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Andy Warhol approda a Genova

A trent’anni esatti dalla scomparsa di Andy Warhol, Palazzo Ducale di Genova dedica una grande retrospettiva all’artista americano ( 6 agosto 1928 –   22 febbraio 1987). La retrospettiva di Andy Warhol, naugurata in settimana, sarà aperta fino al prossimo 26 febbraio

 

andy-wharlol-3 Curata da Luca Beatrice e prodotta e organizzata da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura di Genova e da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore, la mostra presenta circa 170 opere. Il percorso si sviluppa su sei temi: il disegno, le icone, le polaroid, i ritratti, Andy Warhol e l’Italia, e infine il cinema e copre l’intero arco dell’attività dell’artista. Con Andy Warhol si apre l’epoca dell’arte contemporanea.

 

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Andy Warhol è stato capace di intuire e anticipare i profondi cambiamenti che la società contemporanea avrebbe attraversato a partire dall’era pop, da quando cioè l’opera d’arte comincia a relazionarsi quotidianamente con la società dei massmedia, delle merci e del consumo. Nella Factory, a New York, non solo si producevano dipinti e serigrafie: si faceva cinema, musica rock, editoria, si attraversavano nuovi linguaggi sperimentali in una costante ricerca d’avanguardia. Anche nei confronti della televisione Andy Warhol manifesta una curiosità straordinaria.

 

 

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In mostra alcuni straordinari disegni preparatori che anticipano dipinti famosi come il Dollaro o il Mao; le icone di Marilyn, presente sia nella serigrafia del 1967 sia nella tela Four Marilyn, della Campbell Soup e delle Brillo Boxes; i ritratti di volti noti come Man Ray, Liza Minnelli, Mick Jagger, Miguel Bosè e di alcuni importanti personaggi italiani: Gianni Agnelli, Giorgio Armani e Sandro Chia. Un’intera sezione è poi dedicata alle polaroid.
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Gli uomini e i demoni di José Molina

di Federico Poni – Dalla fisiognomica alla psicoanalisi: i lavori di Jose Molina, esposti a cura di Chiara Gatti alla galleria Deodato Arte fino al 26 novembre (divisi in nove serie, realizzate tra il 2004 e il 2016), offrono una gamma amplissima di percorsi e suggestioni.

Con le sue matite, gli olii, i legni e le cere, usate singolarmente o contemporaneamente, Josè elabora opere di natura molto diversa e si cimenta nella rappresentazione dell’interiorità umana, tema chiave nella storia dell’arte del Novecento, ma qui rielaborato con immagini originali e spiazzanti: l’umanità di Molina à bestiale, violenta, come le mascelle di un animale primitivo incastrate nel volto angosciato di un essere umano, ma anche eterea ed evanescente come le ali di una fata che annuncia il nuovo giorno.

Bosch e Goya sono i riferimenti, i “maestri” di Molina, nella determinazione del segno, nella ricerca instancabile della metafora apocalittica che meglio renda l’angosciante abisso della coscienza umana. Fedele al principio che il sonno della ragione genera mostri, l’artista ha, per Molina, il dovere morale di vigilare, di riflettere e far riflettere il pubblico, con la violenza perturbante delle sue immagini.

In Molina diventano via via più evidenti i riferimenti alla pittura surrealista, nell’effetto onirico di molte immagini, e alle opere di Escher, nella nettezza e precisione del segno che non perdona i palati fini e delicati.

Ne emerge indiscutibilmente che per il pittore l’uomo è un demone sociale, un mostro quotidiano: l’arte di Josè è un grande racconto sul declino dell’umanità, di ogni individuo e dell’intero consorzio umano.

In un’epoca in cui molta arte è affidata alla tecnologia, Molina sceglie procedimenti classici, tecniche tradizionali, per continuare a interrogarsi e a interrogarci sull’enigma dell’esistenza.

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José Molina. Uomini e altri demoni

