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Dapporto e Solenghi per la prima volta in scena insieme

“Quei Due” porta per la prima volta in scena insieme Massimo Dapporto (Charlie) e Tullio Solenghi (Harry) in un’inedita coppia gay alle prese con la società omofoba dell’Inghilterra degli Anni ’60. La commedia, prodotto da Angelo Tumminelli e diretta da Roberto Valerio, approda  il 31 marzo al Teatro Manzoni di  Milano e vi rimane fino al 17 aprile.

Massimo Dapporto e Tullio Solenghi, saranno rispettivamente Charlie e Harry, barbieri della periferia londinese che vivono assieme da una trentina d’anni, con tutte le dinamiche di due coniugi provati da una vita fatta ormai di continui litigi, di futili battibecchi, di sofferenze inferte volontariamente: entrambi sapendo però di non poter più fare a meno l’uno dell’altro.

Su tutta la commedia incombe l’ombra di un processo che Charlie dovrà affrontare per sospetto di omosessualità e per atti osceni in luogo pubblico. Quello di Harry e Charlie è un amore consumato clandestinamente in un oscuro “sottosuolo”, emblema di una felicità sacrificata, di un’esistenza votata alla dissimulazione e alla vergogna, sullo sfondo di una società omofoba, quella dell’Inghilterra degli anni Sessanta dove fino al 1967 (!!!) vige il Buggery act, legge da cui fu perseguitato nel 1895 Oscar Wilde.  In un esilarante e spietato confronto “Quei due” nel giro di una notte si confesseranno per la prima volta in trent’anni.

In precedenza la coppia, interpretata da Massimo Dapporto e Tullio Solenghi,  è stata portata sui palcoscenici italiani da Paolo Stoppa e Renzo Ricci,  e nei cinema internazionali da  Richard Burton e Rex Harrison.

DOVE COME E A QUANTO

Teatro Manzoni, Milano – 31 marzo- 17 aprile
Orari: Feriali  ore 20.45 –  Domenica ore 15.30
Biglietti da 23 euro




“Cernusco: 50 anni di persone, 50 anni di storie” in 98′ minuti

di Elisa Pedini – Ci troviamo a Cernusco sul Naviglio, dove, il novembre 2015, la biblioteca civica “Lino Penati” ha compiuto cinquant’anni. Le iniziative del comune si sono protratte fino a marzo 2016 per San Giuseppe, patrono del paese. Il clou, è stato venerdì 18 marzo con i servizi bibliotecari prolungati fino alle 23 e la trasmissione, nella sala conferenze interna, d’un documentario di 98′: “Una biblioteca a Cernusco: 50 anni di persone, 50 anni di storie”, a cura del regista locale Rino Cacciola.

L’aspetto che amo di più del mio lavoro è la possibilità di dare informazione, che sia il più chiara e vera possibile. Questo mi spinge a dare voce a qualsiasi iniziativa cinematografica che mi venga segnalata, senza badare se parte da una grande casa di produzione o da una piccola amministrazione locale. Succede però, che, non sempre, ci si trovi di fronte a un prodotto di valore. Purtroppo, è questo il caso. Ma, il mio lavoro, è anche questo. Cercherò, pertanto, di dare un taglio anche “di costume” alla mia recensione per darne una visione globale perché, comunque, c’è sempre un lavoro dietro che rispetto.

Le piccole realtà locali esaltano, giustamente, quel che hanno ed essendo una piccola iniziativa, volevo curiosità interessanti da passare al pubblico: in primis, come si faccia a fare 98′ di documentario su una biblioteca di paese. Prima della proiezione, approccio il regista per una piccola intervista, per comprenderne la nascita, le problematiche incontrate e lo sviluppo. Rino Cacciola è molto imbarazzato, ma, nel mentre, piomba una signora, asserendo di conoscermi. Devo ammettere che resto interdetta. Anch’io so chi sia, dato che, peraltro, è una dipendente statale, ma mai mi permetterei d’asserire di conoscerla. Prendo l’atto come una falsa ostentazione e taccio, ma è lei stessa a darmi la chiave di lettura del suo comportamento con la domanda successiva “che fai qui?”. Ecco, lì mi è chiaro che non è ostentazione, semplicemente ignora la differenza tra “il sapere come si chiama una persona” e il “conoscere una persona”. Abbozzo un sorriso e affermo anch’io di conoscerla, la signora trotta via felice e soprattutto, il regista s’ammorbidisce. Le realtà locali sono sempre folkloristiche!

