1

Te lo ricordi Grease?

di Giuliana Tonini – Quest’anno Grease, il film cult con John Travolta e Olivia Newton-John che non ha bisogno di presentazioni, ha compiuto quarant’anni e sta ricevendo omaggi in tutto il mondo.

Tra questi c’è anche lo spettacolo ‘Te lo ricordi Grease?’, della compagnia teatrale milanese Pasticcini & Fragole, commedia brillante in due atti, per la regia di Evita Paleari, andata in scena il 10 e 11 novembre al Teatro Villa di Milano, registrando il tutto esaurito per entrambe le date.

La commedia mette in scena la storia dell’allestimento di una rivisitazione commemorativa proprio dell’anniversario di Grease, in cui vengono chiamati a partecipare niente meno che Danny, Sandy & co. in persona, ovviamente con quarant’anni in più. In questa esilarante pièce di metateatro troviamo due produttori snob che vivono all’ombra del ricordo della loro madre celebre regista, una costumista e un truccatore disperati per l’impossibilità di fare entrare i personaggi ormai attempati in costumi per silhouette da adolescenti e due coreografi che, sulle prime, non riescono ad accettare che i personaggi di Grease proprio non vogliano saperne niente delle loro moderne coreografie e continuino a cimentarsi orgogliosi nei loro ruggenti pezzi rock. Alla fine sono proprio i personaggi di Grease, e l’impagabile autoironia degli attori sul palco, anche loro della stessa età, quella di adesso, dei personaggi, a fare capire a tutti che ad essere se stessi, veri ed autentici, in ogni stagione della propria vita, si vince sempre, anche contro il tempo che passa.

Due ore di puro divertimento tra battute, gag e numeri musicali. Sì, perché, in barba alle lamentele dei giovanotti coreografi, i T-Birds biancocapelluti e le Pink Ladies si scatenano a suon di passi di danza, con pubblico coinvolto e partecipante, al ritmo di Greased Lightnin’, Those Magic Changes, You’re the One That I Want e We Go Together. E c’è anche l’esibizione sulle note di Beauty School Drop Out, con tanto di caschi con i bigodini argentati, la splendida canzone  cantata dall’angelo Frankie Avalon a Frenchy.

La compagnia teatrale Pasticcini & Fragole è attiva da diciassette anni. Formata da attori non professionisti, è nata come gruppo di genitori che metteva in scena le fiabe per i propri figli della Scuola dell’Infanzia Cristo Re ed è cresciuta nel corso del tempo, in numero e in qualità. Oggi è composta da venti attori e ha nel suo curriculum diversi spettacoli. Ormai una istituzione nella zona di Villa San Giovanni di Milano, grazie al continuo successo che ottengono   con i loro allestimenti, la compagnia porta spesso i suoi spettacoli nei teatri della città. Il segreto del loro successo? Un gruppo di attori affiatati e uniti, una squadra di amici! D’altronde il loro motto è ibi semper est victoria, ubi concordia est.

Orecchie ben aperte: si  parla già di una replica a fine gennaio!

Questo slideshow richiede JavaScript.

Informazioni e contatti:

www.pasticciniefragole.com

Facebook: Pasticcini & Fragole




Torna Grease di Compagnia della Rancia

Il mitico film Grease compie 40 anni e per l’occasione torna in edizione restaurata in Dvd, Blu-ray e 4K Ultra Hd con Universal Pictures Home Entertainment Italia. Per festeggiare l’anniversario, a Cannes, è stata organizzata una proiezione speciale sulla spiaggia presentata da Randal Kleiser, regista del film, e dal protagonista John Travolta.

Anche in Italia si festeggia l’anniversario grazie a Compagnia della Rancia che porta nuovamente in scena Grease il musical. Scritto da Jim Jacobs e Warren Casey, con la regia di Saverio Marconi, Grease è diventato un vero e proprio fenomeno di costume, uno spettacolo cult apprezzato, da oltre vent’anni, da più di 1.750.000 spettatori di tutte le età.

Grease il musical incomincia la tournée 2018/2019 dal palco del Teatro della Luna di Milano dall’8 novembre al 2 dicembre 2018 (Tutte le tappe sul sito ufficiale grease.musical.it).

Nel rodato cast della scorsa stagione c’è una new entry: Giulio Corso, nel ruolo di Danny Zuko.

E allora tutti pronti a tornare al Liceo Rydell, tra T-Birds e Pink Ladies, per vivere la storia d’amore di Danny e Sandy con le indimenticabili hits di Grease!

Questo slideshow richiede JavaScript.

