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Tranquillo Cremona e l’invenzione della Scapigliatura

di Emanuele Domenico Vicini – Cade proprio in questi giorni l’anniversario canonico e di tradizione per la nascita della Scapigliatura lombarda: il 6 febbraio. Il riferimento è al titolo del romanzo manifesto di Cletto Arrighi (al secolo Carlo Righetti) La Scapigliatura e il 6 febbraio, che racconta del giovane Emilio Digliani, focoso patriota nella Milano del 1853, destinato a un amore infelice, alla ribellione contro il perbenismo borghese e alla morte contro l’invasore austriaco.

È lui il prototipo dello scapigliato, «pandemonio del secolo, personificazione della storditaggine e della follia, serbatoio del disordine, dello spirito d’indipendenza e di opposizione agli ordini stabiliti», come recita l’Introduzione al romanzo. Sono i Bohémien all’italiana, giovani di classi sociali medio alte che, per posa o per profonda convinzione, scelgono una vita di opposizione al mondo di valori sociali da cui provengono e diventano artisti “contro”.

A celebrare l’originalità e l’attualità di questo movimento, il prossimo 26 febbraio si inaugura alle Scuderie del Castello Visconteo di Pavia una delle mostre più attese del 2016, Tranquillo Cremona e la Scapigliatura, aperta fino al 5 giugno. L’autorevolezza scientifica dei musei pavesi e la capacità imprenditoriale di ViDi, società provata che di fatto realizza la mostra, insieme, hanno dato vita a molti progetti interessanti (l’ultimo è stata la mostra dedicata ai Macchiaioli, sempre nel museo pavese, nel 2015).

Ora il nuovo tema è la Scapigliatura, il movimento tutto lombardo che nella seconda metà del XIX secolo ha inaugurato un cammino di rinnovamento della cultura italiana, sfociato non molti anni dopo nel fenomeno dell’avanguardia futurista.

A rendere sicuramente interessante l’evento è la scelta di proporre un percorso “guidato” dalle parole di Tranquillo Cremona, pavese, il pittore scapigliato per eccellenza, che ha lasciato, oltre a un catalogo di opere pittoriche di grandissimo fascino, anche molti scritti che raccontano le impressioni, le emozioni, la voglia di essere nuovi, diversi alternativi, di quel gruppo di giovani artisti, pittori, letterati e musicisti che scelsero, a metà tra goliardia e provocazione di chiamarsi scapigliati.

La condizione di ribellione che anima il gruppo scapigliato è prima di tutto artistica e letteraria e si radica molto in profondità. Essa trae alimento da radici politiche e sociali drammaticamente confitte nell’humus risorgimentale. Quella che era parsa un’epopea gloriosa si rivelava un fallimento, specie agli occhi di chi vi aveva visto l’inizio di una nuova era. L’arretratezza economica, l’analfabetismo, il brigantaggio: segni evidenti di un’Italia unita dalle cancellerie ma non nella sostanza civile.

Essere scapigliati quindi, nella Milano degli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento significa opporsi all’imborghesimento, al perbenismo, alle smancerie salottiere; significa scegliere atteggiamenti insolenti e guasconi, giocare sul sottile filo del maledettismo ispirato dal maestro Baudelaire e indulgere in comportamenti tra il goliardico e l’antisociale, fino alla scelta di uno stile di vita trasandato, fatto di abiti anticonformisti e barbe fluenti.

Certo, oggi la pittura scapigliata tutto ci può sembrare tranne che violentemente di opposizione: ritratti, paesaggi, scene d’amore sono i temi di questi artisti. Ma nel contesto della seconda metà dell’Ottocento, quando in altre città d’Italia trionfa la pittura che in gran pompa celebra l’unificazione nazionale, scegliere di abbandonare del tutto il tema storico politico e soprattutto di superare ogni forma di tecnica accademica che ancora era vincente negli ambienti della cultura ufficiale, significava davvero voler scuotere dalle fondamenta abitudini e tradizioni artistiche consolidate e irrigidite da una prassi rigorosa.

Tra i grandi scapigliati ricordiamo subito Daniele Ranzoni, che nell’arte del ritratto sociale raggiunge una leggerezza e una luminosità trepidante davvero uniche. Le sue opere raccontano il bel mondo della upper class lombarda del tempo. I Troubetzkoy, i Pisani Dossi, i De Lorenzi Sordelli sono i suoi committenti. Bambini e giovani fanciulle i suoi soggetti. Dalle sue tele traspaiono corpi vibranti, colti in una posa intensa ma sfuggente, elaborata ma sentitamente naturale. Gli sguardi, le angolazioni, le delicatissime ombre, che trascolorano da fondi scuri a primi piani di un candore lunare, raccontano di animi malinconici, pervasi dal dubbio, dall’inquietudine, come colti da un senso della decadenza che ci porta ormai alle soglie della modernità novecentesca. Le sue protagoniste anticipano la complessità delle figure femminili più moderne, colte nella loro contraddizione: più Carlotte di sapore gozzaniano che femmes fatales dannunziane.

Tranquillo Cremona, pavese di nascita, educato a Venezia e poi a Brera, è il pittore di punta del gruppo, non tanto in temi un po’ melodrammatici, tanto carichi da essere – forse involontariamente – comici, come L’edera o Attrazione, quanto nelle scelte di stile. La materia è leggera, il colore diffuso, tutto è sfocato in una luce iridescente che suggerisce nella vibrazione continua i risultati che alcuni anni dopo daranno vita alla parabola impressionista. Persone cose e ambiente si fondono nelle brillanti sfumature dell’atmosfera, anticipando in modo mirabile le ricerche divisioniste e futuriste (proprio milanesi).

