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“NEMICHE PER LA PELLE”: IL CONNUBIO DEGLI OPPOSTI

di Elisa Pedini – In uscita nelle sale italiane da oggi, 14 aprile, il film “Nemiche per la pelle” del regista Luca Lucini. Commedia brillante, divertente e ironica da non perdere assolutamente per passare 92 minuti in allegria. La sapiente regia di Lucini ci ripropone la contrapposizione di due personaggi, che sono, in verità, più dei caratteri molierianamente intesi, incarnando ed esasperando un aspetto ben preciso della società moderna. Proprio dalla contrapposizione di due esacerbate personalità, improbabili proprio perché eccessive, scaturisce l’umorismo e la comicità di questa pellicola. Di per sé la trama non ha nulla di particolarmente comico, anzi: due donne, Lucia e Fabiola, si conoscono da anni e si odiano profondamente. La prima è la ex moglie dell’attuale marito della seconda: Paolo. Sono totalmente agli antipodi: tanto è pragmatica, realista e donna d’affari Fabiola, quanto è idealista, sentimentale e sognatrice, Lucia. Da sempre si contendono l’affetto e le attenzioni di Paolo, che, però, muore, lasciandole entrambe. Questo avvenimento drammatico porta alla luce un grande segreto dell’uomo: un figlio, avuto con una terza donna. Inoltre, Paolo, che, con loro due, di figli non ne aveva mai voluti, forse, colto da un sentore di quanto sarebbe potuto accadergli, ha lasciato al suo amico e avvocato Stefano, nonché gestore delle ingenti finanze di Fabiola, una lettera con le sue volontà. Le due donne dovranno prendersi cura, congiuntamente, del bambino: Paolo Junior. Lucia e Fabiola, ambedue inadeguate alla maternità, animate, inizialmente, sia dall’antico astio che da questioni ereditarie, quindi, economiche, iniziano, così, un viaggio dentro se stesse e dentro questa maternità tardiva e inattesa. Entrambe assorbite dalle loro vite: Fabiola ha i suoi affari, mentre Lucia ha le sue “crociate” e il suo amore con l’immaturo e artista fallito,Giacomo, si troveranno a dover fare i conti con una realtà nuova, che le spiazza e le terrorizza. Proprio quando il bambino comincia a far breccia nei loro cuori, ecco che accade qualcosa di totalmente imprevisto, scombussolando ancora di più la vita e i sentimenti delle protagoniste. Lucia e Fabiola saranno allora costrette, per la prima volta, ad unire le forze, passare del tempo insieme; diventare, piacenti o no, alleate. Scopriranno così, oltre tutte le evidenti e buffe differenze, che c’è qualcosa che, forse, in fondo, le accomuna. In questa fase entra in gioco un’altra caratteristica di Lucini: il suo tatto delicato. La telecamera quasi accarezza i volti e le vite dei suoi “caratteri”, facendo loro cadere la maschera e portandoli, totalmente, quanto inesorabilmente, sul piano della realtà. Dove nulla è sempre tutto bianco, o tutto nero; ma al contrario esistono tante sfumature di colori, di toni, di personalità, di sentimenti. Sempre tipico della sua regia è il non tralasciare mai lo humour, che consente di mantenere i toni molto leggeri, anche nei momenti di maggiore tensione. Tra battute, battibecchi, situazioni improbabili, “Nemiche per la pelle” scorre via in modo davvero rapido e piacevole. La semplicità degli eventi raccontati, trova il suo ritmo scandito e perfetto proprio nelle dinamiche d’incontro e scontro degli opposti, che, a loro volta, trovano il loro connubio perfetto nello sguardo ironico e bonario della telecamera di Lucini. Merito sicuramente anche dell’interpretazione, che ci mostra una Margherita Buy, nel ruolo di Lucia e una Claudia Gerini, nella parte di Fabiola, squisitamente calate nell’incarnazione esacerbata dei loro personaggi e che riescono a rendere, con altrettanta forza, il cambiamento. Supportate da Paolo Calabresi, che interpreta l’avvocato Stefano e di Giampaolo Morelli, nel ruolo di Giacomo, ricalcando il suo personaggio tipico: del ragazzo bravo, ma immaturo e pieno di sé, che se combina qualcosa nella vita è più per caso che per volontà sua.

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Al Castello Malingri per un fine settimana Bio&Vegan

Il 7 e 8 maggio 2016 arriva al Castello Malingri la terza edizione dell’evento “Dal parco al Castello” dedicato alla natura, al benessere, all’enogastronomia, alla didattica e gli intrattenimenti per i bambini con una connotazione tematica BIO & VEGANA. Un percorso tra idee e proposte dall’alimentazione, alla meditazione, all’educazione, dalla botanica ai giochi. Una grande esposizione arricchita da attività ludiche e laboratori per tutte le età, perché non si finisce mai d’imparare, di crescere…e di giocare!

Il Feudo sarà suddiviso in aree tematiche, vi saranno aree dedicate all’esposizione e vendita di prodotti enogastronomici, un’area dedicata ai piccoli artigiani, alle spezie, alle piante ed ai fiori ed alle attività sportive.

L’evento darà modo di ammirare gli spettacolari scenari naturali e storici del Feudo Malingri, assaporando i primi caldi primaverili, passeggiando tra stand enogastronomici e micro eventi.

La manifestazione si rivolge ad un vasto pubblico, e si propone di coinvolgere le più importanti istituzioni e associazioni territoriali, coinvolgendole in prima persona. I bambini delle scuole avranno modo di partecipare agli innumerevoli laboratori didattici presenti, passando due giornate immersi nella natura a contatto con gli animali. Le aree dedicate all’intrattenimento dei bambini rendono l’evento una divertente occasione di trascorrere il week-end fuori città per tutta la famiglia.

