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RIVUS ALTUS: frammenti visivi per ricostruire Venezia

11.354 foto-tasselli, 264 ore di appostamento, 15.963 persone ritratte. Non sono numeri a caso ma quelli di RIVUS ALTUS, 10.000 frammenti visivi dal ponte di Rialto a Venezia, la grande mostra fotografica ospitata presso il suggestivo Centro Culturale Don Orione Artigianelli, un antico convento ristrutturato ed attrezzato con le più moderne tecnologie, situato nel centro storico di Venezia, dall’8 Ottobre al 27 Novembre 2016.

La mostra propone una inedita e originale ricostruzione fotografica del panorama veneziano così come   appare da suo punto più celebre, ovvero dal Ponte di Rialto.

Gli elementi presenti nell’installazione trovano un valore aggiunto nella partecipazione di The Boga Foundation: la serie di sculture Homini, infatti, dialoga con gli elementi della mostra, mettendo così in relazione i visitatori e le persone ritratte.

Il progetto fotografico si ispira al testo di Georges Perec “Tentativo di esaurimento di un luogo parigino” (Parigi,  1975), in cui l’autore descrive una piazza parigina da differenti punti di vista e in diversi momenti, annotando ogni variazione.

L’architetto e fotografo milanese Massimiliano Farina indaga il concetto di stereotipo in quanto visione semplificata e largamente condivisa di un luogo, registrando con la macchina fotografica tutto ciò che accade (o non accade) durante i suoi lunghi appostamenti al centro del ponte. Nel luogo dove lo stereotipo della città veneziana si perpetua, grazie alla smania collettiva di fotografare il panorama sul Canal Grande e assicurarsi una foto ricordo, c’è però anche chi si abbandona alla visione suggestiva. In questo progetto fotografico, Massimiliano Farina riesce a cogliere questa eterogenea dimensione sensibile, catturando gli sguardi e le azioni delle persone che circondano la sua postazione privilegiata.

Il progetto Rivus Altus si compone così di due elementi distinti, in continuo dialogo tra loro: il panorama e i suoi osservatori.

La vista sul canal Grande è composta da un mosaico fotografico di 78 frammenti, frutto di una selezione delle 11.354 immagini raccolte dall’autore, in grado di cogliere nel dettaglio la mutevole natura del soggetto ritratto. Grazie alle innumerevoli combinazioni possibili, il frantumato stereotipo di Venezia viene così ricostruito con esiti di volta in volta inattesi e sorprendenti.

L’approccio utilizzato dall’autore per ritrarre gli osservatori, gli “abitanti di Rialto”, ricalca quello utilizzato per restituire un’immagine complessa del panorama. Grazie alla scatto quasi simultaneo di due fotocamere unite da un braccio meccanico è stato possibile catturare gli sguardi dei passanti in una veloce sequenza di immagini. Questi ritratti doppi che differiscono tra loro per tecnica, tempi di posa, zoom e movimenti, sono stati successivamente riuniti in dittici fotografici e proposti in bianco e nero. La scelta cromatica è un vero e proprio escamotage simbolico-figurativo grazie al quale l’autore distingue il proprio punto di vista, il panorama, dalla rappresentazione di quello degli osservatori, conservandone l’aspetto dialogico.

Come tributo al 50esimo della scomparsa di Alberto Giacometti e in ricordo della sua partecipazione alla Biennale del 1956 con la Femme de Venise, saranno presenti due sue opere appartenenti alla collezione di The Boga Foundation: Donna che cammina e Nudo in piedi. L’eclettica creativa dei Boga, attraverso le loro visioni post-moderne e surreali, trova infatti preziosa fonte di ispirazione dall’opera di Giacometti.

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Attraverso le sculture della linea Homini by Boga presenti in mostra, gli osservatori ritratti nei dittici di Massimiliano Farina trovano una parallela rappresentazione materica, proiezione silenziosa dell’essere umano. La duplicità espressiva di Rivus Altus rivela così un’eccezionale interconnessione con l’arte forgiata dai Boga, parte integrante dell’installazione.

L’Homino dei Boga è l’essenza dell’essere umano e con il suo contorno sottile, impreciso, fallibile e grezzo osserva l’orizzonte. L’Homino è “abitante di Rialto”, guarda lo scorrere del tempo muovendosi attraverso l’idea progettuale e prende vita con un segno libero che ne determina i confini, trascendendoli. In occasione della mostra sarà presentata la nuova collezione Homini – The Last Supper e l’opera Il Gelataio.

RIVUS ALTUS |  10.000 frammenti visivi dal ponte di Rialto a Venezia
con il contributo artistico di The Boga Foundation, il patrocinio del Comune di Venezia e dell’Università IUAV

8 Ottobre – 27 novembre 2016  Centro Culturale Don Orione Artigianelli | Zattere Dorsoduro 909/A – 30123 Venezia

7 ottobre h.12.30 press preview – h.18.30 inaugurazione

ORARI: Tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 20 | INGRESSO GRATUITO

SOCIAL MEDIA: Facebook: https://www.facebook.com/ilpontedirialto Instagram: https://www.instagram.com/maxfarina   hashtag ufficiali: #rivusaltus #pleasemyfriendgivemethemoney
THE BOGA FOUNDATION: http://thebogafoundation.it/ Facebook: https://www.facebook.com/quandoilpensierosuperailgesto
SONORIZZAZIONE: Sursumcorda
MEDIA PARTNER: Hestetika
PARTNERS:  AimOne  –  ArT – Za
SPONSORED BY: NOVACOLOR  –  Habitare – Idee Culturali  –  Mllo Architects
CONCEPT, SET UP AND COMMUNICATION: Farina Zerozero