Il suo capolavoro è sicuramente il Ritratto di Nicola Massa, fascinoso giovanotto del bel mondo, in realtà ormai riconosciuto dalla critica come Guido Pisani Dossi (e scambiato fin all’inizio con il cugino Nicola Massa, a lui molto somigliante) attivo scapigliato, insieme con i fratelli Alberto e Carlo.

Nettissima è l’originalità della tela. Il bel dandy guarda con sfrontatezza verso di noi, oltre noi, l’occhio semichiuso, forse annebbiato da una vita di mondanità, la sigaretta stanca nella mano sinistra, l’abito di luminoso velluto nero e il corpo adagiato mollemente su una seta cangiante.

La pennellata sfatta, composta nei passaggi di tono come piani di luce, conferisce un senso di provvisorietà, di precarietà, nel quale cogliamo tutta la consapevolezza della caducità di un mondo di piaceri e leggerezza. Non a caso questo ritratto è anche diventato copertina per un’edizione italiana del Ritratto di Dorian Gray. Nicola Massa non partecipa della stessa perversa fascinazione del personaggio di Wilde, ma ne condivide l’alterigia, il senso del bello e la malcelata tristezza.

Non possiamo dimenticare, e la mostra ci aiuta molto bene, che la Scapigiatura è stata anche scultura e musica, in nome di una unità delle arti, predicata dai protagonisti di questo movimento, concetto potentemente originale che troverà eco solo nelle sperimentazioni Jugendstil viennesi di primissimo novecento.

Se la pittura ha gioco facile nel disfare la materia in luce e colore, molto più complesso è il discorso scultoreo dove domina la solidità del metallo.

Giuseppe Grandi, capofila degli scultori scapigliati, sa imprimere ai suoi bronzi un modellato vibrante, pittorico, fatto di pieni e vuoti leggerissimi, di increspature sottili che generano un movimento luminoso di grande efficacia.

Il suo capolavoro è il Monumento alle Cinque Giornate di Milano, realizzato tra il 1881 e il 1894 per Porta Vittoria e posto nella piazza omonima, splendido esempio di scultura che vibra come pittura.

Nelle Note azzurre, diario funambolico che lo scapigliato Carlo Dossi tiene tra il 1870 e il 1907, si narra che Grandi si fosse procurato un’aquila e un leone in carne e ossa come modelli vivi e veri per il suo monumento: coup de théâtre in pieno stile scapigliato e geniale intuizione sul rapporto tra arte e realtà.

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Tranquillo Cremona e la Scapigliatura

dal 26 febbraio 2016 al 5 giugno 2016

Scuderie del Castello Visconteo di Pavia




Sergio Armaroli: Sleeping With One Eye Open

Sleeping With One Eye Open è la personale di Sergio Armaroli, presentata da Made4Art di Milano il prossimo 3 febbraio, a cura di Vittorio Schieroni ed Elena Amodeo, che mette in mostra una selezione di lavori che focalizza l’attenzione su diversi aspetti della produzione dell’artista.

In esposizione presso Made4Art una serie di disegni su carta, oli e tecniche miste su tela, lavori di diverso formato che, all’interno di un particolare allestimento e accompagnati dalla presenza “disturbante” di una colonna audio composta dall’artista secondo un’idea di controllata casualità, forniranno all’osservatore impulsi visivi e suggestioni sonore, sollecitazioni e richiami in grado di trasportare all’interno dello stimolante universo di Sergio Armaroli, dove la componente musicale e poetica rimane una costante per condurre a nuove e inaspettate esperienze percettive.

Accompagna la mostra un catalogo con testi critici dei due Curatori e le immagini delle opere in mostra; Sleeping With One Eye Open, con data di inaugurazione mercoledì 3 febbraio alle ore 18.30, rimarrà aperta al pubblico fino al 10 dello stesso mese.

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Sergio Armaroli (1972) ha compiuto gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano diplomandosi in pittura con il massimo dei voti e presso il Conservatorio “G. Verdi” di Milano dove ha conseguito il diploma in Musica Elettronica, Jazz e Strumenti a Percussione. Si è perfezionato presso la Fondazione Arturo Toscanini di Parma e presso l’Accademia del Teatro Alla Scala di Milano. Ha studiato inoltre “percussion popular” presso l’I.S.A. Instituto Superior de Arte de La Habana (Cuba).

Ha suonato e suona in numerose orchestre, ensemble cameristici e in qualità di solista in Italia e all’estero (Polonia, Germania, Lussemburgo, Svizzera, Messico, Gran Bretagna e Francia). Ha al suo attivo numerose registrazioni (ArtAche, Stradivarius, Rugginenti, BMG Ricordi, Red! e Dodicilune). L’ultimo suo lavoro per marimba sola dal titolo “Early Alchemy” ha avuto un generale consenso di critica in Italia e negli Stati Uniti. Come “attore musicale” realizza alcuni progetti multimediali e performativi progettando alcune installazioni sonore.

Ha esposto in Italia in mostre personali e collettive. Nel 2013 presso lo spazio Made4Art ha partecipato al progetto artistico Black&White. Astrazione negli opposti (24 maggio-7 giugno). Nel 2014, sempre presso lo spazio Made4Art, si è tenuta la personale Camera d’eco (EchoChamber) (21-31 gennaio) e il 21 ottobre si è svolta la presentazione di una monografia dedicata ai suoi vent’anni di attività, volume edito da Vanilla Edizioni con testi a cura di Elena Amodeo e Vittorio Schieroni. Del 2015 è la personale Sergio Armaroli Confusio Rerum Confusio Verborum (17-22 marzo), progetto di sound installation / active soundwork inserito nel Festival 5 Giornate – Milano: Cinque Giornate per la Nuova Musica.