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VEGAN & BIO WEEKEND nasce con l’idea di sensibilizzare le persone nei confronti dei diritti di tutti gli esseri viventi e dell’ambiente che ci circonda; sull’importanza di un consumo consapevole e su quanto la scelta di ciò che mangiamo, consuminamo e utilizziamo abitualmente incida sulla nostra salute e sulla salute dell’ambiente in cui viviamo. VEGAN & BIO WEEKEND  ha come obbiettivo INFORMARE su quali siano le alternative o le possibili scelte alimentari e comportamentali per raggiungere il benessere fisico, nel pieno rispetto della natura.VEGAN & BIO WEEKEND  offre la possibilità alle aziende del settore di presentare i propri prodotti in linea con i principi della manifestazione: senza lo sfruttamento di nessun tipo di essere vivente ed eco-compatibile con l’ambiente in cui viviamo. Crea un punto di incontro e confronto fra le persone promuovendo conferenze e workshop interessanti, utili ed innovativi.
VEGAN & BIO WEEKEND  si propone di essere un evento interessante e costruttivo per tutte quelle persone informate e sensibili all’argomento, ma soprattutto per tutti quelli che sentano l’esigenza o la curiosità di CONOSCERE le possibilità e le proposte per migliorare la qualità della propria vita

VEGAN & BIO WEEKEND  si rivolge a: – aziende e piccole realtà che vogliano proporre i loro prodotti e ampliare la propria visibilità partecipando attivamente all’evento o come aziende partner- aziende, professionisti o associazioni che vogliano inserirsi con conferenze, laboratori, dimostrazioni o workshop con lo scopo di educare, sensibilizzare, consigliare ed informare il pubblico su come raggiungere e mantenere il proprio benessere.

CATEGORIE MERCEOLOGICHE: macrobiotica, cosmesi e cura della persona, piante, erbe, spezie, abbigliamento ecologico, proposte ludiche e sportive naturali ed ecologiche, proposte con materiali riciclati.

DAL PARCO AL CASTELLO – Speciale VEGAN & BIO

7/8 maggio 2016

Feudo Malingri di Bagnolo Piemonte

www.castellodibagnolo.it

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CODICE 999 – BELLO MA SENZA TROPPI ENTUSIASMI

di Elisa PediniDal 21 aprile nelle sale italiane l’atteso film “Codice 999” del regista John Hillcoat, che torna, dopo qualche anno, dietro alla telecamera. Pellicola feroce, cruda, serrata, ricca d’azione, di sparatorie e di violenza. Sicuramente concepita e votata ad alti incassi, ma, francamente, non mi convince e vi spiego perché: nonostante certi aspetti mostrino delle varianti su tema, essi, non sono sufficienti a uscire dai cliché del genere, che il film ricalca in pieno. Ne riconosco i lati innovativi, primo fra tutti, l’ambientazione che, questa volta, è Atlanta: città sicuramente poco sfruttata a livello cinematografico. Inoltre, un’altra scelta coraggiosa, è costituita dal portare in scena una realtà malavitosa ben poco nota: ovvero quella della criminalità ebreo-russa, la cosiddetta “mafia kosher”, gruppi criminali, molto potenti negli Stati Uniti, che si sono fatti strada col traffico d’armi. Una “cupola” così terribile, che, nel film si sentenzia, lo stesso Putin teme. Infine, l’aver coinvolto nel film veri membri delle gang di latinos che governano interi quartieri della città. Nonostante tutto questo, la trama ci propone, per l’ennesima volta, il solito manipolo di poliziotti ed ex membri dell’esercito, corrotti e avidi, il di cui capo, Michael Atwood, è tenuto in pugno da Irina Vlaslov, spietata boss della mafia russo-israeliana, con il solito bambino, usato come oggetto di ricatto. Questo è il mezzo primario utilizzato per far leva sull’uomo, al fine di fargli fare tutti i lavori sporchi di cui la mafia necessita. Oltre, naturalmente, a tutta una serie di violentissime iniziative volte a convincere il manipolo di corrotti a restare compatto. Il film si apre con un’audace rapina in banca che termina in una cruenta sparatoria in autostrada. Il sergente Jeffrey Allen è incaricato d’indagare sul caso, mentre il suo nipote prediletto, onesto e ingenuo, finisce per diventare il nuovo partner di uno dei poliziotti corrotti. Quella, doveva essere l’ultima impresa sporca e invece, al manipolo di corrotti, viene imposta un’ulteriore missione, solo che, stavolta, è impossibile da portare a termine: una rapina al dipartimento di sicurezza interna. L’unico modo per tentare d’eseguirla è provocare un codice 999: ovvero, l’omicidio d’un poliziotto. Tale atto comporterebbe il convergere di tutte le pattuglie sul luogo del delitto con assoluta priorità, aprendo una contestuale caccia all’assassino. Tutto questo caos, consentirebbe un tempo maggiore per la rapina, che passerebbe in secondo piano, con conseguente ritardo d‘intervento delle forze dell’ordine. Da questa decisione si dipana tutta l’azione del film, fra solite bande, soliti quartieri malfamati e solite prostitute da trivio. Fra casualità, avidità, tradimenti e drastiche soluzioni per togliere di mezzo chi diventa scomodo. Quella che, a mio avviso, potrebbe essere la parte interessante della trama e cioè l’indagine sull’identità di questa banda, che imperversa facendo crimini e mostrando un’elevata preparazione tecnico-tattica, è messa, in verità, troppo in secondo piano per dare un reale valore aggiunto. Quelli che seguono le indagini sono poliziotti onesti, ma indolenti, lenti, alcolizzati e non danno vera linfa vitale, né un quadro tanto positivo, al dunque. In conclusione, a me, che i cliché lasciano del tutto indifferente, questo film, non convince. Certamente, nulla va tolto al ritmo, spettacolarmente serrato, all’ambientazione realistica, né alla dose di crudeltà ben gestita e che da corpo alla tematica più che rispondente al genere cui la pellicola appartiene. Nulla va tolto alla regia sapiente e straordinaria di Hillcoat, che si conferma maestro delle riprese, laddove cieli plumbei e luoghi cupi accompagnano l’atmosfera di congiura e corruzione. Nulla da dire neppure dal punto di vista dell’esecuzione, semplicemente ineccepibile, potendo contare su straordinari interpreti come: Casey Affleck, Chiwetel Ejiofor , Woody Harrelson, Aaron Paul, Norman Reedus, Gal Gadot, Teresa Palmer, Anthony Mackie e un’eccezionale Kate Winslet. La mia perplessità è puramente “tematica” e non certo tecnica. Gli amanti del genere saranno assolutamente soddisfatti e non ho remore nel consigliare loro di gustarsi il film dall’inizio alla fine. Quelli che, invece, fossero stanchi delle solite trame trite e ritrite, sappiano che non vedranno nulla di particolarmente innovativo. Una pellicola “da cassetta” assolutamente ben fatta; ma che, a mio parere, non porta alcun valore aggiunto al panorama cinematografico contemporaneo.