“LETTERE DA BERLINO”: UN CAPOLAVORO DI REGIA E INTEPRETAZIONE

di Elisa PediniDal 13 ottobre al cinema, “LETTERE DA BERLINO”, il toccante film dell’attore e regista svizzero Vincent Pérez. La pellicola è tratta dal libro “Ognuno muore solo”, di Hans Fallada, che, a sua volta, nasce da una storia vera: da un dossier della Gestapo su una coppia di coniugi come tanti, due operai, Otto ed Elise Hampel, giustiziati nel 1942 per aver diffuso materiale anti-nazista. Una regia, magistrale e sapiente, trasla in linguaggio cinematografico, la vita di questa famiglia berlinese e tutto quello che consegue dalle loro azioni. “Lettere da Berlino” è un film profondo, coinvolgente, intelligente, da non perdere e da gustare sin dalla prima inquadratura. La trama, purtroppo, è storia e sappiamo già come va a finire, inutile illudersi che dentro un regime ci sia spazio per le idee, per l’individuo, per il dolore. Tuttavia, tanto per il libro quanto per il film, è come il materiale viene trasmesso al pubblico che conta. Qui, la regia, gioca un ruolo fondamentale. Si prende sulle spalle la pesante responsabilità di farsi muta relatrice d’un nazismo, che non è quello dei lager e delle stragi di massa, ma è quello dello stillicidio quotidiano, giocato tra terrore, delatori, umanità e vita di tutti i giorni della gente comune. Caratteristica primaria e geniale di “Lettere da Berlino”, è che la telecamera è sempre l’occhio dello spettatore, sempre. Le emozioni inconsce, che si provano, guardando questo film, sono, esattamente, le stesse, che si provano di fronte alla Storia: dolore, rabbia e soprattutto, impotenza. Quello che sta davanti ai nostri occhi è già accaduto, in un passato, che non è remoto, ma, che, è comunque “stato” e come tale, è immutabile. La telecamera è l’occhio impotente di chi guarda. Sfruttando tutta la gamma delle inquadrature, il regista relega lo spettatore, lì, sulla sua poltroncina. Essere umano e testimone, muto, della stessa violenza umana, senza scampo e senza diritto di replica. Persino nei dialoghi tra i personaggi, il punto di vista è sempre quello dello spettatore. Un occhio che indaga, che scende nello sguardo dei protagonisti e da lì nell’anima, disperata e disperante, di chi ha perso il bene più caro; ma, proprio in questa perdita, ritrova la sua dignità, la sua identità d’individuo, la sua libertà. Tuttavia e qui subentra il tocco del genio, quella telecamera, rapida entra in soggettiva nei momenti cruciali, nei momenti interiori, quelli che, la Storia, non può raccontarci, ma l’anima, si. Ora, vi prendo per mano e vi porto nel film, proprio dal punto di vista tecnico, solo l’inizio, lo spazio non mi concede d’indulgere oltre, né posso stressare la vostra pazienza; ma, mi piace che, davanti al grande schermo, voi ritroviate queste parole e prestiate attenzione alle emozioni interiori e al lavoro della telecamera. Il film si apre con un bosco dalla vegetazione lussureggiante, d’un verde brillante. Una brezza, leggera e calma, accarezza gli arbusti. Quiete e un dolce stormir di fronde. Un sorriso affiora sulle labbra, perché è una sensazione di pace profonda, quella che il nostro cervello registra. Ma i tempi sono ben calibrati: nell’esatto istante in cui, questa emozione viene realizzata, la corsa disperata d’un soldato, giovane e bellissimo, squarcia quel silenzio, devasta quella quiete. Poi, uno sparo e un altro e quella vita, si spezza. Cade rivolto al cielo. Mentre la battaglia impazza, l’inquadratura “muore” sullo sguardo d’una giovane vita che finisce e che vola fra le cime degli alberi, che non sono più quiete, ma agitate e sbattute da un vento forte. È il vento della guerra, che si combatte ai loro piedi. Quegli alberi sono come noi: testimoni impotenti. Intanto, a Berlino, gli strilloni gridano alla vittoria. La Francia è stata battuta e il Reich impera. Festa per le strade. Euforia. Non per tutti. La postina Kluge sta andando a recapitare una lettera della posta militare, battuta a macchina. È per la famiglia Quangel. Lo spettatore è sempre lì, a fare da censore muto del dolore, che trascina la postina sulla sua bicicletta, verso la casa dei Quangel, persone che lei conosce e cui deve recapitare la peggiore delle notizie. Per lo spettatore è chiaro che ha a che fare con quel ragazzo morto. È qui, che si comincia a deglutire a fatica. Anna Quangel va ad aprire e ritira la lettera. Trema, ha già capito. Come noi, del resto. Noi, spettatori, che alla morte del figlio abbiamo assistito. Noi, che c’eravamo. Va in cucina, una stanza illuminata, ma i colori sono freddi. Non il maglione di lei, non il cuore d’una madre. Dal buio dell’altra stanza, arriva Otto, il marito. Dal buio alla luce. Dal silenzio al grido. La telecamera entra in soggettiva e diventa gli occhi di Anna, sulle sue mani tremanti di madre, che straccia la busta e legge. Hans, il loro unico figlio, è morto. Da eroe, dice la missiva, per il Führer. Ma questo, non può dare conforto a due genitori. Anna e Otto, non sono iscritti al partito, ma, come tutti, devono convivere col regime. Otto è capo officina in una fabbrica di bare, dove troneggia il poster propagandistico all’arruolamento. Il primo piano americano ci mostra un Otto, attonito e devastato, di fronte a quella scritta: «Auch du» (anche tu). Come la Fenice rinasce dalle sue ceneri, così, Otto e Anna, dalla morte interiore, riaffermano il loro diritto alla vita, alla libertà. Per Otto e Anna, è giunto il tempo della verità. La trasformazione interiore di quest’uomo è scandita magistralmente. Le soggettive, che v’invito a notare con particolare cura, come, per esempio, quella di Otto sul libro del figlio e sulla cartolina del Führer, che diventa «Der Lügner» (il bugiardo), servono proprio a portarci dentro l’anima dei due protagonisti, ad andare oltre la Storia. Otto e Anna cominciano la loro rivoluzione silenziosa. La rivoluzione più temuta da qualsiasi regime: quella delle idee. In due anni, dal 1940 al 1942, scrivono 285 cartoline, la loro «Freie Presse» (stampa libera), che disseminano per Berlino, dapprima negli uffici e poi, ovunque nella città. Quasi tutte, però, finiscono nelle mani dell’ispettore Escherich. Non vi dico altro, ma ci sarebbe tantissimo da dire su questo film. “Lettere da Berlino” è un capolavoro che va visto. Il finale simbolico, ci passa un messaggio forte e preciso: le idee non muoiono mai e scavano solchi profondi. Il pensiero è l’unica caratteristica, squisitamente umana, che può volare. Infatti, proprio come gabbiani, le idee turbinano nel loro volo libero.