Grease il musical

8 novembre – 2 dicembre 2018

Teatro della Luna – Milano 

Biglietti a partire da € 25




Mindfulness: un nuovo modo per vincere lo stress

La vita ormai è sempre più frenetica: siamo perennemente di corsa, condizionati dalla velocità, bombardati da stimoli di ogni genere, ossessionati dal cellulare e dalla comunicazione virtuale. È facile perdere l’equilibrio mentale e cadere preda dello stress. Cosa fare allora? Come tornare ad essere rilassati, in pace con noi stessi e con il mondo?

La risposta ce la dà Laura Sabbadini, counselor, naturopata, pranoterapeuta e insegnante di yoga, tra le prime ad aver importato dall’America e sviluppato in Italia un corso di mindfulness.

Laura, perché la gente ti cerca?

Le gente viene da me per tanti motivi. Mindfulness viene pubblicizzata come una pratica anti stress. Ci sono persone che sanno di essere stressate, non fanno fatica ad accorgersene e vogliono provare mindfulness; altre si rendono conto di averne bisogno perché lo stress si nasconde in tanti piccoli aspetti della vita quotidiana in cui tutti possiamo riconoscerci. Pensa a chi continua a controllare il cellulare, a chi aggiorna continuamente la mail e a ogni nuovo messaggio sente il cuore sobbalzare o a chi vede i giorni della settimana passare troppo velocemente di fronte a una mole di lavoro che sembra insormontabile… Molti si rivolgono a me anche perché hanno avuto malattie importanti, come tumori o cardiopatie, ed è il medico stesso che li invita a lavorare sulla respirazione, sul rilassamento e a fare yoga; molti manager mi contattano perché hanno letto di mindfulness su riviste americane e intendono acquisire “superpoteri” o vantaggi nello svoglimento del loro incarico; molte persone invece vogliono solamente smettere di fumare o dimagrire.

Che cosa è mindfulness?

È giunta alla ribalta in questi ultimi anni come una moda proveniente dall’America, una novità assoluta. In realtà, alla base di tutto, c’è sempre solo la filosofia yoga, che è ultra millenaria… chiamarla mindfulness dà tono e attira più gente [ride].

Mindfulness è un approccio filosofico di vita ma si basa su una serie di principi di bioenergetica, quindi anatomia, fisiologia, uso del respiro. Le basi sono scientifiche: ritrovare una corretta respirazione aiuta il buon funzionamento dell’organismo e del cervello. Poi c’è tutta una parte più counseling e psicologica: lo stress, che genera uno stato di infiammazione nel corpo, ha un impatto anche sulle nostre azioni, pensieri… e quindi sulla qualità della nostra vita. Noi non ci rendiamo conto perché siamo assuefatti a una buona dose di stress. Tutte le nostre azioni diventano reazioni allo stress come se fossimo costantemente in pericolo, cosa che non dovrebbe succedere mai: le nostre azioni dovrebbero essere consapevoli e deliberate, libere da automatismi. E così prendiamo decisioni sbagliate, litighiamo per un nonnulla, diventiamo distratti, peggiorando la comunicazione con gli altri. Le spiegazioni e le tecniche che si apprendono in un corso di mindfulness permettono di prendere consapevolezza di queste situazioni per poi tornare ad essere proprietari della nostra mente e delle nostre azioni.

Come si sviluppa una seduta di mindfulness?

Bisogna seguire un corso introduttivo per prendere piena cognizione dello stato di stress e delle conseguenze. Normalmente si tratta di sessioni di gruppo, della durata di un’ora circa, dove per quattro/sei settimane si apprendono tecniche di respirazione, attenzione, concentrazione e rilassamento. Per molti mindfulness vuol dire fare meditazione ma, in realtà, la meditazione è soltanto uno degli strumenti della mindfulness. In una seduta di mindfulness si imparano tanti esercizi pratici che partono da episodi della vita di tutti i giorni. La sessione di chiusura del corso avviene in spazi aperti, come un parco ad esempio, perché l’idea è quella di fornire uno strumento utilizzabile nel nostro quotidiano: mentre siamo imbottigliati nel traffico, in riunione con il capo o con colleghi che non sopportiamo, mentre stiamo facendo fare i compiti ai figli… È facile essere rilassati in un ashram indiano ma noi viviamo in città! Finito il corso introduttivo si fanno, periodicamente, incontri di mantenimento della durata di qualche giorno o fine settimana.

Anche i Navy Seals fanno corsi di mindfulness e respirazione perché li aiuta a gestire lo stress sia al fronte sia quando tornano in patria. In azienda i manager, gli MBA, stanno inserendo corsi di mindfulness per aumentare il benessere del personale e, conseguentemente, anche la produttività.

Quali sono i benefici riscontrabili dopo un corso di mindfulness?

Il beneficio più importante è quello di abbassare, ridurre o addirittura eliminare del tutto il volume del ruminio mentale e riscontrare cambiamenti nella realtà che ci circonda. Utilizzando le tecniche di mindfulness cambia il nostro modo di relazionarci con gli altri, cambia il nostro modo di vivere le emozioni e si arriva a vedere la quotidianità in una nuova ottica, migliore.