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Franchi e Tosini alla Milan Design Week 2016

In occasione del Fuorisalone del Mobile 2016, Made4Art di Milano presenta un’esposizione di opere d’arte e design di Franca Franchi e Massimo Tosini.

Fondatori del movimento artistico “Zen in Art – per un’estetica Zen” (2014), i due artisti si riconoscono nei principi Zen, pensiero di importanza fondamentale in un mondo globalizzato e in profonda crisi spirituale.

Raffinatezza, essenzialità delle forme e dei cromatismi, sobrietà, naturalezza, ricerca della positività e della quiete interiore: questi alcuni degli elementi che accomunano le opere di Franchi e Tosini, nella produzione artistica come negli oggetti di design da loro realizzati.

In esposizione presso Made4Art una selezione di sculture, lampade e tavoli in cristallo creati da Franca Franchi e una serie di opere pittoriche e paraventi di Massimo Tosini: pezzi unici in bilico tra bellezza e funzionalità, arte che incontra il design.

Franca Franchi ha esposto in numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero; entrambi sono presenti nell’antologia di scritti critici “Gli artisti che ho incontrato” (Skira, 2015) di Gillo Dorfles, che segue gli artisti di cui ha curato la mostra “Il Segno e la Luce”, 2015, scegliendo le opere esposte e scrivendo la presentazione.

Un evento Expo in Città, Made4Expo.

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Franca Franchi e Massimo Tosini – Milan Design Week 2016

12-17 aprile 2016, ore 11-19

Spazio M4A – MADE4ART
Via Voghera 14 – Ingresso da Via Cerano – 20144 Milano

MM2 P.ta Genova – S. Agostino | Tram 14-2-9-19, Bus 74-47-59

Comunicazione a cura di  M4A – MADE4ART

Spazio, comunicazione e servizi per l’arte e la cultura
di Vittorio Schieroni ed Elena Amodeo
www.made4art.it | info@made4art.it | www.made4expo.com




CRIMINAL: UN FILM CHE VI RIMARRÀ NELLA MEMORIA

di Elisa PediniDal 13 aprile al cinema, “Criminal” il nuovo film del giovane regista israeliano Ariel Vromen. Dopo aver raccontato in “The Iceman”, del 2012, la storia vera d’un efferato serial-killer, che lo ha imposto agli onori della critica, Vromen torna, dietro alla cinepresa, con un action-thriller davvero notevole. Pellicola assolutamente da vedere: coinvolgente, originale, anticonformista e provocatoria. “Criminal” è un film che mi sento di definire: impressionante. La scienza e la ricerca scientifica sono, di fatto, il tema portante. Due le capacità umane esaltate: quella d’inventare e quella di ricordare. Sublime.

