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UN PROFUMO, UNA LEGGENDA: CHANEL N° 5

I profumi che hanno fatto la storia.

di Claudia Marchini

“Non c’è nulla che invecchi tanto quanto il voler sembrare giovani. Si può essere irresistibili a qualunque età”. Così sentenziava Coco Chanel, e certamente una delle sue più fortunate creazioni – il mitico Numéro Cinq (accento sulla “e”, s’il vous plaît, e arrotiamo bene quella “r”) – i suoi 101 anni non li dimostra affatto. Ciò è corroborato anche dal fatto che rimane uno dei profumi più venduti al mondo (forse proprio il più venduto); si dice che venga venduta una boccetta di N° 5 ogni 30 secondi.

Perciò, questa serie di articoli che parla dei profumi che hanno fatto la storia e che ogni appassionato dovrebbe conoscere non può non aprirsi proprio con questa mitica fragranza, prototipo dei profumi cosiddetti “aldeidati” e composto nel 1921 da Ernest Beaux, profumiere della società Rallet.

Fino ad allora i profumi erano principalmente “soliflore”, cioè basati sull’essenza di un solo fiore (di solito rosa o mughetto), molto romantici e leggeri e dalla durata limitata, perciò dovevano essere dosati in gran quantità per poter durare a lungo. Quando Coco cominciò  a pensare di lanciare una sua fragranza, il suo stile anticonvenzionale la portò a chiedere a Beaux una fragranza costosa, lussuosa, elaborata, provocante, senza mezze misure. Basti pensare che il bouquet di muschio e gelsomino (cuore del jus composto da Beaux) all’epoca era associato a cortigiane e prostitute!

Non solo: proprio in quegli anni si erano affacciate nel mondo della profumeria le famose aldeidi. Ma cosa sono? Le aldeidi sono sostanze presenti in natura, che ai primi del Novecento cominciano ad essere sintetizzate in laboratorio per dare luminosità ed effervescenza da champagne alle formule dei profumi. Beaux pensò di inserire una di queste aldeidi (dal sentore di arancia) nella formula del nuovo profumo per Coco Chanel, e iniziò a sperimentarle con parsimonia. Ma la grande stilista, in pieno suo stile, gli ordinò di abbondare: fiumi di champagne perbacco, non lesiniamo!!!

Il risultato fu un profumo totalmente nuovo, che non assomigliava a nessun’altra fragranza passata né dell’epoca. Un’overdose talmente audace non poteva passare inosservata, e la grande stilista ne comprese infatti subito le grandi potenzialità commerciali e non esitò a scegliere proprio quel quinto prototipo che il profumiere le aveva sottoposto – da qui pare il nome che fu scelto, N°5 (e anche il fatto che fu lanciato nel mese di maggio).

 (la prima immagine nota di Chanel N° 5)

L’iconica boccetta di Chanel N°5, che dal 1954 fa parte delle collezioni permanenti del MOMA di New York, non è altro che una semplice confezione da laboratorio, alla quale vennero smussati gli angoli, e cambiato il tappo. Questo, infatti, venne sostituto con un tappo tagliato come un diamante, che riproduce la forma della celebre Place Vandôme a Parigi, famosa per le sue gioiellerie e tanto cara a Coco Chanel.

Il flacone di Chanel No. 5, nel corso degli anni, è diventato un oggetto talmente identificabile che Andy Warhol decise di commemorare il suo stato di icona a metà degli anni ottanta con l’opera pop art intitolata “Ads: Chanel”, una serie di serigrafie ispirate a pubblicità del profumo apparse fra il 1954 e il 1956.

Il resto è storia. Non solo N° 5 è il profumo più venduto della storia, ha anche ispirato un filone e una sottofamiglia olfattiva (quella dei fioriti aldeidati per l’appunto) e dato il via ad una serie innumerevole di imitazioni.

Arrivati all’epoca della guerra, il profumo aveva ottenuto un successo tale fra le classi abbienti e come status symbol per quelle medie, che i soldati americani a Parigi facevano file di ore per portarsi a casa un flacone che ricordasse loro l’idea dell’eleganza e del lusso europei.

Dopo la guerra, la più grande testimonial della fragranza è stata Marilyn Monroe. Durante un’intervista nel 1952, l’attrice dichiarò: “Cosa indosso a letto? Che domande… Chanel N. 5, ovviamente”. Questa affermazione di Marylin ebbe il potere di consacrarne il fascino, aggiungendo quell’aurea di glamour hollywoodiano che ne fece un successo globale.

Un successo tale che qualche anno dopo, nel 1955 Marilyn accettò di lasciarsi fotografare da Ed Feingersh, poco prima della première del film La Gatta sul tetto che Scotta di Tennesee Williams, proprio mentre “indossava” guardandosi allo specchio alcune gocce del prezioso Chanel N.5.

E così, di decade in decade, questo rivoluzionario profumo è diventato un grande classico, mai dimenticato ma anzi sempre più amato: i testimonial e le pubblicità si sono adattati al gusto di ogni epoca ma la fragranza è sempre lì, scolpita nell’Olimpo della profumeria mondiale.