Per info www.laurasabbadini.blog




A.D.A. dà nuova vita alla danza, alla musica e al canto medievale, rinascimentale e barocco

di Giuliana Tonini – Chi non ha mai fantasticato almeno una volta di come potrebbe essere fare un viaggio indietro nel tempo e immergersi nella cultura e nell’arte di un’epoca passata?

Lo scopo di A.D.A. Associazione Danze Antiche è proprio questo.

Con base a Milano e a Gradara, in provincia di Pesaro e Urbino, A.D.A., fondata nel 2003, è un’associazione culturale di studiosi e appassionati che da quindici anni fa rivivere la danza, la musica e il canto del periodo che va dal tardo medioevo all’epoca barocca.

E, tramite lo studio e l’insegnamento delle arti, porta a immergersi a trecentosessanta gradi nella cultura di quei tempi, con una attenzione particolare al periodo rinascimentale.

Chi vuole provare l’ebbrezza di calarsi nei panni di cortigiani e nobili delle corti di re, imperatori e duchi può scegliere il suo corso di danza o stage preferito tra quelli offerti da A.D.A. E,quando si imparano i passi e le coreografie, esibirsi in spettacoli in costume è un’esperienza davvero emozionante.

Oltre alla danza antica, la poliedrica associazione si occupa anche di danza sacra e meditativa.

E non è finita, perché A.D.A. organizza anche corsi appositamente dedicati a non vedenti e ipovedenti.

Io stessa ho fatto parte di A.D.A. e, da appassionata del periodo rinascimentale, non potevo trovare di meglio. Durante le lezioni e gli stage i competentissimi e preparatissimi docenti riproducono le coreografie basandosi sui trattati di danza dell’epoca (ad esempio quelli di Guglielmo Ebreo da Pesaro, Fabrizio Caroso e Cesare Negri), contestualizzando le danze nel periodo storico di riferimento e fornendo la chiave interpretativa culturale, e spesso filosofica, connessa alla danza stessa.

I corsi si svolgono da ottobre a giugno e durante tutto l’anno vengono organizzati stage, anche di canto, e spettacoli che offrono l’occasione di esibirsi in posti suggestivi come castelli e piazze di borghi e città d’arte.

Sono appuntamenti fissi di ogni anno lo stage estivo di Gradara, realizzato in collaborazione con l’associazione culturale “Il Boncio” di Pesaro, e lo stage estivo di Samotracia.

A Gradara si passa una settimana tra danza, musica, canto e scherma antica. Nell’isola di Samotracia, ci si immerge nella natura e in se stessi praticando danza sacra e meditativa.

Fiore all’occhiello di A.D.A. sono i convegni e i seminari di studio. L’ultimo in ordine cronologico è stato il seminario internazionale di studi “Cesare Negri milanese – Danza e potere nel tardo Rinascimento”, che si è svolto a Milano, nella Biblioteca Trivulziana del Castello Sforzesco, dal 21 al 23 settembre 2018, in collaborazione col Comune di Milano, col Castello Sforzesco e patrocinato dall’Accademia Teatro alla Scala, dall’Associazione Italiana per la Ricerca sulla Danza e dall’Istituto Cervantes di Milano.

Cesare Negri, vissuto nel XVI secolo, è stato un celebre maestro di danza nella Milano al tempo della dominazione spagnola. Ha insegnato passi e coreografie alle più importanti famiglie nobili lombarde, compresa quella dei governatori spagnoli di Milano. Sì perché, come si intuisce anche dal titolo del convegno, nelle corti rinascimentali italiane ed europee il saper danzare era una caratteristica rilevante per la gente di potere. Questo e altri aspetti della danza dell’epoca del Maestro milanese sono stati discussi da studiosi di calibro nel settore venuti da varie parti d’Italia e anche dall’estero (Filippo Annunziata, Deda Cristina Colonna, Danilo Costantini, Cesare Fertonani, Gloria Giordano, Francesca Gualandri, Cecilia Nocilli, Marina Nordera, Alessandro Pontremoli, Elena Tamburini, Lucio Paolo Testi, Daniele Torelli, Katherine Tucker Mc Ginnis).

Oltre alle relazioni, durante la tre giorni di seminario si sono svolti laboratori di danza antica e visite guidate al Museo Pietà Rondanini-Michelangelo del Castello Sforzesco, al Museo Bagatti Valsecchi e alla Chiesa di San Carlo al Lazzaretto.

