Oggi incontriamo un giovane poeta di Terranuova Bracciolini, Davide Rocco Colacrai. A soli 34 anni ha già conseguito oltre 500 riconoscimenti partecipando a concorsi letterari, anche internazionali ed europei, le sue poesie sono contenute in più di un centinaio di antologie, e ha all’attivo ben tre libri: Frammenti di parole (GDS, 2010), SoundtrackS (David and Matthaus, 2014) e Le trentatré versioni di un’ape di mezzanotte (Progetto Cultura, novembre 2015), quest’ultimo sostenuto da uno spettacolo musico-visivo di presentazione, in tournée fino a pochi giorni fa. La nuova opera, Infinitesimalità (VJ Edizioni, Verona), è in uscita entro la fine del mese.
Il tuo nuovo libro di poesia si intitola “Infinitesimalità”. Come nasce?
Tecnicamente il libro nasce come premio di un concorso letterario: infatti ho vinto il primo premio del Concorso “Arco dei Gavi” per la sezione poesia, e mi è stata riconosciuta la possibilità di realizzare una mia opera per le VJ Edizioni di Verona. Artisticamente invece non ho una risposta precisa da dare, nel senso che sapevo, “sentivo”, che erano maturi i tempi per un nuovo libro e sapevo anche di volerlo chiamare “Infinitesimalità”, tutto il resto è stato intuivo, era, come dire, già pronto, in attesa.
C’è una evoluzione rispetto al tuo libro precedente, “Le trentatré versioni di un’ape di mezzanotte”?
Penso che, rispetto al lavoro precedente, sia da riscontrarsi una inevitabile evoluzione, sicuramente nell’uomo, di conseguenza nel poeta. Infatti si affrontano temi diversi ovvero alcuni degli stessi temi ma in modo più diretto, più di petto, c’è un maggiore coraggio nel parlare, nell’esporsi, anche nel prendere una posizione, una maggiore naturalezza in tutto questo, tuttavia lo stile è più elaborato, simbolico, di non semplice e immediata decifrazione, aperto a molteplici letture. “Infinitesimalità” è un lavoro più intimo, più intimista, e come tale pervaso da un dualismo “infinitesimale”.
Visto che c’è, l’evoluzione di cui chiedevamo, quale è il tuo poeta o scrittore di riferimento?
La verità è che non ho un poeta o uno scrittore di riferimento o che è da me preferito ad un altro. Mi piace leggere, ascoltare, fare mie le parole, i silenzi e le storie, “possedere” il mondo. Inoltre amo sperimentare, soprattutto con la lingua italiana, giocare e stravolgerla, osare e andare oltre rispetto ai limiti tacitamente imposti, accettati, nella poesia, non dire cose già dette ovvero dirle ma in un modo diverso, un modo che obbliga il lettore a fermarsi e a domandare, ad entrare in contatto a tu per tu con i suoi dubbi, un modo che lo mette sulle spine perché deve decidere, egli medesimo, sotto la propria responsabilità, come e quanto significare, e perché.
Ci parli della tua esperienza poetica e del tuo percorso artistico?
Ho avuto la fortuna di sperimentare più strade artistiche prima di “sentire”, di sapere, che la poesia fosse la mia. Infatti ho iniziato con la musica, suonando alcuni strumenti, ho dipinto per molti anni, per un periodo ho realizzato alcuni remixes come dj che circolano tutt’ora nella rete e, infine, sono approdato alla poesia. La mia esperienza poetica pertanto mi piace definirla una esperienza “medianica”, nella misura in cui tutte le sensibilità che ho coltivato nel tempo si sono unite per confluire verso una sensibilità unitaria, indefinita, a volte anche “maledetta”, per mezzo della quale devo saper gestire il dono, e così la responsabilità, di raccontare storie, storie che non sono mie, personali, e che tuttavia appartengono a tutti, sono storie del mondo, storie dell’uomo. L’esperienza poetica infatti ha come fondamento, per me, una vocazione, non una passione, non un passatempo, ma una vocazione dalla quale deriva una responsabilità precisa verso se stessi e verso gli altri: come dicevo, la responsabilità di prendere con sé le storie e di raccontarle, esplicitarle, condividerle. E posso confermare che a volte fa male.
Il mondo ha bisogno della poesia o la poesia ha bisogno del mondo?
Sono convinto che il mondo abbia bisogno della poesia tanto quanto la poesia è bisognosa del mondo. Infatti la poesia si nutre del mondo, come dicevo poc’anzi è fatta di storie, le parole sanno raccontare ed ascoltare, così il mondo a sua volta si nutre della poesia per non essere dimenticato, per sentirsi meno solo, per vivere. L’uno presuppone l’altra in un rapporto biunivoco di sopravvivenza, di completezza, e anche di bellezza.
Allora possiamo riconoscere un ruolo al poeta nella nostra società?
Ho già affermato che il poeta ha una responsabilità ben precisa, quella di prendere una storia e raccontarla. Pertanto se è da riconoscergli un ruolo penso debba essere quello di stimolare le persone, i lettori, di spingerli ad essere se stessi, ad ascoltarsi, a volersi bene, ad accettarsi, ad avere cura di sé e degli altri, ad ascoltare, ascoltare soprattutto quello che l’altro custodisce dentro di sé, le voci del mondo, i silenzi del cuore. Insomma il poeta può influenzare il lettore ad essere migliore. Può fare in modo che via sia una maggiore responsabilità, e bellezza, dentro e fuori.
Che cosa è allora un poeta?
La domanda esatta è chi è un poeta, o forse cosa c’è dentro, dietro, un poeta.
Un poeta, almeno per quanto mi riguarda, è un uomo dominato da un essenziale dualismo nella misura in cui da un lato da sempre “percepisce” l’esistenza di qualcos’altro, un oltre, qualcosa di indefinibile e inafferrabile, di sottile e infinitesimale che, da dentro, lo fa sentire completo, sicuro, a proprio agio nella sua diversità, probabilmente è una forma di fede, di amore, d’infinito, insomma “sa” di appartenere a un Tutto; dall’altro ha conosciuto, e così accumulato, un numero incontabile di cattiverie, ingiustizie, dolori, brutture, solitudini, e similari, senza una capacità di reazione, che un giorno si è ritrovato con una sola alternativa possibile, quella di implodere e quella di esplodere, e gli è venuta naturale la seconda: in primo luogo per ascoltare se stesso, per ri-comporsi, per darsi una forma, di conseguenza per condividere la propria versione con gli altri, in particolare con coloro che hanno, ciascuno, vissuto una esperienza simile secondo una versione differente, la propria. Il poeta è allora quella somiglianza d’uomo nel buio del mondo per gli altri.
I temi sociali quanto influenzano la tua poesia?
Dal momento che ho parlato di una responsabilità del poeta, e di una funzione dello scrivere, dell’essere più che del fare poesia, e del poeta come modello di riferimento, allora la poesia è, essa stessa, per sua natura, intrinsecamente sociale. Ciò significa che la poesia, la mia poesia, è finalizzata a vincere l’indifferenza e le solitudini, il lato oscuro che l’uomo ha, e tutte le sue espressioni. E l’unico modo, secondo me, per farlo, è metterlo davanti allo specchio con se stesso.
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