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La Valnerina e l’Umbria nascosta

Foreste, giardini d’acqua, chiese medievali e castelli leggendari ma anche borghi trasformati in hotel diffusi, palazzi nobiliari,  eremi contemporanei dove trascorrere del tempo solo per sé  e una  distesa quasi infinita di colline puntellate da abbazie e fortezze dove il tempo sembra essersi fermato. Tutto questo è la Valnerina, in Umbria, dove il paesaggio è rimasto quasi lo stesso dei dipinti del Perugino. Il mare dell’Umbria, riproposto nelle time campagne media della regione, sono le distese in tutte le tonalità del verde dove comunque non mancano fresche cascate e ruscelli per rinfrescarsi o fiumi dove praticare rafting e canyoning.  Qui, nel cuore verde d’Italia ci si rilassa tra arte e natura, lasciandosi tentare dalle prelibatezze locali anche percorrendo  itinerari dedicati come strade del vino (come quella del Rosso Sagrantino, il vino “sacro” delle Messe solenni), dell’olio Dop a cui il borgo di Torgiano ha dedicato persino un museo e le infinite vie del tartufo che possono essere percorse lasciandosi guidare nei boschi dai cavatori e dai cani addestrati alla caccia al tartufo. Un’avventura unica in cui apprendere i segreti di un sottosuolo così ricco come quello umbro, che annovera ben sette borghi storici tra le città del tubero, e di una cultura antica, quella “della cerca e dalla cavatura”, dichiarata proprio lo scorso dicembre patrimonio immateriale dell’Unesco.

A meno di venti minuti dal centro di Norcia si entra già nella zona di produzione del Nero Pregiato, tra le eccellenze della gastronomia locale. Eccellenze che spaziano dai formaggi, ai salumi fino ai legumi e che lasciano soddisfatti anche i palati più esigenti.

Una passeggiata a piedi o in bici, magari a pedalata assistita, per esplorare gli angoli più remoti della Valnerina basta comunque a smaltire i peccato di gola. Si può partire dal tracciato che segue la sponda sinistra del fiume Nera, il settimo per portata in Italia, da Sant’Anatolia di Narco e che tocca i borghi dominati da fortezze quasi millenarie di Scheggino, Arrone e Ferentillo dove, all’interno della cripta romanica di Santo Stefano si trova un peculiare Museo delle Mummie. Luoghi del silenzio in cui rivivere le leggende medievali che li pervadono. Il percorso si collega poi con la ciclabile realizzata sul tracciato dell’ex ferrovia Norcia- Spoleto, dismessa nel 1968e oggi simbolo di rigenerazione, e arriva fino alla Cascata delle Marmore, tre salti d’acqua di 165 metri complessivi immersi nei boschi e creati in epoca romana. Da non perdere una tappa a Vallo di Nera, tra i borghi più belli d’Italia e antico avamposto strategico fiume Nera dove ammirare, tra l’altro, gli incredibili affreschi di fine ‘300-inizio ‘400 della chiesa di Santa .aria Assunta recentemente restaurata e riaperta al pubblico dopo l’ultimo sisma.

Un tuffo nelle acque sulfuree dei Bagni Triponzo Terme, conosciute già dai Romani e citate nell’Eneide di Virgilio e una passeggiata al Fonti del Clitunno, un giardino d’acqua dai riflessi smeraldo che per secoli ha ispirato poeti come Properzio a Carducci, rigenerano il corpo e l’anima.

Una base ideale di partenza per immergersi nella storia del territorio sono gli hotel diffusi: antichi borghi medievali ristrutturati in cui le atmosfere delle epoche passate si fondono ai comfort moderni. Come il Castello di Postignano, fondato nel IX secolo lungo la strada che collegava Spoleto, Assisi, Foligno e Norcia e oggi monumento di interesse nazionale.

Ma per chi vuole staccare la spina dal caos della vita quotidiana, nei boschi della Riserva naturale dell’Elmo si può anche scegliere di trascorrere qualche giorno in un eremo contemporaneo, l’Ermito,  una struttura trecentesca restaurata che offre il vero lusso attuale: tempo per sé.




La Valle del Douro: itinerari “di-vini”

Un Portogallo del Nord inedito è quello che si spalanca risalendo la Valle del Douro per scoprire i segreti del Porto, il vino fortificato che ha preso il nome dalla omonima città portoghese dove il prezioso nettare riposa per anni nelle cantine sulle rive, appunto, del Rio Douro.

A Porto, alla foce del fiume, infatti il vino arrivava via fiume sulle tradizionali “barcos rabelos” dai vigneti della Valle del Douro, a un centinaio di chilometri dalla città. Ancora oggi si può percorrere lo stesso itinerario, sfruttando uno dei numerosi voli che collegano gli scali italiani alla città per poi imbarcarsi per una crociera di uno o più giorni lungo il fiume Douro, o affittare un’auto per poi immergersi nella Route 222, ritenuta tra le strade panoramiche più affascinanti in Europa o infine salendo a bordo della Linha do Douro, antica rotta ferroviaria che, ancora oggi, percorre la Valle del Douro da Regia a Tua, lentamente, a 30 chilometri all’ora per potersi concedere il tempo di ammirare il paesaggio circostante.