Finalmente, riesco a fare il mio lavoro. Alla seconda domanda, Rino Cacciola è, ormai, a suo agio. S’illumina. I suoi occhi brillano pieni d’entusiasmo. Vibra di passione. È lì che decido che di lui, avrei scritto. Ecco, le sue parole:

D: “Senti Rino, ma come nasce l’idea, quanto meno particolare, di fare un documentario su una biblioteca civica moderna?”

R: “L’idea non è nata da me. L’amministrazione comunale mi ha contattato per produrre un corto sui cinquant’anni della biblioteca civica, fondata nel 1965.”

D: “Un corto?! No scusa, ma allora come ci siamo arrivati a 98′?”

R: “Eh si, in effetti! È partito con l’idea d’un corto, pensandolo come un documentario d’interviste. Raccogliendo le testimonianze dei bibliotecari attuali e dei vecchi impiegati in pensione, mi resi conto d’avere in mano un contenitore di storie, che mi consentivano di raccontare il territorio attraverso i personaggi: ovvero, di raccontare la città, mettendone in evidenza la cultura. Spunti questi, che potevano diventare un lungometraggio. Così, ho presentato all’amministrazione un lavoro di 38′ e con non poche difficoltà, li ho convinti ad allungarlo a 98′. Tutto il lavoro di raccolta materiale è durato tre mesi, ma poi il montaggio e la versione definitiva sono avvenuti in poco tempo, perché l’avallo ai 98′ minuti l’ho avuto a ridosso della scadenza. Tanto che il prodotto finito, è stato visto dall’amministrazione il giorno stesso della presentazione al pubblico.”

D: “Debbo ammettere d’ammirare la tua passione. Immagino che sia stata durissima: trovare le persone, intervistarle, raccogliere tutto il materiale, selezionarlo e montarlo in modo che avesse senso. Che problematiche hai esattamente affrontato in tutto questo percorso?”

R: “Si è stato un lavoro duro, ma in realtà, una volta decisa l’impostazione, non è stato difficile. La vera grossa difficoltà è stata proprio con l’amministrazione nel far accettare l’idea d’un lungometraggio e della possibilità di raccontare la realtà cernuschese, attraverso l’evento centrale. Ho incontrato una forte diffidenza nel linguaggio del cinema.”

Mentre penso, tra me e me, che non è molto logico commissionare un documentario e poi non avere fiducia nel linguaggio del cinema, entra Comincini, il sindaco del paese. Lo invitiamo a prendere parte all’intervista; ma, lui risponde: “Eh se devo proprio, sennò…”. No, a me, il signor sindaco, non deve proprio nulla, ma al dovere civico, magari si, dato che è un dipendente statale, siamo in un luogo pubblico, l’iniziativa è comunale; magari, forse, sarebbe carino spiegare all’opinione pubblica come ha gestito, anche economicamente, l’evento. Mi dispiace per il pubblico, ma, purtroppo, non sono in grado di dare queste informazioni. Soprattutto, alla luce del fatto che il documentario, dal punto di vista valoriale, mi ha lasciata parecchio perplessa. Per 98′ ho lottato contro la noia. Sentire gente sconosciuta, senza didascalia esplicativa alcuna, che mi racconta i fatti suoi, non mi ha affatto interessata, anzi. Per contro, una critica è composta anche d’un aspetto tecnico, dove, invece, la passione di Rino Cacciola fa calmierare il giudizio. Il montaggio è curato. La consequenzialità è logica e compatta. Il coraggio di sfidarsi nel proporre un argomento, piuttosto bizzarro, è sicuramente degno di nota.




