di Elisa Pedini – Nelle sale italiane dal 17 novembre, il film “AGNUS DEI”, per la regia di Anne Fontaine. Toccante, intenso, delicato, ma anche duro nella realtà che espone. Pellicola, coerente, solida, lucida, d’una profondità umana e psicologica impressionanti, che coinvolge e sconvolge, entrando, letteralmente, sottopelle. I fatti narrati sono ispirati a eventi realmente accaduti e legati alla vita della dottoressa Madeleine Pauliac, medico dello staff di un ospedale di Parigi, che, all’inizio del 1945, in qualità di ufficiale medico delle Forze Interne Francesi, partì per Mosca per dirigere la missione di rimpatrio francese. Fu, quindi, nominata Primario dell’Ospedale francese di Varsavia e messa a capo delle attività di rimpatrio all’interno della Croce Rossa Francese. Condusse la sua missione in tutta la Polonia. Fu in queste circostanze che scoprì l’orrore della violenza dei soldati russi sulle donne. Gli stupri erano all’ordine del giorno, addirittura, collettivi nei conventi ed è proprio di queste suore che lei si occupò, per fornire loro aiuto medico. Le supportò nella maternità e nel parto, nel sostegno morale e per conseguenza, nel tutelare i conventi. Sfortunatamente, Madeleine Pauliac, morì l’anno successivo in un incidente vicino Varsavia. Il nipote della dottoressa ha ritrovato i diari della zia e ha proposto ai produttori di utilizzarli per un film. La Fontaine ci dice che ciò che l’affascinò profondamente «fu il concetto di disobbedienza coraggiosa» che trapelava da quegli scritti. Purtroppo, il materiale a disposizione era troppo poco e così la regista ha condotto ella stessa ricerche in Polonia, sia per verificare la storia, che per conoscerla e approfondirla. Quindi, ha dato un senso, un’interpretazione, a quanto raccolto, per calarsi nella psicologia di queste donne. Mi piace sottolineare che Anne Fontaine, per conoscere nei dettagli la vita ritirata e quotidiana delle suore, ha persino fatto due ritiri in conventi di monache benedettine. Per questa ragione, in “AGNUS DEI”, ambientazioni, abiti, abitudini, ritmi si mostrano estremamente fedeli alla realtà. Inoltre, le conversazioni intrattenute con queste suore le hanno fornito “materiale umano”, che ritroviamo in tutta la sua vibrante fragilità e profondità nel film. La trama, dunque, si basa su tutto questo. Ve la riassumo rapidamente, perché, secondo me, è sulle emozioni e sul carico di umanità, che è più importante soffermarsi: Mathilde è una giovane assistente medico francese della Croce Rossa. È il 1945 ed è in missione in Polonia per assistere i sopravvissuti francesi della Seconda Guerra Mondiale. L’attività al dispensario è frenetica. Nel mentre, Teresa, una giovane novizia d’un convento benedettino lì vicino, scappa e piomba al presidio medico in cerca d’aiuto. Fra emergenze e problemi di lingua, la suora viene invitata ad andarsene. Tuttavia, lei non se ne va. In una stoica resistenza in mezzo alla neve, prega e attende. Mathilde, vedendola, decide di capirci di più. Così, viene portata in un convento, dove alcune sorelle incinte, vittime degli stupri ripetuti dei soldati sovietici, vengono tenute nascoste. È qui, che inizia un vero viaggio nell’anima umana fra fede e scienza, fra inconciliabilità tra la violenza dello stupro, la maternità e la fede. Mathilde, diventa l’unica speranza per queste donne, il loro unico appoggio, il loro unico sfogo. “AGNUS DEI”, piacenti o no, fa riflettere e sconquassa l’anima. Per questo, mi piace insistere sul carico umano di questa pellicola, che s’estrinseca, precipuamente, nelle due tematiche, a mio avviso, cardine, di questo film: la «disobbedienza coraggiosa», come la chiama Anne Fontaine e cui ho accennato all’inizio e la fragilità umana, non solo nell’impotenza fisica, ma anche nell’anima e nella fede stessa. Tutta l’azione parte da un coraggioso atto di “disobbedienza” d’una suora alle rigide regole del convento. Al principio, esso sembrerebbe non sortire alcun risultato; ma è proprio un’altra “disobbedienza”, che conduce avanti la storia: quella di Mathilde verso gli ordini del presidio medico della Croce Rossa Francese. Mi piace sottolineare che non parliamo di “disobbedienza” superficiale, qui, siamo di fronte a coscienti atti d’individualità, ovvero, il valore della legge morale interiore, che, soverchia lo status quo e di fronte all’ignominia e all’orrore e a quanto ritiene ingiusto, s’eleva, per trovare una compensativa soluzione di pace. Dunque, le azioni di scelta individuale si susseguono, quasi epidemicamente, fino ad arrivare alla figura del medico ebreo, Samuel, che, in realtà, è un personaggio di fantasia. La sua figura non esiste all’interno dei diari della Pauliac, ma merita qualche parola perché è funzionale: non solo, con la sua ironia e con le sequenze a lui legate, abbassa la tensione; ma anche, è il personaggio che nasconde il “fantasma”, ovvero, la motivazione storico-personale: la sua famiglia è stata interamente deportata e sterminata. La seconda e ultima tematica, che mi piace sottoporvi, è quella della “fragilità”, ovvero, quell’umanità profonda di cui questo film si fa portavoce. C’è umanità nella paura e nel disgusto delle suore; nel coraggio di Teresa e Mathilde; nella maternità e nell’amore delle sorelle; nei dubbi su una fede che, davanti allo strazio, vacilla; nell’amicizia che s’instaura tra Maria e Mathilde; nel rapporto tra Samuel e Mathilde. Tuttavia c’è umanità, anche, nella brutalità della violenza e dello stupro, nell’assurdità della guerra, nell’atrocità degli atti della Badessa. L’essere umano è tutto questo. Sulla base di quanto detto finora, penso sia inutile sottolineare le innumerevoli emozioni che si provano guardando “AGNUS DEI”. Un capolavoro dal ritmo morbido, mai stressato, supportato dal silenzio glaciale, in senso stretto e in senso lato, dei corridoi e degli ambienti spogli del convento, eppure, incredibilmente veloce nel suo scorrere e tremendamente impattante. Infine, non posso non sottolineare l’interpretazione della protagonista, Lou de Laâge, che, seppur giovanissima e inesperiente, riesce a rendere con grande spessore e profondità il personaggio di Mathilde, creando un’atmosfera di luminosità sincera intorno a sé, che finisce per dare luce all’intero film.