La fotografia, affidata al maestro Christophe Beaucarne (Tournée, Coco avant Chanel-l’amore prima del mito, Dio esiste e vive a Bruxelles), incanta come sempre. Semplicemente impeccabile e non avrebbe potuto essere diversamente, l’interpretazione d’un grande cast: Emma Thompson nel ruolo di Anna Quangel, Brendan Gleeson in quello di Otto Quangel e Daniel Brühl nella parte dell’ispettore Escherich.

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“DOMANI”: il futuro è possibile

di Elisa PediniDal 6 ottobre nelle sale cinematografiche italiane, “DOMANI”, l’importante film sul nostro futuro, per la regia dello scrittore francese Cyril Dion e dell’attrice e regista Mélanie Laurent. Pellicola intelligente, coinvolgente, comprensibile, incisiva. “Domani” va visto, assolutamente. Ci chiama in ballo tutti e ci mostra in modo, a dir poco, inequivocabile, che tutti noi, ma proprio tutti, possiamo e dobbiamo, fare qualcosa. Il nostro pianeta è la nostra casa. Saremmo l’unica specie animale, con pretese di superiorità, tra l’altro, che si auto-estingue. In tanti anni di carriera, non mi era mai successo che, alla fine d’una programmazione per la stampa, la platea esplodesse in un applauso spontaneo e unanime. Eppure, tant’è. Questa è una pagina di critica cinematografica, dunque, non indulgerò in commenti che esulino da tale contesto, ma, fedele a me stessa, non vi lesinerò la verità, per cruda ch’essa sia. Sono lieta d’avere lettori intelligenti, che sapranno trarre le loro conclusioni e andranno a vedersi il film per iniziare, da oggi, a costruire il “Domani”. Dagli ultimi studi scientifici, la situazione del nostro pianeta è apparsa inquietante. L’uomo sta giungendo all’autodistruzione di se stesso. Quello che ha preoccupato maggiormente gli studiosi e che ha spinto i registi a dar vita a questo incredibile prodotto cinematografico, è la totale indifferenza della gente. Se, fino a ieri, la scusa era quella di dire che mancava l’informazione, bene, oggi, ve la stiamo dando: i miei colleghi ed io, in prima persona e i registi per mezzo di questo film. Vi avviso subito che non è un film per ambientalisti, ma per “cittadini”, che è molto diverso. “Domani” è una pellicola intelligente, che ci obbliga a prenderci le nostre responsabilità sulle spalle, senza alibi e con coraggio. I cambiamenti che stanno avvenendo alla nostra terra sono rapidi e preoccupanti. Il messaggio di “Domani” è chiaro: se non agiamo subito, tra un paio di decenni, ci ritroveremo come i dinosauri. Mi piace far riflettere sul fatto che, mentre i dinosauri si sono estinti per mutazioni naturali e climatiche del tutto indipendenti dalla loro volontà, noi, ce la saremo andata a cercare. La crescita demografica ha fatto triplicare la popolazione. Siamo in troppi. Il nostro pianeta è stato sfruttato eccessivamente e le risorse naturali sono finite. Mi dispiace informarvi che non è uno di quei film catastrofici da botteghino, è la realtà dei fatti. Mi dispiace, anche, dirvi che gli alieni non c’entrano niente e che sterminarsi tra di noi, non è la soluzione. “Domani” analizza tutti i settori della nostra vita: agricoltura, energia, economia, politica, o meglio, democrazia e istruzione. Dopo aver presentato la situazione attuale del nostro pianeta, il film ci propone, con lucidità e obiettività, le soluzioni, che ci sono e che sono già state adottate. Basta ascoltare e applicare. Personalmente, l’ho fatto, nel mio piccolo, il giorno dopo aver visto il film. Vi porterò solo alcuni esempi tratti dal film, ma le frasi le riporterò fedelmente. Cominciamo, per esempio, riflettendo su quanto possiamo fare in campo “agricolo”. Ammetto che ignoravo che il 70% del cibo fresco ci provenisse dai piccoli agricoltori, perché, in realtà, l’agricoltura industriale non è assolutamente in grado di rispondere ai fabbisogni poiché depaupera il suolo e dunque, le colture non possono essere variegate. A Detroit, hanno dato una svolta. I cittadini, piuttosto che andarsene e abbandonare la città, si sono rimboccati le maniche, dando così vita all’«agricoltura urbana». Hanno