Nell’attesa di poter risalire la Valle magari fino al confine con la Spagna, il tempo scorre veloce passeggiando sulle strade acciottolate di Porto, tra chiese coperte di “azulejos”, piastrelle di ceramica smaltate e decorate, le variopinte case del Cais da Ribeira, antiche drogherie e la libreria di Lello e Irmao che si dice abbia ispirato le atmosfere di Hogwarts nei libri di Harry Potter. E ci si può subito immergere negli itinerari “di-vini” con protagonista il Porto. Basta infatti attraversare il fiume sul ponte in ferro di Dom Luís I, per esplorare tutti i segreti del “vinho do Porto” nelle cantine di Vila Nova de Gaia, veri e propri i musei capaci di raccontare tre secoli di storia attraverso l’evoluzione di un prodotto iconico. Dalla terrazza di Grahams (www.grahams-port.com), una cantina che risale al 1890, si attende il tramonto sorseggiando un bicchiere di Porto “Ruby” o “Tawny”. La scelta non manca

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A Vila Nova de Gaia ci si può imbarcare giornalmente per risalire il sinuoso corso del fiume fino ai vigneti della Valle del Douro, dichiarati nel 2001 patrimonio Unesco grazie i tipici terrazzamenti che disegnano il paesaggio collinare da godere dai tipici belvedere. Sul fiume si vedono ancora i barcos rabelo, le imbarcazioni  in grado di trasportare il Porto dalle tenute alla foce del fiume. A Peso da Régua si visita il Museu di Douro, a Pinhão è da non perdere la stazione ferroviaria coperta di azulejos con raffigurata la coltivazione dell’uva mentre a Lamego si salgono 600 scalini per arrivare alla Igreja de Nossa Senhora dos Remedios.

Fino a Barca de Alva, la Valle del Douro vitifero costituisce la regione vinicola demarcata più antica al mondo dove l’opera della natura, con il fiume Douro che ha scavato nel tempo valli profonde, si è unita a quella dell’uomo che a sua va ha trasformato le colline di scisto in terreni coltivabili, inclinando i terrazzamenti per ottimizzare gli effetti del sole e della pioggia sugli acini di uva, dando vita a un paesaggio e a un vino unici al mondo.

Qui è piacevole rilassarsi in una delle numerose “Quintas”, un po’ dimore aristocratiche di campagna e un po’ aziende agricole, che dominano sulla valle. Come Quinta Nova de Nossa Senhora do Carmo, una antica magione circondata da centinaia di ettari di vigneti con 11 stanze e un ristorante gourmet. È inoltre possibile organizzare giornate in vigna per la vendemmia, pic-nic tra i filari, degustazioni guidate e perfino diventare enologi per un giorno creando il proprio vino.




Arte e spiagge a Cagliari e dintorni

In questi giorni la Sardegna è un sogno che, per molti, diventa realtà. E visto che spesso l’approdo è Cagliari, raggiungibile dai principali scali della terraferma, perché non lasciarsi tentare per trascorrere qualche giorno in questa città di mare immergendosi a sua atmosfera vivace e nella sua storia secolare? Qui, oltre alla Marina e ai sei chilometri di spiaggia cittadina del Poetto costellati  dai tanti chioschi di pesce, i tesori archeologici da esplorare nei dintorni sono numerosi, così come gli scenari mozzafiato che si incontrano non appena usciti dal centro urbano, magari inoltrandosi lungo la litoranea che si dirige verso Villasimius tra macchia mediterranea, calette nascoste e mare di tutte le tonalità dell’azzurro: dall’acqua marina al blu zaffiro.

Il posto migliore per godersi lo scenario sul questa “città nuda che si alza ripida, alta e dorata” come “un gioiello di ambra che si apre all’improvviso” secondo le parole di D.H. Lawrence, è il Bastione di Saint Remy prima di perdersi, in un continuo saliscendi, tra i quartieri storici del centro, le due torri pisane del 14° secolo, Piazza Palazzo e la cattedrale di Santa Maria Assunta e di Santa Cecilia.

Tappa obbligata per scoprire le tradizioni enogastronomiche dell’isola sono le bancarelle del mercato di San Benedetto o i chioschi di Su Siccu dove assaggiare, in stagione, i ricci di mare, mentre alla Stella Marina di Montecristo, storico ristorante amato da Gigi Riva, è piacevole affidarsi ai titolari lasciandosi guidare tra cannolicchi, capesante e pescato del giorno, da Sabores infine si acquistano le eccellenze artigianali del territorio da riportare sulla.terraferma per gustarsi un pezzetto di Sardegna anche una volta rientrati alla quotidianità.

Da non perdere il museo archeologico nazionale in cui sono custodite le statue dei Giganti di Mont’e Prama a Cabras, un esercito in pietra di guerrieri, arcieri e pugilatori risalenti a oltre tremila anni fa emersi nella necropoli nuragica. A Barumini, a un’ora di macchina da Cagliari, si può poi visitare il nuraghe Su Nuraxi, riconosciuto patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco nel 1997, approfondendo i misteri della civiltà nuragica che alcuni studiosi, a iniziare da Sergio Frau, ritengono possa essere all’origine del mito di Atlantide.

Cagliari è l’avamposto ideale anche per viaggiare nella parte più selvaggia della Sardegna: la costa che va da Punta Molentis a Porto Sa Ruxi, un paradiso caraibico bagnato dal Mediterraneo preservato dall’urbanizzazione da scoprire a piedi, in bici, a cavallo o, meglio ancora, via mare.  Qui, nell’area marina protetta di Capo Carbonara e dintorni, le calette nascoste e le lunghe spiagge di sabbia bianca fine come la cipria si tuffano in un mare cristallino dalle tonalità cangianti dal turchese al verde smeraldo, protette da torri costiere di avvistamento spesso sorte sulle rovine di antichi nuraghi. Un giro a bordo di una goletta o di una barca a vela, permette di scoprire fondali suggestivi, relitti di ogni epoca arenatesi nelle secche e la Madonna del Naufrago di Pinuccio Sciola adagiata dal 1979 sui fondali dei Cavoli a protezione dei naviganti e celebrata, ogni anno a fine luglio, con una processione a mare e una festa che coinvolge i borghi della costa. Cala Caterina, Cala Santo Stefano e Cava Usai sono considerati acquari naturali dove si nuota tra pesci colorati. Con una buona dose di fortuna all’alba e al tramonto si possono avvistare anche delfini e tartarughe a Sud dell’Isola di Serpentara.