Catherine Deneuve, Carole Bouquet, Nicole Kidman o attualmente Marion Cotillard sono tra le ambasciatrici che, con il loro spirito e la loro modernità, elevano N° 5 nell’eterno pantheon femminile per i posteri.

E infatti, in occasione della bellissima campagna lanciata l’anno scorso per i 100 anni della fragranza, Thomas du Pré de Saint Maur, Head of Global Creative Resources Fragrance and Beauty della Maison quota la mitica Coco: “La giovinezza è prima di tutto uno stato d’animo: è il desiderio di osare, di conservare la libertà di essere sé stessi al di là delle convenzioni, di non prendersi sul serio, di essere leggeri senza essere frivoli. Di avere l’audacia di preferire la giovinezza dell’immaginazione, alla vecchiaia dell’abitudine”.

Insomma: non si è mai troppo vecchi per una bella coppa di champagne!!!! SALUTE!!

(la classica boccetta)




Al via il Verona Opera Festival 2022

Al via la 99° edizione del Verona Opera Festival che finalmente, con l’estate 2022, torna agli scenografici allestimenti tradizionali per le 46 serate in cartellone in Arena tra giugno e settembre, mentre si guarda già al cartellone da colossal per il Festival del centenario, quello della prossima estate. Prezzi a partire da 28 euro per i biglietti interi per serate che si preannunciano indimenticabili grazie al fascino del luogo con quasi duemila anni storia ae spalle, alle centinaia di artisti in scena, tra cantanti, ballerini, professori d’orchestra, coro, mimi e acrobati, alle fantasmagoriche scenografie.

LA GRANDE BELLEZZA DEL VERONA OPERA FESTIVAL

Non serve essere melomani per apprezzare il Festival Lirico che, dal 1913, si svolge ogni estate a Verona nell’anfiteatro romano. L’idea, oltre in secolo fa, venne al tenore veronese Giovanni Zenatello che, per celebrare il primo centenario dalla nascita di Giuseppe Verdi, allestì l’Aida in Arena. E, da allora, l’opera di Verdi che si svolge all’ombra delle Piramidi è un appuntamento fisso nella programmazione del Festival: anche quest’anno torna infatti con un allestimento firmato da Franco Zeffirelli. «Torniamo a vedere con entusiasmo, speranza, trepidazione, la luna che sorge sulle nostre guglie da fiaba, su tende gitane, piramidi dorate, mentre l’aria si riempie del canto e della musica universale dei nostri maestri fino all’ultimo degli spalti. Abbiamo voglia, anzi la necessità, di vivere appieno tutto questo, di tornare a respirare …e l’Arena è puro ossigeno» ha commentato in merito Cecilia Gasdia, sovraintendente e direttore artistico.

IN SCENA

L’estate 2022 vede in cartellone  cinque titoli d’opera, tre eventi speciali e tantissime stelle. Il Verona Opera Festival 2022 propone un cast internazionale, tra cui si segnalano Plácido Domingo, Vittorio Grigolo, Roberto Grigolo, Anna Netrebko, Lisette Oropesa, J’Nai Bridges ed Elina Garanča, definita dal New York Times “la miglior Carmen degli ultimi 25 anni” al suo debutto sul più grande palcoscenico sotto le stelle per le serate dell’11 e del 14 agosto. Direttore musicale è Marco Armiliato.«

In scena si alternano La Traviata, Aida, Turandot, Carmen, Nabucco, oltre all’evento Plácido Domingo in Verdi Opera Night  (il 25 agosto) che alza il sipario su Macbeth, Don Carlo e Aida; al ritorno di Roberto Bolle and Friends con un programma che unisce danza classica, moderna e contemporanea (il 20 luglio) e all’appuntamento tradizionale con la musica sinfonica dei Carmina Burana di Carl Orff (il 12 agosto) con la partecipazione di orchestra e coro areniani al completo, due cori di voci bianche e Lisette Oropesa, Filippo Mineccia e Mario Cassi come solisti.

A dare il via al Festival, il 17 giugno, è la Carmen di Georges Bizet con un nuovo allestimento di Franco Zeffirelli che integra il leggendario progetto originario del 1995, con cui il Maestro fiorentino debutto in Arena, con le intuizioni adottate nella ripresa dell’opera nel 2009 e elementi scenografici che il compianto registra aveva solo disegnato e vede il coinvolgimento della Fondazione Zeffirelli e di collaboratori storici dell’artista. Dopo la Carmen, che sarà protagonista per nove serate nel corso dell’estate, è la volta il 18 giugno, dall’Aida, opera icona del Festival, che sarà proposta per undici serate compresa quella di chiusura a settembre. In cartellone poi, per otto serate, il Nabucco di Verdi con la produzione dal respiro risorgimentale di Arnauld Bernard per otto serate; La Traviata di Verdi, ultima creazione di Zeffirelli, sempre per otto serate e, per sei serate, la Turandot di Giacomo Puccini nell’allestimento da fiaba ancora una volta firmato dal Maestro toscano e che vede in scena, per un’unica data evento Domingo.