cominciato a coltivare le aree abbandonate, i giardini tra le case, le aiuole. I terreni incolti sono stati dati in gestione alla popolazione, che, con amore e dedizione, se li coltiva. «Bisogna cominciare da dove si è: dalle proprie case, dalle proprie strade. Solo così si può cambiare.», ci dice una signora. Oggi, hanno tutti i cibi freschi in tavola, a disposizione gratuitamente di tutti e a km0. Certo, «ci vuole una gran forza di volontà, non è un lavoro facile, è duro, ci si sporca e va conciliato con la vita di tutti i giorni.», afferma un ragazzo. Magnifico, ho pensato, basterebbe un po’ di senso civico in più e si potrebbe fare anche qua. Posso dirvi che io ho un piccolo balconcino, fino a ieri del tutto inutile, che è diventato la sede del mio piccolo “orto urbano”, perché nel film spiegano i principi e danno le fonti per approfondire. Parliamo, ora, di energia. Il cambiamento climatico dovuto all’inquinamento, sta mutando radicalmente il ciclo dell’acqua, con conseguenze catastrofiche. «Sole, acqua, vento, geotermia sono tutte fonti d’energia gratuita e inesauribile» per questo «Bastano piccoli operatori per gestire, non servono certo colossi. Basta volere e attivarsi.» Di nuovo, torna il concetto, su cui mi piace insistere: «volere e attivarsi». L’Islanda ha già centrato l’obiettivo: indipendente al 100%. Molti altri sono gli esempi prodotti di chi ce la sta già facendo, o di chi, per esempio, potrebbe farcela benissimo. V’invito a fare molta attenzione a ogni singolo intervento. Le riflessioni che solleva il film, fotogramma dopo fotogramma, sono innumerevoli e davvero importanti. Soprattutto, per noi, per la nostra realtà nazionale. Molto interessanti e istruttivi anche gli aspetti dell’economia e dell’imprenditoria, che vi lascio scoprire; mentre, mi piace attirare la vostra attenzione su quanto vedrete relativamente al concetto di “democrazia” e agli esempi apportati. Vi cito solo due frasi: «Dobbiamo tutelare l’unico potere che abbiamo: quello popolare» e «Troppi soldi e troppo potere sono deleteri e portano alla corruzione». Qui, una riflessione in nome del popolo sovrano, direi, che sia piuttosto obbligatoria. V’invito, in particolare, a prestare attenzione alla realtà islandese. Concludo, con un altro aspetto d’estrema d’importanza: l’istruzione. «Non siamo un paese ricco, la nostra forza è l’istruzione». Ecco, è su questa frase che vi lascio riflettere e che rinnovo l’invito a non perdere, assolutamente, questo film. Lasciatevi prendere da una fotografia decisamente seducente, ridete delle battute, fatevi sedurre dalle idee, ma soprattutto, riflettete e laddove possiate, agite. Mi piace pensare un “Domani” per i nostri figli, che comincia dal nostro «volere e attivarsi», oggi.

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La Breaking Art di Alex del Santo al MONO Bar

La Breaking Art di Alex del Santo apre la stagione artistica del MONO Bar di Milano.

Dal 4 al 19 ottobre, le pareti del MONO Bar mostreranno la street art di Alex del Santo: immagini shock-pop-punk, pezzi unici, tumultuosi ed estremamente originali, stampati su carta patinata.

Le ispirazioni vengono dal rock’n’roll duro e da icone senza tempo come Stonehenge, i Clash, la Monnalisa, i lipstick e i brand, le religioni, le dittature e il terrorismo del nostro tempo. Tematiche rinnovate nella creazione di “un tutto analogico, un ritaglio, una maniacale ricerca di accostamenti che solo oggi – spiega l’artista – riconosco come un’ossessione che mi ha spinto già da molti anni a spedire i miei lavori ad amici in giro per il mondo, esclusivamente via posta”.

Alex del Santo è uno street artist nel vero senso del termine. La sua arte pungente ed attuale nasce per strada, tra la gente, cercando ispirazione tra i vizi e le virtù della società. Le sue creazioni smuovono le coscienze e oltre al divertimento immediato, suscitano una riflessione. I riferimenti iconoclastici e sessuali sono la matrice fondamentale dei suoi lavori provocatori e dirompenti che in un modo quasi punk risvegliano le pulsioni primordiali di chi li guarda.

