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Aperitivo in giallo nel pavese

Metti una sera di autunno, seduto comodamente su un divano o una poltrona, un buon bicchiere di vino in mano, il camino che scoppietta e riscalda e Autori pavesi di gialli che che raccontano i loro lavori…

Ecco a voi la Rassegna Giallo Pavese-Aperitivo in collina con gli Autori, ideata e moderata da Marina Crescenti e Annalisa Gimmi, con il Patrocinio Gratuito del Comune di Redavalle e del Comune di Pietra de’ Giorgi. Si tratta di un ciclo di 6 tavole rotonde, in cui saranno presentate le opere di Autori pavesi, allo scopo di valorizzare una realtà oggi compenetrata nel tessuto culturale del territorio, quella del genere Giallo e Noir.

Gli incontri si terranno tra ottobre 2022 e maggio 2023, presso il prestigioso Centro Enoculturale Tenuta Calcababbio, Strada Comunale Calcababbio 1, Pietra De’ Giorgi (PV). Gli Autori, le moderatrici e il pubblico saranno seduti intorno a un grande tavolo; altri spettatori potranno accomodarsi sui divani e sulle poltrone intorno, mentre il camino di cui dispone la sala sarà sempre acceso. Il pubblico potrà interagire con gli Autori anche nel corso del dialogo con le moderatrici. Durante l’incontro, si brinderà con i vini della Tenuta Calcababbio, accompagnati da stuzzichini della casa. Al termine, ci si sposterà nella sala attigua per gustare un risotto con verdure di stagione, accompagnato sempre con dell’ottimo vino e altre sfiziosità. Per il pubblico, la quota singola di partecipazione sarà di 10.

A ciascuna tavola rotonda parteciperanno più Autori, che esporranno prospettive personali su un genere letterario molto amato dal pubblico. L’ambientazione pavese e/o la “pavesità” degli scrittori sono un aspetto imprescindibile della vita culturale cittadina. La presenza di più Autori a evento ha il precipuo scopo di giungere a scambi culturali stimolanti e di offrire a ciascun Autore la possibilità di confrontarsi con i diversi approcci dei colleghi verso il genere giallo.

I singoli eventi – organizzati in modo da cogliere le atmosfere delle stagioni più affascinanti e suggestive nelle colline dell’Oltrepo e quelle più romantiche del Natale nella Tenuta Calcababbio – si terranno nelle seguenti date, abbinate ai seguenti gruppi di Autori:

sabato 1º ottobre 2022 ore 17,30

Ilaria Fulle, Roberto Monti

sabato 15 ottobre 2022 ore 17,30

Massimo Marcotullio, Paolo Rovati

sabato 3 dicembre 2022 ore 12,30

Katia Ferri Melzi d’Eril, Marina Crescenti, Flavio Santi

sabato 15 aprile 2023 ore 17,30

Paolo Gaetani, Annalisa Gimmi, Furio Sollazzi

sabato 6 maggio 2023 ore 17,30

Claudia Celè, Francesco Mastrandrea & Mauro Sangiorgi

sabato 20 maggio ore 17,30

Massimo Bocchiola, Vittorio Renuzzi




Torna YogaFestival a Milano

di Cristina T. Chiochia
 
Lo Yoga torna, dopo varie parentesi in remoto, finalmente in  presenza e sul tema accattivante dell’ascolto e della pace. E l’arrivo del diciassettesimo YogaFestival milanese al superstudio più dal 30 al 2 ottobre 2022 , lo dimostra. Un evento che si è sempre palesato per i suoi grandi numeri: ben oltre le 13.000 partecipanti nelle scorse edizioni in presenza).
Torna lo yoga con i maestri più accreditati a livello internazionale in ben oltre 50 freeclass aperte davvero a tutti con ben 44 eventi per chi è all’inizio della pratica o semplice curioso fino ad arrivare al vero esperto. Inoltre stands e special guest  tra cui Sara Bigatti.
Come recita il comunicato stampa: “Nella sua 17° edizione, l’appuntamento annuale più atteso da tutti gli yogi e gli appassionati, italiani e non solo, propone come nuovo tema conduttore la capacità di essere IN ASCOLTO, di noi stessi e degli altri, imperativo per accogliere e vivere la vita con gioiosa consapevolezza.

Le 3 giornate proposte da YogaFestival Milano saranno un’occasione unica per ascoltare e vivere quello che i migliori insegnanti e maestri hanno da trasmettere per rasserenare la mente e donarci una visione più ampia della vita, indicando, appunto, come restare IN ASCOLTO La pratica dello Yoga (e la sua esplosione particolare in questi ultimi 2 anni e mezzo così difficili lo dimostra ulteriormente) può significativamente liberarci verso una pace e un equilibrio interiori che mai come nei nostri tempi diventano preziosi: divulgare questi benefici fa parte ormai da quasi 20 anni della mission di YogaFestival. Concludendo insomma, proprio perché lo yoga insegna a modificare attraverso la percezione del corpo e la respirazione  ciò che non può essere modificato o a stimolare e cambiare ciò che invece può esserlo, grazie  a un grande evento, come quello milanese, sarà possibile farne esperienza.