Sfide di stile: intervista alla look designer Deborah Facchino

di Cristina T. Chiochia – Estrarre la bellezza. E’ possibile? Incontriamo la titolare di Dath’s Amore che da sempre si prefigge di rendere le persone più belle, rispettando le tendenze del proprio look. In particolare sottolineando quell’idea del “mood dello sguardo” che rende un pò misteriosi ed un pò magnetici e che da qualche anno, non è solamente trucco , ma anche “look smoky “per gli occhi, ma un’attitudine di conquista che si sta sviluppando anche per esempio sul colore dei capelli, qualsiasi esso sia. Ed è proprio rispetto a questa nuova tendenza per l’estate 2022 che la sentiamo durante la Milano Beauty Week.
Chiedendole cosa ne pensa del “mood smoky” e come mai anche i capelli castani e bruni, si stanno avvicinando a questo modo di decolorare i capelli.
Ciao Deborah, raccontaci di te e di come “estrai la bellezza” dalle persone che si affidano a te?
 Sono nata a Milano il 5 aprile 1977, mia madre ha avuto le doglie mentre era dal parrucchiere … sarà forse un segno? Probabilmente attraverso il suo ombelico invece di galleggiare oziando, già guardavo il mondo, i volti della gente e immaginavo come estrarne la bellezza.Molti di noi passano troppo poco tempo a guardarsi allo specchio, forse là beauty routine e il make-up, hanno molto più a che fare con la sola seduzione e la bellezza. Sono convinta che a volte non ci si ami abbastanza!
Da qui parte il mio percorso, la mia prima parola è stata sicuramente mascara, amavo Bambi i suoi occhioni languidi e quelle ciglia che ti fanno ad ogni battito sognare!
Tutto era molto chiaro a 4 anni, già avevo per le mani cosmetici make up station e il merlo ( mio papà) come modello, essendo il primo ad aver bisogno di una ristrutturazione dato che aveva un riporto da urlo! Non mi sono più fermata
I miei studi si sono concentrati sulla bellezza a 360 gradi, pelle, capelli, mani, trucco, gesti semplici senza impazzire, esaltare i nostri pregi e non nascondere i difetti, che il più delle volte sono proprio quelli che fanno la differenza e che ci contraddistinguono.
Ma il fascino si può insegnare?
Certo! Il fascino non si può insegnare, dicono sia innato, ma il look ci da la possibilità di acquisire sicurezza e di essere ogni giorno un personaggio diverso. Parola d’ordine: no agli eccessi, a meno che non ce ne sia l’occasione o il desiderio, luce, eleganza ed a proprio agio sempre.
E cosa ne pensi del creare tendenza e nuovi mood nel campo della bellezza?
Sono passata da centri estetici, spa ,parrucchieri sfilate di moda, spose, consulenze, corsi di trucco, ma resto sempre lì a guardare dall‘amorevole ombelico di mia madre tutte le donne, gli uomini, gli X del mondo ed a desiderare solo una cosa: venite da me vi aiuterò a risplendere , basta levare la polvere dell’insicurezza e il vostro sorriso sarà la più bella ricompensa.
A volte non ci si immagina nemmeno come si potrebbe essere con piccoli stratagemmi che, data la soddisfazione regalata, daranno la costanza che è l’unica cosa che paga sempre ed è infallibile.
Hai uno slogan?
Sì è “glitteriamo il mondo”! Perche’ abbiamo tutti bisogno che ogni superficie riflettente ti urli a gran voce “ehi innamorati di te”.
E della tenenza “smoky 2022” anche per i capelli femminili? Cosa ne pensi per questa estate 2022 ? 
La tendenza sono i capelli lunghi che rende molto affascinanti e molto femminili da sempre. Toni caldi che rendono “fumoso” anche il look dei capelli, non solo quello degli occhi. E sta praticamente sta bene a tutte. Anche ai tagli medio lunghi.
La tendenza è curare i capelli. Non solo cambiargli colore.
Ci sono dei piccoli trucchi?
Certo! Per esempio andare a letto ed usare una federa di seta oppure tamponarli sempre quando si asciugano. Anche poi scegliere uno shampoo adatto, non seguire la marca in voga ma quello più adatto. E come piccolo trucco di bellezza, sicuramente applicare un  henne’ neutro sulla chioma che la rende più folta e lucente. Iniza l’estate. E sotto il sole bisogna nutrili! Si a olio di cocco sui capelli bagnati e mai  asciutti perchè cosi porta via l’acqua contenuta nella fibra dei capelli.
Capelli sani e “Smoky” per tutti quindi? 
Certo! Perchè no! Stanno bene molto bene e con tagli appropriati rendono il viso fresco e anche il colore dei capelli aiuta a miglioare le proporzioni del viso. Sia che sia un look selvaggio pratico e libero sia che sia un colore scuro o chiaro, tutto viene sorpassato dai contrasti dello “smoky” che come un vero e proprio “make up” dei capelli illumina e perchè no, assottiglia.
Salutiamo Debora con un sorriso. Ebbene si, estrarre bellezza insomma, pare possibile. Buona estate “smoky” a tutti.