La più bella e degna conclusione dell’evento è stato lo spettacolo di danza e canto allestito nel Cortile della Rocchetta del Castello Sforzesco, dove i docenti e gli allievi di A.D.A., danzando nei loro splendidi costumi in quello scenario evocativo, ci hanno portatoindietro di più di quattro secoli. Un applauso quindi a Marco Bendoni, Chiara Gelmetti, Bruna Gondoni, Lucio Paolo Testi e Davide Vecchi, al soprano Olga Miracle e agli allievi dei corsi di danza Leonardo Contrastano, Laura Grasso, Akiyo Lambert-Kai, Nadia Mantovani, Olga Miracle e Laura Pogliani.

La danza e il canto vivono grazie alla musica, e quel giorno lo spettacolo si è svolto sui meravigliosi brani eseguiti dal vivo da Elena Bacchini (viola da gamba), Emilio Bezzi (liuto), Maria Christina Cleary (arpa barocca), Akiyo Lambert-Kai (lira), Davide Monti (violino barocco) e Flavio Spotti (percussioni). Un grande applauso anche a loro.

Tutti i futuri danzatori interessati e gli appassionati di quei periodi storici non si lascino sfuggire le iniziative di A.D.A.L’associazione, tra l’altro, allestisce anche spettacoli su richiesta.

E voi, ragazzi di A.D.A., sono stata felice di rivedervi ‘all’opera’. Un abbraccio e a prestissimo.

Informazioni e contatti:

mail: info@danzeantiche.org

Sedi:

Milano, Spazio Oasi, via Varese n. 12

Gradara (PU), Spazio Polivalente, piazzale Paolo e Francesca

Sito internet: www.danzeantiche.org

foto Francesco Corsello 




Jaspers: un successo tra Vodka, noccioline e Quelli che il calcio

Sono la band del momento, hanno pubblicato da poco un nuovo singolo, “Vodka e noccioline”, e per il secondo anno suonano live a “Quelli che il calcio” (Rai2). Stiamo parlando dei Jaspers, la band milanese che da quasi un decennio imperversa sulla scena musicale. Il loro genere musicale è sempre molto originale, in continua evoluzione e sperimentazione. E questo probabilmente è il segreto del loro successo.

Un nuovo singolo e, per la seconda volta, confermati nel cast di Quelli che il calcio. Vi sareste mai aspettati tanto successo?

Tante delle esperienze e collaborazioni che abbiamo vissuto sono arrivate improvvisamente, noi lavoriamo sodo ogni giorno e siamo molto orgogliosi dei nostri sudati successi e sempre immensamente grati a chi crede in noi e ci supporta da quasi un decennio! Puntiamo sempre più in alto e rimaniamo uniti come band e come una famiglia!

Di che cosa parla il singolo “Vodka e noccioline”?

Vodka” racconta di un’avventura sentimentale finita ancora prima di avere il tempo di dirsi addio. Rispetto ai precedenti singoli ha un carattere molto più leggero e ironico, che bene si adatta ad un pubblico più ampio e mainstream. Sicuramente un brano meno impegnato dei precedenti singoli ed estremamente scanzonato, sia negli arrangiamenti che nella sua stesura.

Quando uscirà l’album? Ci sarà un leitmotiv tra i vari brani?

Stiamo lavorando all’album e a nuovi singoli in uscita, il filo conduttore dell’album sarà decisamente un inno all’eterogeneità, principalmente per il fatto che vogliamo continuamente sperimentare e “Jasperizzare” ogni genere musicale che ci passa sotto mano.

C’è un’evoluzione nel vostro modo di fare musica da quando calcate le scene?

Sicuramente la scrittura è cambiata molto, principalmente per la difficoltà di mettere su un disco ciò che i Jaspers realmente sono dal vivo, che è la nostra forza più grande. Lo show, il teatro, i costumi e tutto ciò che viene riarrangiato e suonato, dà libero sfogo all’artisticità di ognuno di noi… cosa che nel mondo discografico e radiofonico non è sempre possibile attuare.

Come definireste il vostro genere musicale?

Il nostro genere musicale è “100% JASPERS”, senza paura di sperimentare… dal prog-rock all’elettro-pop fino al reggae. Ci sentiamo musicisti e artisti nel profondo, quindi perché relegarsi ad un genere musicale definito?

C’è una band o un cantante che vi piace particolarmente e a cui fate riferimento?

Le influenze sono sempre state molteplici e infinite, siamo un gruppo che ha ascolti diversissimi e sopratutto nel primo disco “Mondocomio” questa eterogeneità sonora è ben percepibile. Se citiamo Rage against the Machine, Maroon 5 , Danny Elfman e i Coldplay puoi capire bene a cosa ci riferiamo!

Come vi trovate a “Quelli che il calcio”?

Benissimo,  passare il weekend negli studi del programma è come passare un weekend in famiglia! Tutto il cast ci ha accolto subito con calore e grande stima, quindi si lavora alla grande!

Quali sono i vostri progetti futuri?