Dani de la Torre: vi racconto l’universo di Desconocido

di Elisa Pedini – L’idea dell’intervista diretta al regista nasce dalla volontà di dare al pubblico una visione completa d’un film, dunque, non solo con l’occhio della critica, che riporta certi aspetti tecnici e le impressioni emotive che ho ricevuto nel momento in cui ho assistito alla proiezione; ma anche dal punto di vista di chi lo ha pensato e materializzato, all’interno della sua realtà personale e locale. Dani de la Torre è un giovane regista gallego, profondamente calato nella realtà sociale della sua terra, che indaga, senza mezzi termini, con lucido realismo e acuta intelligenza. Finora, si era fatto apprezzare dal mondo della critica cinematografica per i suoi pregiatissimi corti, tra i quali ricordo: “Por nada”, “Lobos”, “Minas”, reperibili on line e che v’invito a gustare. Ma, ora, lascio a lui la parola per parlarci di “Desconocido”, il suo primo lungometraggio:

 

D: Una prima domanda di rito: come nasce l’idea del lungometraggio? Perché? Quando?

R: Nasce dall’indignazione personale verso la crisi economica, gli abusi bancari e la corruzione politica; questa, mescolata con il mio desiderio di fare un film d’azione. Cercavo un progetto per presentarlo a Vaca Films, perché il cinema che fanno è quello che mi piace fare. Feci un trattato scritto e lo presentai sia a loro che a Tosar e piacque e dopo entrò anche Alberto Marini (curatore della sceneggiatura, n.d.r.)

D: Dietro alla facciata di un thriller avvincente e trepidante, leggo molte tematiche sociali già incontrate nei tuoi corti: come la inutile battaglia dell’uomo contro l’uomo, l’uomo davanti alla possibilità di morire, la solitudine davanti alle scelte importanti. È una lettura corretta?

R: Si, è una buona lettura, mi piace mostrare come siamo deboli, le nostre contraddizioni, le miserie umane; è qualcosa di ricorrente nella mia filmografia.

D: Le relazioni Carlos-Lucas e Carlos-Alejandro: che cosa sottendono davvero?

R: Come persone siamo gli unici responsabili del nostro destino e lo determiniamo con le nostre azioni quotidiane.

D: La profonda crisi economica e le conseguenti trasformazioni sociali, quanto hanno inciso nella costruzione della trama?

R: Molto, questo film nasce dalla nostra indignazione come cittadini. È la nostra maniera di protestare, di mostrare il nostro anticonformismo, il nostro malessere sociale e umano.

D: Carlos sembra un uomo che ha tutto: sicuro, bello, affermato nel lavoro, una bella moglie, una bella casa, due bei bambini; ma, in realtà, le cose non stanno così. Possiamo dire che Carlos incarni la crisi dell’uomo moderno?

R: Si, ma più che dell’uomo, della persona moderna, dell’insoddisfazione permanente, dell’eterna ricerca della felicità utopica. Del consumismo e degli stereotipi sociali che ci vengono imposti.

D: Per il pubblico italiano l’impiego della telecamera quasi al limite della follia non è usuale. Chi non conosce la tua sensibilità per l’estetica e per il realismo, potrebbe avere difficoltà a comprenderlo. Come in “Por nada” la telecamera diventa parte dell’azione per renderla credibile, per porre lo spettatore dentro alla scena stessa. Potresti spiegare al pubblico questa magia della regia?

R: Mi piace che la telecamera abbia personalità, protagonismo, perché rende tutto molto vicino, molto reale. Oggigiorno le telecamere sono parte formante della nostra vita: i telefoni, i tablet…  Tutti fanno video, nei quali la telecamera e il suo utilizzo sono i protagonisti. È una tendenza attuale che fa più credibili e vicine le trame. Io provo ad applicarlo alle mie storie, ma tentando sempre di cercare punti di vista inediti.