Meo Fusciuni: i profumi che parlano al cuore

di Claudia Marchini – “Quando annuso il profumo che sto creando e piango, allora capisco che è pronto”.

Così risponde alla mia domanda sui tempi di creazione di una fragranza artistica Meo Fusciuni (all’anagrafe Giuseppe Imprezzabile, ma ormai nemmeno sua madre lo chiama più Giuseppe), uno dei più originali e potenti creatori di profumi in Italia.

E pensare che prima del 2010 mai avrebbe pensato che questo sarebbe diventato il suo prossimo lavoro…dopo gli studi di chimica industriale, Meo ha iniziato infatti a lavorare nel campo dell’aromaterapia e della fitoterapia, ambiti che gli procuravano anche molte soddisfazioni. Perciò, quando una sua amica – quasi per scherzo, ma non troppo – gli ha buttato lì la fatidica domanda: “Ma perché non crei profumi”?, ne è rimasto molto stupito. Anche perché non aveva una particolare passione per i profumi, né tantomeno conosceva il mondo della profumeria di nicchia. Fino a quel viaggio ad Istanbul. 

Lì, tra il turbinio di voci del gran bazar e la cacofonia di spezie, tra il profumo delle stoffe preziose e i fumi dell’incenso, l’erborista ha lasciato il posto al profumiere. Tutti noi viviamo ad un certo punto della nostra vita un rito di passaggio, e per Meo quel viaggio nella capitale dei tre imperi rappresenta il momento in cui ha lasciato la via della “pianta medica” per intraprendere un nuovo cammino. La sua prima creazione si chiama infatti 1# nota di viaggio (Rites de passage) ed è dedicata a questo viaggio e questa città.

Il progetto Meo Fusciuni nasce proprio con lo scopo di raccontare viaggi, pensieri, emozioni, sensazioni, attraverso una complessa ricerca olfattiva e la creazione di profumi unici, 100% Made in Italy, e utilizzando materie prime di altissima qualità.

La collezione è composta al momento da 12 fragranze (la tredicesima è in dirittura d’arrivo), divise in Trilogie e Cicli. Le Trilogie parlano di viaggi “veri”, luoghi fisici, mentre i Cicli rappresentano viaggi mentali. 

La prima trilogia (Rites de passage, Shukran, Ciavuru d’amuri) parla di 3 paesi che hanno significato molto per Meo: di Istanbul abbiamo già parlato; la seconda nota di viaggio è invece dedicata al Marocco e alla bevanda che meglio rappresenta lo spirito gioioso ed energico del paese, il tè alla menta; e infine la terza nota di viaggio – uno stupendo fico – ci porta nella sicilia della sua infanzia.

Il Primo Ciclo (della Poesia), racconta la ricerca interiore del profumiere: Notturno, con le sue note di Rum e Inchiostro, ci trasporta in stanze vere ed immaginarie, dentro ad un tunnel di bellezza e poesia; mentre Luce grida il desiderio di trovare un equilibrio tra natura e uomo, illuminando la via con note di Betulla, Abete, Cedro e Tabacco.

La Trilogia della Mistica (Narcotico, Odor 93 e L’oblio) è ispirata a 3 luoghi veri (Palermo, la Danimarca, la Cambogia) che hanno una forte componente mistica per Meo, che ha voluto con essi raccontarci dei vecchi cassetti polverosi della casa di famiglia a Palermo; oppure di un fiabesco bosco del nord Europa da cui si esce chiedendosi se fosse tutto vero oppure un sogno; e ancora del potere della dimenticanza e della nostra ricerca della salvezza che essa ci può portare.

Il Secondo Ciclo (della Metamorfosi), è dedicato alla solitudine, attraverso due differenti riflessioni sulla libertà dell’anima. Con Little Song Meo riesce a raccontare perfettamente il profumo del tempo che passa: una tazzina di caffè lasciata sul tavolo da lavoro, una sigaretta ormai consumata, e un mazzo di rose tenuto in mano…Un profumo stupendo e melanconico, commovente fino alle lacrime. Spirito è invece dedicato ad Emily Dickinson: immaginiamo le pianure del Massachusetts dove la poetessa amava camminare, in un tripudio di Camomilla, Angelica, Semi di Carota, Cipresso, Lavanda. Lì, dove uomo e natura, spirito e poesia si fondono.

Ed eccoci infine all’ultima Trilogia di Viaggio, la Trilogia senza Tempo, dedicata all’attuale “ossessione” di Meo Fusciuni: l’Asia. Si parte dal colpo al cuore e allo stomaco di Varanasi, città simbolo dell’India, ricca di contrasti e significati, magia e mistica. Oud, Cuoio, Zafferano, Cardamomo, Rose e Gelsomini ci trasportano in un vortice di emozioni; un profumo magnetico, animalico, per palati forti dall’animo gentile.

Il secondo profumo della trilogia, Encore du temps, è dedicato al Laos e all’amore (la sua Federica – si illumina tutto quando ne parla, Meo); è un fiore che cade in una tazza di tè verde, la dolcezza del tempo che scorre lento e la voglia che quel tempo si dilati per sempre, per poter stare ancora e sempre di più con la persona amata.