Suonare Suonare e Suonare, sempre e comunque… finché morte non ci separi, come in un solido matrimonio tra 6 “pazzi”!

 

Per info:

Web: http://www.jaspersofficial.com

iTunes: https://itunes.apple.com/it/artist/jaspers/267555764

Facebook: https://www.facebook.com/jaspersofficial

YouTube: https://www.youtube.com/user/jaspersofficial

Spotify: https://play.spotify.com/artist/7wtJpFbzImvC9jDmrabEwK

Instagram: https://www.instagram.com/jaspersofficial

Twitter:  https://twitter.com/jaspersofficial

Questo slideshow richiede JavaScript.

foto Chiara Sardelli




I Muffin presentano il musical La Principessa sul Pisello al Teatro del Baraccano di Bologna

Il 6 e 7 ottobre al Teatro del Baraccano di Bologna debutta un musical inedito: “La principessa sul pisello”.

La favola scritta da Hans  Christian  Handersen  viene portata in scena dal gruppo teatrale I Muffin (Riccardo Sarti, Giulia Mattarucco, Maddalena  Luppi e Stefano Colli) in un divertentissimo  allestimento musicale.

La storia segue le avventure della goffa  ed  impacciata  Winnifred  alle prese con la perfida regina Aggravia a cui vuole dimostrare di essere una vera principessa.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Tutti pronti, quindi, a compiere un magico viaggio musicale nel Medioevo che, tra  cavalieri,  maghi,  incantesimi,  materassi,  madri  gelose,  un  bizzarro  re  muto  e  un piccolo  pisello  verde, farà  ridere  ed emozionare  tutta  la  famiglia.

6 – 7 Ottobre 2018

La Principessa sul Pisello

Teatro  del  Baraccano

Bologna  – Via  del  Baraccano  2

Prevendita  su  Vivaticket al link:  bit.ly/principessasulpisello




Mary Poppins torna a Milano

È vero, c’è qualcosa di magico nell’aria, il vento dell’est si sta alzando nuovamente e la tata più famosa al mondo sta per tornare a Milano. Mary Poppins, la tata “praticamente perfetta sotto ogni aspetto”, dopo il successo della scorsa stagione, si prepara a conquistare ancora il cuore di tante famiglie e, soprattutto, di tanti bambini.

Dal 5 ottobreMary Poppins il musical” tornerà in scena al  Teatro Nazionale CheBanca! di Milano. Con canzoni indimenticabili come “Supercalifragilistichespiralidoso”, “Cam caminì”, “Com’è bello passeggiar con Mary” e “Un poco di zucchero” e un cast di artisti di primo livello, capeggiati dalla bravissima Giulia Fabbri nel ruolo di Mary, lo show, con la sua magica e affascinante atmosfera, fatta anche di incredibili effetti e coinvolgenti coreografie, è pronto a far divertire e commuovere grandi e piccini.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Mary Poppins il musical, inoltre, sostiene la Fabbrica del Sorriso, grazie al sodalizio tra WEC – World Entertainment Company e Mediafriends Onlus. Un’unione significativa fra uno spettacolo amato soprattutto dalle famiglie e un’iniziativa che pone al centro i bambini, con i loro bisogni e i loro desideri. Parte del ricavato della vendita dei biglietti di Mary Poppins il musical verrà devoluto come contributo per i progetti individuati da Fabbrica del Sorriso per il 2018, donando così una possibilità concreta ai bambini, in Italia e nel mondo, per uscire dalla povertà, dal disagio e dall’emarginazione.

Foto di Alessandro Pinna

Mary Poppins il musical

Teatro Nazionale CheBanca! di Milano 

dal 5 ottobre 2018

Biglietti da € 34




Laura Pausini, Fatti Sentire World Tour 2018: uno spettacolo catartico

di Emanuele Domenico Vicini – Le luci si abbassano appena dopo le 21 sulla platea del Forum di Assago e Laura Pausini appare in tutta la sua luminosa potenza sul palco del suo Fatti Sentire Word Tour 2018.

Le canzoni scorrono una dopo l’altra, una dentro l’altra, tra successi “vecchi” e nuovi. Poche parole, solo quelle di circostanza, si intersecano nel fiume di suoni che si fonde insieme con una scenografia a palco fisso, fatta di geometrie di luci e forme di rara eleganza.

Laura domina la scena come pochi altri. La sua tecnica vocale è paradossalmente semplice: un timbro nettissimo, una emissione perfetta. Non perde un fiato, non abbassa un suono, si muove con consumata dottrina tra pezzi pop classic e pop rock.

Quasi non ha bisogno di cantare: dirige con la sua voce uno spettacolo che per il pubblico diventa un momento catartico, un atto di liberazione del bisogno di bello che ciascuno porta con sé: un bello netto, comprensibile, dove non ci sono ombre o incertezze.