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A Is Piscadeddus  si riposa tra le dune, nascosti all’ombra di uno dei ginepri secolari che si affacciano sulla spiaggia, mentre a Campulongu canneti e macchia si spalancano su un lungo arenile sabbioso. Mare e archeologia si sposano a Cuccureddus con il suo sito fenicio prima e romano poi e anche  a is Traias, a breve distanza dalla necropoli di Accu is Traias. Porto Giunco è infine un set cinematografico naturale grazie alla lunga lingua di spiaggia bianca con sfumature di rosa opalino che divide il Mediteranno dallo stagno di Notteri dove svernano i fenicotteri rosa. Da qui superati i piccoli promontori che affiorano dal mare, si prosegue verso Timi Ama, dove il vento e le onde del hanno modellato gli scogli in morbide e voluttuose forme e verso Simius, la spiaggia cittadina di Villasimius che, con i suoi fondali bassi, è ideale per le famiglie. I colori del tramonto diventano infine  incandescenti sulla spiaggia bianca e sulle rocce granitiche di Is Molentis.

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I profumi che hanno fatto la storia: L’ACQUA DI COLONIA

di Claudia Marchini

Ancora oggi sono in molti ad abbinare il nome del profumo più celebre – e anche il più antico – al mondo alla omonima città tedesca, e non potrebbe essere altrimenti. Pochi però sanno che l’Acqua di Colonia racconta una storia in realtà decisamente italiana.

L’origine dell’Acqua di Colonia è legata infatti al nome di tre italiani, tutti originari della Val Vigezzo, in Piemonte, vicino a Domodossola. Il primo si chiamava Giovanni Maria Farina, nato a Santa Maria Maggiore nel 1685, il quale, stabilitosi a Colonia, vi fondò col cognato un negozio di merci varie, fra cui prese un posto notevole e poi esclusivo la cosiddetta Aqua Admirabilis.

Se il Farina stesso abbia inventato la ricetta o se l’abbia ricevuta da altri, non è ben certo. Secondo una leggenda, gliel’avrebbe data un ufficiale inglese reduce dalle Indie. Ma documenti antichi conservati a S. Maria Maggiore additano come probabile inventore di essa Gian Paolo Feminis, merciaio ambulante. Sembra infatti che il Feminis avesse messo a punto la ricetta di un infuso a base di limone, bergamotto, cedro, fior d’arancio, lavanda e rosmarino, macerato in acquavite, che veniva venduto come antidoto a diversi mali (gli furono riconosciute proprietà digestive, epatiche, antisettiche ed analgesiche), che lui stesso chiamò Aqua Admirabilis.

Il Farina perfezionò a sua volta la formula dell’Aqua Admirabilis eliminando i cattivi odori dovuti dall’impiego di acquavite. Ne modificò la formula, ingentilendola, e inizio a distribuirla ribattezzandola con il nome di Eau de Cologne, in onore della città in cui viveva. Il suo profumo fresco contrastava con le fragranze muschiate che si usavano all’epoca. 

“Il mio profumo è come un mattino italiano di primavera dopo la pioggia: ricorda le arance, i limoni, i pompelmi, i bergamotti, i cedri, i fiori e le erbe aromatiche della mia terra. Mi rinfresca e stimola sensi e fantasia”. (Giovanni Maria Farina, 1708)

La sua enorme fortuna fu la terribile guerra dei sette anni (1756-1763) che vide coinvolte Prussia e Inghilterra contro la coalizione formata da Austria, Francia e Russia. Al termine del conflitto, infatti, tutti i soldati francesi impegnati sul suolo prussiano, facendo ritorno in patria, passarono per Colonia e non mancarono di acquistare la ormai famosissima Eau de Cologne.

Morendo celibe nel 1766, Giovanni Maria Farina lasciò erede l’omonimo nipote e figlioccio, da cui discendono i Farina gegenüber dem Jülichs-Platz, che hanno ereditato il segreto di fabbricazione e difendono accanitamente il loro diritto contro gli innumerevoli contraffattori. (Pensate che nel 1794 vi erano a Colonia 15 ditte che fabbricavano acqua di Colonia, di cui 4 col nome di Farina; nel 1865 le ditte Farina erano ben 39!). 

Come tutti i prodotti di successo infatti, anche l’Acqua di Colonia venne presto riprodotta e imitata: questo fenomeno generò numerose dispute, sia per quel che riguarda la formula, sia tra i vari discendenti (veri e supposti) della famiglia Farina, in Germania e all’estero. E se la formula del profumo poteva essere copiata dalle pagine di numerosi manuali di profumeria – che cominciavano a diffondersi in quegli anni in Europa – le battaglie legali sui diritti e sui profitti non accennavano a placarsi.

Il concorrente principale del prodotto originale nacque in Germania nel 1804, quando Wilhelm Mulhens acquistò la licenza del prodotto «Acqua di Colonia e Farina» da uno degli innumerevoli pseudo-parenti di Giovanni Maria.

Nel 1806 un altro componente della famiglia Farina, tale Gian Maria Giuseppe, si trasferì a Parigi, dove cominciò a produrre e vendere la famosa fragranza. Nel 1840 cedette l’azienda a Monsieur Leon Collas che a sua volta, nel 1862, la rivendette ad Armand Roger e Charles Gallet, per una cifra all’epoca considerata astronomica…Questi nomi vi dicono qualcosa? Ebbene sì, stiamo proprio parlando dei fondatori del marchio Roger&Gallet, che acquisirono la licenza per produrre e vendere l’Acqua di Colonia Farina, rinominata poi Eau de Cologne Extra Vieille.