Siccome voglio accompagnarvi nella mia lettura del film e di ciò che ho molto apprezzato, mi è necessario, innanzi tutto, introdurvelo e dunque, raccontarvi la trama. La storia narrata è semplice e lineare: Heimbahl, un anarchico fanatico e folle, vuole appropriarsi di un wormhole in grado di forzare il sistema di difesa americano comandandone le armi a piacimento. Tale programma è stato ideato dal giovane e geniale hacker Jan Strook, detto “l’olandese”, il quale, però, non ha alcuna intenzione di farlo cadere nelle mani dello psicopatico Heimbahl, essendo ben cosciente delle conseguenze nefande che ciò comporterebbe. Fa, dunque, un accordo con la CIA. Il suo tramite è William Pope, l’unico perfettamente al corrente di tutti i dettagli della situazione e che nasconde “l’olandese” per proteggerlo. Heimbahl trova Pope. Lo tortura, nel tentativo d’avere informazioni, ma, l’agente, non parla, cosa che gli costerà la vita. È qui che entra in gioco la scienza, nella persona del dottor Franks, neurochirurgo che sta conducendo esperimenti sul passaggio di memoria da un essere vivente all’altro. La ricerca è in fase sperimentale e per ora è stata solo condotta su cavie. Mancano, ancora, almeno cinque anni di lavoro perché si possa passare alla sperimentazione sugli umani. Tuttavia, il capo di Pope, Quaker Wells, non vuol sentire ragioni. La posta in gioco è la salvezza del mondo. Si deve rischiare. Serve un altro essere umano che ospiti la memoria di Pope per trovare “l’olandese” prima di Heimbahl. La CIA non ha candidati, ma il dottor Franks, si. Ha individuato in Jerico Stewart, un detenuto nel braccio della morte, il candidato ideale. Un uomo violento, pericoloso, sociopatico, totalmente privo di empatia, di sentimenti, di sensi di colpa. L’unica emozione che Jerico è in grado di provare è la rabbia, che sfoga nella violenza più bestiale e brutale. Ciò nonostante, quest’uomo, così immondo, ha le caratteristiche cerebrali idonee. L’intervento chirurgico si fa. Inizialmente, sembra non aver funzionato; ma, lentamente, Jerico comincia ad avere dei flash di una vita non sua, sempre più nitidi. Con i ricordi, affiorano in lui anche le capacità di Pope. Tuttavia, avvisa il dottor Franks, non sarà per sempre. Molto presto, tutto svanirà nella sua mente. Ricordi frammentari, insufficienti, che, però, danno il via a un doppio percorso: da un lato, il cammino interiore di Jerico che scopre affetti, emozioni e situazioni a lui totalmente ignoti; dall’altro, il tentativo di fermare Heimbahl. “Criminal” mescola alle atmosfere e ai ritmi del thriller, i passi e i marosi dell’anima, dosandoli con sapienza. Come e dove portino questi due percorsi lo lascio scoprire a voi, gustandovi il film. Ciò che mi ha colpita e su cui mi piace riflettere è, invece, l’aspetto scientifico per un verso e quello umano per l’altro. Certo, la ricerca del dottor Franks è fiction, invenzione pura. L’idea da cui, però, Vromen parte, su cui si è documentato e su cui ha costruito “Criminal” non è così infondata. Infatti, non sono pochi gli studi che trattano di “memoria”. «Mi hanno incasinato il cervello», così apre il film Jerico. È noto che, a restare impressi, siano gli eventi più significativi, quelli che hanno coinvolto le emozioni più forti ed è proprio questo che, sapientemente, Vromen ci mostra. La memoria che Jerico eredita da Pope è, esattamente, quella a lungo termine, ovvero, quella che si fissa grazie alle emozioni e alle percezioni sensoriali a essa legate. I suoi ricordi sono frammentari e privi di consequenzialità, perché sono più rievocazioni di istanti. Inoltre, è risaputo che il cervello umano non sia in grado di distinguere tra emozione provata ed emozione allucinata. Per parte mia, trovo affascinante l’idea che un giorno la scienza sia in grado di trovare un modo per “trasportare memoria”. Recenti studi scientifici condotti dall’Università di Harvard, hanno dimostrato che gli atomi hanno memoria, ovvero possono “ricordare” con precisione quello che hanno fatto in precedenza e che, pertanto, sono in grado di trattenere e trasportare informazioni. Tale ricerca si sta, a tutt’oggi, sviluppando, seppur, ben evidentemente, in campo quantistico. Da questi dati, a vedere in Vromen un precursore avveniristico del futuro scientifico ne corre, ovvio. La sua, è fiction. Sognare, invece, è lecito. Vedendo “Criminal” non si può non essere affascinati da questo “sogno”. Il secondo aspetto che mi ha colpita, come ho anticipato sopra, è quello umano. La cinematografia ci ha abituato ad avere a che fare con scienziati o ricercatori pazzi, o privi di scrupoli, o avulsi dalla realtà. In “Criminal”, Vromen ci presenta, invece, due esseri umani, geniali; ma con una coscienza e un’anima. Un hacker e un neurochirurgo, che inventano, entrambi, qualcosa di straordinario, ma che restano due persone “normali”, totalmente calati nella loro realtà. Non sono folli, né spregiudicati, anzi, si pongono delle questioni morali ben precise. L’originalità di “Criminal” trova, poi, l’apice del compimento nell’esecuzione degli interpreti, che, più che recitare, sembrano realmente vivere gli eventi. Un ritrovato e straordinario Kevin Costner, che si scrolla di dosso il grigio di parti, ultimamente, poco riuscite, divenendo interprete intenso di Jerico Stewart, affiancato da un superbo Tommy Lee Jones nei panni del dottor Franks e da un potente Gary Oldman nel ruolo di Quaker Wells. Un realistico Jordi Mollà ci coinvolge nei vaneggiamenti dello psicopatico Heimbahl, mentre Michael Pitt rende, con notevole veridicità, l’angoscia dell’hacker Jan Strook. Non sono da meno le interpretazioni di Ryan Reynolds, nella parte dell’eroico William Pope e di Alice Eve nel ruolo della giovane e bella vedova.

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Simbolismo: inquietudine, fascino e sperimentazione nell’arte europea tra ottocento e Novecento

E’ un tempio la Natura ove viventi
pilastri a volte confuse parole
mandano fuori; la attraversa l’uomo
tra foreste di simboli dagli occhi
familiari. I profumi e i colori
e i suoni si rispondono come echi
lunghi che di lontano si confondono
in unità profonda e tenebrosa,
vasta come la notte ed il chiarore.

di Emanuele Domenico Vicini – Con queste parole si apre Corrispondences, uno dei testi chiave dei Fiori del Male, raccolta poetica del 1854 di Charles Baudelaire, nonché uno dei punti di riferimento della cultura simbolista europea, nel passaggio tra XIX e XX secolo.

La natura, luogo di forme reali e di suggestioni spirituali, non è più solo spazio per l’esercizio delle facoltà razionali dell’uomo, non può più solo accogliere lo spirito indagatore, di scoperta, di invenzione, dell’intellettuale che nella scienza ripone ogni fiducia; essa diventa al contrario luogo dell’indistinto, tempio dove albergano forze spirituali profonde e arcane. Le sue parole sono confuse, i segni che ci invia non possono che affascinarci e confonderci allo stesso tempo, perché stimolano i nostri sensi.

La metafora del mondo è la sintesi di profumi e colori che si confondono in un’unità vasta e profonda come la notte e come la luce.
Sinestesie, contraddizioni logiche, suggestioni arazionali sono i tratti tipici dell’immaginario simbolista, nella poesia di Baudelaire espressi con il fascino di una sintesi verbale potente e immaginifica.

Questi, d’altra parte, sono i temi della cultura simbolista, raccontati anche dalla pittura con indubbia efficacia espressiva. E questi sono i percorsi della mostra milanese “Simbolismo”, a Palazzo Reale fino al 5 giugno 2016.

Non è facile raccogliere in un’esposizione compatta e unitaria le fila di un movimento così eterogeneo: a Milano sono esposti artisti molto lontani tra loro, con opere di grande interesse: dalla straordinaria donna ghepardo della Sfinge di Fernand Khnopff; alla Testa di Orfeo galleggiante sull’acqua di Jean Delville (provenienti dal Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles); o ancora dall’opera di Ferdinand Hodler, intitolata l’Eletto (dall’Osthaus Museum di Hagen), al Silenzio della foresta di Arnold Böcklin (dalla Galleria Nazionale di Poznan).

Non dimentichiamo però gli italiani, come Aristide Sartorio presente con l’imponente ciclo pittorico Il poema della vita umana, realizzato per la Biennale del 1907, la stessa dove venne allestita la famosa Sala dell’Arte del Sogno che ha rappresentato la consacrazione ufficiale del Simbolismo in Italia.