Sergio Armaroli | Sleeping With One Eye Open

a cura di Vittorio Schieroni ed Elena Amodeo

3-10 febbraio 2016

Inaugurazione mercoledì 3 febbraio, ore 18.30

Orari: lunedì ore 16-19, martedì-venerdì 10-13 e 16-19, sabato su appuntamento

Catalogo a cura di Made4Art

M4A – MADE4ART 
Spazio, comunicazione e servizi per l’arte e la cultura

Via Voghera 14 – ingresso da Via Cerano, 20144 Milano

www.made4art.it – info@made4art.it – tel. +39.02.39813872

Media partner: Espoarte




La pittura e la bellezza della contemplazione. Intervista esclusiva al Maestro Daniele Bongiovanni

L’arte e i suoi processi, l’etica, la relazione tra l’artista e la sua opera. Questi sono alcuni dei temi che hanno stimolato la nostra curiosità e caratterizzato la nostra conversazione. Per indagare sul campo, siamo entrati nello studio di un affermato pittore italiano: Daniele Bongiovanni, che si è intrattenuto con noi di CosmoPeople, per rilasciarci un’ intervista esclusiva.

Daniele Bongiovanni, nasce a Palermo nel 1986, laureato presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo, oggi è impegnato professionalmente tra l’Europa e gli Stati Uniti. negli anni le sue opere sono state esposte e rappresentate  in molti paesi del mondo: Parigi, Las Vegas, Australia, Milano, Dublino, Brescia, Chicago, Padova, Boston, Napoli, Liverpool, Treviso, Bari, Istanbul, Torino, Palermo, Irlanda, Singapore, Bologna, Udine, Brasile. Recentemente, in concomitanza con eventi espositivi in Italia, in Inghilterra e negli Usa, è stato invitato come ospite internazionale al Museo Stadio di Domiziano di Roma – Piazza Navona, ad esporre le sue opere, con acquisizione d’opera in permanenza, al Centro Documentazione Amedeo Modigliani – archivio storico, monografico ufficiale, e in un grande progetto di ricerca, al Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston sempre con acquisizione.

Ben scrive la storica e critica d’arte Inmaculada Martin Villena descrivendo l’opera del Bongiovanni: “L’opera del Maestro Daniele Bongiovanni, pittore di formazione accademica, è un connubio tra pittura classica e moderna, uno studio continuo sulla figura e lo spazio, valorizzato da un saper gestire con estrema eleganza il corpo del soggetto e il colore che lo rappresenta. Una delle manifestazioni più affascinanti di questo raffinato linguaggio la troviamo nella collezione ”Aesthetica”, e in opere come “Terremoto” e “Il creatore”, dove in una composizione studiata perfettamente nei contrasti, il colore, esaltato da aperture luminose diventa centrale come figura. L’artista attraverso la sua pittura, il suo sapere moderno, contemporaneo, ci porta inevitabilmente a comprendere quali siano state le sue influenze, è ciò che maggiormente emerge è sicuramente il suo aver guardato e analizzato con attenzione, le tendenze d’avanguardia del primo Novecento: l’ espressionismo di Oskar Kokoschka e quello del Munch più figurativo e perfezionista. Il Maestro, esalta i limiti assoluti del sentimento e della realtà; con disciplina e genio, dipinge il vero, che seppur esaltato, grazie alla sua grande tecnica, nella psicologia e nella percezione visiva, rimane ugualmente concreto. Guardando le sue opere in qualsiasi ordine, diventa inevitabile attraverso questi valori di bellezza universale, il tentare di ostacolare i lati oscuri dell’essere, tutto ciò grazie a questo omaggio continuo alle evoluzioni dell’uomo e alla purezza. Il pittore nei suoi lavori esorcizza ogni volta ciò che del reale ci spaventa, il suo lavoro ci porta oltre i nostri limiti fisici, lasciandoci esprimere attraverso il fruire un senso di emancipazione. L’opera omnia si distingue anche per il bianco e nero, esplicito e perfetto nella collezione  “Neri”, collezione di ritratti, dai toni diluiti e contrastanti, dove dietro alla perfezione dei volti, il contesto fumoso, il suono della materia, è protagonista sublime. Daniele Bongiovanni in questo contesto, cattura i momenti e il progredire del tempo, qui i modelli diventano profondi ritratti che ci interrogano”.

Maestro, cosa avviene alla fine, una volta portata a termine un’opera?

Avviene un silenzioso e lucido distacco. Poi c’è la responsabilità, ma forse non alla fine, ma durante. La responsabilità di portare a termine un lavoro, seguirne e arrotolarne il filo, mantenendo l’intenzione naturale di far convivere la progettazione con il lato emotivo della situazione. Durante questo processo, terminata un’opera, tutto diventa un evento di impatto importante, un momento dilatato, quello fluido e necessariamente critico della contemplazione, la ricerca del bello. Diciamo che trovo fondamentale valutare i dettagli, valutare il risultato atteso, misurandolo con lo spazio e giudicandolo da una prospettiva prima diretta e poi laterale.

Un momento dilatato, la bellezza della contemplazione. La sua pittura incontra la filosofia, l’etica. Qual’è l’etica dell’arte?