La Breaking Art, della quale è fondatore Alex del Santo, è l’arte del recupero della carta, unita alla ricerca maniacale di accostamenti cromatici pop, che regala nuova vita ad oggetti ed immagini che assumono forme e significati dove contraddizione e provocazione si intrecciano costantemente. Un’arte suonata e creata dalle dita del corpo e dell’anima, oltre il surreale nascosto, per fare emergere il subliminale nella coscienza di tutti i giorni.

Le opere di Alex del Santo rimarranno in mostra al MONO Bar dal 4 ottobre al 19 ottobre 2016.

Inaugurazione mostra: martedì 4 ottobre ore 18:30.

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MONO Bar

Via Lecco 6 
- Milano

Tel. 339 4810264

FB/ MONO Bar




Ehud Ettun Trio a Milano. Quando il jazz si fonde con le sonorità ebraiche

Dopo un trionfante tour di concerti in tutto il mondo, con tappa, da ultimo, al prestigioso e rinomato Seul Jazz Festival, EHUD ETTUN TRIO torna in Italia, grazie anche alla sponsorizzazione dell’Ambasciata Israeliana e all’Associazione Italia Israele di Milano.

Il gruppo musicale israeliano si esibirà per la prima volta a Milano, presso il Conservatorio Giuseppe Verdi, giovedì 6 ottobre, in un concerto di musica jazz contaminata da sonorità tipicamente ebraiche.

I giovani talenti del jazz internazionale Ehud Ettun (contrabbasso), Daniel Schwarzwald (pianista) e Nathan Blankett (batterista), suoneranno gratuitamente per il pubblico milanese il 6 ottobre e poi saranno a Roma (il 7 e 8 ottobre) presso il tempio del jazz Alexanderplatz Jazz Club.

I tre giovani musicisti hanno una formazione è un percorso di vita molto simile: tutti e tre sono nati e cresciuti in Israele, hanno cominciato a suonare da giovani, si sono conosciuti andando a concerti e hanno deciso di suonare insieme. La formazione internazionale li ha portati molto lontano! Infatti con la loro musica rappresentano la tendenza di un jazz fluido, organico e fortemente improvvisato. Un jazz che viene contaminato dalle esperienze, dai viaggi e dalle persone che si incontrano sul proprio cammino.

Continueremo a essere creativi, a registrare musica e a suonare” ha dichiarato Ehud Ettun su Hindu in occasione del tour in India “E continueremo ad avere l’idea che la curiosità e la diversità rende il mondo un posto migliore. Speriamo di fare qualcosa di sociale grazie alla nostra curiosità. Il mondo diventa più stimolante accettando le diversità. La musica può essere un modo di unire le persone quando tutto il resto fallisce“.

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EHUD ETTUN TRIO in concerto

giovedì 6 ottobre – ore 20.45


Conservatorio “Giuseppe Verdi” – Sala Puccini


via Conservatorio, 12 – Milano

INGRESSO LIBERO

per informazioni:

Italiaisraele.MI@libero.it




HI>Dance 2.0 Dance&Technology, la danza internazionale si dà appuntamento ad Aosta

Dal 13 al 16 Ottobre per 4 giorni il capoluogo valdostano ospiterà il festival internazionale della nuova danza. Una rassegna aperta sul mondo tecnologico che ci circonda

di Lea ValliDal 13 al 16 Ottobre Aosta diventa capitale della danza con il Festival HI>Dance 2.0 Dance&Technology: spettacoli, performance-installazioni, workshop e conferenze accademiche, feedback e dj set per celebrare la musa Tersicore e per indagare le dinamiche della società contemporanea, l’avvento di social media e nuove tecnologie ed il loro impatto sull’arte e sulle relazioni sociali, il ruolo del corpo.

Festival internazionale della nuova danza, animerà la Cittadella dei Giovani di Aosta e vedrà coinvolti non solo artisti, tecnici, scenografi ma la città tutta: gli Aostani saranno veri padroni di casa ospitando gli artisti che si esibiranno da giovedì a domenica.

Gli organizzatori stanno inoltre cercando volontari da coinvolgere a diversi livelli: dall’assistenza nell’allestimento dei luoghi del festival all’ accoglienza artisti, partecipanti ai workshop e spettatori. Tra le figure ricercate dall’organizzazione anche autisti per coadiuvare gli spostamenti interni alla regione ed i collegamenti con gli aeroporti (la segreteria del festival sta raccogliendo in questi giorni le candidature come volontari e host: per informazioni scrivere a hidancefest@gmail.com o chiamare il 3406809047 / 3283986434.

In cartellone in anteprima nazionale i danesi Granhoj Dans in Petruska-Extended. Tra i nomi di spicco la coreografa svizzera Cindy Van Acker, in scena con Helder (sabato 15 alle 20,15) e Roberto Castello dello storico gruppo di Carolyn Carlson alla Fenice di Venezia. Scomodo, seminale ed ideologicamente impegnato, Castello è figura di rilievo della danza contemporanea in Italia: ad Aosta presenta insieme all’attore e regista Andrea Cosentino, l’esilarante Trattato di Economia (domenica 16 Ottobre alle 22).

Performance e installazioni sono non solo esibizioni ma riflessione sul denaro e l’arte, sul corpo e la sua ritualità. L’impatto dei social media su arte e spettacolo sarà tema al centro di una conferenza dal titolo Prima e oltre i social media: la creazione dell’inatteso come logica di mobilitazione artistica.