È quindi decisamente interessante percorrere le sale della mostra, molto ben allestite, con luce soffusa e intrigante, accompagnati dalle parole di Baudelaire e dei suoi Fiori del male, dipinte alle pareti, per introdurre il visitatore nei diversi temi del percorso. Si coglie, nella messe di pittori, temi e tecniche presenti (da echi tardo romantici a suggestioni post impressioniste, da elegantissime citazioni di sfumature leonardesche ai tecnicismo del divisionismo all’italiana) prima di tutto la complessità dei movimento, e in particolare la sofisticata scelta tematica che spesso torna al mito classico.
È il caso di uno dei pezzi più famosi in mostra, giustamente scelto come immagine dell’evento, L’arte o La Sfinge o Le carezze, di Fernand Khnopff. Un Edipo efebico viene dolcemente accarezzato dal un ghepardo, mollemente adagiato al suo fianco, con il volto femminile della sfinge.
I due personaggi sono l’emblema dell’ambiguità (l’androginia di Edipo e la duplice natura umana e felina della Sfinge) come cifra fondamentale dell’esistenza stessa, ma nello specifico come carattere proprio di ogni forma di comunicazione.
Edipo comunica il mistero risolto, ma non provoca la sconfitta e il suicidio della sfinge, la quale, al contrario, lo coccola e lo blandisce, insinuando il dubbio che Edipo non si sia ancora liberato (né mai si libererà) dalle maglie invisibili della seduzione dell’enigma. Per questo Edipo accetta l’insidiosa carezza di lei, dimostrando che la condizione del dubbio e dell’incertezza suscitano sull’uomo un fascino ineguagliabile e inesplicabile.

Assolutamente meritevoli sono gli italiani in mostra, il già citato Sartorio, Gaetano Previati e Giovanni Segantini.
Di Previati dominano alcune opere meno note, come Il chiaro di Luna, dove le lumeggiature argentee, sui toni cupi della notte, sono capaci di creare un effetto sognante e quasi mistico. Non dimentichiamo però il Trittico dell’Eroe, molto famoso, che apre, con la sua relazione con la Sinfonia Eroica di Beethoven, il tema del Gesamkunstwerk, l’opera d’arte totale. L’eroe è celebrato con un ritmo solenne e sacro dal tocco divisionista del pittore, ricordando così l’andamento imponente della sinfonia. Nel mondo simbolista, l’ispirazione artistica è trasversale, passa dalla musica alla pittura, e viceversa, come espressione prima di tutto di un’idea di bellezza superiore, non tanto destinata alla percezione dei sensi, quanto dell’intelletto nella sua superiore capacità intuitiva.

Tra i temi che spiccano per la loro potenza evocativa va ancora citato quello della figura femminile, rivisitata nella sua immagine da molti artisti. Il più affascinante esempio è decisamente Il Peccato (qui esposto nella versione abitualmente a Palermo), di Franz Von Stuck, cofondatore del movimento della Secessione di Monaco, che apre la strada alla cultura simbolista in Germania.
La sua Eva, avvolta della spire del serpente, ci guarda con inquieto e spregiudicato erotismo; il rettile non simboleggia più solo l’abiezione del male, ma prima di tutto il suo fascino perverso e ammaliante. Quasi come la stola di una nobildonna, le squame lucide della bestia circondano il corpo nudo di Eva, sicura di sé, nella posa eretta e nello sguardo. Eva di Von Stuck, come Elena Muti di D’Annunzio, o le donne vampiro di Munch, è l’emblema di quel processo di rinnovamento della figura femminile che segna l’inizio della modernità del XX secolo.

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SIMBOLISMO

Palazzo Reale – Milano

fino al 5 giugno 2016




Nuova personale per l’artista e fotografo Paolo Bongianino

In occasione del Fuorisalone del Mobile – Milan Design Week, Made4Art di Milano, in collaborazione con Azimut Consulenza Sim, presenta una personale dell’artista e fotografo Paolo Bongianino, che si terrà dall’11 aprile al 6 maggio 2016 presso la sede milanese di Azimut Consulenza Sim, Corso Venezia 48, Palazzo Bocconi.

In mostra nella sala eventi e negli uffici di Azimut oltre 50 opere scelte di Bongianino, tra le quali una selezione di scatti appartenenti alle serie Arbor, arboris e 2in1, entrambe esposte a gennaio da Made4Art alla fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea Arte Fiera di Bologna; i lavori della serie 2in1, immagini stampate su entrambi i lati dello stesso foglio, svelano la propria duplice natura rivelando una seconda dimensione più intima e nascosta.

Per l’occasione verrà presentata in anteprima una serie di opere inedite selezionate e pubblicate dalla Redazione della rivista Vogue nella sezione “PhotoVogue” dedicata alla fotografia.

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Paolo Bongianino. Opere scelte

11 aprile – 6 maggio 2016 
Opening & Special Cocktail lunedì 11 aprile, ore 18.30 – 20.30

Azimut Consulenza Sim
 – Palazzo Bocconi, Corso Venezia 48, 20121 Milano

Dal 12 aprile al 4 maggio la mostra sarà aperta al pubblico su appuntamento 
Catalogo disponibile in sede

Art Project & Communication M4A – MADE4ART 
di Vittorio Schieroni ed Elena Amodeo 
Comunicazione e servizi per l’arte e la cultura 
www.made4art.it, info@made4art.it, t. +39.02.39813872
Un evento: Expo in Città




Il colore degli anni ’50: Martin Karplus, fotografo premio Nobel, a Milano

Il Grattacielo Pirelli ospita la prima mostra personale in Italia di Martin Karplus fotografo (Vienna, 1930), personalità di spicco nel panorama scientifico internazionale e vincitore del Premio Nobel per la Chimica nel 2013.

Il progetto, presentato presso la sede di Regione Lombardia da Vittorio Schieroni ed Elena AmodeoMade4Art, consiste nella mostra Martin Karplus fotografo: il colore degli anni ‘50, a cura di Sylvie Aubenas della Bibliothèque Nationale de France, insieme a un concorso fotografico dedicato a giovani studenti lombardi. Il progetto è realizzato in collaborazione con Regione Lombardia e Università degli Studi di Milano.