Nella mia pittura la filosofia ha sempre avuto una sua importanza, è il terzo fenomeno tra il significato e il significante. Recentemente sono stato ancora più diretto, realizzando uno studio di figurazione sull’Estetica. Per quanto riguarda l’etica, posso parlare di una morale che riguarda l’aspetto tecnico e teorico dell’arte: quello di avere una reale conoscenza della disciplina. Se parliamo in generale, io ho sempre visto una grande morale, un criterio nel fare arte, questo lavoro oltre a raccontare la storia, arricchire i sensi e la percezione, ha sempre raccontato dei fatti e delle idee, quindi nel farlo c’è anche una responsabilità di comunicazione. La responsabilità di raccontare qualcosa tramite l’arte, che nel suo essere rappresentazione onirica e virtuosa, ha sempre avuto a che fare con il vero. Credo che questa sia una delle spiegazioni più semplici e meno articolate.

Parliamo del passato. Quando ha concretizzato il suo primo progetto artistico?

Pensandoci bene, il mio primo progetto artistico concretizzato è stato quello di dare importanza a tutto ciò che realizzavo. Alcune cose che ho realizzato in passato, segni, disegni e aperte campiture, oggi sono nelle mani dei collezionisti che mi seguono.

Parlando di storia, quanto gli artisti dell’800 e del 900  hanno influenzato la sua pittura?

Diciamo che le mie influenze sono molteplici, se parliamo in termini di studi e di percorso.
Io credo che per fare il nuovo, bisogna conoscere, leggere ed analizzare ogni periodo storico, Difficilmente in arte, o in qualsiasi altro campo, artistico – scientifico e non solo, si può affrontare se stessi, fare nuove scoperte, senza reali conoscenze del passato. Non credo ad un innovazione che nasce dal nulla. Quella a volte è solo una scusa.

Ci anticipi qualcosa dei suoi prossimi progetti.

Quest’anno è iniziato con degli eventi in Inghilterra, negli Usa, poi Roma e Milano, tra pochi giorni sarò di nuovo in viaggio, per dei nuovi progetti che vedranno luce molto presto. Diciamo che si lavora giorno per giorno. A breve sarò anche Al Centro Documentazione Amedeo Modigliani, dove sono stato invitato, sia in mostra che in permanenza con acquisizione ufficiale d’opera, nella loro prestigiosa collezione.

In mostra ci saranno opere inedite?

Attualmente sono in mostra con opere appartenenti a collezioni private e opere nuove ovviamente.
Ciò si ripeterà nei prossimi appuntamenti.

Lo vedremo nuovamente all’estero nei prossimi mesi, per l’anno 2016?

Certo, il percorso iniziato qualche mese fa, è itinerante. Per questo motivo, sto anche ampliando la collezione Aesthetica.

Sito ufficiale dell’artista:
www.danielebongiovanni.com

 