In attesa della terza fragranza, che sarà ispirata dal Giappone, vi invitiamo a scrivere a info@meofusciuni.com per conoscere il punto vendita più vicino a voi. Noi siamo andati alla Profumeria La Nicchia di Legnano!

“Il profumo è un’anima che disegna la nostra ombra”

Meo Fusciuni




Con TOP GUN: Maverick il cinema celebra il ritorno degli Anni ’80

È tempo di allacciare le cinture per il ritorno al cinema degli Anni ’80 con TOP GUN a trentasei anni dal film cult entrato nell’immaginario collettivo di Tony Scott.

Dopo più di trent’anni di servizio come uno dei migliori aviatori della Marina, Pete “Maverick” Mitchell (Tom Cruise)  si ritrova ad addestrare un distaccamento di diplomati TOP GUN per una missione segreta oltre ogni limite. È in questa occasione che Maverick incontra il tenente Bradley Bradshaw (Miles Teller), figlio del defunto amico di Maverick, Nick Bradshaw, alias “Goose”.  Di fronte a un futuro incerto e ai fantasmi del suo passato, Maverick si trova a dover affrontare le sue paure più profonde.

C’è una battuta in Top Gun: Maverick che riassume la sua produzione forse più di ogni altra. In una scena tra due dei suoi eroi di ritorno: il personaggio del titolo di Tom Cruise, Maverick, e il suo vecchio nemico, diventato gregario Iceman, interpretato ancora una volta da Val Kilmer. I due stanno discutendo della loro passione per essere piloti, ripensando a cosa significano per loro la loro carriera. “Non è quello che sono”, dice Maverick a Iceman (Val Kilmer) “È quello che sono.”

 

Venerdì 7 settembre 2018, Tom Cruise è tornato a Miramar, la base militare dove è stato girato gran parte di Top Gun 33 anni prima, nella primavera del 1985. Era lì per sottoporsi a un ASTC (Aviation Survival Training Curriculum) completo, per qualificarsi per le vaste sequenze di volo negli F/A-18 della Marina degli Stati Uniti che aveva personalmente insistito fossero essenziali per la realizzazione del suo tanto atteso sequel, Top Gun: Maverick. Dato che ha intrapreso un programma di formazione diverso da qualsiasi altro nella storia del cinema, era impossibile non notare i parallelismi tra Maverick e l’attore che lo interpreta: due uomini che mettono costantemente alla prova i limiti di se stessi e della propria professione.

 

 Top Gun: Maverick è distribuito da Paramount Pictures Studios ed  è interpretato da Tom Cruise, Miles Teller, Jennifer Connelly, Jon Hamm, Glen Powell, Lewis Pullman, Charles Parnell, Bashir Salahuddin, Monica Barbaro, Jay Ellis, Danny Ramirez, Greg Tarzan Davis con Ed Harris e Val Kilmer. Diretto da Joseph Kosinski, su una storia di Peter Craig e Justin Marks, sceneggiatura di   di Ehren Kruger, Eric Warren Singer e Christopher McQuarrie e basato su personaggi creati da Jim Cash e Jack Epps, Jr., TOP GUN annovera tra i produttori lo stesso Tom Cruise, oltre a Jerry Bruckheimer,  Christopher McQuarrie, David Ellison e ai  produttori esecutivi sono Tommy Harper, Dana Goldberg, Don Granger, Chad Oman, Mike Stenson.




Balla come idea del femminile a Bottegantica

di Cristina T. Chiochia Dal 6 novembre 2021 al 30 aprile 2022, presso la sede di Milano di Banca d’Italia è stata esposta la propria collezione di opere di Giacomo Balla per una mostra piccola ma suggestiva dal titolo “Esistere per dare”. Un omaggio alle opere di Balla presenti nella collezione che hanno creato a Milano una sorta di percorso anche presso la Galleria Bottegantica  (con la stessa curatrice della mostra ) e presentata dall’ 1 al 30 aprile con il titolo BALLA AL FEMMINILE | TRA INTIMISMO E RICERCA DEL VERO con cui la galleria , recita il comunicato stampa : “intende rendere omaggio a Giacomo Balla, uno dei più importanti e originali esponenti dell’arte italiana del XX secolo. Una “preview” speciale con una selezione di opere inaugurerà la mostra alla fiera MIART di Milano, dal 31 marzo al 3 aprile, dove la Galleria sarà presente nella sezione Decades allo stand A100. L’esposizione si sposterà dal 6 al 30 aprile negli spazi espositivi di Galleria Bottega Antica in via Manzoni 45.Dopo quattro anni dalla rassegna Giacomo Balla. Ricostruzione futurista dell’universo (2018), incentrata sull’esperienza futurista del pittore, Bottegantica dedica una mostra alle declinazioni della femminilità interpretate dall’artista in due periodi apparentemente lontani della sua produzione, quello divisionista di inizio Novecento e quella figurativo-realista degli anni Trenta e Quaranta”.