In esposizione oltre sessanta opere in prestito dalla Bibliothèque Nationale de France rappresentative della produzione artistica di Martin Karplus e delle tematiche da lui affrontate: immagini a colori dell’Europa, delle Americhe e dell’Asia degli anni ‘50 e ‘60 che mostrano le avventure della sua vita, le emozioni e i luoghi da lui visitati. Immagini della natura incontaminata del Brasile e del Perù, dove affiorano le rovine di antiche civiltà o imponenti architetture moderne, volti e persone di popolazioni balcaniche ritratte nella loro quotidianità, lo stretto legame con l’acqua che caratterizza la vita dei pescatori di Hong Kong, fino ai prorompenti e accesi colori della frutta e delle spezie che riempiono i mercati cinesi e indiani. Questi sono alcuni dei soggetti ritratti dall’obiettivo di Martin Karplus dagli anni Cinquanta ai giorni nostri, in un viaggio che tocca culture, usi e costumi diversi, Paesi vicini e lontani nel tempo e nello spazio, in un fondersi di vita personale e universale, di quella delle persone e dei luoghi che ha incontrato sul proprio cammino.

Il corpus principale della produzione fotografica di Karplus è rappresentato dagli scatti realizzati tra gli anni ’50 e ’60 con oltre 4.000 diapositive che sono rimaste inedite per quarant’anni mentre lo scienziato continuava a dedicarsi alla sua attività di ricerca. Nel corso del 2000 una selezione di queste diapositive è stata scansionata, rivelando immagini che conservano intatti i colori originari. 
Il lavoro di Karplus, che vede il passaggio dall’analogico al digitale, dalla sua Leica IIIC alla nuova Canon EOS 20D, riesce a conciliare la bellezza estetica tipica dell’opera d’arte con la carica emozionale del reportage, con tutte le sue valenze storiche, sociali e culturali. La mostra diventa un importante documento di oltre cinquant’anni di vita che Martin Karplus, conosciuto principalmente in ambito scientifico, vuole trasmettere alle generazioni future: una visione di quel mondo in cui ha vissuto, oggi in gran parte non più esistente.

A completare il progetto una sezione dedicata al Concorso fotografico Luoghi e colori di Lombardia indetto dall’Università Statale di Milano, che presenta il tema del viaggio e del colore attraverso la fotografia di alcuni studenti dell’Ateneo. Il Comitato di selezione, presieduto da Martin Karplus e composto dai Curatori del progetto, da Silvia Gaffurini (artista fotografa), Roberto Mutti (critico fotografico) e Giorgio Zanchetti (Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali, Università degli Studi di Milano) ha selezionato le opere che meglio hanno saputo rappresentare il tema proposto, con l’obiettivo di attrarre i giovani al mondo dell’arte e della fotografia. L’invito proposto agli studenti era quello di cimentarsi con la vitalità e l’energia cromatica tipica delle fotografie di Karplus degli anni ’50 e ’60.

Martin Karplus nasce a Vienna nel 1930. Si trasferisce coi genitori e il fratello negli Stati Uniti nel 1938. Dopo gli studi ad Harvard, consegue il dottorato di ricerca in Chimica presso il California Institute of Technology nel 1953. Trascorre due anni ad Oxford per tornare negli Stati Uniti come professore all’Università dell’Illinois prima e alla Columbia University dopo. Nel 1966 diventa professore di Chimica all’Università di Harvard, dove conduce tuttora la sua attività di ricerca. Nel 1996 diventa professore anche alla Università Louis Pasteur di Strasburgo, continuando la sua attività sia negli Stati Uniti che in Francia. È membro della National Academy of Sciences, l’American Academy of Arts & Sciences e membro straniero dell’Accademia Olandese delle Arti e delle Scienze e della Royal Society di Londra. Nel 2013 gli è stato conferito il Premio Nobel per la Chimica.

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Martin Karplus fotografo: il colore degli anni ‘50 e Concorso fotografico Luoghi e colori di Lombardia

Progetto a cura di Elena Amodeo e Vittorio Schieroni

6 aprile – 26 maggio 2016 | Inaugurazione mercoledì 6 aprile, ore 17 | Conferenza stampa, ore 15.30 
Grattacielo Pirelli – Spazio Eventi, 1° piano Via Fabio Filzi, 22 – 20124 Milano

Orari di apertura: lunedì – venerdì ore 13-19 | Ingresso gratuito

Info: www.made4art.it | info@made4art.it | www.regione.lombardia.it

Per ricevere materiale e immagini relativi alla mostra: press@made4art.it

Art Project & Communication: M4A – MADE4ART | Comunicazione e servizi per l’arte e la cultura 
di Vittorio Schieroni ed Elena Amodeo | www.made4art.it | info@made4art.it

In collaborazione con: Bibliothèque Nationale de France, Regione Lombardia

Con il contributo di: LGH Linea Group Holding, Linea Energia, Forum austriaco di cultura, Fondazione Oronzio e Niccolò De Nora, Royal Society of Chemistry

Con il Patrocinio di: Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Milano, Arcidiocesi di Milano, 
Società Chimica Italiana – Divisione di Elettrochimica, Comune di Milano, Fondazione Cariplo

In partnership: M4E – MADE4EXPO | www.made4expo.com | Evento: Photofestival | Un evento: Expo in Città




“LA BELLEZZA RITROVATA”: XVII EDIZIONE DI “RESTITUZIONI” PER LA PRIMA VOLTA A MILANO

di Elisa Pedini – Da oggi, 1° aprile, fino al 17 luglio sarà aperta al pubblico la mostra “La bellezza ritrovata” presso le Gallerie d’Italia in Piazza Scala. L’esposizione fa parte del progetto “Restituzioni”, programma di restauri di opere appartenenti al patrimonio artistico pubblico, curato e promosso da Intesa Sanpaolo. “Restituzioni 2016” è la XVII edizione del progetto, che, per la prima volta, si tiene a Milano. Ben 145 le opere sottoposte a restauro e presentate al pubblico prima di ritornare ai rispettivi luoghi d’appartenenza. Un’occasione unica per gustare, in anteprima, dei capolavori appena restaurati e aspetto estremamente interessante, assolutamente eterogenei: pittorici, scultorei, lignei e preziosi manufatti artigianali come, per esempio, i costumi della Commedia dell’Arte e i paramenti religiosi. Alcuni capolavori portano la firma di nomi altisonanti come Caravaggio, Rubens, Perugino, Lotto, altri sono meno noti o anonimi, ma, con certezza, tutti fanno parte del maestoso patrimonio culturale italiano. Le opere arrivano da tutto il territorio e per la precisione da: Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia, Calabria. Inoltre, altra novità di quest’anno, il programma include gli stati europei che sono sede delle banche estere del Gruppo Intesa Sanpaolo: la prima a essere stata coinvolta è stata la Slovacchia, presente in mostra con tre rilievi lignei.

