di Emanuele Domenico Vicini – Lasciando la Costa Azzurra brulicante di vita estiva e addentrandosi nelle prime colline della Provenza, si raggiunge Vence, delizioso piccolo centro, molto ben conservato nella sua parte antica, e animato da un’intensa stagione turistica, che offre mostre d’arte e attività di intrattenimento, tra le più rinomate nella zona.
La visita a Vence non può prescindere da una tappa alla Chapelle du Saint-Marie du Rosaire, progettata da Henri Matisse tra il 1947 e il 1951.
Il maestro dell’Espressionismo francese di inizio Novecento, ormai piuttosto anziano e malato, da tempo risiedeva a Nizza e come molti artisti della sua generazione, aveva ormai fatto della Provenza e della Costa Azzurra un luogo di ispirazione fecondo e felice.
Dalla fine del XIX secolo molti pittori francesi avevano preferito lasciare Parigi e rifugiarsi nel grande Atelier du Midi, nel Mezzogiorno francese. Li incantavano la luce e i colori delle colline e del mare; erano sedotti dalla semplicità quasi primitiva di una regione che, se nelle sue sponde sul Mediterraneo si apprestava a diventare il centro della vita mondana europea, nell’entroterra invece manteneva un’intatta purezza.
Van Gogh, Gauguin, Picasso, Matisse e molti altri qui, recuperarono il contatto con la potenza incontaminata della natura, da copiare, studiare interpretare nella pittura e nella scultura.
Matisse si era stabilito sulla Costa definitivamente dal 1917 e dopo la Prima Guerra Mondiale aveva via via abbandonato i grandi e potentissimi paesaggi della sua prima stagione “selvaggia”, per sperimentare la forza espressiva degli accostamenti cromatici, attraverso forme quasi astratte, spesso ricavate da ritagli di carte e incollaggi.
Quando i postumi di un intervento chirurgico lo costrinsero a una vita più ritirata, scelse di trascorrere lunghi periodi a Vence, accudito da Monique Burgeois, prima infermiera del pittore, poi modella e amica.
La Burgeois nel 1944 divenne suora domenicana, col nome di suor Jacques-Marie. Pochi anni dopo fu trasferita nel convento domenicano di Vence, dove riprese i contatti con il maestro, fino a chiedergli, sul finire del decennio, di progettare la nuova cappella per il complesso monastico.
Matisse si cimentò così per la prima volta con l’architettura, immaginando uno spazio contenuto e molto semplice, articolato in un una breve navata che si conclude con una zona presbiterale rialzata e completato da una sorta di mezzo transetto, verso sud, per gli stalli delle suore durante le celebrazioni.
La limpida geometria dello spazio, richiama la semplicità dell’atto di fede, la purezza della preghiera e la rigorosa professione di vita consacrata delle domenicane.
Il senso dell’ambiente sacro però si fa reale solo se, insieme con la forma della cappella, si leggono le vetrate e le maioliche che ne sono parte integrante.
Non completano la struttura, le danno un significato, non decorano le pareti, le rendono elementi simbolici che esprimono il senso della ricerca di fede attraverso il disegno e i colori.
Le vetrate sui toni del blu, del giallo e del verde aiutano a raccogliere in modo pacato la luce e sembrano allontanare tutte le figure che all’esterno passeggiano davanti alle vetrate. I loro riflessi sul candido pavimento generano una delicata sensazione di progressivo contatto con la dimensione spirituale, in un processo dinamico, che si genera al continuo variare delle condizioni atmosferiche.
L’immagine dell’albero della vita, dietro l’altare, annuncia la salvezza che dalla mensa scaturisce.
La parete di fondo e nord portano maioliche decorate con l’immagine della Vergine e il Bambino, San Domenico e la Via Crucis.
Tutto è semplice, lineare, quasi solo accennato. Le stesse quattordici stazioni sono sintetizzate in un solo pannello al centro del quale campeggia la crocifissione, fulcro della fede cristiana.
Una sorta di regressione alle forme più primitive del disegno sembra suggerire che la fede in sé non sopporti sovrastrutture, ma cerchi solo la semplicità e la purezza del cuore.
La Chapelle du Saint-Marie du Rosaire è una delle prime opere di architettura religiosa del dopoguerra e offre idee molto interessanti nel tema dell’architettura sacra del Novecento.
In un secolo tendenzialmente laico, nel quale la costruzione di nuovi spazi sacri poteva parere quasi superflua, dopo secoli di grandiosa architettura religiosa, Matisse, che mai aveva espresso particolari afflati mistici nella sua opera di pittore, propone nuovi spunti di riflessione, portatori di importantissime conseguenze.
L’estrema semplificazione della geometria, che senza i colori delle vetrate e i disegni delle maioliche non riuscirebbe a parlare di sacro, e la totale assenza di elementi scultorei, danno modo all’altare, fatto di pietra color del pane, di sprigionare tutta la sua potenza fisica. In questo modo il centro simbolico dello spazio emerge non per via di contrasto o di contrapposizione chiaroscurale, ma in una delicata giustapposizione di colori e di linee.
Le forme disegnate sulle vetrate perdono via via la loro dimensione più propriamente figurativa, per avvicinarsi all’astrazione. All’immagine che educa il fedele, Matisse preferisce la forma cromatica che aiuta nella preghiera e nella riflessione.
Sovvertendo un principio cardine della decorazione religiosa, cioè la leggibilità e comprensibilità immediata delle figure, il pittore ritiene che la meditazione si generi nell’intimità spirituale e psicologica del fedele.
Si inaugura così la strada che porterà Le Corbusier, alcuni anni dopo, a disegnare le vetrate della Cappella di Ronchamp (1955), capolavoro architettonico prima di tutto, dove il sacro è nella simbologia espressa dalla forma, dai materiali e della complessità dello spazio costruito.
Ma si intuisce anche lo sviluppo italiano del tema, ben interpretato da Gio Ponti nella vicinissima Sanremo, quando costruirà il Monastero e la chiesa del Carmelo (1958).
Convinto come Matisse che luce e colori diano vita allo spazio della preghiera, Ponti immagina una cappella formalmente complessa (è un architetto), ma immersa nei toni dell’azzurro e del verde, aperta sullo spazio esterno perché la luce e i colori della natura diano forza alla preghiera e al raccoglimento.
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