Nel 1880 R&G citarono in giudizio la famiglia Mulhens per l’uso improprio dei nomi «Farina» e «Colonia», per cui nel 1881 i Muhlens cambiarono il nome del loro prodotto in Kölnisch Wasser 4711, dal numero civico della loro abitazione a Colonia, dove avveniva anche la produzione.

Ancora oggi, l’acqua di Colonia originale Jean Marie Farina si contraddistingue per una spiccata presenza di bergamotto nella formula, rispetto alle concorrenti Kölnisch Wasser 4711 e Roger&Gallet, dove invece prevale l’aspetto floreale fresco dato dal neroli, un’essenza ricavata dal fior d’arancio.

Tra gli estimatori e i grandi consumatori d’Acqua di Colonia si annoverano – sin dall’epoca della sua prima commercializzazione – moltissimi personaggi famosi. Il più importante? Di certo Napoleone Bonaparte. Si dice che il generale fosse letteralmente ossessionato da questo profumo, tanto da utilizzarne almeno quattro litri alla settimana, sia per profumarsi sia come medicina, ingerita imbevendone le zollette di zucchero. Si pensa che l’Eau de Cologne ricordasse all’allora imperatore francese la sua terra natale, la Corsica, per uno degli ingredienti della formula, il rosmarino. Anche Richard Wagner apprezzò molto la fragranza: grazie al ritrovamento delle sue lettere d’acquisto, sappiamo che prevedeva di consumarne almeno un litro alla settimana. Insieme a lui, tra gli altri, c’erano anche Goethe, Voltaire, Luigi XVI e la regina Vittoria d’Inghilterra.

Se volete seguire le orme del grande Napoleone (anche se fare il bagno con il sapone e non con l’acqua di Colonia risulta decisamente più economico!!!) e scoprire tutti gli aneddoti legati alla storia di questa fragranza, vi consigliamo una visita a Santa Maria Maggiore, dove nel 2016 ha aperto i battenti la Casa del Profumo Feminis-Farina, con un bellissimo percorso multisensoriale e multimediale dedicato a questo famosissimo profumo.




In arrivo l’ottava edizione del Magnetic Opera Festival all’Isola d’Elba

Venerdì 8 luglio alle ore 21.30 a Portoferraio ritorna il Magnetic Opera Festival 2022, giunto alla sua ottava edizione. Ad aprire il Festival, presso l’area archeologica della Linguella, sarà il concerto Giovani Eroi all’insegna del più raffinato repertorio barocco.

Giovani e affermati artisti interpretano i personaggi eroici e le mitiche vicende, tra amore, gelosia, guerra e intrighi, evocate dalla musica di Georg Friedrich Händel e Antonio Vivaldi.

Star della serata il controtenore polacco Jakub Józef Orliński, per la prima volta all’Isola d’Elba per il MOF 2022, e il mezzosoprano Natalia Kawałek, specialista indiscussa del repertorio e gradito ritorno per il pubblico del festival. Le voci sono accompagnate dall’ensemble barocco Il Giardino d’Amore, diretto dal maestro Stefan Plewniak nel doppio ruolo di direttore e solista al violino.

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La serata è un invito a immergersi nelle atmosfere di Ercole sul Termodonte e Andromeda liberata di Vivaldi e Tolomeo, Re d’Egitto, Rodelinda, Rinaldo, Giulio Cesare in Egitto e Teseo di Händel, grazie all’accurata selezione delle più belle arie e duetti. E ancora, pagine strumentali scelte dal Concerto in fa maggiore “Il Proteo ò sia il mondo al rovescio” RV 544, dal Concerto in sol minore RV 578a e dal Concerto in re minore RV 540 di Vivaldi.

Il Festival prosegue poi lunedì 11 luglio alle ore 21.30 in Piazza Matteotti a Porto Azzurro con Swinging Generation, progetto crossover tra swing, musica classica e pop con la brillante voce di Natalia Kawałek, accanto al timbro caldo ed emozionale di Stan Plewniak e la The FeelHarmony band guidata da Stefan Plewniak.

Mercoledì 13 luglio, alle 11, nella raccolta cornice del Santuario della Madonna delle Grazie di Capoliveri si terrà il concerto per organo e sassofono ORGANic WOODWINDs, che vede allo strumento a fiato il polistrumentista stiriano Georg Gratzer e all’antico organo di Filippo Tronci del 1738 l’organista, improvvisatore e direttore d’orchestra austriaco Johannes Ebenbauer, impegnati in un inedito dialogo fatto di improvvisazioni su canti gregoriani e inni medievali, arrangiamenti del repertorio classico, ma anche composizioni proprie.

Lunedì 18 luglio alle ore 21.30 è la volta della serata di punta del Festival 2022 alla Linguella di Portoferraio: Una serata con José Carreras, gala concerto con protagonista il grande tenore spagnolo e, accanto a lui, il pluripremiato soprano croato-sloveno Martina Zadro con l’Orchestra Sinfonica delle Terre Verdiane diretta da David Giménez.

Corona il programma martedì 26 luglio alle 21.30, sempre alla Linguella di Portoferraio, La Bohème di Giacomo Puccini, per la regia di Alessandro Brachetti e le scene e i costumi di Artemio Cabassi; protagonisti Renata Campanella e Danilo Formaggia, accompagnati dal Coro dell’Opera di Parma preparato da Emiliano Esposito e dall’Orchestra Sinfonica delle Terre Verdiane diretta da Stefano Giaroli.