Tiziano ed il suo colore al cinema

di Cristina T. Chiochia

Tiziano ed il suo colore diventano un film per il cinema per tre giorni con TIZIANO. L’IMPERO DEL COLORE,  il 3, 4, 5 ottobre, al cinema.
Il film, diretto da Laura Chiossone e Giulio Boato e stato scritto da Lucia Toso e Marco Panichella con la supervisione di Donato Dallavalle, per una produzione Sky, Kublai Film, Zetagroup, Gebrueder Beetz e Arte ZDF.
Lo sfondo non poteva essere dei più attuali.
Dall’inizio alla fine. La  scelta di mettere in rilievo il destino, la peste e renderlo attuale con degli sfondi della sua Venezia inediti, ripresi durante il lockdown. Dopo il pubblico delle grandi mostre ed i tanti libri pubblicati su Tiziano recentemente, Tiziano si offre al pubblico del grande schermo attraverso degli esperti e personaggi della recente storia imprenditoriale italiana, al fine di comprenderne meglio i contorni, lo stile e la vita.
Uno degli aspetti interessanti del film, è presentarlo attraverso il suo rapporto con ciò che ama e chi ama.
In una sorta di percorso emozionale e, come sfondo , la sua Venezia che, come recita il comunicato stampa “[…]per tutta la sua esistenza, rimarrà la base operativa da cui spostarsi per conquistare e creare un “impero del colore”, una fucina creativa eccezionale capace di accogliere viaggiatori e influenze provenienti da tutto il mondo. Ce lo raccontano nel film Amina Gaia Abdelouahab, curatrice indipendente e storica dell’arte, co-founder e vicepresidente di Progetto A, Bernard Aikema, Professore di Storia dell’arte moderna all’Università di Verona, Brunello Cucinelli, stilista e imprenditore, finanziatore del Foro delle Arti, Francesca Del Torre, assistente scientifica all’Istituto di storia dell’arte della Fondazione Cini e curatrice per la pittura italiana del Rinascimento al Kunsthistorisches Museum di Vienna, Miguel Falomir Faus, Direttore del Museo Nacional del Prado a Madrid, studioso di pittura italiana del Rinascimento e del Barocco, Sylvia Ferino-Pagden, curatrice di mostre, in precedenza Curatrice della Pittura rinascimentale italiana e Direttrice della Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum di Vienna, Jeff Koons, uno degli artisti più influenti e seguiti al mondo, Patrizia Piscitello, storica dell’arte, curatrice, responsabile Ufficio mostre e prestiti e Curatrice collezioni del Cinquecento del Museo e Real Bosco di Capodimonte, Tiziana Plebani, storica, cultrice di Storia moderna all’Università Ca’ Foscari di Venezia, in precedenza responsabile del Dipartimento Storia e Didattica della Biblioteca Nazionale Marciana, Giorgio Tagliaferro, Professore Associato in Arte Rinascimentale all’Università di Warwick con un Ph.D. in Storia dell’arte all’Università Ca’ Foscari di Venezia”.
Tiziano oltre Tiziano.
Le sue origini e la ricomposizione attraverso la rilettura “attualizzata” dei suoi capolavori e le interviste esclusive di una storia davvero da conoscere e raccontare, tra l’artista, l’amante e l’imprenditore.
Uomo ambizioso, Tiziano, che con una solida forza di volontà costruì con cariche pubbliche (la possibilità imperiale di nominare notai per esempio o di avere una rendita dalla Repubblica di Venezia per il suo lavoro) e talento personale (i suoi capolavori ed il suo modo di definire il colore cambiarono la storia dell’arte europea) una carriera da vero “influencer” contemporaneo.
Superando con il suo colore, lo splendore che fino ad allora si era visto nel tratteggiare ritratti con la sua affinata sensibilità di riconoscere il bello: di un abito, di un sorriso, di uno sguardo o di un atteggiamento. Basti pensare al mondo racchiuso nella sua pennellata nel rendere pellicce o rigidi ricami o gli ornamenti dorati a sbalzo: colori vivi e lucidi, contemporanei a chi li vedeva e che giungono a noi in una sorta di avvolgente viaggio nel tempo sul corpo umano che si fa creatura in particolare quello femminile. Da vedere.



Gli ottanta ritratti di alcuni dei più noti e acclamati chef in un libro

di Cristina T. Chiochia

Volti iconici che il libro di Skira Editore racchiude in ritratti ad acquarello di Severino Salvini con una introduzione al libro di Paolo Bianchi (suoi anche i commenti).

Un volume dal titolo evocativo di  CHEF PORTRAITS Ritratti ad acquerello  che, come recita il comunicato stampa è “una raccolta di ottanta ritratti ad acquerello di alcuni dei più noti e acclamati chef, che rappresentano la grandezza e l’eccellenza della ristorazione italiana.

Da Massimo Bottura, Antonino Cannavacciuolo e Carlo Cracco a Ernst Knam, Heinz Beck e Davide Oldani, Giorgio Locatelli e Gennaro Esposito, Enrico e Roberto Cerea, Annie Feolde, Claudio Sadler, solo per citare i più noti”. Molto più di una semplice galleria di immagini ad acquerello. E’ un modo per mettere in evidenza una grande passione. Ovvero quello dello “stare a tavola” per godersene insieme a pennelli e colori, Chef in carne ed ossa che cucinano, sorridono, muovono le mani e gli utensili, per rappresentare il potenziale della loro arte, in modo inedito. Gusti ed aspettative sul cibo che vengono soddisfatte dal palato degli intenditori dell’arte.

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Il libro, lo dice molto bene: “[…] non li abbiamo decisi sfogliando le guide, perché così avremmo in fondo lasciato che fossero altri a sceglierli al nostro posto, e nemmeno ci siamo limitati a dare credito ai nostri gusti. Davanti a impegni come questi, bisogna essere in grado di allontanarsi un minimo dal proprio palato e dal proprio cuore ed evitare così l’effetto scuola elementare, quando le maestre erano brave solo quando ci davano un buon voto. E anche se il numero totale va ben oltre le dita delle nostre mani, siamo davvero molto ma molto lontani dall’olimpo tricolore. Succede perché mi viene difficile pensare a un altro Paese con una varietà di cucine e di interpreti paragonabile alla nostra”.

L’Italia. Ma anche il resto del mondo nel piatto. Eccellenze a “doppio taglio” che vengono in questo modo segnalati, appezzati e messi in risalto. Perché il mondo ama i cuochi. Ed ama mangiare. Ed è bello qualche volta, segnalarlo con un sorriso.