Realizzato con il sostegno della Compagnia di San Paolo, del Consiglio regionale della Valle d’Aosta e patrocinata dal Comune di Aosta, la rassegna vede impegnati nella direzione artistica Marco Chenevier e Francesca Fini, quest’ultima ideatrice della manifestazione nella sua prima edizione romana.

Il festival vuole essere un percorso teso a creare un legame tra le nuove generazioni di cittadini, gli artisti ed il territorio valdostano. Apertura, partecipazione e condivisione sono alla base delle varie declinazioni che il Festival avrà tra giovedì 13 e domenica 16 Ottobre. Tra i momenti di incontro merita attenzione l’originale momento del feedback aperò che si terrà il secondo ed il terzo giorno del festival e nel corso del quale il pubblico e gli artisti si potranno confrontarsi direttamente sugli spettacoli visti in rassegna.

Una rassegna diffusa e condivisa che ha lo scopo di contrastare l’imperante consumismo che caratterizza l’arte performativa dei nostri giorni.

L’organizzazione ha invitato gli artisti a rimanere in città per tutta la durata della manifestazione al fine di creare, insieme al pubblico e alla cittadinanza, una vera comunità critica e partecipativa.

Tutte le info su http://www.tidaweb.net/it-it/hidance

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L’intramontabile Rocky Horror del cinema Mexico

di Giuliana Tonini – Il 14 ottobre riprenderà la programmazione del Rocky Horror Picture Show al cinema Mexico di Milano. L’appuntamento sarà, come di consueto, il venerdì sera alle 22. Le date, nel corso dell’anno, si potranno consultare sul sito www.cinemamexico.it.

È dal 1981 che la sala di via Savona porta in scena l’originale rappresentazione interattiva in cui, mentre viene proiettato il film sullo schermo, sul palco un gruppo di attori, vestiti e truccati come i personaggi del film, recita, canta e balla in contemporanea con le scene che scorrono sullo schermo.

Per chi non lo conoscesse, il Rocky Horror Picture Show è il film musical cult del 1975 diretto da Jim Sharman, trasposizione cinematografica dello spettacolo teatrale di Richard O’Brien, che aveva sbancato i botteghini dei teatri di Londra e Broadway.

È la storia di due fidanzati, Brad e Janet, borghesi, pudichi e perbenino che, mentre sono in viaggio, dopo il rito del regalo dell’anello di fidanzamento, bucano una gomma durante un temporale e finiscono per chiedere aiuto bussando alla porta di un inquietante castello. È il castello del dottor Frank-n-Furter, il travestito in guepiere, calze a rete e tacchi vertiginosi, incontrovertibilmente macho nonostante gli abiti femminili, interpretato da Tim Curry, dalla voce e dalla presenza formidabili. In una parodia della storia di Frankenstein, lo scienziato Frank-n-Furter sta lavorando alla creatura Rocky, un biondo uomo oggetto, palestrato e volutamente decerebrato, e ha convocato nel suo castello illustri personaggi da tutta la Transilvania per farli assistere alla nascita della sua creazione. I fidanzatini si trovano così catapultati in un mondo in cui il concetto di ‘normalità’ è completamente sovvertito e in cui, davanti a Frank-n-Furter e alla sua corte di unconventional conventionalists, i diversi sono loro. La notte, piena di grottesche avventure, passata nel castello transilvano porterà Brad e Janet alla scoperta di un proprio sé insospettabile, fino ad allora messo a tacere dalle convenzioni sociali.

Il film, come prima lo spettacolo teatrale, è stato un successo. La sua carica allegorica, volutamente e irresistibilmente kitsch, ha conquistato il pubblico e sono subito cominciate negli Stati Uniti le proiezioni serali del sabato, a mezzanotte, dove tuttora gli spettatori vanno vestiti e truccati come i personaggi del film.

È su questa onda che, nel 1981, Antonio Sancassani, il proprietario del cinema Mexico, ha fatto della sala cinema milanese una Rocky Horror House. Una delle cinque Rocky Horror House al mondo e, a giudizio di molti, una delle migliori.

Nel cinema d’essai che oggi è, orgogliosamente, l’ultimo monosala rimasto a Milano, da 35 anni periodicamente si svolge il rito del Rocky Horror Picture Show. Perché di vero e proprio rito si tratta, cui assistere più e più volte, divertendosi sempre come pazzi.

Prima di ogni rappresentazione, quelli che assistono allo spettacolo per la prima volta – i vergini, come vengono appellati dal Diabolical Plan, la compagnia di attori amatoriali – vengono invitati ad alzare la mano, e sono sempre pochissimi. È a loro che viene spiegato con quali battute e con quali gesti partecipare allo spettacolo. Perché il pubblico interagisce.