Completano il festival anche tre Matinée di musica da camera in Piazza Matteotti a Capoliveri alle ore 10 di domenica 10 luglio, domenica 17 luglio e martedì 26 luglio.

Il Magnetic Opera Festival è realizzato con il patrocinio dei Comuni di Portoferraio, Porto Azzurro e Capoliveri.

Biglietti del MOF 2022 disponibili su www.liveticket.it/maggyart.

Informazioni sul sito www.maggyart.it e sui canali social ufficiali dell’Associazione Maggyart Facebook e Instagram.




Puro Hygge: un menù di ispirazione nordica

di Emanuele Domenico Vicini

Dettagli curati, toni chiari, tendenzialmente neutri, ambiente silenzioso e raccolto. Così si presenta il nuovo Puro Hygge, lo spin off di Puro Slow Burger, locale ormai afferrmartissimo in centro a Pavia.

Puro nacque alcuni anni fa proponendo un riuscito match tra la praticità dell’hand food e la ricercatezza di materie prime di qualità, con abbinamenti non scontati e varianti sempre nuove ogni settimana.

Ora è uno dei locali più affermati della città, perché ha saputo catturare e fidelizzare il suo pubblico (e con l’asporto si è salvato nel post Covid).

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Puro Hygge, che inaugura oggi, ha una trentina di posti disposti su tre piani (magari un po’ scomodi da raggiungere) e un’offerta di ispirazione nordica: pesce e verdure, panini aperti alla danese, tapas e piatti completi. Si può scegliere tra alcune proposte di menù degustazione o si compone il proprio pranzo con piatti diversi.
Dominano salmone, aringhe e merluzzo, verdure in agrodolce, salse ed erbe aromatiche, il tutto preparato con eleganza ed equilibrio tra le parti.

Marcato, ma molto piacevole è il contrasto tra la leggerezza dei colori del locale (apprezzabile la scelta di recuperare quanto più possibile dell’architettura e delle decorazioni degli ambienti, pavimenti compresi) e la sapida nettezza dei sapori che si gustano, capaci di richiamare la semplicità un po’ ruvida, ma avvolgente, delle città del nord.

Due giovani camerieri, forse ancora un po’ impacciati, gestiscono la sala. Discutibile la scelta di non avere aria condizionata. Purtroppo l’estate Pavese non è addolcita dalle temperature di Copenaghen…

Puro Hygge, Ristorante a Pavia, Strada Nuova, dal 2 luglio




A spasso per Pesaro e dintorni

Mai pensato a un week end lungo a Pesaro? Mentre l’estate diventa incandescente,  trascorrere qualche giorno in questa città proclamata capitale della cultura 2024 potrebbe essere un’ottima idea. Tra la distesa infinita di colline punteggiate da rocche, dove le fila di cipressi delimitano i campi di girasole e coltivazioni, e il mare, a Pesaro si fondono cultura, arte e una enogastronomia tutta da scoprire in un territorio, quello delle Marche del Nord proprio al confine con l’Emilia-Romagna capace ancora di sorprendere e meravigliare.
Terre di leggende, musicisti, cavalieri, alchimisti e buongustai dove si dipana un vero e proprio Itinerario della Bellezza, come lo ha definito Amerigo Varotti, direttore della ConfCommercio di Pesaro Urbino che ha svelato con percorsi dedicati il patrimonio naturale, storico, archeologico e artistico del territorio.
Le spiagge, anche quelle più segrete della Riviera delle Colline, come quella di Fiorenzuola di Focara, sono però uno dei tanti motivi per cui vale la pena concedersi qualche giorno di relax in questa cittadina di confine tra Marche ed Emilia-Romagna dove rallentare il ritmo andando alla scoperta del Parco Naturale San Bartolo, esplorando in bici i quasi cento chilometri di tracciai di “bicipolitana”, magari verso Fano e, infine e ripercorrendo le orme del suo cittadino più illustre, Gioachino Rossini. Proprio al “cigno di Pesaro e “cignale di Lugo” è dedicato ogni estate il Rossini Opera Festival, una manifestazione che da sola vale il viaggio giunta ormai alla sua 43 edizione. Il Festival si terrà dal 9 al 21 agosto proponendo tra l’altro “Le comte Ory”, “La Gazzetta”, “Otello”, “Il viaggio a Reims”, gli spettacoli “Rossinimania”, “Tra rondò e tournedos” e concerti, questi ultimi già a partire dal 12 e 14 luglio.
Dall’iconica Sfera Grande, realizzata da Arnaldo Pomodoro nel 1998 e oggi snodo della vita cittadina, tutto è facilmente raggiungibile: natura, mare, arte e storia con il Palazzo Ducale, la Rocca Malatestiana e i Musei Civici di Palazzo Mosca custodi, tra l’altro, della Pala dell’Incoronazione della Vergine, capolavoro di Giovanni Bellini.