fino al 26 novembre 2016

DEODATO ARTE | Milano | via Santa Marta 6

Info sull’artista www.josemolina.com




“JACK REACHER – PUNTO DI NON RITORNO”: CAPOLAVORO D’AZIONE E D’INDAGINE

di Elisa Pedini – Arriva nelle sale, dal 20 ottobre, l’attesissimo sequel del duro Jack Reacher, col titolo “JACK REACHER – PUNTO DI NON RITORNO”, per la regia di Edward Zwick. Pellicola, semplicemente, straordinaria. Un connubio degno di nota tra l’“action movie” e il “crime thriller”. Un film coinvolgente, avvincente, emozionante, scandito da un ritmo incalzante, che cattura l’attenzione dalla prima all’ultima scena. Nella sua indubbia spettacolarità, il film scorre solido e coerente, coinvolgendo lo spettatore in un intrigo ben strutturato, che, in certi passaggi, richiama la figura dell’hysteron proteron applicata alla cinematografia, che si attua nell’inversione dell’ordine naturale d’un evento, mostrandone prima l’effetto e poi la causa. Questa struttura, non solo consente di tenere sempre alta l’attenzione dello spettatore, ma anche di creare un forte senso di suspense. “Jack Reacher – Punto di non ritorno” è tratto dal libro “Never go back”, diciottesimo volume della fortunatissima saga di Jack Reacher, eroe letterario nato, nel 1997, dalla penna di Lee Child e giunto ormai a ben venti romanzi. Com’è noto, questo personaggio, affascinò talmente Tom Cruise, che, nel 2012, decise di produrre e interpretare il primo film: “Jack Reacher – la prova decisiva”, basandolo su “One Shot”, in realtà, il nono libro della saga. Notevole caratteristica, infatti, dei romanzi su questo eroe, è che non seguono un ordine cronologico, non c’è una continuità con cui familiarizzare per apprezzare il protagonista e le sue gesta. Di fatto, gli unici punti fermi sono Jack e il suo spazzolino da denti. Non per altro, la figura di questo personaggio è proprio quella dello “straniero misterioso”, una sorta di “cavaliere errante” dei nostri tempi. La sua vita nomade, scevra da ogni attaccamento, ha, però, una struttura rigida, basata su regole morali e senso di giustizia. Jack si sposta in autostop, non si ferma mai a lungo in nessun luogo ed è un ex maggiore dell’esercito americano. Il film inizia mostrandoci quattro uomini stesi a terra e ridotti proprio male, sul selciato, fuori da una stazione di servizio. Ecco, appunto, l’“effetto” di cui parlavo prima. Arriva la polizia. I testimoni riportano che, a metterli tutti e quattro ko, è stato un solo uomo, lo stesso che se ne sta, pacifico, seduto al bancone del locale. Quell’uomo è Jack. Ancora s’ignora la “causa”. Forte il contrasto che viene trasmesso allo spettatore: fuori, la notte, i lamenti dei malmenati, il vociare dei testimoni e la sbruffoneria dello sceriffo; dentro, una forte luce al neon, un bianco accecante e un uomo solo, seduto di spalle alla porta, calmo. La spiegazione di tutto, la “causa”, arriva, puntuale e in modo a dir poco spettacolare. Si tratta di traffico di clandestini e Jack li fa arrestare tutti. Quindi, il nostro “giustiziere nomade” se ne va, di nuovo, in autostop. Scopriamo che ad aiutarlo è stato il Maggiore Susan Turner, che gli è succeduta quando lui ha lasciato l’esercito. Quando Jack va a Washington per conoscerla, scopre che è stata arrestata con l’accusa di spionaggio. È subito evidente, per il nostro eroe, che c’è qualcosa di molto strano e inizia a indagare. Qualcuno lo pedina. Jack va a parlare con l’avvocato del Maggiore Turner e così, scopre che Susan aveva inviato due sue unità in Afghanistan, per indagare su una questione poco chiara relativa alle armi. I due inviati vengono ammazzati in pieno stile esecuzione e guarda caso, un giorno dopo, il Maggiore Turner viene arrestata. L’avvocato di Susan viene assassinato e le accuse ricadono su Jack. Con un espediente viene arrestato come militare. Riesce a evadere e a far scappare anche il Maggiore Turner con lui. Da questo punto, non vi dico altro perché la trama si fa sempre più intrigante in un coerente climax di tensione e conduce lo spettatore dentro a una storia di indagini fitte e avvincenti, fra pedinamenti, ricerche, testimoni e rapidi spostamenti per non essere presi, fino a dare spiegazione e soluzione a ogni enigma. A complicare ancora di più la situazione, c’è la figlia di Jack, che va tutelata, perché è un facile bersaglio per colpire lui. Vi rammento, però, quanto detto al principio sulle caratteristiche di questo personaggio: un samurai del nuovo millennio, solitario, nomade, senza legami e scevro da attaccamenti. Appare strano che abbia, al dunque, una figlia. Chi sia questa fanciulla, lo lascio scoprire a voi. “Jack Reacher – Punto di non ritorno” è un film che va seguito e che si fa seguire, con grande attenzione. Di azione ce n’è davvero tanta, ma tutto è calibrato e realistico, evitando così i più classici, abominevoli, cliché degli action movie americani: primo fra tutti, i tipici inseguimenti eterni con dilatazioni spazio-temporali tanto improbabili, quanto ridicole. I personaggi sono ben costruiti e le loro personalità risultano solide e credibili. I dialoghi sono sottili, acuti e vanno ascoltati, apprezzati, perché, persino quelli che possono sembrare più personali e meno utili alla trama, in realtà, sono portatori di messaggi molto importanti su tematiche molto attuali. Mi piace concludere, ponendo l’accento sulla figura del Maggiore Susan Turner, interpretata in modo squisitamente naturale e intenso da una straordinaria Cobie Smulders: una donna molto bella, intelligente, attiva, dotata di profondità e sensibilità, ma anche di grande forza e coraggio. Finalmente, una protagonista femminile realistica. Infine, molto apprezzabile è la totale mancanza d’una futile love story tra i due protagonisti, che non avrebbe dato valore aggiunto alcuno ad un film d’azione e d’indagine qual è “Jack Reacher – Punto di non ritorno.”