E così ogni volta che viene nominata Janet Weiss si deve ripetere ad alta voce il suo cognome, il nome di Brad viene sempre accompagnato da un bel asshoooooooole, il dottor Scott da un uh! e così via. Al pubblico viene fornito dai Transilvani che girano per la sala il diabolical kit, un sacchetto che contiene, ad esempio, il riso da lanciare durante la scena del matrimonio degli amici di Brad e Janet, il giornale da mettersi in testa come fa Janet sotto il temporale, il guanto di lattice da fare schioccare in contemporanea col dottor Frank-n-Furter, la carta igienica da sventolare durante la scena della ‘nascita’ della creatura Rocky,…

Lo zoccolo duro del pubblico non ha bisogno di nessuna spiegazione. Molti fan partecipano ad ogni rappresentazione, conoscono a memoria ogni battuta e ogni canzone, e seguono tutto le spettacolo ripetendo le battute e cantando. Ma anche per chi non sa le parole, quando è il momento della canzone Time Warp è ‘vietato’ non alzarsi e non ballare il celeberrimo brano seguendo i passi degli attori sul palco e sullo schermo. Oltre a questa hit, il musical di Richard O’Brien offre molti altri pezzi indimenticabili, tra cui Science Fiction – Double Feature, Damn it Janet, Sweet Transvestite – il pezzo con cui Frank-n-Furter fa la sua grande entree – Rose Tint My World, I’m Going Home, e il significativo Don’t Dream it, Be it, il motto del Rocky Horror Picture Show.

Tra il pubblico, chi vuole si sbizzarrisce indossando le mise più disparate. Il minimo sindacale sono una parrucca di un colore sgargiante e un altrettanto sgargiante boa di piume di simil struzzo. Poi si vedono calze a rete, cappelli con gli strass, grembiuli alla Magenta (uno dei personaggi), uomini con parrucca e camice verde, ragazze che festeggiano l’addio al nubilato e chi più ne ha più ne metta.

E gli spettatori del Rocky Horror Picture Show sono di tutte le età. Si va da ragazzi e ragazze giovanissime a chi era ragazzo quando il film è uscito più di quarant’anni fa.

Insomma, assistere al Rocky Horror Picture Show è divertimento puro.

La compagnia del Diabolical Plan è composta da attori non professionisti che hanno in comune la grande passione per il Rocky Horror Picture Show e da anni si divertono a rappresentare i loro personaggi preferiti. Frank-n-Furter, il protagonista assoluto, l’antieroe egocentrico, cinico e perverso che però affascina e conquista il pubblico, da 7 anni è interpretato dal formidabile Andrea Alletto, in una performance sorprendente.

Last but not least, lo scorso aprile la Bocconi Live Performance Students Association – BLPSA ha tenuto presso l’OpenSide dell’Università Bocconi di Milano una conferenza, con la partecipazione di Andrea Alletto, sul caso manageriale del cinema Mexico come fortunata Rocky Horror House.

Ci vediamo al Mexico.

Dove, quando e a quanto:
Dove: cinema Mexico, via Savona 57, Milano
Quando: il venerdì sera alle 22 (per le date, consultare il sito internet)
A quanto: 6 euro.
Sito internet: www.cinemamexico.it
Pagine Facebook: Cinema Mexico e Diabolical Plan
Fan club: www.rockyhorroritalianfans.it




The Wall Live Orchestra: rivive il capolavoro dei Pink Floyd in una spettacolare messa in scena

Un graditissimo ritorno al Teatro della Luna, dopo il successo ottenuto nel 2013: “The Wall Live Orchestra”.

The Wall, il concept album e film del 1979, riproposto oggi a più di trent’ anni di distanza, ha un impatto straordinario, poiché è  l’album più orchestrale dei Pink Floyd. L’album venne pubblicato il 30 novembre 1979, preceduto dal singolo “Another Brick In The Wall”, che raggiunse rapidamente il primo posto in tutto il mondo e fu bandito dai regimi del Sudafrica e della Corea del Nord per il suo messaggio antiautoritario. Il successo del 33 giri fu ugualmente grandioso con più di 30 milioni di copie vendute.

Il progetto di realizzare uno spettacolo live di The Wall prende piede nell’agosto 2010. Il trentennale del disco simbolo della band si avvicinava, sarebbe stato necessario preparare uno spettacolo originale, in cui alla cura delle musiche e delle orchestrazioni originali venisse unita la maestosità di un nuovo arrangiamento orchestrale di grande impatto, dove all’attenzione verso il sound ed il light design fosse unita la possibilità per ogni spettatore di sentirsi vicino al palco, se non addirittura sul palco, grazie all’utilizzo di una vera e propria regia live.

Dal 2012 “The Wall Live Orchestra” riscuote notevole successo in Italia e all’estero.

The Wall è un concept album, una vera e propria opera rock, basato sul personaggio di Pink, una rockstar che durante un massacrante tour sta consumando il rapporto con la moglie. Nelle lunghe giornate passate in solitudine in una anonima stanza di albergo tra un concerto e l’altro, Pink, nel vano tentativo di mettersi in contatto con la moglie, rievoca i fantasmi della sua esistenza: la morte del padre in guerra, l’infanzia difficile stretta tra l’atteggiamento iper-protettivo della madre e l’indottrinamento da parte di professori psicopatici. Simbolicamente le difficoltà e i traumi esistenziali di Pink vengono rappresentati come mattoni che vanno a costruire un muro di isolamento. Alla fine Pink affronterà introspettivamente i propri traumi fino ad arrivare alla caduta del muro che lo riporterà a contatto diretto con i propri simili.

Lo show si avvale della regia di Emiliano Galigani e della direzione orchestrale di Simone Giusti.

I biglietti sono in vendita in tutti i punti vendita TicketOne, on line su www.ticketone.it e telefonicamente al numero unico nazionale 892.101 (numero a pagamento).