Una mostra curata nei minimi dettagli a cui a fatto da padrona la grande storica Elena Gigli che ha soddisfatto nella preview riservata alla stampa aneddoti e curiosità sul lavoro di questo grande artista. Opere incredibili. Dai colori lucidi e vivi che custodiscono quel senso di “stare accanto” in famiglia a cui Balla era tanto affezionato. Balla maturo e molto attento agli accostamenti con grande capacità di sviluppare temi come la quiete o la famiglia oltre alla figura femminile. Veri e propri primi piani d’artista. Dove ritrarre significa generare, in quella sorta di “generatività” che gli fu tanto cara nei ritratti dei primi del 900.  Visibili quindi Quiete operosa (1898) e La famiglia Stiavelli (1905) ma anche grandi ritratti delle figlie, anche loro pittrici. ED è proprio quella casa dove nell’estate del 1929 Balla si trasferisce, che diventa il tutto.  La misura di tutte le cose, insomma. Tanto che per tutto il 2022 a casa in via Oslavia 39/b sarà visibile al pubblico e visitabile grazie alla collaborazione del MAXXI e la Soprintendenza speciale di Roma oltre che al supporto della banca Finnat. Spazio. Percezione della realtà e luce ridente. Balla che forse, da lassù, sorride soddisfatto.




Il Parco Museo Ginori come esempio di apertura alla generatività

di Cristina T. Chiochia L’amenità di un luogo è tutto. Quando un posto immerso tra piante ed alberi, spesso situato nelle vicinanze di una fonte o di un ruscello, ricco di ombra racconta sempre di se e di quello che rappresenta come appunto quello del Museo Ginori, in Toscana. Come recita il comunicato stampa: “attesa di riaprire le sue porte al pubblico al termine dei lavori di ristrutturazione  riallestimento, da oggi il Museo Ginori spalanca i cancelli del suo giardino, un grande spazio verde che per la prima volta viene messo a disposizione della comunità di Sesto Fiorentino”.

Un evento che si è svolto alla presenza del presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, del sindaco di Sesto Fiorentino, Lorenzo Falchi, e il direttore regionale musei della Toscana, Stefano Casciu, hanno festeggiato l’apertura del giardino insieme a Tomaso Montanari presidente della Fondazione Museo Archivio Richard Ginori della Manifattura di Doccia e Andrea Di Lorenzo direttore del Museo Ginori.

Sotto l’idea quel concetto che le grandi città italiane hanno fatto proprio, ovvero della “generatività” come processo sociale di una comunità, il Museo Ginori con la rinascita del giardino. La Fondazione Ginori  si è fatta carico della potatura e della messa in sicurezza del giardino, sottraendolo allo stato di abbandono in cui versava dal 2014, in seguito al fallimento della Richard Ginori. Infatti  dopo  la chiusura del Museo, il suo patrimonio è ancora immenso: custodisce tre secoli di storia del gusto e del collezionismo, come recita il comunicato stampa “rappresentando un unicum a livello internazionale grazie alla ricchezza e alla continuità storica del suo patrimonio, eredità della più antica manifattura di porcellana ancora attiva in Italia. Notificata come complesso di eccezionale interesse storico-artistico e archivistico dal 1962, la sua collezione comprende circa 8000 oggetti in porcellana e maiolica databili dal 1737 al 1990, modelli scultorei, documenti cartacei e disegni, una biblioteca storica, una biblioteca specialistica e una fototeca.Dal 1965 il Museo ha sede in un edificio progettato dall’architetto Pier Niccolò Berardi, di  proprietà  demaniale  e  affidato  alla  Direzione  Regionale Musei  della Toscana, che necessita di importanti lavori di risanamento dopo gli anni di abbandono seguiti al fallimento dell’azienda Richard-Ginori”

Un gesto di amore per un luogo di cultura insomma da sottolineare. Un modo per amare non solo il proprio territorio ma anche quella idea appunto di generatività che rende possibile, attraverso processi di rete,  persone fisiche con storie diverse tra loro, impegnate nel potenziare la capacità generativa di una comunità per renderla interdipendente per creare benessere. Il wellbeing tanto atteso insomma, grazie a questo processo di amenità, è riuscito. “Come ricordato qualche giorno fa anche dal Ministro Dario Franceschini, – ha spiegato il presidente della Fondazione, Tomaso Montanari – il Museo Ginori è sopravvissuto al fallimento della Richard-Ginori grazie a uno straordinario movimento popolare che ha saputo trasformare il suo amore per questo scrigno della memoria in un efficacissimo strumento di persuasione, che ha convinto lo Stato a investire sul futuro del museo e del suo territorio. L’apertura del giardino è il primo passo per restituire da subito alla città di Sesto qualcosa che davvero si merita. Siamo profondamente convinti che un museo, questo museo, sia uno straordinario bene comune: iniziamo dunque a mettere in comune tutto quello che la Fondazione finora ha ricevuto nel suo pieno controllo, e cioè appunto il parco”. Un primo passo. Certo. Ma nella direzione giusta verso nuove forme di generatività . 