Le evoluzioni di Matisse in mostra a Torino

di Emanuele Domenico Vicini – Esporre Matisse, coprendo, con una cinquantina di opere, pressoché tutto l’arco della sua produzione, dagli esordi con il maestro Gustave Moreau, fino alle ultime carte ritagliate degli anni Sessanta, significa offrire uno scorcio davvero ampio sulla cultura artistica del primo Novecento in Europa.
La mostra di Palazzo Chiablese, a Torino, visitabile fino al prossimo maggio, nasce dalla strepitosa collezione matissiana conservata al Centre Pompidou, curata da Cécile Debray, storica dell’arte, da sempre impegnata in esposizioni di grande respiro e di assoluta chiarezza didattica.
Anche questa fatica dedicata al pittore di Cateau Cambrésis, come altri lavori precedenti (penso alla mostra dedicata a Balthus, a Roma, dell’ottobre scorso) si divide in dieci sezioni, che raccontano l’evoluzione stilistica e tematica di Matisse, confrontandola con il contesto storico e pittorico della Francia e dell’Europa del primo Novecento.
La mostra si compone di un patrimonio di circa cinquanta opere di Matisse e altrettante di autori contemporanei (Picasso, Renoir, Modigliani, Bonnard, Miró, Derain Braque, Léger). In questo modo, l’esposizione perde la sua rigida linearità di narrazione retta, per diventare invece un’esperienza più ricca, ampia, capace di farci cogliere Matisse nella relazione e nello scambio con i suoi colleghi.
Approdato alla pittura dopo un percorso di studi in legge, si forma con Gustave Moreau, pittore simbolista che nella Francia della seconda metà dell’Ottocento, mentre gli Impressionisti si affacciavano alla ribalta, aveva introdotto temi colti e seducenti, riferimenti al mito classico e alla bibbia, immagini spesso ambigue nelle loro allusioni, ma stilisticamente impeccabili, nel fascino di una tecnica di disegno altissima e di uno sfumato di sapore leonardesco.
In questo contesto impara l’arte e la storia della pittura, ma soprattutto acquisisce il senso della nobiltà della disciplina, il suo valore estetico intrinseco e proprio, che, pur nelle diverse fasi del suo percorso, non verrà mai meno.
Il balzo agli onori delle cronache avviene nel 1905, quando espone al Salon d’Automne, insieme con Derain, Vlaminck e altri, tutti artisti provenienti da percorsi diversi. In quell’occasione Louis Vauxcelles, importante critico d’arte nella Francia di inizio secolo, definisce questi giovani pittori fauves, belve: autori di opere rozze, con colori chiassosi e accostati in modo brutale, composti in forme primitive.
Nasce così l’Espressionismo in Francia, madre di tutte le avanguardie del secolo, vero punto di rottura con qualsiasi accademia.
Tra il 1905 e il 1906 il movimento vive la sua stagione d’oro, breve ma sufficiente a determinare i destini della pittura europea.
La prima fonte di ispirazione per Matisse è il Midi, il Mezzogiorno, di Francia, dove la sua tavolozza viene riscaldata dal sole mediterraneo e addolcita dall’azzurro del mare. Il paesaggio paradisiaco e incontaminato del sud schiarisce e purifica i colori, anticipando le suggestioni che alcuni anni dopo verranno dall’Oriente e dal Nord Africa.
Il pittore abbandona così definitivamente l’adesione al dato naturale che, ereditato dall’Impressionismo, stava caratterizzando ancora molti pittori di quel decennio. Lentamente, Matisse approda a un lavoro di scomposizione cromatica decisamente poco ortodosso. Non si tratta più di impressioni di luce e colore, ma l’espressione libera delle emozioni che animano il cuore dell’artista.
La novità che qui nasce, e gradualmente si consolida negli anni seguenti, è la consapevolezza che la tecnica divisionista, la scansione dei colori primari in piccoli punti o linee, da pochissimo entrata in uso nella pittura europea più moderna, in realtà è inadeguata, perché non crea emozione, non comunica la profondità di uno stato d’animo. Matisse cerca la forza del colore, l’intensità, la gioia di vivere. Tornano quindi le tinte piatte, in fortissimi contrasti, e un disegno estremamente semplificato.
I corpi, i nudi, le figure che compaiono nei dipinti di questa fase sono l’immagine di una bellezza originale, pura e incontaminata, segnata dalla libertà e dalla sensualità che nasce dalla naturalezza delle loro forme e dalla relazione spontanea con il mondo che li ospita.
Superato i problemi tecnici del divisionismo, Matisse nelle grandi campiture piatte manifesta l’aspirazione a una definitiva autonomia espressiva del colore.
Il continuo confronto con gli altri protagonisti della pittura europea del Novecento presenti in mostra aiuta a capire senza dubbio che Matisse non dipinge persone, cose e paesaggi per raccontare storie: dipinge per fare pittura. La sua arte non si piega a imitare la realtà, ma racconta l’atto pittorico in sé. I colori e le forme non servono a descrivere nulla, sono studiati come colori e forme puri, come atti artistici e creativi che hanno un preciso valore estetico, a prescindere dalla loro connessione logica.
Emblematica in questo senso è la lettura comparata delle opere dedicate all’atelier dell’artista soggetto frequentissimo in Matisse, qui affiancato allo Studio di Picasso e a Atelier IX di Braque. Il tema, risalente agli anni Cinquanta, ci offre un ambiente privato, chiuso, che rappresenta lo spazio dell’artista dove gli oggetti sono proiezioni mentali, allusioni metaforiche al fare arte e alla disciplina stessa della pittura.
Lo studio non ha alcuna realtà al di fuori di quella pittorica. Matisse non vive nel proprio studio, che non è parte della sua casa (come invece accade a quasi tutti i suoi colleghi). È un ambiente costruito apposta, progettato come funzionale contenitore per il proprio lavoro pittorico. Nelle sue rappresentazioni dello studio d’artista, i contorni sono appena tratteggiati da linee sottilissime che trasformano i pochissimi arredi in apparizioni fantasmatiche che servono solo a delimitare campiture di colore a contrasto.
A differenza di Picasso e Braque, che nell’atelier raccontano la loro cultura, i loro sogni, la storia della loro arte, Matisse elimina qualsiasi attributo celebrativo e simbolico. Lo studio non racconta il fatto sociale della pittura, ma dà risalto a una sua logica interna. Il colore non descrive uno spazio reale, ma esprime l’intensità spirituale ed emotiva del fare arte.
Questo processo creativo non può che portare infine Matisse ha un incontro profondo e intensissimo con la musica. Ne è testimone la serie di Icaro, presente in mostra, composta di una ventina di tavole, create per illustrare in pittura la potenza evocativa del jazz. La musica rappresenta l’abbandono incondizionato al senso dell’infinito, è la massima espressione di uno spirito libero che supera la realtà e si libra indisturbato nel cielo della creatività.

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Matisse e il suo tempo

Palazzo Chiablese, Torino, fino al 15 maggio 2016




Vesna Pavan: dalla Russia con successo

Dopo il successo avuto all’interno del prestigioso contesto dell’Artweek in Russia, Vesna Pavan, la donna che dipinge le donne, ha ricevuto dall’autorevolissima Accademia d’Arte di Mosca un riconoscimento speciale per “Avanguardia sull’uso del Colore”.

Dal 22 al 24 gennaio 2016 l’artista sarà protagonista di  personale presso la prestigiosa galleria Black Dog di Mosca, in cui esporrà una cinquantina di opere appartenenti ai cicli FUSION VOGUE e SIGNS FEEL edizione limitata su forex.
In questa produzione artistica si sviluppa il processo di fusione tra le arti (pittura, fotografia, collage…) che più caratterizzano la personalità della Pavan. Sulla tela avviene un’esplosione cromatica, che crea pathos all’istante. I colori complementari si librano con assoluta libertà sulla superficie e l’armonia grafica suggerisce un eterogeneo susseguirsi di emozioni e stati d’animo tipicamente femminili.

Vesna verrà premiata anche dal comitato di redazione di EA Editore, presieduto dal noto Critico d’Arte Sandro Serradifalco, con il prestigioso riconoscimento “ARTISTA DELL’ANNO 2015”. La cerimonia di consegna di questo premio si terrà sabato 16 gennaio 2016 presso l’Hotel San Paolo di Palermo. L’esclusiva onorificenza, di valore mondiale, viene attribuita esclusivamente ad artisti che si sono distinti nei diversi campi delle arti figurative e che hanno contribuito, con la loro produzione, all’accrescimento del patrimonio artistico italiano.

Le informazioni sull’intera produzione artistica di Vesna Pavan sono disponibili sui siti www.vesnapavan.com – www.skinart.info




Marina Berra stupisce con I Colori dell’Anima

I colori dell’anima, personale dell’artista Marina Berra (Milano, 1969), inaugura il nuovo anno espositivo di Made4Art di Milano. La mostra presenterà una selezione di opere della più recente produzione artistica della pittrice lombarda.