Desconocido, quando a chiamare è uno sconosciuto

di Elisa Pedini – Dal 31 marzo sarà nelle sale italiane “Desconocido – Resa dei conti” del regista gallego Dani de la Torre. Appuntamento assolutamente da non perdere e vi spiego il perché: questo film, è la scrollata al panorama cinematografico contemporaneo che stavo aspettando da tempo. Pellicola intelligente, mordace, trepidante. Una perla di maestria, sia dal punto di vista della regia che dell’esecuzione, pronta a soddisfare anche il pubblico più esigente. Il genio del regista, Dani De La Torre, si sfida nel suo primo lungometraggio e non delude. I suoi corti, come “Por nada”, “Lobos”, “Minas”, che v’invito comunque a gustare, hanno messo in luce di lui le sue doti più peculiari: acutezza e verosimiglianza, che in “Desconocido” s’estrinsecano in tutta la loro potenza. Il suo occhio, indagatore e spietato, si mostra in una profonda introspezione psicologica dell’uomo e della società.

La trama di Desconocido è apparentemente semplice: Carlos, è un dirigente di banca, stimatissimo professionista, con una bella moglie, una bella casa e due bei bambini. Insomma, sembrerebbe avere tutto. Una mattina molto presto, riceve una telefonata dal suo capo che gli fa cambiare i piani, quindi, decide di portare i figli a scuola. A questo punto, ci viene chiarito che Carlos, quello che ha “tutto”, non ha, però, l’amore della moglie, che si mostra distante e aggressiva, né la considerazione dei figli, per nulla portati a obbedirgli e piuttosto sarcastici nei suoi confronti. Da subito, c’è qualcosa che lascia perplesso Carlos: la macchina è già aperta e sul sedile a lato del guidatore c’è un telefono che non appartiene a nessuno di loro. Sono appena partiti, quando, proprio da quel cellulare, giunge una telefonata da numero sconosciuto, “desconocido” appunto. Carlos risponde e da quel momento tutta la sua vita cambierà per sempre. Dall’altra parte della linea, un uomo lo informa che sotto i sedili dell’auto c’è una bomba e non esiterà a farla saltare se non gli consegnerà un’ingente quantità di denaro. Carlos si trova, così, incastrato tra il “mondo dentro”, dove “el desconocido” lo incalza e il “mondo fuori”, che, per ragioni diverse, lo pressa ugualmente.

È qui, che s’estrinseca tutta la magia del regista. Lo spettatore viene letteralmente risucchiato dentro l’abitacolo e catapultato in una situazione delirante. Seduto lì, sul sedile a fianco del guidatore. Vorrebbe muoversi, vorrebbe voltarsi e guardare dietro; ma è incollato lì. La cintura che blocca, il sedile e il poggiatesta che impediscono la visuale e la telecamera diviene il suo sguardo: impazzito, terrorizzato, impotente. Un climax di pathos, che sale, in modo direttamente proporzionale, alla devastazione psicologica ed emotiva del protagonista. Un ritmo rutilante, incessante, incalzante, che, come una morsa, afferra lo spettatore allo stomaco e lo trascina in un frenetico road movie per le strade della città. Luoghi familiari a Carlos, che li ha percorsi quotidianamente, come un re nella sua carrozza; ma che, ora, hanno acquisito l’aspetto nemico e ostile d’un mondo che non lo può comprendere e il suo mezzo sta per diventare la sua bara. In poco tempo, tutto quello che lui conosceva e credeva di possedere e dominare, si ribalta e solo una cosa acquisisce davvero senso: la vita dei figli.

Nonostante il fulcro della storia di Desconocido si svolga dentro una macchina, in realtà, è tutto fuorché un film claustrofobico, anzi. Carlos interagisce costantemente e attivamente col mondo esterno e tale relazione aiuta ad aumentare o diminuire la tensione del protagonista. Un’esteriorità che prende il volto d’una società cruda, basata sull’arrivismo e l’opportunismo. Dove la vittima è anche carnefice e viceversa. Dove l’inferno comune diviene una triste arena di combattimento inutile degli uomini contro gli uomini.