A passeggio per la Pigna di Sanremo

di Emanuele Domenico Vicini

I giorni ferragostani – si sa – sono dedicati al riposo, allo svago in spiaggia, ai bagni di sole e di mare e alle feste con gli amici.

Ma se vi trovate in Liguria, nellestremo ponente, terra di vacanza per eccellenza per lombardi, piemontesi e molti stranieri, tra un bagno a mare e un aperitivo in spiaggia, potete dedicare un tardo pomeriggio a visitare la Pigna di Sanremo, la parte antica della città, nata molto prima del mitoBelle Époque della Sanremo tardo Ottocento e primo Novecento.

La Pigna è un insieme architettonico straordinario, sorto in forma di rocca sulla collina retrostante la costa. Composto di edifici alti, carruggi stretti, archi di collegamento, vie coperte da ardite volte a crociera, improvvisi slarghi dominati da chiese di sapida eleganza.

La si raggiunge partendo dalla porta di Santo Stefano (trecentesca) o dalla piazza di San Siro (la cattedrale della città, fronteggiata da un delizioso oratorio barocco) e la si percorre muovendosi per vie piccole, poco illuminate dal sole e per lo più concentriche.

Salendo, si raggiungono i giardini Regina Elena dai quali si gode di una vista di mare strepitosa e, proseguendo verso linterno, si arriva rapidamente alla Madonna della Costa, santuario di fondazione quattrocentesca, ora in foggia seicentesca, luogo di preghiera e devozione della cittadinanza sanremese.

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Questo labirinto racconta una storia ben lontana dalleleganza luccicante della Riviera. Qui Sanremo non sembra città di mare, dove la linea di costa ci fa sempre capire la direzione dei nostri passi. Al contrario, i giri stretti, i muri alti, gli archi, le volte contribuiscono allo smarrimento del viandante e del turista. I repentini passaggi dalla luce al buio, dai giardini fioriti ai palazzi ben fortificati, il silenzio delle strade pedonali ci raccontano di una città che non esibisce la propria ricchezza, anzi, la cela, per offrirla solo a selezionati visitatori, quelli che hanno lardire di lascare i comodi e ampi viali del centro per inerpicarsi qui.

Non serve ricordare che Palazzo Manara, in Via Palma, ha ospitato Paolo III Farnese nel 1538 o che la Madonna della Costa è impreziosita da opere di Bartolomeo Guidobono (1654 – 1709) o di Giulio Cesare Procaccini (1574 – 1625).

Larte qui nascosta e custodita è il segno di quellantica nobiltà culturale e artistica, spesso dimenticata, che fa di Sanremo una vera perla della Riviera.




Antonella Ruggiero e l’Orchestra Sinfonica di Sanremo

di Emanuele Domenico Vicini 

Antonella Ruggiero è una delle più grandi interpreti italiane e memoria storica del Festival di Sanremo: le sue partecipazioni alla kermesse nazionale, con i Matia Bazar prima e poi come solista, hanno sempre regalato performances di rara eleganza, mai scontate, lontane dalle mode passeggere e ancorate a un bisogno di ricerca e di sperimentazione che non è di tutti.

Il concerto che ha offerto il 12 agosto 2022 all’Auditorium Franco Alfano di Sanremo ha dimostrato la bontà di quel percorso. I pezzi proposti, dai più popolari (Vacanze Romane, Ti sento), ai primi successi dei Matia Bazar (Cavallo Bianco) alle esperienze post Matia Bazar (Echi di infinito) si sono animati di vita nuova e hanno retto come pochi altri lo scorrere degli anni.

La Ruggiero mette la sua tecnica perfetta al servizio di uno stile interpretativo poliedrico e vario, plasmato in modo diverso su ogni singolo brano.

Gli arrangiamenti riescono a trasformare le linee melodiche al bisogno in arie belcantistiche con evidenti echi operistici, o in pezzi symphonic rock dal sapore cinematografico (strepitoso quello di Ti sento), o in esercizi di stile ritmico tutt’altro che scontati (Vacanze Romane). Ma non mancano le incursioni nel sound etnico (il Kyrie della Missa Luba o Guantanamera) e i recuperi filologici (fra gli altri, un’indimenticabile Parlami d’amore Mariù).

Un concerto così composto non prende corpo senza un’orchestra che sa trasformare l’idea in forma e suono.

La Sinfonica di Sanremo, diretta dal maestro Giancarlo De Lorenzo ha dato il suo meglio. Ritmica, timbri, coloritura: tutto ha contribuito a creare un effetto di grande impatto, eclettico e perfettamente aderente alla multiforme varietà dei brani proposti.

Sul sito https://www.antonellaruggiero.com/concerti/ le date dei prossimi concerti della Ruggiero.

All’indirizzo https://www.sinfonicasanremo2.it/prenotazioni/negozio/abbonamento-11-concerti- auditorium-alfano/ le date dei prossimi appuntamenti estivi della Sinfonica di Sanremo.

Da non dimenticare infine la bellissima location ritrovata dell’auditorium Franco Alfano. Piccolo gioiello alla greca, costruito negli anni Cinquanta all’interno del Parco Marsaglia (metà imperdibile per gli amanti della natura esotica in città, segno concreto della salubrità del clima sanremese e delle inattese meraviglie che ancora la città può offrire), l’auditorium ha funzionato fino agli anni Novanta per poi chiudere per vent’anni in attesa di un recupero, finalmente compiuto. Da un anno la città ha di nuovo uno spazio pubblico per ascoltare la propria orchestra.




Il Santuario della Madonna della Costa a Sanremo

di Emanuele Domenico Vicini

Inerpicarsi per la Pigna di Sanremo in una mattina di agosto può sembrare impresa ardua: il caldo sulla costa tende a stroncare qualsiasi intenzione diversa da un rinfrescante bagno di mare.