Rudy Profumi: 100 anni di storia e una lunga strada da percorrere

Fondata nel 1920 a Milano da Spiridione Calabrese che inizia l’avventura di profumiere nella sua piccola bottega di parrucchiere, partendo dalla miscelazione di tinture per capelli, Rudy Profumi guarda al futuro con la quarta generazione che si è succeduta in azienda e punta su sostenibilità, rispetto dell’ambiente e ricerca. L’azienda, nata dall’intuizione di un uomo dei primi del ‘900 è oggi un’impresa, presente in oltre 30 paesi con una distribuzione capillare che oltre alle profumerie e a 4.000 porte tra farmacie, parafarmacie ed erboristerie.

Ad oggi Rudy Profumi presenta un’ampia gamma di prodotti per la cura del corpo: bagnoschiuma, body cream e saponi liquidi, oltre alle iconiche acque di colonia, ad una linea di diffusori ambiente per la casa. I prossimi progetti del brand riguardano l’ampliamento di tutta la categoria dei prodotti legati all’Home Care, oltre ai già presenti emanatori, così da poter offrire una proposta completa con linee dedicate. La
partecipazione al prossimo Maison&Objet sarà, infatti, un’occasione per consolidare i rapporti con i partner e per aprire nuove possibili collaborazioni nel settore Home Decor.

Le formulazioni delicate e performanti caratterizzano fragranze piacevoli ed evocative che spaziano dal floreale, all’esotico fino alla dolcezza delle note fruttate. Profumazioni ricercate e packaging di design sono la peculiarità dei prodotti masstige di Rudy Profumi. Questo connubio si realizza, in particolare, nella collezione Maioliche: una linea caratterizzata da fragranze ispirate ai profumi tipici italiani e dedicate alle città che ne
rappresentano la storia. Gli agrumi di Sicilia, le erbe aromatiche mediterranee, le rose di Positano e di Amalfi sono solo alcune delle profumazioni racchiuse nelle ceramiche italiane dai disegni esclusivi realizzati a mano e riprodotti sulla confezione.

Tra le novità di Rudy Profumi  la nuova collezione di fragranze per il bucato, profumi pensata per vuole personalizzare i propri capi con fragranze uniche.  Rudy Profumi offre una gamma di 5 fragranze contraddistinte da diverse piramidi olfattive per evocare le più positive sensazioni: toni floreali, fruttati e aromatici.

GIADA: freschezza della primavera grazie alle note di Limone e Pesca. La nota olfattiva si apre con sentori di Limone e Pesca, con un cuore tenero e floreale di Rosa, Gelsomino e Orchidea Bianca per finire con aromi caldi e persistenti di Legni Preziosi, Vaniglia e Fava Tonka.

QUARZO: fragranza caratterizzata da un bouquet floreale seducente. Il profumo si annuncia con le note di Pesca e Limone con un cuore irresistibile di Rose e Fiori di Loto per finire con la freschezza e delicatezza di Muschio Verde.

ZAFFIRO: note verdi e fiorite di Neroli e Fiori Bianchi si combinano alla perfezione con le note calde e preziose di Legni Preziosi, Muschio e Spezie per creare un accordo intenso e persistente.

AMETISTA: fragranza fiorita e frizzante connotata da note verdi di Limone e delicati frutti. Il suo cuore fiorito di Rosa Bianca e Ylang Ylang unitamente alle note di fondo di Legni Preziosi e Muschio Bianco la completano, rendendola fresca e persistente.

TURCHESE: composizione fiorita e delicata. La nota olfattiva è caratterizzata da testa di Vaniglia e Talco su dolci e romantici sentori di Rosa e Geranio. Le note di fondo di Muschio e delicata Vaniglia conferiscono alla fragranza persistenza.




L’arte coltivata di Giorgio Riva

di Cristina T. Chiochia Un invito alla lettura quello de “L’antro di Efesto” di Giorgio Riva e presentato al Museo della Permanente a Milano in cui l’autore a voluto esprimere l’essenzialità del suo libro cercando di mettere in luce il suo essere architetto ma che “coltiva arte” con una tipica forma di “essenzialità che gli appartiene”. E nel libro ce ne sono molti esempi a partire dall’idea di “bontà del caso”, quando l’autore racconta del suo talento. Anche pittorico. “In quel periodo” racconta nel libro “avevo accanto cugini e amici già studenti di Lettere e filosofia con i quali trovavo le categorie necessarie per un primo passo: distinguere la veduta cosiddetta “dal vero” dalla “veduta della mente”. Poco dopo il distinguo ha rinnovato il suo abito verbale: imago (dal latino imitor – it. “imitare”) aut phàntasma (in greco “visione”, libera dall’obbligo di imitare)”. La pittura come prima grande sintesi espressiva.

Per Riva, insomma l’idea del  progetto architettonico si colloca in una sorta di interregno. Che esemplifica con il suo modo di fare pittura fin dalla più tenera età e che poi lo ha portato addirittura alla pittura informatica fusa con il suono.