Pellicola cinica e vibrante che tiene lo spettatore col fiato sospeso fino all’ultimo secondo. Magistrale e penetrante l’interpretazione di Luis Tosar nel ruolo di Carlos. Figura squisitamente tipica della cinematografia spagnola quella della moglie, Marta, interpretata da Goya Toledo: una donna tremendamente emotiva, fragile, dai nervi costantemente scossi. Grandeggiante e caratterialmente opposta a Marta, è l’altra figura femminile del film: Belén, capo degli artificieri, impeccabilmente resa da Elvira Mínguez. A supportare questo capolavoro, vi è anche una spettacolare fotografia, che, a dir poco, incanta e rapisce l’occhio di chi guarda.

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Barbara De Rossi è Medea al San Babila

Barbara De Rossi è Medea al Teatro San Babila di Milano. La tragedia, diretta da Francesco Branchetti, sarà in scena dal 26 febbraio al 2 marzo. In scena anche Branchetti nel ruolo di Giasone, Tatiana Winteler nel ruolo della nutrice, Lorenzo Costa nel ruolo di Creonte e Fabio Fiori nel ruolo del ragazzo e della guardia. Firma le musiche Pino Cangialosi, mentre scene e costumi portano la firma di Clara Surro

“Mettere in scena oggi “Medea” di Jean Anouilh significa non solo rendere omaggio ad uno dei più grandi autori del teatro francese del Novecento, ma anche e soprattutto riscoprire un testo straordinario da ogni punto di vista, un testo in cui regna un personaggio come quello di Medea dalla enorme forza tragica, nella sua solitudine straziante, nella sua sensualità dolorosa, nel suo essere votata ad un amore che non conosce limiti, nella sua disperazione, nel suo essere travolta da un sentimento incontrollabile e nella sua rivolta alle regole” spiega Branchetti. A giudizio del regista, la “Medea” di Anouilh ha una struttura drammaturgica molto forte e caratteristiche specifiche ed originali che la rendono unica. “In pochi testi come in questo ho trovato la perfezione della drammaturgia unirsi alla costruzione di personaggi teatrali dalla potenza tragica strepitosa e ad un’indagine psicologica straordinaria. Anouilh, mirabilmente, rende sentimenti e rapporti sempre più assoluti e universali, nella loro più scoperta quanto complessa umanità. La tragedia e la vicenda umana ed esistenziale di Medea assumono nel testo significati appunto universali e di straordinaria attualità” sostiene Branchetti.

La regia e lo spettacolo ricostruiranno scenicamente, visivamente, musicalmente, il mondo della protagonista e dei suoi sentimenti “straordinari”, “estranei”, da “emarginata”, la sua anima straziata e dolente, capace di piegarsi al dubbio, alla debolezza, addirittura alla tenerezza più struggente, che parlerà della condizione universale della donna, pur se indagata in un esempio estremo ed eccezionale. “In scena  Medea dolorosamente emarginata vive, insieme alla Nutrice, una condizione di disperata solitudine e, ancora di più, la sua condizione di estraneità dovuta al suo essere “barbara” e “diversa”  in una  lotta feroce per la sua dignità di donna e per un amore che non conosce limiti. Quando la sua dignità di donna  le verrà negata, la  vendetta sarà terribile e inaudita con  l’uccisione dei figli. Medea  sarà  emblema dell’amore e insieme della morte e la tragedia vivrà tutta in lei e nella sua sfaccettata e travolgente personalità” racconta il regista. Accanto a Medea vi sarà, in una sorta di controcanto, la Nutrice, personaggio di straordinaria importanza; e poi Giasone, mirabilmente disegnato da Anouilh  nei suoi accenti e aspetti più “umani”, un Giasone  stanco degli eccessi e del peso di una passione ormai per lui  troppo grande. Creonte sarà, infine, l’incarnazione di un potere fatto di regole che niente e nessuno può mettere in discussione, pena la rottura di equilibri troppo importanti e la dissoluzione di tutto un mondo.