Se però vincete il caldo e da Via Palazzo prendete verso le Rivolte di San Sebastiano, superata Piazza Cassini, vi trovate di fronte al dedalo di salite che, curva dopo curva, vi porta ai prima ai Giardini della Regina Elena e, subito dopo, al Santuario della Madonna della Costa.

Raggiunta la cima, alla vostra sinistra vedete l’Opera Don Orione e alla vostra destra la vallata dietro Porto Sole. Davanti a voi si apre la piazza che porta all’ingresso del Santuario.

Dopo i ripidi e buoi passaggi della Pigna, il sole vi invade gli occhi e la perfetta geometria della chiesa, meravigliosa quinta scenografica al termine della piazza in saluta, vi dona un senso di luminosa serenità e di quiete, al termine del cammino.

La basilica è citata per la prima volta nel 1474, ricordata come luogo nel quale i sanremesi festeggiavano la liberazione della tirannia dei Doria (risalente la secolo precedente).

L’attuale edificio venne eretto nel 1630, ma la cupola e la facciata furono completate più di cento anni dopo, ad opera dell’architetto Domenico Belmonte di Gazzelli.

Il santuario si sviluppa in pianta longitudinale, a croce latina, composto di una navata e un ampio transetto con altari devozionali.

La foggia esterna (dopo gli interventi del Belmonte) e l’organizzazione dello spazio e delle decorazioni all’interno denunciano l’acquisizione ormai compiuta del linguaggio barocco centro italiano.

La facciata si sviluppa in altezza, con andamento rettilineo completata, nel registro superiore, da un fastigio ampiamente decorato che ricorda il rango di Santuario e, nell’arco di chiusura, da un altro fastigio, di minor enfasi, che cita la dedicazione all’Assunzione di Maria.

Con una soluzione sintetica molto efficace, il tema tipicamente romano dei campanili di inquadramento viene riproposto “riassorbendo” però le forme dei due corpi verticali nel piano stesso della facciata. Due coppie di paraste lisce muovono le parti estreme della muratura, concludendo il loro percorso nei torricini campanari, che, insieme con il fastigio di coronamento e la sagoma della cupola retrostante, dinamizzano la struttura e bilanciano la solennità dell’insieme.


Nella luce chiarissima della prima collina, il Santuario si erge, solenne ed elegante, nei colori pastello dell’ocra dell’azzurro che si stagliano contro il cielo e il verde della vegetazione.

L’interno offre una riposante penombra di raccoglimento. Esso si configura come spazio di preghiera, con stalli in foggia di coro che percorrono tutta la navata, segno, probabilmente, della presenza di confraternite che qui svolgevano le proprie funzioni.

Le immagini si alternano in forma di scultura e di tele dipinte.

Meritano citazione la Decollazione del Battista di Giulio Cesare Procaccini, e la Visita a Santa Elisabetta del ligure Bartolomeo Guidobono.


Pur essendo molto difficile ricostruire le vicende di committenza (nel caso del Procaccini, in particolare si potrebbe ipotizzare che la tela si stata realizzata per l’edificio prima della riforma barocca), l’insieme ha una sua omogeneità molto evidente: le opere accentuano il carattere devozionale di tutto il santuario e, pur differenti nelle soluzioni stilistiche, sono accomuniate dallo stesso senso di sobrietà e rigore tipici di una precisa linea di pensiero sull’arte della controriforma nel Nord della penisola.
Completa la decorazione il catino absidale, con l’Assunzione di Maria, ad opera di Giacomo Antonio Boni, bolognese, ma attivo a Genova fino alla metà del Settecento.

Memore in parte dei trionfi prospettico illusionistici della grande tradizione Correggesca, la decorazione di Boni, composta di affresco e stucchi, ben ordinata nella sua sintassi compositiva, racconta l’evoluzione e – in parte – la semplificazione delle tendenze stilistiche e del gusto a metà Settecento.
Ancora legato al gusto romano è l’uso di colonne tortili nell’abside, per scandire gli spazi decorati dell’altare maggiore e delle due nicchie ai suoi lati.
Con le colonne in rilievo rispetto alla muratura di fondo, si genera così un sistema plastico architettonico vibrante e dinamico, memore delle esperienze barocche lombarde.




I profumi che hanno fatto la storia: Eau d’Hermès

di Claudia Marchini

Nella puntata dedicata agli anni ’20 abbiamo parlato della ventata di energia, di ottimismo, della voglia di felicità e allegria che si percepiva dopo gli anni bui della guerra. E così furono gli anni’ 50: più che mai si sente la voglia di cambiamento, anche favorito dal benessere della ricostruzione. Con la liberazione, gli americani portano in Europa il chewing gum e i blue jeans, il rock ‘n’ roll e le t-shirt. 

Le donne, costrette durante la guerra a lavorare nelle fabbriche belliche, scoprono l’indipendenza economica. 

Nasce il prêt-à-porter, e anche le fragranze diventano più accessibili, e più leggere e vivaci. 

In questi anni, nascono anche le eau de toilette maschili con lavanda e vetiver che sottolineano una eleganza discreta, anche se il profumo maschile resta ancora legato al rito della rasatura.

È del 1951 l’uscita di Eau d’Hermès, che il celeberrimo naso Jean-Claude Ellena ha definito come una vera e propria opera d’arte olfattiva. L’Eau d’Hermès è un’acqua aromatica, costruita interamente attorno ai sentori di cuoio. Più di tutte le altre fragranze, questa celebra il savoir faire artigianale di Hermès nella lavorazione della pelle, ed è forse una delle prime fragranze che possiamo definire unisex. 