Sempre nel libro infatti dice ” tutti i progetti ritraggono ciò che non c’è, o almeno che non c’è ancora. Si annunciava così anche l’affascinante idea di utopia che in politica si candida a diventare ideologia. Contemporaneamente il mio dipingere si allontanava dall’imitazione veristica del soggetto ritratto per dare maggiore importanza al modo di condurre le pennellate sulla tela: cosa facevano macchiaioli e impressionisti? Ritraevano atmosfere di paesaggi o inseguivano da innamorati un loro nuovo modo di agitare il pennello? Stava insomma prendendo corpo un linguaggio pittorico in cui la realtà cessava di essere “rappresentata”, diventava per me molto più interessante “alluderla” o “citarla”: potevo semplicemente “usarla”, insomma, per ritrarre non più oggetti, ma “itinerari” del pensiero visivo. Contemporaneamente stavo preparandomi a rivedere anche i grandi ritratti dei realisti come specchi ingannevoli”.

Una realtà , quella che esprime Riva nel libro, che è sempre più interessante proprio perché da scoprire là, in quel “dentro” dove è  il pensiero visivo. Che è proprio quanto la pittura insegna, da sempre. Dalla superficie di un “vero apparente” a qualcosa che con il talento cresce e si rafforza. Forse per questo, dice sempre l’autore “c’era sempre un velo da togliere, altrimenti si sarebbe perso ogni senso, spessore e, in definitiva, la profondità del dipinto”. La realtà, insomma si raggiunge al contrario in pittura, come in architettura. E poi l’esperienza della testimonianza. Dove la Casa-Museo I Tre tetti nel Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone a Lecco , mostra ai visitatori una raccolta privata delle opere di Giorgio Riva presso la sua residenza estiva e come si è aperta al pubblico con una prima mostra notturna di “sculture luminose” (visibili al tramonto) nel 2005.

Sempre in ascolto. Per saper vedere e saper guardare. Ecco in estrema sintesi il libro. E questa l’intuizione dell’autore ,oltremodo attuale che, come recita il comunicato stampa: “nella confusa temperie delle culture che regna attualmente è fondamentale essere vigili e pronti a navigare controvento. La mia rotta mi ha condotto su un dosso del Parco di Montevecchia a fare un luogo destinato all’intreccio delle arti”. Villa 3 Tetti di Sirtori non è tanto una raccolta di opere, è piuttosto un’opera complessiva dentro la quale si cammina. Arte del paesaggio, arte della luce, architettura, scultura, pittura vi s’intrecciano con poesia e musica: qui il vero protagonista è il metalinguaggio che le unisce”. E questo libro, edito da Skira ditore, sicuramente ne è un valido esempio.




L’opera donata da Emilio Isgrò “Cinque Maggio. Minuta cancellata”

 di Cristina T. Chiochia Ci sono occasioni per perdersi negli archivi e trovare un concetto di prossimità artistica del tutto nuovo anche in capolavori come la poesia del Cinque Maggio. Una sorta di generatività al contrario e di connessione con una comunità ritrovata quella del dono di Emilio Isgrò della minuta cancellata del Cinque Maggio. Prossima come Milano e Manzoni.
E di linguaggio, con una nuova pubblicazione, presentata presso la Biblioteca Braidense di Milano, che riporta poi la magia di un incontro, quello di Isgrò ed i suoi lavori, con quel Cinque Maggio, poesia unica e stra conosciuta in Italia che si fa anche inno. Anche grazie al catalogo ragionato per Skira Editore, Isgrò presenta il suo lavoro in modo inedito ed attraverso una donazione che ha il sapore del fare una sorta di transizione sulla parola che non va mai rinviata. Ma asciugata. Cancellata. Come se il cambiamento della forma scritta e della cancellatura diventasse in questo modo quodiano e costante per tutti gli autori e gli scrittori, quando diventa qualcosa di importante. Qualcosa che non può non deve essere demandata. Cancellatura necessaria e reale. Una virtualizzazione del processo creativo che virtualizza la conoscenza della poesia stessa e la rende importante, sincera, più di quanto potesse esserlo, leggerla nella versione definitiva. O pubblicata.
Scrittura a mano. Inchiostro secco. Cosa sarebbe senza la presenza di quelle cancellature? Attraverso la donazione di questa minuta insomma, Isgro entra nel processo creativo di Manzoni con competenza e lascia delle risposte ad una fase storica che, purtroppo, è molto attuale. quella degli eroi e della guerra.  La poesia per Napoleone, eroe invitto diventa memoria di presente,  che come recita il comunicato stampa” ancora una volta unisce la grande arte con la grande letteratura, la memoria con il presente, è la protagonista della donazione di Emilio Isgrò alla Biblioteca Nazionale Braidense: “Cinque Maggio. Minuta cancellata”.  L’artista ha infatti apportato le sue cancellature sul manoscritto autografo della celebre poesia manzoniana dedicata a Napoleone, manoscritto conservato in biblioteca, uno dei più celebri della Braidense, istituto che accoglie il più importante fondo manzoniano nazionale, volendo così rendere un nuovo omaggio alla lingua poetica del grande scrittore”. Una presentazione interessante. Che coglie tutta la drammaticità del presente, con gli occhi artistici di un artista che guarda il suo lavoro in prospettiva e dall’alto, mentre Manzoni raccontava “il suo” futuro attraverso il condottiero più famoso, Napoleone.