Le opere esposte, infatti, sono tutte realizzate nel corso del 2015 e nei primi giorni del 2016. Si tratta di lavori che ci trasportano nel poetico universo della Berra, dove i colori dell’artista, ricchi di energia, forza vitale, matericità e al tempo stesso caratterizzati da una profonda armonia, indagano i sentimenti, le emozioni e l’interiorità dell’essere umano: i diversi aspetti che compongono la sua complessa, molteplice anima.

Di particolare interesse le opere appartenenti alle serie Nebulose, vere e proprie “espressioni dell’inconscio” realizzate mediante l’uso dei colori, e Materici, nelle quali, attraverso l’uso di materiali quali sabbia, gesso, legni e sassi, l’artista vuole rappresentare la profondità e la densità sia del vissuto interiore sia della realtà quotidiana.

I “colori dell’anima” che caratterizzano i lavori di Marina Berra ci invitano a indagare in noi stessi e nelle nostre emozioni, alla ricerca di un benessere e di una positività che l’arte può aiutarci a raggiungere.
La mostra, a cura di Elena Amodeo e Vittorio Schieroni, inaugurerà martedì 19 gennaio alle ore 18.30 e sarà aperta al pubblico fino al 25 dello stesso mese.

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Marina Berra | I colori dell’anima
a cura di Elena Amodeo e Vittorio Schieroni
19-25 gennaio 2016
Inaugurazione martedì 19 gennaio, ore 18.30
Lunedì ore 16-19, martedì-venerdì 10-13 e 16-19, sabato su appuntamento
M4A – MADE4ART
Spazio, comunicazione e servizi per l’arte e la cultura
Via Voghera 14 – ingresso da Via Cerano, 20144 Milano
www.made4art.it, info@made4art.it, t. +39.02.39813872
Media partner: Espoarte




Barbie: icona da 56 anni

di Giuliana Tonini – Ragazze dai cinque ai cento anni, non perdetevi la mostra Barbie – The Icon, al MUDEC – Museo delle Culture di Milano, in allestimento fino al 13 marzo.
La mostra, curata da Massimiliano Capella, prodotta da 24 Ore Cultura – Gruppo 24 Ore e promossa dal Comune di Milano -Cultura e da 24 Ore Cultura – Gruppo 24 Ore, in collaborazione con Mattel, non potrebbe avere titolo migliore. È innegabile che Barbie – il cui nome completo è Barbara Millicent Roberts – sia diventata un’icona. La bambola più famosa e più venduta del mondo, infatti, da ben 56 anni rispecchia e interpreta le evoluzioni culturali della società e la sua allure non accenna a tramontare.
In un percorso a sezioni tematiche sono esposte ben 448 Barbie.
Nella sala introduttiva sono sistemati i sette modelli iconici e rappresentativi del rispettivo decennio, dal 1959, anno di ‘nascita’ di Barbie, a oggi. Lì troviamo la prima Barbie, quella con la coda e il costume da bagno a righe bianche e nere. Quasi tutte la conosciamo. L’abbiamo vista in fotografia, e ora la possiamo ammirare ‘dal vivo’.
La seconda sala è una macchina del tempo. Ancora divise per decadi, ci sono centinaia di Barbie, il cui stile di abbigliamento cambia con lo scorrere degli anni, mentre una timeline sui muri della sala ci ricorda i principali avvenimenti della storia dal 1959 a oggi e le tappe dell’evoluzione del costume e della moda.
Le Barbie indossano graziosissimi mini abiti identici a quelli che portavano le donne del periodo di riferimento e ispirati alle creazioni degli stilisti del momento. E così le vediamo indossare con disinvoltura prima ampie gonne dalla vita alta e stretta, completini con la gonna a sbuffo, cappottini larghi e monocolore (una Barbie ne porta uno rosso, identico a quello che, in una foto sulla timeline, si vede sfoggiare da Jackie Kennedy), per passare alla moda anni Settanta, coi pigiama palazzo o lo stile hippy, e ai colorati e rockettari abiti anni Ottanta, e poi virare verso una schiera di Barbie dei nostri anni Duemila, in jeans aderenti, tubino nero (intramontabile passepartout), e raffinati abiti da sera in stile red carpet. E anche le acconciature dei capelli delle Barbie seguono la moda.

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Le più piccine si scatenano a cercare la propria Barbie, ma anche per le visitatrici ormai cresciute, me compresa, è divertente trovare le Barbie con cui hanno giocato da bambine. C’è anche qualche visitatore, in veste di papà che accompagna la propria bambina oppure, più raramente, di fidanzato o marito.
Si passa poi in una sala dove sono messe in mostra decine di Barbie che indossano modelli confezionati apposta per loro dai più celebri stilisti. Alcuni abiti sono davvero scenografici e sorprendenti.
E c’è anche la zona degli accessori che costituiscono l’ambiente in cui Barbie vive. Ognuna di noi può riconoscerne più di uno con cui ha giocato. Ci sono, ad esempio, la celeberrima casa di Barbie, con l’ascensore che sale e scende tirando la cordicella, la piscina, il bagno con la vasca che faceva la schiuma, lo yacht e le macchine (che Barbie avesse la Ferrari si sapeva, ma chi non è più bambina da un bel po’ scopre che ha anche una 500 nuovo modello, rigorosamente rosa).