Quella di Hermès è una storia tutt’altro che convenzionale. Infatti, non è sempre stata una maison di moda come la conosciamo oggi: in origine, e per molti anni dopo la sua fondazione, l’azienda non aveva nulla a che fare con il lusso e realizzava equipaggiamento da equitazione.

Thierry Hermès inizia la sua carriera da un piccolo artigiano a Pont-Audemer, in Normandia. Nel 1837 si trasferisce a Parigi per avviare la propria azienda specializzata nella produzione di bardature, selle e altre attrezzature per l’equitazione.

Nella seconda metà del XIX secolo l’azienda viene rilevata da Emile-Maurice Hermès, nipote di Thierry, che amplia il repertorio del marchio e crea il primo prodotto paragonabile a una borsa: un contenitore per portare attrezzature come stivali o selle, così apprezzato dai clienti da essere usato anche come valigia. Sebbene il marchio e la sua produzione oggi siano molto più ricchi rispetto al 1837, Emile-Maurice è ancora considerato il cervello e l’anima della maison poiché si è sempre evoluto in stretta simbiosi con lo sviluppo sociale: ad esempio, quando l’auto ha iniziato a diffondersi tra la popolazione, Hermès ha immediatamente esplorato le nuove possibilità offerte dal bagagliaio.

La sua attività rimane senza logo fino al 1919, quando due nipoti di Thierry introducono il semplice logotipo Hermès Frères (“fratelli Hermès”) composto con un carattere handwrite, scelta coerente agli standard dell’epoca

Il marchio rimane invariato fino agli inizi degli anni ’50, quando viene lanciato l’iconico simbolo della carrozza nobiliare trainata da un cavallo. Il simbolo è direttamente ispirato al dipinto “Le Duc Attele, Groom a L’Attente” (“carrozza agganciata, sposo in attesa”) di Alfred de Dreux. Il 1951 in casa Hermès è infatti un anno rivoluzionario: con la morte di Emile-Maurice si chiude l’era degli Hermès Frères. Per la prima volta in oltre cento anni, l’azienda usciva dalla linea di sangue sotto la direzione del genero di Emile, Robert Dumas. Egli volle subito rimarcare la continuità con l’eredità del passato battezzando il passaggio del testimone con un profumo dedicato a Emile stesso e che rappresentasse l’eleganza Hermès. Edmond Roudnitska, (che abbiamo conosciuto la scorsa puntata con Diorissimo) recepì questo spirito creando un profumo che emanasse classe e tradizione, ma reinventato per guardare al futuro. 

Eau d’Hermès venne inizialmente creata per i clienti di 24, Rue du Faubourg Saint-Honoré e solo successivamente per tutti quanti ne facessero ordinazione alla boutique di Parigi. Veniva presentata in un flacone di cristallo ispirato alle vecchie lanterne da calesse e prodotto delle manifatture Saint Louis ornato da un fiocco di cuoio.

Le sensazioni offerte dalla profumazione sono infinitamente ricche di sfumature. La piramide olfattiva si apre tutta in freschezza, con lavanda, bergamotto, olio essenziale di petit grain, limone e salvia. L’incipit aromatico sfuma su un cuore di spezie: cumino, coriandolo, cannella, cardamomo regalano alla pelle una sensualità coinvolgente. Il fondo della piramide olfattiva si fa caldo, intenso e aromatico. Le note carezzevoli della vaniglia incontrano quelle balsamiche del legno di sandalo e del legno di cedro. La fava tonka apporta alla composizione una cremosa morbidezza. 

Simbolo di raffinatezza estrema, la fragranza è oggi racchiusa nel classico flacone a forma di parallelepipedo, dagli angoli stondati e con il tappo a forma di bombetta.




Marche del Nord: le terre di Francesco di Giorgio Martini

È stato un architetto visionario rinascimentale, Francesco di Giorgio Martini, a ridisegnare le Marche del Nord, l’antico Ducato dei Montefeltro prima e dei della Rovere poi. Un territorio di confine tra Emilia Romagna e Marche, tra la provincia di Rimini e quella di Pesaro -Urbino, circondato da dolci pendii e affacciato sulle lunghe distese di sabbia della Riviera delle Colline.  Tra rocche, castelli, fortezze militari ed eleganti manieri sono in tutto 136 le costruzioni commissionate nel ‘500, prevalentemente dai Montefeltro, all’artista e ingegnere di macchine belliche senese di Giorgio Martini di cui si possono sono ancora custoditi, negli scaffali delle maggiori biblioteche italiane, i trattati. 

E per un’estate slow gli itinerari alla scoperta di questo territorio, su cui l’influenza di Giorgio Martini è ancora oggi visibile, possono essere una valida alternativa alle destinazioni più note della Riviera.

Si tratta di luoghi dove il tempo si è fermato, al di fuori dai grandi flussi turistici e al contempo facilmente raggiungibili (la stazione di Pesaro così come quella di Rimini sono servite dall’alta velocità e da lì non mancano transfer veloci o mezzi pubblici) per immergersi in un itinerario della bellezza tra mare, distese infinite di colline e antichi borghi dove andare a caccia di tartufi, lasciarsi tentare dalle eccellenze locali come il visner, il vino di visciole (ciliegie selvatiche), presidio slow food (prodotto tra l’altro dall’azienda agricola Gentilini) e concedersi i percorsi di degustazione organizzati dalle cantine locali come Villa Ligi di Pergola. Qui, a spasso per i filari o davanti a un bicchiere, si apprendono le origini del vernaccetta, il Pergola Doc, vino che deriva da un clone aleatico di origine antiche e le antiche leggende sul Bianchello del Metauro, un vino che sarebbe stato addirittura la causa della sconfitta di Asdrubale nella battaglia del Metauro del 207 A.C.