Per farvi comprendere la grandezza di questa iniziativa, v’illustrerò in cosa consiste esattamente il programma “Restituzioni”. Il nome stesso del programma è già molto eloquente: “Restituzioni”, ovvero l’idea del “ridare”, perché è questo che il restauro di fatto fa: restituisce a nuova vita, alla conoscenza, alla consapevolezza, all’umanità. Il programma nasce nel 1989 in Veneto, sotto l’egida dell’allora Banca Cattolica del Veneto, con appena dieci opere e limitato al territorio d’appartenenza.

Oggi, ventisette anni e diciassette edizioni dopo, le mostre biennali e itineranti di “Restituzioni” coprono l’intero territorio nazionale: più di duecento siti archeologici, chiese e musei hanno beneficiato del programma, oltre un centinaio di laboratori di restauro e professionisti del settore hanno partecipato e più di mille opere sono state salvate e restituite al patrimonio artistico e culturale italiano e per conseguenza, al pubblico. Un impegno che è frutto d’una stretta collaborazione con tutti gli enti ministeriali preposti alla tutela dei beni culturali, mostrando quello che è un grande fattore d’orgoglio di questo programma: ovvero, un’esemplare sinergia tra pubblico e privato. La mostra “La bellezza ritrovata” è, dunque, un viaggio immaginario in tutto il nostro territorio e nel tempo, perché, le 145 opere, nella loro meravigliosa molteplicità di genere, forma e materiali, coprono 30 secoli di storia dell’arte. Inoltre, consente di conoscere quello che è il difficile e ad un tempo magico, lavoro del restauro, una disciplina che riunisce attorno allo stesso tavolo figure professionali diverse e specializzate: il restauratore, lo scienziato e lo storico dell’arte. Il restauro costituisce in Italia un campo d’eccellenza, all’avanguardia a livello internazionale. Perla di questa edizione del programma, è la possibilità per il pubblico di assistere direttamente al lavoro dei restauratori, perché presso l’officina di “Restituzioni”, allestita all’interno delle Gallerie d’Italia, è attivo il cantiere di restauro degli affreschi dell’inizio del XII secolo della chiesa di San Pietro all’Olmo di Milano.

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La mostra è visitabile dal martedì alla domenica dalle 9:30 alle 19:30; il giovedì l’orario si prolunga fino alle 22:30. L’ultimo ingresso è fino a un’ora prima della chiusura. Il biglietto ha un costo simbolico di € 5,00 ed è valido per la visita alla mostra “La bellezza ritrovata” e per le collezioni permanenti. L’ingresso è gratuito per tutti ogni prima domenica del mese e sempre per i giovani fino a 18 anni.

Per ogni informazione e per prenotazioni si può visitare il sito: www.gallerieditalia.com.

Da segnalare, inoltre, le numerosissime attività collaterali, tra le quali ve ne segnalo, in particolare, due, che si tengono entrambe tutte le domeniche dal 1° aprile al 17 luglio: la prima riguarda le visite guidate alle ore 15: attività sottoposta al raggiungimento minimo dei 10 partecipanti e rigorosamente su prenotazione al numero 800 167619, al costo di € 5,00 a persona più biglietto d’ingresso; la seconda è relativa alle visite guidate con laboratorio, per piccoli restauratori in erba, alle 15:30, pensate per bambini dai 6 ai 12 anni: attività sottoposta al raggiungimento minimo dei 10 partecipanti e anche questa su prenotazione al suddetto numero verde; il costo è di € 10,00 a bambino con ingresso gratuito alle Gallerie. Numerosi, anche, i percorsi didattici rivolti alle scuole.

“La Bellezza ritrovata” è allestita per la prima volta a Milano ed è dunque bellezza e consapevolezza per l’intera città: il Comune di Milano, infatti, in collaborazione con Intesa Sanpaolo, contestualmente all’apertura della mostra, ha coinvolto i musei cittadini chiedendo di valorizzare un’opera delle proprie collezioni che sia stata oggetto di restauro recente. Le opere sono state inserite in un itinerario che conduce i visitatori attraverso un viaggio tra le opere restituite a Milano e al pubblico. Questo progetto s’inserisce in un palinsesto tematico ben più ampio, denominato “Ritorni al futuro” ricchissimo di eventi: oltre 100 appuntamenti che spaziano dalla mostra, al concerto, al teatro, al cinema.

Per informazioni: www.ritornialfuturo.it.

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“Ustica”: un dramma che vuole giustizia

di Elisa Pedini – Dal 31 marzo al cinema: il film-denuncia “Ustica” del regista Renzo Martinelli. Un film da vedere senza alcun dubbio, con la cosciente consapevolezza che quello che si vedrà, potrà essere scomodo, tagliente e per nulla compiacente. Renzo Martinelli non cerca la simpatia, cerca la verità, che non veste mai con abiti sfarzosi e falsi sorrisi; bensì, con quelli semplici, scarni e spesso cupi, della realtà. La pellicola si basa su una tragedia reale e si attiene ai fatti. Nulla viene romanzato, quello che si distanzia dai dati di fatto è dovuto solo a due aspetti: protezione della privacy di qualcuno, funzionalità cinematografica. Entrambi questi punti li spiega al pubblico direttamente il regista, Renzo Martinelli, con grande generosità e in ogni dettaglio, nell’intervista che vi propongo e che v’invito a leggere perché è davvero intensa e molto significativa. In questa mia recensione critica, mi limito al mio lavoro e vi parlerò, invece, dei fatti storici, dell’impatto emotivo durante la visione e di quello che a livello tecnico mi ha colpito.