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Un’altra sezione della mostra, Barbie Careers, è dedicata ai mestieri svolti da Barbie. Se, da una parte, è innegabile che Barbie ha contribuito ad assecondare un canone di bellezza irraggiungibile, è anche vero, dall’altra, che, fino dagli anni Sessanta – quando la maggior parte delle donne ricopriva nella società unicamente il ruolo di moglie e di madre – ha legittimato le bambine a vedersi, da grandi, svolgere un lavoro. E così abbiamo prima modelli di Barbie infermiera, segretaria, hostess, per poi arrivare a Barbie manager, Barbie soldato della guerra del Golfo (la riproduzione della divisa che Barbie indossa ha dovuto essere approvata dal Pentagono), e Barbie candidata alla presidenza degli Stati Uniti (ce ne sono ben due edizioni).
Ma non è finita qui. La sala successiva vuole sottolineare che Barbie è, sì, un prodotto della cultura occidentale, ma ormai è diventata davvero un’icona globale, arrivando a rappresentare cinquanta diverse nazionalità. E infatti, in teche sospese che ricordano i caschi per capelli che si usano dal parrucchiere, ci sono Barbie coi colori e coi vestiti tradizionali dei paesi di tutti e cinque i continenti.
L’ultima sala è una sorpresa. Lì Barbie è ‘incarnata’ in donne che hanno fatto la storia, quella con la S maiuscola e quella dello spettacolo. Ci sono infatti Barbie con le fattezze, e i meravigliosi abiti, di celebri regine come Elisabetta I d’Inghilterra, Maria Antonietta, Cleopatra, Caterina de’ Medici e Giuseppina Bonaparte (con l’abito e il lunghissimo manto indossati per l’incoronazione a imperatrice consorte di Napoleone, come possiamo vedere guardando il quadro di Jacques-Louis David).

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E Barbie identiche in tutto e per tutto a famose dive dei nostri tempi. Non si può non rimanere a bocca aperta, oltre che per la bellezza dei vestiti, per come i lineamenti del viso delle bambole assomiglino in modo impressionate a quelli delle dive in carne e ossa. Solo per citarne alcune, c’è Barbie Grace Kelly in tre versioni, con l’abito che portava il giorno del suo matrimonio col principe Ranieri e con quelli dei film di Hitchcock ‘La finestra sul cortile’ e ‘Caccia al ladro’, Barbie Vivien Leigh-Rossella O’Hara, coi vestiti di ‘Via col vento’ (manca la Barbie col vestito di velluto verde che Rossella fa con le tende, ma nella sala della timeline si può vederne una foto), Barbie Audrey Hepburn con gli abiti di ‘Colazione da Tiffany’, ‘My fair lady’, ‘Vacanze romane’ e ‘Sabrina’, e poi Barbie Marilyn Monroe, Barbie Liz Taylor e, per il cinema di tempi più recenti, Barbie Olivia Newton John-Sandy con le mise del cult ‘Grease’. Degna di nota è anche una inquietante Barbie Tippi Hedren che, nel suo tailleur verde pastello, viene aggredita dagli uccelli dell’omonimo film di Hitchcock.

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La ciliegina sulla torta è Barbie MUDEC , due esemplari pezzo unico – una con la pelle bianca e i capelli neri e l’altra con la pelle scura e i capelli biondi – realizzati in esclusiva e in occasione della mostra. Il loro vestito si ispira alla nuvola di cristallo che sovrasta la piazza centrale del museo, mentre la fantasia della sottoveste richiama il motivo del ‘caleidoscopio delle culture’, tema della campagna di comunicazione di lancio del museo.

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Ragazze di ogni età, davvero, visitate la mostra.

Dove: MUDEC – Museo delle Culture, Milano, via Tortona 56
Quando: fino al 13 marzo 2016
A quanto: biglietto intero 10 €, ridotto 8 €, ridotto speciale 6 €
Sito internet: www.mudec.it

Foto di Giuliana Tonini




le Rouge: sperimentazioni d’arte astratta sul tema del rosso

A Natale non poteva non esserci un evento tributo al colore rosso! Made4Art di Milano presenta le Rouge, speciale progetto artistico che riunisce alcune significative sperimentazioni d’arte astratta sul tema del rosso. Protagonisti della mostra Luigi Aricò, Carla Battaglia, Marina Berra, Fiorenza Bertelli, Donata Bonanomi, Claudio Cattaneo, Antonio Corbo, Iure Cormic, Giorgio Lo Fermo, Giuseppe Portella, Paolo Remondini: in esposizione una selezione di opere realizzate da artisti dalle differenti specificità tecniche e sensibilità artistiche in un allestimento di forte impatto cromatico e basato su armonie, variazioni, rapporti tra le diverse infinite sfumature.

Il progetto, a cura di Elena Amodeo e Vittorio Schieroni, è un vero e proprio omaggio a un colore, il rosso, da sempre legato a concetti quali “emozione”, “amore”, “passione”, “calore”, impiegato dagli artisti sin dai tempi più antichi per rappresentare sentimenti profondi e intensi legami affettivi. Giochi di luci e ombre, presenze geometriche, forme appena riconoscibili, inclusioni di materiali e di altri colori: il rosso sorprende e coinvolge, suscita emozioni e, grazie all’intervento artistico, in tutte le sue molteplici varianti, ci conduce in una dimensione intima e personale, all’interno di noi stessi e delle nostre sensazioni.

le Rouge, con data di inaugurazione martedì 22 dicembre, rimarrà aperta al pubblico fino al 18 gennaio.