A unire le tappe di questo insolito percorso di riscoperta dell’entroterra delle Marche del Nord e delle terre dell’antico Ducato sono le opere del primo archistar a storia: Francesco di Giorgio Martini chiamato da Siena a Urbino dai Montefeltro per rafforzare militarmente il Ducato.

Ed è proprio a Urbino che si possono ammirare i primi interventi di Giorgio Martini, subentrato a Lucino Laurana, nei lavori di Palazzo Ducale.

L’opera del Maestro tra disegni, progetti, singoli interventi e ristrutturazioni di edifici preesistenti si ammira poi nei numerosi borghi medievali, riconosciuti tra i più belli d’Italia intitolati della Bandiera arancione attribuita dal Touring, che costellano le colline circostanti. Dalla Rocca di Monte Cerignone, a quella di Frontone che ricorda nella forma una nave dotata di prua, dal Palazzo Ducale di Mercatello sul Metauro a quello di Urbania fino, sconfinando nella provincia di Ancona, al Palazzo della Signora di Jesi. A una manciata di chilometri da Rimini si trovano poi la Rocca Fregoso a Sant’Agata Feltria, sospesa per tre lati su uno strapiombo, e la Rocca di San Leo abbarbicata su uno sperone roccioso a 639 metri di altezza dove nel XVIII secolo venne richiuso Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro, alchimista, medico e mago.

I simboli alchemici, esoterici e filosofici caratterizzano anche la Rocca Ubaldinesca di Sassocorvaro Auditore posta a guardia della Valle del Foglia e affacciata sul lago artificiale Mercatale. La fortezza, al contempo edificio residenziale e roccaforte (la prima studiata per resistere alla bombarda e alle armi da fuoco), fu costruita nel 1475 per volontà di Ottaviano degli Ubaldini, intellettuale, filosofo e con fama di alchimista, oltreché fratellastro e braccio destro di Federico da Montefeltro di cui quest’ anno si festeggiano i 600 anni dalla nascita. Una visita accompagnata dai volontari, come Silvano Tiberio, memoria storica del borgo che si vanta di custodire le reliquie di San Valentino, mette in luce i diversi simboli nascosti nella Rocca e gli enigmi ancora oggi da risolvere e li inserisce nel contesto storico rinascimentale particolarmente effervescente. Ma Sassocorvaro non è solo esoterismo. La fortezza pare abbia persino ispirato Frank Lloyd Wright nella realizzazione del Guggenheim di New York. Tra le mura di questo “scrigno”, che sembra riproducano la forma di una testuggine (a simbolo dell’eternità, della forza e della durevolezza), hanno trovato alloggio nel corso della Seconda Guerra Mondiale migliaia di capolavori dell’arte italiana, compresa “La tempesta” di Giorgione e “La città ideale” di Piero della Francesca, sopravvivendo così al conflitto bellico (alle razzie e anche alle battaglie come provano le mura della Rocca) grazie all’intuizione del sovrintendente alle Gallerie delle Marche, Pasquale Rotondi.

A Fossombrone, la romana Forumum Sempronii, e a Pergola, rimangono le vestigia di questi antichi manieri che lasciano immaginare la potenza e lo splendore del Ducato. A Cagli invece un torrione ellittico nasconde un sorprendente cunicolo sotterraneo di 360 gradini, il “soccorso coverto”, che collegava la cittadina alla piazza d’arme della fortezza sovrastante sul colle dei Cappuccini smantellata da Guidobaldo, figlio di Federico, nel 1502 pur di non cederla all’invasore, Cesare Borgia.

 Nella vicina Mondavio, infine, il paese si è sviluppato attorno alla Rocca Roveresca costruita tra il 1482 e il 1492 su commissione di Giovanni della Rovere (unitosi in matrimonio con Giovanna, figlia di Federico da Montefeltro) e, non avendo mai subito attacchi, arrivata intatta ai nostri giorni. Nel fossato è stato allestito il parco di macchie da guerra di Francesco di Giorgio Martini con ricostruzioni in dimensioni reali di catapulte, Trabucchi, bombarde e macchine da assedio, mentre attraversando il piazzale ci si imbatte in un incantevole minuscolo teatro settecentesco, il Teatro Apollo, ancora oggi in uso. Più che di battaglie questi luoghi parlano di bellezza e piaceri rinascimentali come quelli che ogni anno, dal 13 al 15 agosto, sono rievocati con la Caccia al Cinghiale in cui si ricostruisce l’arrivo a Moldavio di Giovanni della Rovere per la presa di possesso del Vicariato avuto in dono da Papà Sisto V in occasione dee nozze con Giovanna. Banchetti, giochi, cortei e spettacoli pirotecnici danno vita, ogni anno, alla Rocca Le spiagge di Fano sono a poche decine di chilometri da questa oasi di pace dove rilassarsi, dopo le escursioni della giornata, ammirando il tramonto sulle colline circostanti dalla terrazza dell’Hotel Ristorante Palomba, prima di farsi consigliare il miglior percorso di degustazione della cucina del “Marchignolo” dalla chef Adele Cerisoli. Da non perdere “i tacconi allo sgagg”, pasta a base di farina fave con carciofi e guanciale, fa rivivere la tradizione del Nord delle Marche.

E per un’estate slow gli itinerari alla scoperta di questo territorio, su cui l’influenza di Giorgio Martini è ancora oggi visibile, possono essere una valida alternativa ale destinazioni più note della Riviera.