“La regia e lo spettacolo hanno l’intento e l’obbiettivo di restituire al testo la straordinaria capacità, attraverso la voce di Medea e degli altri personaggi, di parlare, di evocare, di “far apparire” un mondo di passioni estreme, di paure, di incubi, di umane debolezze, di solitudine, di lotta disperata per la propria dignità, di forze oscure, misteriose, magiche ed arcane, di pulsioni innominabili, di violenza, in cui tutti noi finiremo per trovare,  il nostro presente più dilaniato” conclude Branchetti.

DOVE, COME E A QUANTO
Teatro San Babila di Milano-26 febbraio 2 marzo
martedì – giovedì – venerdì – sabato ore 20.30-mercoledì – domenica ore 15.30
Biglietti da 17 euro




Alessandro Manzoni, visite gratuite per scoprire l’uomo e l’artista

A partire da fine febbraio, sarà prenotare visite guidate gratuite di due ore che si svolgeranno tra le Gallerie di Piazza Scala e la Casa del Manzoni, per approfondire la vita di Alessandro Manzoni attraverso le opere d’arte, i luoghi cari allo scrittore e la lettura dei suoi scritti.

La ristrutturazione della storica dimora di Alessandro Manzoni s’inserisce in un progetto di ampio respiro che, nel corso degli ultimi anni, ha reso l’area compresa tra Piazza Scala, via Manzoni e via Morone il centro nevralgico della cultura, dell’arte e dell’innovazione milanese.

CALENDARIO APPUNTAMENTI:

• Appuntamento con Manzoni, passeggiando tra Piazza Scala e via Morone. Una visita guidata alle opere esposte alle Gallerie accompagnate da brevi stralci tratti dagli scritti manzoniani per concludere la visita alla Casa del Manzoni attraversando il giardino, per scoprire anche gli aspetti più intimi del grande scrittore. La visita è gratuita, su prenotazione fino ad esaurimento posti chiamando il numero verde 800.167619 (max 20 partecipanti). Partenza dalla biglietteria delle Gallerie alle 15.30 nei giorni 23 – 24 – 25 febbraio e 1 – 2 – 3 – 8 – 9 – 10 – 15 – 16 – 17 – 22 – 23 – 24 marzo

• Quadri di versi. Letture manzoniane. Quattro appuntamenti per scoprire aneddoti manzoniani attraverso una selezione di quadri esposti alle Gallerie a cui segue un momento dedicato alla lettura di opere dello scrittore nel luogo più intimo e raccolto: la sua dimora di recente restaurata e restituita alla cittadinanza. E’ l’occasione per coniugare la bellezza dell’arte declinata fra colore, parole e per attraversare il giardino segreto nascosto ai più. La visita è gratuita, su prenotazione fino ad esaurimento posti chiamando il numero verde 800.167619 (max 20 partecipanti). Partenza dalla biglietteria delle Gallerie d’Italia alle 15.30 nei giorni 26 febbraio, 4 – 11 marzo. Partenza da Casa del Manzoni alle 15.30 il 18 marzo.

Le letture abbinate all’opera saranno così calendarizzate:

26 febbraio: Opere giovanili precedute dalla visita ai gessi del Canova su Socrate (tematica della rettitudine morale)

4 marzo: Inni Sacri preceduti dalla visita al Gregge di Carcano (tema sacro)

11 marzo: Tragedie con riferimenti ai testi politici preceduti dalla visita all’opera i due Foscari di Hayez

18 marzo: Romanzo preceduto dalla visita all’opera La filanda nel bergamasco di Ronzoni.

 

 




Luca Ronconi in mostra al nuovo spazio espositivo del Piccolo

Al via RovelloDue – Piccolo Spazio Politecnico che nasce dall’incontro tra Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa e Politecnico, legati da una sintonia che nasce un po’ dalla natura stessa di Milano come città poli-tecnica, nello spirito di Gadda e Vittorini.  Aperto tutti i giorni con ingresso libero, RovelloDue – Piccolo Spazio Politecnico  è uno spazio multimediale per il teatro che ospita mostre temporanee interattive.