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Perdersi poi nei dieci saloni nobiliari del Museo Nazionale Rossini allestiti nel Palazzo Montani Antaldi è un piacere da assaporare con calma per permettersi di scoprire, grazie ai pannelli interattivi,  la vita, gli amori, le passioni, ovviamente, le opere del compositore ottocentesco,  vera e propria “pop star” dell’epoca che a Pesaro ha lasciato cuore e patrimonio (con l’eredità dell’artista il comune, riconosciuto nel 2017 dall’Unesco come Città creativa per la Musica, ha istituito il Conservatorio). Nel percorso rossiniano si scoprono le molteplici e golose ricette del compositore nei menù dedicati e si visitano anche Teatro e la casa natale dell’artista, a pochi passi dalla Cattedrale di Santa Maria Assunta che, al suo interno conserva, una caleidoscopica pavimentazione del VI secolo d.C.
Pesero fiorisce negli Anni ‘20 del Cinquecento sotto il dominio dei Della Rovere che avevano trasferito quu la sede principale del Ducato, prevedendo quindi la costruzione di edifici pubblici e sontuosi palazzi. Un ulteriore epoca d’oro per la città è stata a inizio Novecento quando divenne luogo privilegiato di villeggiatura della borghesia dell’epoca. Sul lungomare della città ci si imbatte in eleganti testimonianze Art Nouveau come il Villino Ruggeri, costruito per Oreste Ruggeri, industriale farmaceutico e della ceramica, costruito sotto la direzione dei lavori dell’architetto Giuseppe Brega, Villa Iside, Villa Olga, Villa Pagani e Villa Molaroni, creata per Giuseppe Molaroni, titolare della omonima una fabbrica di maioliche artistiche tutt’oggi gestita alla sesta generazione della famiglia, oltre a Villa Vittoria, divenuto ora un elegante hotel dagli arredi storici in riva al mare.
Sulle colline circostanti ci si imbatte invece in dimore nobiliari di epoca precedente  come la seicentesca Villa Caprile con i giardini all’italiana e i giochi d’acqua e la rinascimentale Villa Imperiale, antica residenza sforzesca poi ampliata e affrescata per volere dei duchi della Rovere. Percorrendo una manciata di chilometri verso l’entroterra ci si trova catapultati indietro nel tempo nei piccoli borghi medievali dominati dalle rocche di Francesco di Giorgio Martini, da Mondavio a Cagli e Sassocorvaro Auditore o di fronte a impressionanti scenari naturali come, nei pressi di Fossombrone, le Marmitte dei Giganti, canyon che raggiunge i 30 metri di altezza le cui sponde sono state modellate, nel tempo, dalla forza della corrente del fiume Metauro.
Da non perdere infine una tappa, magari all’ora del crepuscolo  alla Taverna del Pescatore di Catelfimezzo. Dal locale a picco sul mare dove la tradizionale cucina “marchignola” è portata avanti da generazioni, lo sguardo abbraccia le spiagge della Riviera Romagnola e si spinge fino a Gradara e alla Rocca di San Marino.



I profumi che hanno fatto la storia: LA MAISON GUERLAIN

di Claudia Marchini

Da quasi due secoli, cinque generazioni di profumieri Guerlain hanno tenuto le redini creative della Maison. Oggi, il Maître Parfumeur Thierry Wasser è erede di un patrimonio olfattivo di oltre 1100 fragranze. Guerlain è uno dei pochissimi marchi che è esistito per anni producendo e commercializzando esclusivamente profumi, a cui soltanto in anni più recenti sono state aggiunte alcune linee di cosmetici.

Era il 1828 quando Pierre-François-Pascal Guerlain, profumiere e chimico, il fondatore della Maison, inaugurava la sua prima boutique nel cuore di Parigi, al numero 42 di rue de Rivoli. L’indirizzo diventa immediatamente una meta imprescindibile per i dandy e le donne eleganti della città e non solo. La fama e il successo della Maison Guerlain raggiungono presto tutte le corti d’Europa. 

Potremmo parlare per ore ricordando tutte le meravigliose creazioni della Maison: da Jicky, che risale al 1889 e che – inizialmente creata per il pubblico maschile – ebbe la sua maggior fortuna quando venne commercializzata per il pubblico femminile, a Après l’ondée, leggendaria fragranza del 1906 che simula l’odore dell’aria dopo la pioggia; da Vetiver a Samsara; da Champs-Elysées alla fresca serie delle Aqua Allegoria.

Sono 3 però secondo noi le fragranze che un appassionato non può non conoscere, perché sono emblematiche del periodo storico in cui furono create oppure perché rappresentarono un punto di rottura col passato.

La prima è L’Heure Bleu, creata da Jacques Guerlain nel 1912 per celebrare il suo momento preferito della giornata. L’ora blu è quel momento fra il giorno e la notte, all’imbrunire: il sole è già tramontato, ma la notte non è ancora arrivata. È l’ora in cui il tempo si ferma… L’ora in cui ci troviamo in armonia con il mondo e con la luce. La fragranza fu creata in omaggio alla moglie Lily e divenne, durante la guerra, simbolo di femminilità. Fazzoletti imbevuti di profumo furono distribuiti ai soldati in trincea per sollevare il loro morale.

Il design del flacone in stile Art Nouveau è stato creato da Georges Chevalier e realizzato dalle cristallerie Baccarat.

La violetta è in grande spolvero, insieme ai semi di anice, eliotropio, neroli e tuberosa in questo capolavoro crepuscolare, cipriato, con una leggerezza tutta parigina e – qualcuno dice – con una vena di tristezza e melanconia. E’ un profumo da budoir, che sembra dare l’addio – forse con un po’ di rimpianto – a quella Belle Epoque che stava per terminare.

E’ del 1919 il secondo capolavoro di Jacque Guerlan: Mitzouko. E’ proprio in quell’anno infatti che l’Europa si appassiona al Giappone e alla sua storia e cultura, e la parola Mitsouko è il nome dell’eroina del racconto di Claude Farrère, La bataille. La storia, ambientata in Giappone durante la guerra russo-giapponese, racconta l’amore impossibile fra un ufficiale inglese e Mitsouko, la moglie dell’ammiraglio Togo. Nonostante l’ispirazione sia il tema dell’adulterio, questo profumo non ha nulla di provocante: la sua composizione non contiene accordi romantici e tradizionalmente femminili, ma è piuttosto cupo e intenso, totalmente unisex, ancorché soffice come un cuscino di velluto verde scuro.

Mitsouko, che significa ‘mistero’ in lingua giapponese, è dunque il simbolo di una nuova femminilità, appassionata e misteriosa.