 Si tratta di luoghi dove il tempo si è fermato, al di fuori dai grandi flussi turistici e al contempo facilmente raggiungibili (la stazione di Pesaro così come quella di Rimini sono servite dall’alta velocità e da lì non mancano transfer veloci o mezzi pubblici) per immergersi in un itinerario della bellezza tra mare, distese infinite di colline e antichi borghi dove andare a caccia di tartufi, lasciarsi tentare dalle eccellenze locali come il visner, il vino di visciole (ciliegie selvatiche), presidio slow food (prodotto tra l’altro dall’azienda agricola Gentilini) e concedersi i percorsi di degustazione organizzati dalle cantine locali come Villa Ligi di Pergola. Qui, a spasso per i filari o davanti a un bicchiere, si apprendono le origini del vernaccetta, il Pergola Doc, vino che deriva da un clone aleatico di origine antiche e le antiche leggende sul Bianchello del Metauro, un vino che sarebbe stato addirittura la causa della sconfitta di Asdrubale nella battaglia del Metauro del 207 a.C..

A unire le tappe di questo insolito percorso di riscoperta dell’entroterra delle Marche del Nord e delle terre dell’antico Ducato sono le opere del primo archistar a storia: Francesco di Giorgio Martini chiamato da Siena a Urbino dai Montefeltro per rafforzare militarmente il Ducato.

Ed è proprio a Urbino che si possono ammirare i primi interventi di Giorgio Martini è subentrato a Lucino Laurana nei lavori di Palazzo Ducale.

L’opera del Maestro tra disegni, progetti, singoli interventi e ristrutturazioni di edifici preesistenti si ammira poi nei numerosi borghi medievali, riconosciuti tra i più belli d’Italia intitolati della Bandiera arancione attribuita dal Touring, che costellano le.colline circostanti. Dalla Rocca di Monte Cerignone, a quella di Frontone che ricorda nella forma una nave dotata di prua, dal Palazzo Ducale di Mercatello sul Metauro a quello di Urbania fino, sconfinando nella provincia di Ancona, al Palazzo della Signora di Jesi. A una manciata di chilometri da Rimini si trovano poi la Rocca Fregoso a Sant’Agata Feltria, sospesa per tre lati su uno strapiombo, e la Rocca di San Leo abbarbicata su uno sperone roccioso a 639 metri di altezza dove nel XVIII secolo venne richiuso Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro, alchimista, medico e mago.

I simboli alchemici, esoterici e filosofici caratterizzano anche la Rocca Ubaldinesca di Sassocorvaro Auditore posta a guardia della Valle del Foglia e affacciata sul lago artificiale Mercatale. La fortezza, al contempo edificio residenziale e roccaforte (la prima studiata per resistere alla bombarda e alle armi da fuoco), fu costruita nel 1475 per volontà di Ottaviano degli Ubaldini, intellettuale, filosofo e con fama di alchimista,  oltreché fratellastro e braccio destro di Federico da Montefeltro di cui quest’ anno si festeggiano i 600 anni dalla nascita. Una visita accompagnata dai volontari, come Silvano Tiberio, memoria storica del borgo che si vanta di custodire le reliquie di San Valentino, mette in luce i diversi simboli nascosti nella Rocca e gli enigmi ancora oggi da risolvere e li inserisce nel contesto storico rinascimentale particolarmente effervescente. Ma Sassocorvaro non è solo esoterismo. La fortezza pare abbia persino ispirato Frank Lloyd Wright nella realizzazione del Guggenheim di New York. Tra le mura di questo “scrigno”, che sembra riproducano la forma di una testuggine (a simbolo dell’eternità, della forza e della durevolezza), hanno trovato alloggio nel corso della Seconda Guerra Mondiale migliaia di capolavori dell’arte italiana, compresa “La tempesta” di Giorgione e “La città ideale” di Piero della Francesca, sopravvivendo così al conflitto bellico (alle razzie e anche alle battaglie come provano le mura della Rocca) grazie all’intuizione del sovrintendente alle Gallerie delle Marche, Pasquale Rotondi.

A Fossombrone, la romana Forumum Sempronii, e a Pergola, rimangono le vestigia di questi antichi manieri che lasciano immaginare la potenza e lo splendore del Ducato. A Cagli invece un torrione ellittico nasconde un sorprendente cunicolo sotterraneo di 360 gradini, il “soccorso coverto”, che collegava la cittadina alla piazza d’arme della fortezza sovrastante sul colle dei Cappuccini smantellata da Guidobaldo, figlio di Federico, nel 1502 pur di non cederla all’invasore, Cesare Borgia.

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 Nella vicina Mondavio, infine, il paese si è sviluppato attorno alla Rocca Roveresca costruita tra il 1482 e il 1492 su commissione di Giovanni della Rovere (unitosi in matrimonio con Giovanna, figlia di Federico da Montefeltro) e , non avendo mai subito attacchi, arrivata intatta ai nostri giorni. Nel fossato è stato allestito il parco di macchie da guerra di Francesco di Giorgio Martini con ricostruzioni in dimensioni reali di catapulte, Trabucchi, bombarde e macchine da assedio, mentre attraversando il piazzale ci si imbatte in un incantevole minuscolo teatro settecentesco, il Teatro Apollo,  ancora oggi in uso. Più che di battaglie questi luoghi parlano di bellezza e piaceri rinascimentali come quelli che ogni anno, dal 13 al 15 agosto, sono rievocati con la Caccia al Cinghiale in cui si ricostruisce l’arrivo a Moldavio di Giovanni della Rovere per la presa di possesso del Vicariato avuto in dono da Papà Sisto V in occasione dee nozze con Giovanna. Banchetti, giochi, cortei e spettacoli pirotecnici danno vita, ogni anno, alla Rocca  Le spiagge di Fano sono a poche decine di chilometri da questa oasi di pace dove rilassarsi, dopo le escursioni della giornata, ammirando il tramonto sulle colline circostanti dalla terrazza dell’Hotel Ristorante Palomba, prima di farsi consigliare il miglior percorso di degustazione della cucina del “Marchignolo” dalla chef  Adele Cerisoli. Da non perdere  “i tacconi allo sgagg”, pasta a base di farina fave con carciofi e guanciale, fa rivivere la tradizione del Nord delle Marche.