La prima iniziativa – dal 20 febbraio al 17 marzo – è un omaggio a Luca Ronconi. “Non nego il sogno che inseguo da una vita: tra gli anfratti dello spazio, gli interstizi del tempo, presentare uno spettacolo infinito”. In queste parole di luca Ronconi risiede il senso del percorso: a partire dalle tre parole chiave Spazio, Tempo, Parola, è data la possibilità di una esplorazione attiva del lavoro di Luca Ronconi al Piccolo.

I diversi contributi multimediali  ricreano suggestioni e atmosfere del percorso creativo ronconiano. È un modo per rispettare il suo “sogno” di infiniti percorsi che ciascuno spettatore ricompone nella propria memoria. L’esperienza è arricchita anche da immagini di tutti gli spettacoli che dal 2000 al 2015 raccontano l’esperienza di Luca Ronconi al Piccolo, mentre a fotografie in bianco e nero è affidata la testimonianza del suo lavoro con gli allievi della Scuola di Teatro oggi a lui dedicata.

Nel teatro per come lo intendeva Luca Ronconi, ossia forma privilegiata di esplorazione del reale, sta il senso dell’eccezionalità di Infinities, lo spettacolo che il Piccolo realizzò, con l’apporto del Politecnico di Milano,  suggerendo come “infinite” siano le possibilità del rappresentabile. Contributi video mostrano Luca Ronconi alle prove, negli ex laboratori della Scala alla Bovisa, circondato dagli attori, accanto a studenti e ricercatori del Politecnico, che diceva di aver scelto come note viventi a piè di pagina, perché in un discorso scientifico non ci si può “calare”: o lo si conosce o non lo si conosce e con i quali condivise un dettato che è alla base di qualunque ricerca, estetica quanto scientifica: il bello non è applicare un metodo, è sperimentare e scoprire.

 




“Il principe abusivo a teatro” è in arrivo al Teatro Sistina

Il  2 marzo arriva al Sistina di Roma “Il principe abusivo a teatro”, lo spettacolo con Alessandro Siani e Christian De Sica. Il principe abusivo a teatro” è l’adattamento teatrale dell’omonimo film, che ha segnato il debutto da regista dell’attore Alessandro Siani, con tantissime novità e soprese e una sola grande sicurezza: il ritorno di Christian De Sica, nell’amatissimo ruolo del ciambellano di corte.

Lo spettacolo, “Il principe abusivo a teatro”,  scritto e diretto da Alessandro Siani, che interpreta il ruolo del “povero” Antonio De Biase, vede sulla scena oltre a Christian de Sica, anche Elena Cucci nel ruolo della principessa, Luis Molteni in quello del Re, Stefania De Francesco nei panni della verace cugina di Antonio, Jessica Quagliarulo e ancora Ciro Salatino nel ruolo del principino Gherez, e Antonio Fiorillo e Raffaele Musella, nei ruoli rispettivamente di Sasone e Lelluccio, gli inseparabili amici di Antonio.

Le musiche sono affidate al maestro Umberto Scipione, scenografia Roberto Crea, coreografie Marcello Sacchetta, costumi Eleonora Rella. Collaborazione ai testi musicali di Vincenzo Incenzo.

DOVE, COME E A QUANTO

Teatro Sistina, Roma
dal 2 marzo Martedì-Sabato ore 21,00 – Domenica ore 17,00 Mercoledì 9 marzo ore 17,00
Biglietti a partire da 34 euro




“Mi piaci perché sei così”: in scena Vanessa Incontrada

“Mi piaci perché sei così” debutta il prossimo 3 marzo al Teatro Manzoni di Milano. La nuova commedia di Gabriele Pignotta si propone come una divertente riflessione sui rapporti di coppia 2.0. In scena, oltre allo stesso Pignotta, anche Vanessa Incontrada, Avaro e Siddhartha Prestinari.