La nuova mostra di Made4Art, spazio, comunicazione e servizi per l’arte e la cultura, rientra nel percorso di indagine sull’arte astratta precedentemente inaugurato con Visioni astratte. Nuove tendenze al femminile (19 marzo-2 aprile 2013) e portato avanti con le successive esposizioni Black&White. Astrazione negli opposti (24 maggio-7 giugno 2013), Explosion! colore astrazione emozione (25 ottobre-14 novembre 2013), Monochromes (5-25 febbraio 2014), Light & Shadow (3-16 settembre 2014), GREEN. arte uomo natura (7-20 novembre 2014), Primary colours (3-16 febbraio 2015), L’arte come energia per la vita (3-16 giugno 2015).

le Rouge
Luigi Aricò, Carla Battaglia, Marina Berra, Fiorenza Bertelli, Donata Bonanomi, Claudio Cattaneo, Antonio Corbo, Iure Cormic, Giorgio Lo Fermo, Giuseppe Portella, Paolo Remondini
a cura di Vittorio Schieroni ed Elena Amodeo
22 dicembre 2015-18 gennaio 2016
Inaugurazione martedì 22 dicembre, ore 18.30
Durante il periodo delle Festività la mostra sarà su appuntamento
Orari a partire dal 7 gennaio: lunedì ore 16-19, martedì-venerdì 10-13 e 16-19

M4A – MADE4ART
Spazio, comunicazione e servizi per l’arte e la cultura
Via Voghera 14 – ingresso da Via Cerano, 20144 Milano
www.made4art.it, info@made4art.it, t. +39.02.39813872
Media partner: Espoarte




Le “Due Vite allo Specchio” di Marco Florita

di Giuliana Tonini – Prosegue il tour di presentazioni di ‘Due vite allo specchio’, il primo romanzo di Marco Florita, edito da LOG Edizioni. Dopo quelle di Milano del 21 ottobre e di Sesto San Giovanni del 28 novembre, il 19 dicembre è stata la volta di Bobbio (PC). In quest’ultima occasione c’è stata la partecipazione attiva di Cosmopeople. Seduta al tavolo di presentazione di fianco all’autore, nella sala congressi del Centro Culturale Polivalente del Comune, ho infatti avuto il piacere di esporre un’introduzione al romanzo.
Due vite allo specchio’ rientra a pieno titolo nella categoria dei romanzi di formazione, quei racconti in cui il personaggio principale compie un percorso di crescita, che lo porta, alla fine, ad essere più consapevole di se stesso e del posto che aspira ad avere nel mondo.
Nel caso di ‘Due vite allo specchio’ è estremamente probabile che il lettore si immedesimi col protagonista, Vince Petrucciani, un uomo ormai anziano che ripercorre, nei suoi ricordi, gli snodi della sua giovinezza, vissuta nella Milano di qualche decennio fa. Con i suoi dubbi e le sue incertezze, i suoi incontri con personaggi, maschili e femminili, che portano aspettative e disillusioni, ma anche gioie inattese, Vince Petrucciani potrebbe essere davvero ognuno di noi, ed è facile che la sua storia ci faccia tornare alla mente alcuni momenti della nostra.
È un racconto particolare – con uno stile di punteggiatura e un uso degli ‘a capo’ del tutto originale – narrato in maniera intimistica e introspettiva, ma mai malinconica, che l’autore dipana con grande sensibilità e capacità di osservazione del carattere umano.
Marco Florita ha raccontato al pubblico di Bobbio quale significato ha avuto per lui scrivere questo romanzo. Prima di tutto è stato un modo per esprimere genuinamente, attraverso la scrittura, le proprie emozioni e sensazioni, e quindi se stesso (sottolineando, però, che ‘Due vite allo specchio’ non è un romanzo autobiografico). E inoltre, tramite la stesura del libro, ha ripreso i temi di una poesia composta quando aveva poco più di vent’anni, in cui contrapponeva le percezioni nei confronti della vita da parte di chi ne è poco più che all’inizio, un ragazzo, e di chi invece si sta avviando alla conclusione, un uomo anziano. Nel romanzo il vecchio (Vince Petrucciani) e il ragazzo sono l’uno di fronte all’altro sulle rive opposte di un fiume: il fiume della vita.
Due vite allo specchio’ è acquistabile online, tramite tutti i siti di vendita di libri, in formato eBook al prezzo di 4,99 euro oppure in formato cartaceo al prezzo di 10,50 euro.
Pagina Facebook: Marco Florita




Alessandra Angelini e il suo omaggio alla Joie de Vivre

Made4Art di Milano presenta la personale di Alessandra Angelini Joie de Vivre, evento che si terrà martedì 15 dicembre 2015 a Milano presso D Studio in Via della Spiga 7.

L’arte di Alessandra Angelini (Parma, 1953), artista e docente di Grafica e Tecniche dell’Incisione all’Accademia di Belle Arti di Brera, è un universo di luce e colori dove questi elementi fondamentali vengono modulati dall’artista seguendo un’armonia musicale che diventa parte integrante delle opere stesse; una ricerca condotta attraverso la sperimentazione sulle tecniche e le potenzialità espressive dei materiali.

In esposizione una serie di lavori in tecnica mista su tela, sculture in metacrilato e un importante libro d’artista: una selezione di lavori rappresentativa della delicata e poetica produzione artistica di Angelini, un vero e proprio omaggio alla gioia di vivere e un invito a osservare la realtà circostante da nuove prospettive.

In concomitanza con la personale di Alessandra Angelini, presso D Studio di Milano si svolgerà uno speciale Christmas Cocktail, momento di incontro con gli artisti, i collezionisti e gli amici di Made4Art e dell’artista in occasione delle Festività natalizie.

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Alessandra Angelini | Joie de Vivre
Made4Art Christmas Cocktail 2015 

c/o D Studio, Via della Spiga 7, Milano
Martedì 15 dicembre 2015, dalle ore 17 alle 21