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Venerdì 30 settembre ore 21

THE WALL LIVE ORCHESTRA

Teatro della Luna
Via G. di Vittorio, 6
20090 Assago (MI)
M2 linea verde – fermata Milanofiori Forum
Tel. +39 02 48857 7516
www.teatrodellaluna.com

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La Cittàbalena: quando il teatro “mangia” la città.

La stagione 2016/17 di Teatro i inizia, il 21 settembre, con il format La CittàBalena: il teatro che fagocita la città. Per il terzo anno consecutivo Teatro i propone, con il sostegno di Fondazione Cariplo, questo nuovo modo di programmare la stagione, tanti spettacoli, fuori e dentro il teatro, accostamenti inediti e incontri inaspettati.

La CittàBalena sono 20 giorni di programmazione, 7 compagnie ospitate per un totale di 15 spettacoli: un’occasione unica per essere bombardati e folgorati da una fitta serie di appuntamenti imperdibili.

Finalmente a Milano arrivano le Metamorfosi di Roberto Latini, nove episodi ispirati da Ovidio e spinti, nel linguaggio e nei temi, sino all’attualità del contemporaneo, quindi Giro di vite, tratto dall’inquietante racconto di Henry James con la regia di Valter Malosti, già diverse volte ospite a Teatro i, e la straordinaria prova d’attrice di Irene Ivaldi; Sorry, boys, il nuovo attesissimo progetto sulle Resistenze femminili, della talentuosa Marta Cuscunà, per la prima volta a Teatro i, Alluvioni di Elena Guerrini, un reportage quanto mai attuale da un’Italia “di monnezza, profughi e bufere” e poi ancora la sperimentazione performativa di Circolo Bergman in Calcografia (produzione Teatro i), una delle più interessanti realtà contemporanee milanesi insieme al  collettivo snaporaz, che continua il percorso di ricerca Heartbreak Hotel, e alla Compagnia CampoverdeOttolini che, con DI A DA (produzione Teatro i), indaga la progressiva deresponsabilizzazione delle nostre esistenze.

Per maggiori informazioni sulla programmazione e sul calendario: www.teatroi.org

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TEATRO i

via Gaudenzio Ferrari, 11 – Milano

tel. 02/8323156 – 366/3700770

biglietteria@teatroi.org www.teatroi.org

Biglietti
Sala #Teatro i | dai 18 ai 9 euro

Giovedì vieni a teatro in bicicletta | 7 euro

Sala #TeatroiDomani1 e  Sala #TeatroiDomani2
 | 6 euro




LOVE, PEACE, FREEDOM & HAPPINESS – HAIR TRIBUTE. In scena gli anni 60 a Milano

Venerdì 23 settembre, all’Open Air Theatre, Parco Experience EX AREA EXPO MILANO, tornano in vita gli anni ’60, le sue contestazioni e rivendicazioini: LOVE, PEACE, FREEDOM & HAPPINESS.

Stiamo parlando della nuova produzione di MTS – MUSICAL! THE SCHOOL: HAIR TRIBUTE, con la regia di Simone Nardini.

Siamo alla fine degli Anni ’60, i giovani sfilano per le strade del mondo invocando la Pace, scandendo slogan quali “Mettete i fiori nei vostri cannoni”, “Fate l’amore non fate la guerra”, e cantando la pace e la libertà!

E la libertà è un fiore, riesce a sbocciare anche nei campi resi sterili dall’uomo stesso, in una strada di periferia, in una canzone o in un musical.

In quegli anni si formavano gruppi di ragazzi e ragazze che trascorrevano il tempo senza inibizioni e, al grido di “Sesso, droga e Rock’n’Roll”, protestavano contro le sofferenze della guerra. Con un rito iniziatico Sheila e Berger presentano il giovane Claude alla tribù. Tutti credono che sorgerà una nuova era di pace e amore, l’“era dell’Acquario. Berger è il selvaggio e carismatico leader del gruppo, Wolf è responsabile della fornitura di marijuana, Hud è il ragazzo di colore che lotta per l’eguaglianza degli afro-americani, la bella Sheila è innamorata di Berger mentre Jeannie è innamorata di Claude ma è incinta di un altro uomo e la più giovane del gruppo, Crissy non riesce a dimenticare un ragazzo che ha visto una sola volta nella vita. Claude riceve la cartolina per il servizio militare e dovrebbe partire per il Vietnam. E se tutti la bruciano, lui esita. Forse per la paura di eludere la legge e i valori della generazione dei genitori, o forse perché meglio morire da cittadino americano piuttosto che vivere da immigrato in America?

Hair, cult degli anni ‘70, oggi è più che mai l’ideale manifesto delle nuove generazioni che cantano l’alba dell’era dell’Acquario. Oggi, come allora, esistono ancora tanti “Vietnam” e tanti giovani con la voglia di liberarsi dalla schiavitù commerciale della società.

MTS rende omaggio all’opera-rock manifesto del pensiero “hippy”.

Venerdì 23 settembre ore 20.45
Open Air Theatre – Parco Experience EX AREA EXPO MILANO

LOVE, PEACE, FREEDOM & HAPPINESS – HAIR TRIBUTE

una produzione
MTS – MUSICAL! THE SCHOOL
Regia di Simone Nardini

INGRESSO GRATUITO