In “Mi piaci perché sei così”, Marco e Monica (Gabriele Pignotta e Vanessa Incontrada) sono innamorati e sposati da  qualche anno. Come accade spesso in tante storie d’amore, la passione iniziale cede il passo ai primi screzi e  alla noia. Quando la loro storia d’amore  sembra essere ormai giunta al capolinea, decidono di tentare in extremis una terapia di coppia sperimentale che metterà i due protagonisti in condizione di vedere il mondo con gli occhi del partner. Tre mesi nei panni dell’altro! Al loro fianco un’altra coppia, Stefano e Francesca (Fabio Avaro e Siddhartha Prestinari), i vicini di casa,  che invece rappresentano la classica coppia di facciata nella quale i due partner sembrano felici agli occhi degli altri, ma  in realtà si detestano profondamente e non hanno il coraggio di dirselo….La vita di queste due coppie si intreccerà inevitabilmente dando vita a situazioni bizzarre, sorprendenti e soprattutto, in alcuni casi, esplosive.

“Mi piaci perché sei così”  DOVE, COME E A QUANTO

Teatro Manzoni -Milano dal 3 al 20 marzo
Orari: Feriali  ore 20.45 –  Domenica ore 15.30
Biglietti a partire da 23 euro

 




La cromoterapia secondo Vesna Pavan

di Adriana Fenzi La cromoterapia è una “medicina alternativa” volta al trattamento dei disturbi di varia entità. Secondo i praticanti della cromoterapia i colori sono in grado di influenzare le funzioni dell’organismo, agendo a livello immunitario, metabolico e nervoso.

Vesna Pavan, l’artista che dipinge le donne, ha studiato a fondo la cromoterapia e il lavoro sui chakra e ha deciso di produrre le sue opere considerando anche la funzione terapeutica dei colori. Il “Cromatismo Pavaniano” è un lavoro sui colori puri e sul gioco tonale dei contrasti che crea vibrazioni positive. Non è solo la scelta dei colori, ma anche l’affiancamento degli stessi che deve generare sensazioni psico-fisiche nell’osservatore. Il colore viene percepito dall’occhio di chi guarda, ma anche l’ambiente può modificare la percezione del colore. Utilizzando colori puri Vesna riduce al minimo questo rischio.

Il giallo e l’arancione ad esempio suscitano vitalità, il giallo e l’azzurro provocano serenità, il bianco dona equilibrio e relax mentale, il marrone comunica calore, il verde aiuta la concentrazione, il rosso genera una senso di leggerezza e distrazione e il magenta regala entusiasmo.

I colori  dialogano con le frequenze del nostro corpo, ad  esempio il blu genera frequenze che si collocano tra i 430/490 nanometri, di conseguenza ha effetti benefici sulla mente, aiuta la concentrazione e l’introspezione, infonde un’alta qualità di energia favorendo la comunicazione. Il viola invece, essendo un colore con una doppia personalità, deve essere armonizzato con colori d’affiancamento come il verde e il giallo, che riportano la frequenza e la forza di questo colore a livelli ottimali per una lunga serenità.

Quando l’artista lavora ai suoi monocromi pensa sempre a dove potrebbero essere collocati e a che cosa dovrebbero comunicare. Il lavoro diviene più complesso nelle opere pluricromatiche, dove bisogna tenere sempre presente la quantità di energia che deve irradiare un opera, in modo da non creare disturbi sul lungo periodo. Immaginare un’opera già inserita nel suo contesto oggi è più difficile, in quanto  non c’è più un vero e proprio confine tra ambiente domestico e lavorativo; quindi è fondamentale introdurre negli spazi, dove si vive o si lavora, opere dai colori nutrienti e disintossicanti per la mente, lo spirito e il corpo, in base all’attività che si andrà a svolgere in quell’ambiente ed alle ore di permanenza  in esso.

Secondo la Pavan “Il colore è una medicina e lavora in risonanza con il nostro campo elettrico, avvolgendoci in un moto perenne di cessione ed assorbimento neuro-psicofisico”.