Il mondo che Laura racconta con i suoi brani è di una chiarezza adamantina: amore sempre e comunque, generosità dei sentimenti, onestà delle parole.

È forse un mondo “altro” rispetto a quello in cui viviamo, ma è ciò di cui abbiamo bisogno.

Questo slideshow richiede JavaScript.




La Cappella del Rosario a Vence: il sacro secondo Henri Matisse

di Emanuele Domenico Vicini – Lasciando la Costa Azzurra brulicante di vita estiva e addentrandosi nelle prime colline della Provenza, si raggiunge Vence, delizioso piccolo centro, molto ben conservato nella sua parte antica, e animato da un’intensa stagione turistica, che offre mostre d’arte e attività di intrattenimento, tra le più rinomate nella zona.

La visita a Vence non può prescindere da una tappa alla Chapelle du Saint-Marie du Rosaire, progettata da Henri Matisse tra il 1947 e il 1951.

Il maestro dell’Espressionismo francese di inizio Novecento, ormai piuttosto anziano e malato, da tempo risiedeva a Nizza e come molti artisti della sua generazione, aveva ormai fatto della Provenza e della Costa Azzurra un luogo di ispirazione fecondo e felice.

Dalla fine del XIX secolo molti pittori francesi avevano preferito lasciare Parigi e rifugiarsi nel grande Atelier du Midi, nel Mezzogiorno francese. Li incantavano la luce e i colori delle colline e del mare; erano sedotti dalla semplicità quasi primitiva di una regione che, se nelle sue sponde sul Mediterraneo si apprestava a diventare il centro della vita mondana europea, nell’entroterra invece  manteneva un’intatta purezza. 

Van Gogh, Gauguin, Picasso, Matisse e molti altri qui, recuperarono il contatto con la potenza incontaminata della natura, da copiare, studiare interpretare nella pittura e nella scultura.

Matisse si era stabilito sulla Costa definitivamente dal 1917 e dopo la Prima Guerra Mondiale aveva via via abbandonato i grandi e potentissimi paesaggi della sua prima stagione “selvaggia”, per sperimentare la forza espressiva degli accostamenti cromatici, attraverso forme quasi astratte, spesso ricavate da ritagli di carte e incollaggi.

Quando i postumi di un intervento chirurgico lo costrinsero a una vita più ritirata, scelse di trascorrere lunghi periodi a Vence, accudito da Monique Burgeois, prima infermiera del pittore, poi modella e amica.

La Burgeois nel 1944 divenne suora domenicana, col nome di suor Jacques-Marie. Pochi anni dopo fu trasferita nel convento domenicano di Vence, dove riprese i contatti con il maestro, fino a chiedergli, sul finire del decennio, di progettare la nuova cappella per il complesso monastico.

Matisse si cimentò così per la prima volta con l’architettura, immaginando uno spazio contenuto e molto semplice, articolato in un una breve navata che si conclude con una zona presbiterale rialzata e completato da una sorta di mezzo transetto, verso sud, per gli stalli delle suore durante le celebrazioni.

La limpida geometria dello spazio, richiama la semplicità dell’atto di fede, la purezza della preghiera e la rigorosa professione di vita consacrata delle domenicane.

Il senso dell’ambiente sacro però si fa reale solo se, insieme con la forma della cappella, si leggono le vetrate e le maioliche che ne sono parte integrante. 

Non completano la struttura, le danno un significato, non decorano le pareti, le rendono elementi simbolici che esprimono il senso della ricerca di fede attraverso il disegno e i colori. 

Le vetrate sui toni del blu, del giallo e del verde aiutano a raccogliere in modo pacato la luce e sembrano allontanare tutte le figure che all’esterno passeggiano davanti alle vetrate. I loro riflessi sul candido pavimento generano una delicata sensazione di progressivo contatto con la dimensione spirituale, in un processo dinamico, che si genera al continuo variare delle condizioni atmosferiche.

L’immagine dell’albero della vita, dietro l’altare, annuncia la salvezza che dalla mensa scaturisce.

La parete di fondo e nord portano maioliche decorate con l’immagine della Vergine e il Bambino, San Domenico e la Via Crucis.

Tutto è semplice, lineare, quasi solo accennato. Le stesse quattordici stazioni sono sintetizzate in un solo pannello al centro del quale campeggia la crocifissione, fulcro della fede cristiana.

Una sorta di regressione alle forme più primitive del disegno sembra suggerire che la fede in sé non sopporti sovrastrutture, ma cerchi solo la semplicità e la purezza del cuore.

La Chapelle du Saint-Marie du Rosaire è una delle prime opere di architettura religiosa del dopoguerra e offre idee molto interessanti nel tema dell’architettura sacra del Novecento.