Una nuova fragranza, originale ed equilibrata, misteriosa e vellutata, che apre la strada alle composizioni fruttate-chypre, utilizzando per prima la nota di pesca. Quest’ultima è abbinata a fiori di gelsomino e rosa di maggio, mentre il fondo combina spezie ad un terroso patchouli, al vetiver e al legno di aloe. L’idea, eccezionale e audace, di Jacques Guerlain fu di unire un chypre (Chypre è una famiglia di profumi composti da note di testa agrumate, un cuore fiorito ed un fondo animale/muschiato) con la nota decisamente marcata della pesca, conferendo a questo profumo il suo caratteristico tocco moderno.

Anche questa fragranza non ha mai smesso di essere prodotta e venduta, diventando quindi una delle più antiche che ci siano in commercio.

Infine, ultimo di questo tris di stelle della profumeria (ma solo perché più recente, essendo stao creato nel 1925) è il celeberrimo Shalimar. Questo profumo è diventato da tempo ormai il punto di riferimento della famiglia olfattiva degli Orientali, gruppo di profumi marcatamente caldi ed opulenti a causa dei molti ingredienti inebrianti (muschio, vaniglia, spezie, fiori, frutti, resine e legni), che si innestano su un fondo di ambra.

Si racconta che Jacques Guerlain abbia creato il profumo Shalimar in omaggio alla leggendaria storia d’amore ambientata nel XVII secolo tra Mumtaz Mahal e l’imperatore Shah Jahan nei giardini di Shalimar ad Agra in India. Quando la donna morì, l’imperatore devastato dal dolore, decise di costruirle una tomba nel punto in cui, 14 anni dopo, sorse il Taj Mahal.

Questo jus femminile, sensuale, voluttuoso e ipnotico – Shalimar significa letteralmente “tempio dell’amore” – fu presentato al pubblico nel 1925 all’Esposizione delle Arti Decorative a Parigi, al Grand Palais. In seguito al successo ottenuto a bordo del transatlantico Normandie, in occasione di una traversata verso New York di Raymond Guerlain (cugino di Jacques) e di sua moglie, Shalimar venne lanciato in anteprima negli Stati Uniti.

Ed è proprio Raymond che disegna la bottiglia di Shalimar, ispirandosi alle vasche di quei giardini, con l’inconfondibile tappo a forma di ventaglio e la “trasparenza di zaffiro che ricorda le loro acque eternamente zampillanti”.

Il profumo – sfacciatamente sensuale – si apre con note di mandarino, cedro, bergamotto (questo ingrediente occupa il 30% della fragranza) e limone, matura in accordi di iris, patchouli, gelsomino, vetiver e rosa e si chiude in un fondo di cuoio, sandalo, opoponax, muschio animale, zibetto, vaniglia, incenso e fava tonka. Questo contrasto tra il preludio pungente di penetranti note agrumate, il cuore fiorito e il fondo caldo e sensuale è ciò che fa di questo profumo una delizia imperitura.

Nonostante le sue note dolci, questa fragranza non ha nulla di stucchevole e sdolcinato, come ben sottolineò Ernest Beaux, creatore del mitico Chanel N°5 (vedi la prima puntata della serie dedicata ai profumi che hanno fatto la storia): “Con questo pacchetto di vaniglia, sarei stato in grado di creare soltanto una crema pasticcera, mentre lui, Jacques Guerlain, creò Shalimar”. Fu un jus talmente vincente che oltre a essere ancora attuale è stato di ispirazione nella creazione di capolavori olfattivi quali, per citarne alcuni, L’Instant de Guerlain, Obsession di Calvin Klein e Opium di Yves Saint-Laurent.

 

 




In Arena la Carmen colossal di Zeffirelli

Cinquecento persone sul palco e 13mila sedute tra platea e gradinate dell’Arena di Verona per applaudire con una standing ovation il nuovo allestimento colossal di Carmen di Franco Zeffirelli. L’opera si propone come sintesi dei due diversi allestimenti creati dal Maestro per la messa in scena dell’opera di Georges Bizet all’Opera Festival di Verona. Un caleidoscopio di colori, danze travolgenti, emozioni e musica che catapulta lo spettatore in una caotica Siviglia ottocentesca, ricostruita tra palco a grandezza naturale con case, chiese e piazze avvolte da un sole abbacinante, rendendolo partecipe delle vicende dell’eroina raccontata da Prosper Mérimée che, anche grazie ai librettisti Meilhac e Halévy, è allo stesso tempo una femme fatale sprezzante capace di far perdere all’uomo il controllo di sé, una donna consapevole dei propri desideri, uno spirito libero e la vittima chi  è incapace di accettare la libertà come valore fondate della vita di una persona.

Zeffirelli accompagna lo spettatore dentro la tormentata vicenda della sigaraia e dei suoi amori feroci roventi con il brigadiere Don Josè e il torero Escamillo, con quadri che, fin dall’ouverture, mostrano la grandezza delle masse in scena. Lo spettacolare allestimento integra, anche grazie al coinvolgimento della Fondazione Franco Zeffirelli, la supervisione del suo presidente Pippo Zeffirelli e la partecipazione degli storici collaboratori del Maestro (come Carlo Centolavigna e Lucia Real), le migliori intuizioni di Zeffirelli per gli allestimenti del 1995 e del 2009 con nuovi elementi tratti dai bozzetti originali come i velari che incorniciano il proscenio delimitando, come in un teatro al chiuso, i confini della storia raccontata sul palco. Dirige il maestro Marco Armiliato, Direttore Musicale del 99° Opera Festival, che guida, imprimendo un efficace ritmo teatrale e creando le giuste atmosfere cromatiche Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona, le voci bianche di A.Li.Ve  e un cast internazionale di stelle a cui si aggiungono la compagnia di ballo areniana con le coreografie originali di El Camborio riprese da Lucia Real e la Compañia Antonio Gades diretta da Stella Arauzo, protagonista di un applaudito intermezzo flamenco tra il terzo e quarto atto. Gli sgargianti costumi sono quelli originali di Anna Anni, mentre le luci sono opera di Paolo Mazzon che evidenzia prima l’atmosfera mediterranea, poi la segretezza dei traffici notturni sui monti e infine il climax con la torrida piazza con al centro una croce votiva quando, nel giorno della corrida, si consuma la tragedia.