Lo Star Roof con le stelle di Giancarlo Perbellini per l’avvio dell’Arena Opera Festival Experience

La magia dell’Arena si apre a Sponsor, 67 Colonne, Imprese che vorranno diventare partner dell’Arena di Verona, ma anche a spettatori e appassionati che per una sera vorranno regalarsi un’esperienza mai realizzata prima: fino al 30 luglio, sarà possibile assistere allo spettacolo dalla prima fila star dopo aver gustato nella cornice incantevole dello Star Roof  una cena a cura dello chef 2 stelle Michelin Giancarlo Perbellini e godere di una selezione di vini a partire dallo storico sponsor dell’Arena Sartori.

L’iniziativa, una delle quattro proposte della nuova offerta corporate Arena Opera Festival Experience, finanzierà la valorizzazione del monumento attraverso la progettazione di un museo dell’Anfiteatro, grazie alla collaborazione con il Comune di Verona, la Direzione Musei e Monumenti, e la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per la Provincia di Verona, Rovigo e Vicenza.

 Giovedì 14 luglio ha preso il via l’offerta corporate di Fondazione Arena per il Festival 2022, per arricchire l’opera in Arena con alcune esperienze imperdibili.

Fino al 31 luglio saranno attive 4 diverse proposte corporate (The Star Roof, The Stone Lounge, Backstage Vip Pass, Meetings&Events in Gran Guardia) per rispondere ad ogni esigenza; dalle degustazioni, ad un’introduzione allo spettacolo, al tour nel backstage per entrare nel vivo della macchina areniana, alla cena stellata nel cuore dell’Arena, con un’attenzione particolare all’accoglienza degli ospiti dal loro arrivo a Verona fino all’ingresso in Arena.

Il payoff del Festival “Il luogo più italiano sulla Terra” trova piena espressione in queste attività, che sintetizzano alcune delle eccellenze italiane: un anfiteatro millenario come l’Arena, il fascino dell’opera nel più grande Teatro a cielo aperto, allestimenti monumentali che strappano applausi a scena aperta, la tradizione enogastronomica icona dell’Italia nel mondo. È un percorso che vuole guidare gli ospiti a lasciarsi incantare per uscire, al termine dello spettacolo, un po’ più “italiani”.

Lo Star Roof, la terrazza delle stelle, è un luogo magico e nascosto ai più che congiunge l’ala all’Arena. L’esclusività della location si coniuga all’intento di far conoscere e vivere l’Arena e l’opera rendendole un momento di scoperta, culturale ed enogastronomica, per poi vivere l’esperienza dello spettacolo “sotto le stelle” dalla prima fila star (novità del 2022), la più richiesta delle poltronissime di platea.

Ogni sera, prima dell’opera, solo 24 fortunati potranno accedere a questo luogo magico che si affaccia su Piazza Bra brulicante di turisti; dopo la cena, gli ospiti avranno un accesso riservato e saranno accompagnati direttamente in prima fila per l’opera.

Ma l’iniziativa dello Star Roof è ancora più importante se si pensa che finanzia un progetto a favore della tutela e della valorizzazione del monumento, in collaborazione con il Comune di Verona, la Direzione Musei e Monumenti, e la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per la Provincia di Verona, Rovigo e Vicenza.

«Abbiamo presentato queste nuove iniziative con grande orgoglio – dichiara Cecilia Gasdia, Sovrintendente e Direttore Artistico della Fondazione Arena di Verona – ed ora veniamo alla pratica: desideriamo avvicinare ulteriormente il pubblico alla nostra istituzione, all’Arena come teatro, monumento, simbolo, casa collettiva. Creeremo un legame più forte partendo da un pubblico speciale – quello di sponsor, donatori, imprese e sostenitori dell’Arena – e da luoghi speciali, ossia spazi inesplorati già bellissimi e che ora saranno valorizzati in momenti indimenticabili per i primi fruitori, nel rispetto totale dell’anfiteatro millenario che ci ospita. E proprio per il futuro dell’anfiteatro Arena ci sarà un riscontro tangibile: accogliendo un suggerimento del Soprintendente Tiné e sulla scia di ciò che accade in altri Paesi di grande mecenatismo privato, abbiamo pensato di destinare una parte del biglietto al finanziamento di opere tangibili a tutela e salvaguardia di questo luogo storico di arte, bellezza, e spettacolo».

L’esperienza ha come protagonista 2022 Giancarlo Perbellini, chef stellato veronese invitato da Fondazione Arena a curare l’esclusivo menù per gli ospiti.

«Sarà un menù all’insegna della leggerezza e del gusto, in linea con la durata degli spettacoli. – dichiara Giancarlo Perbellini – Per la serata inaugurale di giovedì partiremo con un prodotto di stagione, il pomodoro fondente con crema di squacquerone, spuma di verdure e basilico, per proseguire con un piatto simbolo di San Zeno, gli gnocchi, con spuma di patate e bottarga di tonno. Come secondo proporremo un trancio di branzino con crema di zucchine trombetta, pistacchi di Raffadali e tosazu, il tutto servito in abbinamento a un Soave, e in chiusura, un croccante di frutta e crema di vaniglia. Mentre per la serata di venerdì proporremo, al posto del branzino, un petto di faraona con riduzione di mela verde e crema di ceci in abbinamento a un Valpolicella Ripasso, e come dessert la nostra interpretazione della crostata alla frutta». 

Tutte le iniziative sono gestite dal gruppo Noahlity che, oltre a contribuire alla vendita e all’organizzazione delle esperienze, è diventato uno delle 67 Colonne dell’edizione 2022.

Per la verifica delle modalità di adesione e delle disponibilità di questa e di tutte le altre offerte, è attivo l’indirizzo mail corporate@arenadiverona.it.