È il 27 giugno del 1980, un velivolo Douglas DC-9 della compagnia aerea ITAVIA, parte dall’aeroporto di Bologna con quasi due ore di ritardo. Destinazione: Palermo. Visibilità ottima, viaggio tranquillo e regolare, aereo stabilizzato a 7600 metri in quota lungo la rotta assegnata: aerovia “AMBRA 13”. Tutto sembra tranquillo. L’ultimo contatto radio è con Roma controllo e la situazione è ancora regolare. Sono le 20:56, il comandante annuncia che non ci sono ritardi su Palermo e che pertanto il successivo contatto sarà con Raisi. Poi, alle 20:59:45, all’improvviso, senza lanciare alcun segnale d’allarme, il volo IH870 scompare dai radar e non risponde più ai contatti. Invano la torre di controllo dell’aeroporto di Palermo, dov’era atteso per le 21:13, reitera le chiamate. Altrettanto fa Roma. Invano. L’aereo DC-9 della compagnia ITAVIA è precipitato tra le isole di Ponza e Ustica, il punto “CONDOR”, inabissandosi nella cosiddetta “Fossa del Tirreno”, ove il fondale giunge a una profondità di oltre 3500 metri. Vi muoiono 81 persone. L’aereo è esploso in volo spaccandosi in due tronconi. Sull’accaduto furono date diverse versioni: prima fra tutte, quella del cedimento strutturale dando la colpa alla compagnia. L’ITAVIA era si in condizione di forte indebitamento e chiuse i battenti il dicembre dello stesso anno, ma, questa versione risultò da subito flebile, proprio a causa degli occultamenti e della movimentazione immediata delle alte cariche militari, che, non avrebbero proprio avuto ragion d’essere, se la causa fosse stata la cattiva manutenzione del velivolo. La seconda, fu un attentato terroristico, ovvero, una bomba a bordo, probabilmente situata nella toilette in coda dell’aereo. È indubbio che nel 1980 siamo in piena guerra fredda e che l’ipotesi d’un attentato sia plausibile. Ma, pur trovando tracce d’esplosivo, i rilevamenti porterebbero altrove, in particolare, perché gli indizi non porterebbero affatto a supportare un’esplosione dall’interno. La terza ipotesi fu un missile aria-aria, che, per errore, colpì l’aereo civile. Ma, anche qui, non furono mai ritrovati relitti d’un’arma simile. Sicuramente, l’attività aerea militare quel giorno era piuttosto intensa. Il DC-9 non volava solo. Un’intensa presenza di traffico aereo militare che fra silenzi e smentite, viene, però, inconfutabilmente confermata dai tangibili ritrovamenti che vennero alla luce anni dopo il tragico evento: tra il ’92 e il ’94. Questo metteva in evidenza, sempre più certa, la possibilità della collisione aerea. Numerosi gli articoli del periodo, molto interessanti, che v’invito a ricercare negli archivi on line.

È proprio quest’ultima versione che, il regista Renzo Martinelli prende in considerazione. Tre anni di lungo e meticoloso lavoro, a stretto contatto con due ingegneri aeronautici, durante i quali ha recuperato perizie, raccolto testimonianze, studiato le 5000 pagine dell’istruttoria del magistrato Rosario Priore, considerata chiusa nel 1999, ove, peraltro, vengono totalmente escluse le cause per cedimento strutturale e per esplosione interna. Per tre anni, Renzo Martinelli, ha disperatamente cercato, in giro per l’Europa, qualcuno che fosse disposto a produrre il suo film.

Con passione, determinazione e desiderio di verità, Renzo Martinelli, ce l’ha fatta. Nonostante le difficoltà e il budget limitato ha dato vita a una pellicola che è insieme denuncia e umanità, verità e “pietas”. Nella crudezza degli avvenimenti, riportati con lucidità quasi cronachistica, ritroviamo il pulsare delle emozioni delle vite vissute. Ero troppo piccola nel 1980 per ricordare gli avvenimenti, ne porto memoria per quello che accadde e si disse nei decenni successivi, ma sono uscita veramente scossa dalla sala. Piena d’interrogativi e con una gran voglia di sapere. Mi sono messa on line e ho cercato quello che i colleghi scrivevano nel 1980 e quello che successivamente fu scritto. V’invito, ancora, a informarvi, perché l’informazione rende liberi. V’invito a leggere, di nuovo, l’intervista al regista. V’invito, soprattutto, a non perdervi questo film, che non è fiction, neppure nel “privato”. Vi coinvolgerà, all’interno d’una cornice da favola di una fotografia che ci regala i panorami d’una natura straordinaria che vi commuoverà. Tutte riprese reali e forse per questo così pregnanti. Vi trascinerà dentro una delle realtà più oscure della storia italiana. Le scene di volo mi hanno particolarmente presa. Ho quasi potuto sentire la pressione della gravità. Una regia che veramente cura tutto, nei minimi dettagli.

A tutt’oggi, comunque, la strage di Ustica, resta uno dei grandi misteri italiani. Furono occultate e distrutte prove, come, peraltro, confermato dalla sentenza del procedimento penale che ne seguì. Innumerevoli le testimonianze date, poi confuse e poi ritrattate completamente. Due suicidi, sono stati correlati alla strage e appaiono sospetti: quello del maresciallo Dettori, presumibilmente in servizio, la notte del disastro aereo, al radar di Poggio Ballone in provincia di Grosseto e quello del maresciallo Parisi, che sarebbe stato di turno, invece, il giorno del 18 luglio 1980, data del presunto “incidente” del MIG libico a Timpa delle Magare sulla Sila. Sono moltissime le morti che Rosario Priore indicò come sospette, ma mai furono trovate prove a supporto. A tutt’oggi, sono molti gli interrogativi che restano aperti. A tutt’oggi, le vittime aspettano giustizia.

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