Nonostante Carmen sia la seconda opera più rappresentata sul palco dell’Arena di Verona, subito dopo l’Aida e nonostante i due precedenti allestimenti di Zeffirelli siano stati una costante negli ultimi anni, questa versione vale sicuramente il viaggio a Verona per l’atmosfera incandescente creata sul palco; per l’attualità di una storia, quella di Carmen, in grado di rinnovarsi anno dopo anno e di apparire sempre moderna agli occhi degli spettatori; per la realizzazione d’eccezione in ogni singolo dettaglio, compresa l’improvvisazione flamenca a cui la Compañia Antonio Gades dà vita nel cambio di scena a cavallo tra il terzo e quarto atto; ma soprattutto per le voci in grado di incantare, replica dopo replica, migliaia di turisti e melomani.  Meglio organizzarsi fin da subito per non lasciarsi sfuggire l’occasione di assistere a questo appassionante allestimento che ha dato il via al 99° Opera Festival 2022. Le repliche, dopo la prima del 17 giugno, non sono tantissime e nell’ordine: 30 giugno, 14,21,31 luglio e 11,14 e 27 agosto.​




A Verona torna il Nabucco risorgimentale

Un fil rouge unisce l’Arena di Verona e Teatro alla Scala di Milano nell’allestimento del Nabucco di Arnaud Bernard che, dopo aver inaugurato il festival de 2017, torna in scena per otto serate. Dopo il debutto del 25 giugno sono previste altre sette repliche dell’opera di Giuseppe Verdi ambientata in epoca risorgimentale: 1, 7, 10, 23, 29 luglio, 18 agosto, 3 settembre.

Uno spettacolo di ampio respiro storico e cinematografico che si rifà visivamente a Senso, capolavoro di Luchino Visconti, aiutato dall’imponente scenografia di Alessandro Camera che, fra barricate e saloni, ruota intorno al Teatro alla Scala di Milano, città al centro dei moti risorgimentali del 1848. Bernard ricolloca la vicenda biblica negli anni in cui Verdi compose l’opera, mentre gli italiani combattevano per la propria indipendenza e identità nazionale, eleggendo il Nabucco di Verdi, al debutto su libretto di Temistocle Solera, alla Teatro alla Scala di Milano nel 1842 icona di questa lotta. Ecco quindi il tripudio sul palco dell’Arena di bandiere tricolori e anche di un “Viva Verdi” (che, negli ultimi anni dell’occupazione austriaca del lombardo veneto, sottendendo Vittorio Emanuele Re d’Italia, permetteva ai patrioti di manifestare senza incorrere in repressioni) che travolgono il pubblico di emozioni. Efficace la rappresentazione del coro degli ebrei, il coro dei cori con  “Va’, pensiero, sull’ale dorate…”,  all’interno dell’allestimento del Nabucco nel Teatro alla Scala. Una rappresentazione nella rappresentazione, un teatro nel teatro” che, grazie a questo espediente è capace di raccontare la nostra storia

L’allestimento di Bernard legge quindi nel contrasto insito nella vicenda narrata nell’opera – il conflitto tra Babilonia e Gerusalemme – la storia d’Italia negli anni turbolenti del Risorgimento. Ed è questa visione profondamente risorgimentale suggerita da musica e libretto, e propria dei rivoluzionari italiani negli anni in cui Verdi componeva, che ha permesso a Nabucco di diventare nell’immaginario collettivo il titolo patriottico per eccellenza, con il suo Va’, pensiero che si eleva ad inno del riscatto nazionale. Bernard parte da questa interpretazione per rendere il dramma più storico, umano e verosimile.

Il collegamento tra Milano e Verona ha inoltre un doppio valore storico per due motivi: la collaborazione tra le due fondazioni e le stesse origini del teatro milanese che, inaugurato nel 1778, ha ereditato nome e sede dalla chiesa di Santa Maria alla Scala (così chiamata in onore di Regina della Scala, della dinastia degli Scaligeri, Signori di Verona, e moglie di Bernabò Visconti, Signore di Milano) demolita proprio per fargli posto,  Poi, nel ‘900, si è stabilito un tradizionale stretto rapporto tra le due Fondazioni liriche (tanti anni fa l’Arena era definita la “Scala d’estate”).

Con il Nabucco sale sul podio il maestro Daniel Oren che dirige (richiamando anche il pubblico scatenato nella richiesta di bis dopo la prima esecuzione “Va’ pensiero”) Orchestra e Coro, preparato da Ulisse Trabacchin. Nel ruolo del titolo il baritono Amartuvshin Enkhbat che, acclamato in Arena fin dai suoi esordi, torna a Verona immediatamente dopo il successo personale riscosso come nuovo Rigoletto al Teatro alla Scala. Accanto a lui, il soprano uruguaiano Maria José Siri interpreta per la prima volta a Verona il difficilissimo ruolo di Abigaille, al suo debutto areniano il basso Abramo Rosalen nei panni di Zaccaria, mentre il tenore Samuele Simoncini e il mezzosoprano Francesca Di Sauro interpretano rispettivamente Ismaele e Fenena.