In un secolo tendenzialmente laico, nel quale la costruzione di nuovi spazi sacri poteva parere quasi superflua, dopo secoli di grandiosa architettura religiosa, Matisse, che mai aveva espresso particolari afflati mistici nella sua opera di pittore, propone nuovi spunti di riflessione, portatori di importantissime conseguenze.

L’estrema semplificazione della geometria, che senza i colori delle vetrate e i disegni delle maioliche non riuscirebbe a parlare di sacro, e la totale assenza di elementi scultorei, danno modo all’altare, fatto di pietra color del pane, di sprigionare tutta la sua potenza fisica. In questo modo il centro simbolico dello spazio emerge non per via di contrasto o di contrapposizione chiaroscurale, ma in una delicata giustapposizione di colori e di linee.

Le forme disegnate sulle vetrate perdono via via la loro dimensione più propriamente figurativa, per avvicinarsi all’astrazione. All’immagine che educa il fedele, Matisse preferisce la forma cromatica che aiuta nella preghiera e nella riflessione.

Sovvertendo un principio cardine della decorazione religiosa, cioè la leggibilità e comprensibilità immediata delle figure, il pittore ritiene che la meditazione si generi nell’intimità spirituale e psicologica del fedele.

Si inaugura così la strada che porterà Le Corbusier, alcuni anni dopo, a disegnare le vetrate della Cappella di Ronchamp (1955), capolavoro architettonico prima di tutto, dove il sacro è nella simbologia espressa dalla forma, dai materiali e della complessità dello spazio costruito.

Ma si intuisce anche lo sviluppo italiano del tema, ben interpretato da Gio Ponti nella vicinissima Sanremo, quando costruirà il Monastero e la chiesa del Carmelo (1958).

Convinto come Matisse che luce e colori diano vita allo spazio della preghiera, Ponti immagina una cappella formalmente complessa (è un architetto), ma immersa nei toni dell’azzurro e del verde, aperta sullo spazio esterno perché la luce e i colori della natura diano forza alla preghiera e al raccoglimento. 

Questo slideshow richiede JavaScript.




Aspettando Kinky Boots Italia: intervista a Simon-Anthony Rhoden, Lola nello show UK

È vero, siamo nel pieno delle vacanze estive ma come addolcire l’idea del rientro? Per gli amanti del musical la risposta è semplice: l’autunno infatti porta con sé il debutto di un titolo importante, Kinky Boots con la regia di Claudio Insegno al Teatro Nuovo di Milano.

Kinky Boots, basato sull’omonimo film del 2005, racconta la storia del giovane Charlie Price che eredita dal padre la fabbrica di scarpe di famiglia, ormai ridotta sul lastrico. Per non licenziare i fedeli dipendenti e risollevare le sorti dell’azienda, Charlie capisce che deve assolutamente diversificare la sua produzione ma serve un’idea straordinaria. E l’idea arriva per caso: una sera Charlie assiste allo spettacolo di Lola, una favolosa drag queen che, per esigenze sceniche, ha bisogno di nuovi stivali con tacchi forti e robusti.

La musica e i testi del musical sono scritti dalla cantante icona degli anni ottanta Cyndi Lauper mentre il libretto è firmato da Harvey Fierstein.

Il musical ha debuttato a Broadway nel 2013 aggiudicandosi sei premi alla 67ª edizione dei Tony Awards, tra cui miglior musical e miglior colonna sonora. Nel 2015 ha debuttato a Londra con grande successo di pubblico e di critica.

In attesa della versione italiana di questo straordinario spettacolo abbiamo intervistato il performer Simon-Anthony Rhoden che al teatro Adelphi di Londra interpreta il ruolo della meravigliosa Lola.

 

Come ti sei avvicinato al personaggio di Lola?

Quando ho letto per la prima volta il personaggio, Lola ha parlato a me come persona e come attore. Il viaggio che percorre, la sua stessa storia, sono profondamente collegati con me. Sono entrato in rapporto con il personaggio di Lola anche perché sono stato così fortunato da vederlo interpretato da Matt Henry, quando ho cominciato ad essere il suo sostituto in teatro. Da allora mi sono sempre chiesto come avrei interpretato il personaggio se mai ne avessi avuto l’opportunità.

Conoscevi il film prima di studiare il musical?

Non sapevo nulla dello show o del film finché non ho fatto l’audizione. Non ho mai avuto il tempo materiale di vedere il film. Non appena sono stato chiamato ho incominciato a fare tutte le ricerche che potevo. Credo che l’interpretazione di Chiwetel Ejiofor sia brillante. All’inizio di questo viaggio mi sono più volte riferito al film per confrontarmi su alcune scene. Lo schermo e il palcoscenico sono però due spazi completamente diversi e quello che si recita al cinema è diverso da quello che si vede sul palco. Comunque un’ispirazione è sempre utile.

