone, uno spazio di 4.500 metri quadrati che si sviluppa su quattro piani proponendo una selezione ragionata di abiti dal 1980 a oggi. La selezione racconta la storia e l’estetica dello stilista ed è suddivisa per temi: al pian terra la sezione Stars e la sezione dedicata al Daywear, al primo piano la sezione Esotismi, al secondo piano, Cromatismi, al terzo e ultimo piano la sezione Luce. Sempre sotto la Madonnina la Fondazione Prada “ha scelto l’arte come principale strumento di lavoro e di apprendimento” e propone dibatti e percorsosi culturali per “arricchire la vita quotidiana, aiutarci a capire i cambiamenti che avvengono in noi e nel mondo”.
Tra i musei della moda che mostrano uno spaccato di made in Italy, vale la pena mettere in agenda ci sono anche: – ilMuseo Boncompagni Ludovisi di Roma che vanta 800 pezzi tra abiti e accessori di alcuni dei brand storici più importanti come Fausto Sarli, Gattinoni, Angelo Litrico, Roberto Capucci e Valentino;
– il Museo Salvatore Ferragamo a Firenze, ospitato all’interno di Palazzo Spini Feroni, documenta l’intera storia della maison e delle creazioni del suo fondatore, “il calzolaio delle stelle”; – ilMuseo della Fondazione Roberto Capucci ospitato a Firenze a Villa Bardini espone i dodici abiti-scultura confezionati in occasione della Biennale di Venezia del 1995; – la Galleria del Costume di Firenze(dal 2016 Museo della Moda e del Costume), parte del complesso museale di Palazzo Pitti conta ben 6000 pezzi fra abiti antichi e moderni, accessori, costumi teatrali e cinematografici tra cui alcuni abiti di Eleonora Duse e di Donna Franca Florio e i vestiti funebri del granduca Cosimo de’ Medici e della sua famiglia; – Il Museo Internazionale della Calzatura Pietro Bertolini, all’interno del Castello Sforzesco di Vigevano, vanta un patrimonio complessivo di oltre 3000 pezzi; – La Fondazione Ratti a Como ospita un museo del tessuto -Palazzo Mocenigo a Venezia, ospita abiti del XVII e XVIII oltre al Museo del Profumo.
La Valtellina eroica: Casa Vinicola Nera
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Simone, Stefano, Angela e il padre Pietro. Sono loro i protagonisti di una storia di una viticoltura “eroica” (il lavoro è totalmente manuale a causa della conformazione del territorio) che affonda le proprie radici in Valtellina, alla fine dell’800 e per poi trovare il suo attuale assetto negli Anni 40: la “Casa Vinicola Nera”. Oggi, giunti alla quarta generazione di Nera che si sono succeduti in cantina e in vigna,, la “Casa Vinicola Nera” è ormai tra le realtà più conosciute sul territorio grazie a una produzione di qualità proveniente da 35 ettari di vigneto nelle zone della Sassella, Inferno, Grumello e Valgella. E Valtellina vuol dire Nebbiolo, fratello stretto del nebbiolo piemontese, che in Valtellina trova le sue condizioni ideali. “Negli ultimi anni abbiamo impiantato circa 10 ettari di nuovi vigneti, utilizzando tre cloni di Nebbiolo – Chiavennasca selezionati dalla Fondazione Dott. Piero Fojanini di Studi Superiori” racconta Simone Nera. Ma non solo. In questa tanto piccola quanto meravigliosa valle, che si trova all’estremo nord della Lombardia, c’è spazio anche per la produzione di vini bianchi ottenuti dalla vinificazione in bianco delle uve di Nebbiolo, notoriamente a bacca rossa.
Saranno quindi vini bianchi, sebbene vinificati in bianco dalle uve del nebbiolo, le novità che presenterete al prossimo Vinitaly?
Alla manifestazione veronese presenteremo: l’IGT Alpi Retiche “La Novella” e l’IGT Alpi Retiche “Rezio” che, peraltro, sono prodotti dall’azienda da circa 30 anni. Questo ci fa capire che la voglia di “sperimentare” qualcosa di diverso, utilizzando un vitigno conosciuto quasi esclusivamente per la produzione di vini rossi, ha radici consolidate. In particolare l’IGT Alpi Retiche “La Novella”, la cui annata 2017 sarà in commercio entro la fine di marzo, è ottenuto dalla vinificazione delle uve rosse dei vigneti valtellinesi, 50% Nebbiolo “Chiavennasca” e 50% Rossola, altro vitigno autoctono della Valtellina, a bacca rossa. Il vitigno Nebbiolo “Chiavennasca” conferisce a questo vino una notevole sapidità e una buona struttura al gusto, con profumi di frutti bianchi come ananas e banana, nonché una buona
longevità. La Rossola apporta invece un’acidità fresca accompagnata da sentori agrumati sia all’olfatto che al gusto.
Quali sono i vostri prodotti d’eccellenza? L’azienda produce tutti i vini a denominazione di Valtellina: lo Sforzato di Valtellina D.O.C.G., i Valtellina Superiore D.O.C.G. con le varie sottozone Sassella, Inferno, Grumello, Valgella e le relative Riserve, il Rosso di Valtellina D.O.C. ed gli I.G.T. Terrazze Retiche di Sondrio Rosso, Bianco e Passito Rosso. Le Riserve vengono prodotte con uve provenienti da vigneti storici monitorati da Stefano solamente nelle annate migliori. Tra queste segnaliamo i due CRU: Valtellina Superiore D.O.C.G. Signorie Riserva che nasce da un vigneto nella sottozona Valgella sito nel comune di Chiuro ed il Valtellina Superiore D.O.C.G. Paradiso Riserva, che nasce invece da un vigneto nella sottozona Inferno sito a cavallo tra i comuni di Poggiridenti e Tresivio. Oltre ai vini segnaliamo le esclusive grappe ottenute dalle vinacce di uva Sassella, Inferno e Sforzato, e lo spumante Cuvee Caven metodo classico.
E l’ultima vendemmia? Ottima. Abbiamo solo registrato un calo del 30% nella vinificazione, ma la qualità del 2017 è eccelsa.
Dove è possibile venirvi a trovare per provare le eccellenze della Valtellina? Dal 2009 abbiamo aperto, presso le nostra cantine, direttamente sulla strada statale dello Stelvio, un Wine Bar ed un nuovo punto vendita aziendale, anche Corner Valtellina, dove è possibile degustare e conoscere i grandi vini Nera accompagnati dai prodotti tipici della Valtellina, quali i formaggi D.O.P. Bitto e Casera, la Bresaola di Valtellina I.G.P., i pizzoccheri e tutti gli altri sapori di questa ricca terra.