Lola è un ruolo potente. Quanto è rilevante una voce importante come la tua nell’interpretazione di questa parte?

Non è fondamentale avere una voce grande come la mia. É invece fondamentale cantare le canzoni così come sono state scritte perché c’è una ragione. Chiunque reciti la parte di Lola darà la propria interpretazione ricordando sempre però di cercare in essa la verità. Il personaggio è scritto così bene che un attore non dovrebbe essere spaventato dalla sua complessità.

Che cosa significa di Kinky Boots oggi?

Il significato di Kinky Boots oggi trascende i valori della comunità LGBTQ e ognuno si può riconoscere in questo show. Il messaggio chiave è che puoi cambiare il mondo se cambi la tua mentalità. E questo possiamo metterlo in pratica tutti ogni giorno.

Hai qualche consiglio o suggerimento per il tuo collega italiano che sarà Lola il prossimo autunno?

Il mio consiglio è di non avere paura di dare una interpretazione. Il personaggio è scritto così bene che basta essere sinceri, raccontare la storia e divertirsi. Io mi sono ispirato anche ai miti della mia infanzia, le DIVAS. Consiglio a tutti di fare riferimento alle proprie esperienze di crescita.

Kinky Boots a Londra sta per chiudere. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ci sono alcuni progetti all’orizzonte ma non essendoci conferme preferisco non parlarne. Mi dispiace che Kinky Boots chiuda perché penso che uno show del genere superi l’esame del tempo, specialmente nel West End.

 

WAITING FOR KINKY BOOTS ITALY: INTERVIEW WITH SIMON-ANTHONY RHODEN, LOLA IN THE UK SHOW

It is true, we are in the height of the summer, but how can we come back happily from holidays? For Italian musical’s lovers, there is no doubt: Autumn brings one of the most exciting debuts: the Italian version of Kinky Boots, directed by Claudio Insegno.

Kinky Boots, based on the 2005 movie, tells the story of Charlie Price, who has inherited a nearly bankrupted shoe factory from his father. Charlie has to come up with a brilliant plan to keep his factory afloat. A chance meeting with drag queen Lola ends in an idea to keep the doors open: fabulous heels for women who just happen to be men. What Lola wants is “two-and-a-half feet of irresistible tubular sex” that won’t break under her body weight.

The 1980’s pop icon Cyndi Lauper-penned musical, with book by Harvey Fierstein, opened in Broadway in 2013. The production earned 6 Tony Awards, including Best Musical and Best Score.

In 2015 it opened in London, surpassing its rivals with audiences in weekly box office gross.

While the Italian version of this stunning musical is on its way, we have interviewed Simon-Anthony Rhoden, who is Lola the amazing drag-queen on the stage of the Adelphi Theatre in London. 

How did you become familiar with the character of Lola?

When I first read for the character Lola it spoke to me as a person as well as an actor. The journey she goes on and the story I get to tell really connected with me. I became familiar with it also because I was fortunate enough to watch the role be played by Matt Henry every night as I started as a swing/understudy on Kinky Boots UK. I always wondered how I’d play the part if ever I got the chance. 

Did you know the film before studying the musical?

I knew nothing about the show or the film until I had to audition for it. I remember always meaning to go watch the film but never making the time. But once I got the call, I did as much research as I possibly could. I think that Chiwetel Ejiofor’s interpretation of the character is brilliant. In the beginning of my journey playing the role I would often go back and refer to the movie if I was feeling unsure about a particular scene or action. The only difference is, the stage is a completely different beast to the screen and so something that is played/read for screen will not always be seen/read from the stage. But it is always good to have a little inspiration. 

Lola is a powerful role. How crucial is a powerful voice like yours when playing this part?

It is not crucial to have a big voice like mine at all. It is crucial to be able to sing the songs however, as they were written that way for a reason. But whoever plays the role of Lola should do their own interpretation of the role as well as remembering to always look for the truth in it. The character is written so well and so an actor shouldn’t be scared of the complexities within the role. 

What’s the meaning of Kinky Boots today?

The meaning of Kinky Boots today transcends the LGBTQ community in that everyone can learn from this show no matter what walk of life. The key message is “You change the world when you change your mind” and that is something we can all practice and remind ourselves everyday. 

Do you have any suggestions, any pieces of advice for your Italian colleague who will be playing the part next Autumn?

My advice is don’t be afraid of your own interpretation of this role. It is written so well that all you need to do is be truthful, tell the story and have fun. I also like to use some of my own childhood DIVAS as inspiration too, so whoever they were to you growing up, use them!

In London Kinky Boots is closing soon. What are your new projects?

There are a few projects in the pipe line but as nothing is confirmed and cannot speak about that. I do think it is sad that Kinky Boots UK is closing as I would like to think that a show like this would stand the test of time, especially in its home in the west end.