Al Museo del 900: BOOM 60! ERA ARTE MODERNA

È stata inaugurata oggi al Museo del NovecentoBOOM 60! Era arte moderna” una mostra promossa dal Comune di Milano, dedicata all’arte tra i primi anni Cinquanta e i primi Sessanta e alla sua restituzione mediatica, tramite i popolarissimi canali di comunicazione di massa.

La mostra al Museo del Novecento, curata da Mariella Milan e Desdemona Ventroni con Maria Grazia Messina e Antonello Negri, inaugura i nuovi spazi espositivi con un percorso articolato tra Arengario e Piazzetta Reale in un allestimento firmato dall’Atelier Mendini.

Un’ampia rassegna che persegue l’obiettivo di approfondire i temi dell’arte italiana del ‘900 arricchendo il percorso permanente museale, anche grazie all’estensione del percorso in nuove sale espositive. Nell’ideazione e nella scelta delle opere, oltre a prestiti di Musei e raccolte pubbliche e private, è stato possibile attingere alla ricca collezione del Museo del Novecento: dipinti e sculture del patrimonio civico a partire dalla collezione Boschi di Stefano che, non essendo esposti in modo permanente, risultano in questo modo una affascinante riscoperta.

La mostra esplora l’arte moderna com’era raccontata dai settimanali e dai mensili di attualità illustrata, i cosiddetti rotocalchi. Sono gli anni del “boom”, non solo quello dell’economia e dei consumi, ma anche quello delle riviste – Epoca, Tempo, Le Ore, Oggi, Gente, L’Europeo, Abc, L’Espresso, Vie Nuove, La Domenica del Corriere, La Tribuna Illustrata, Successo, Panorama, L’Illustrazione Italiana, Settimana Incom Illustrata, Lo Specchio, Settimo Giorno – che in questi anni raggiungono le loro massime tirature, con una diffusione di gran lunga superiore a quella dei quotidiani, diventando così un importante strumento di intrattenimento, nonché uno specchio fedele della mentalità e delle aspirazioni collettive.

Quella che emerge dalle pagine di queste riviste popolari è un’immagine dell’arte moderna e dei suoi protagonisti alternativa rispetto a quella della critica colta. Le novità artistiche si scontrano con le attese di un grande pubblico molto diffidente nei loro confronti, che le riviste a tratti assecondano nei suoi pregiudizi, a tratti “educano” calando il mondo dell’arte nelle forme della cultura di massa.

La mostra, nell’allestimento di Atelier Mendini, restituisce questi diversi aspetti della cultura visiva italiana in un suo momento decisivo, facendo principalmente perno sul contesto di Milano, centro al tempo stesso della grande editoria commerciale e di una buona parte della ricerca artistica più avanzata.

Circa centoquaranta opere di pittura, scultura e grafica, scelte in relazione al particolare successo nella comunicazione di massa, dialogano in quattro sezioni – “Grandi mostre e polemiche”, “Artisti in rotocalco”, “Artisti e divi”, “Mercato e collezionismo” – con le più diffuse illustrazioni fotografiche e televisive delle opere stesse e dei loro autori. Una ricca sezione documentaria, come una grande “edicola” d’altri tempi, presenterà invece al pubblico, nella sala Archivi del Museo, le riviste e i loro diversi modi di raccontare l’arte moderna, dalle copertine alle inchieste, dalle rubriche di critica alla pubblicità, dall’illustrazione all’uso dell’immagine fotogiornalistica, insieme a una selezione di opere tra cui Piazza del Duomo di Milano di Dino Buzzati.
Museo del Novecento, via Marconi 1, Milano

BOOM 60! Era arte moderna

18 ottobre 2016 – 12 marzo 2017

ORARI
lunedì 14.30 – 19.30
martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30
giovedì e sabato 9.30 – 22.30

BIGLIETTO
(l’ingresso alla mostra comprende anche la visita al museo)
– intero 10 €
– ridotto 8 €
Persone che abbiano compiuto i 65 anni d’età
Studenti universitari ed accademie di Belle Arti
Dipendenti dell’amministrazione comunale

– ridotto speciale 6 €
Ragazzi tra i 13 e i 25 anni
Possessori biglietto cumulativo (ingresso ai musei civici per 3 giorni)
Funzionari delle sopraintendenze statali e regionali
Iscritti ad associazioni riconosciute a livello locale e nazionale
Insegnanti con scolaresca (max 4 per classe)
Studiosi accreditati con permesso della direzione del museo
Tutti i visitatori in occasione dell’iniziativa ∆domenicalmuseo, ogni martedì dalle ore
14.00 e ogni giorno a partire da due ore prima della chiusura del museo.

– gratuito
Ragazzi sotto i 12 anni
Portatori di handicap
Possessori Card OttoNoveCento
Possessori Abbonamento Musei Lombardia
Giornalisti
Guide e interpreti turistici accompagnatori di gruppi (con licenza)
Membri dell’ICOM

Audioguide mostra e museo: 3 €

INFO
Tel. 02.88444061
www.museodelnovecento.org

VISITE GUIDATE
Ad Artem
Info e prenotazioni
Tel. 02.6597728
info@adartem.it




Gallerie d’Italia ospitano Bellotto e Canaletto

Un grande evento si prepara a conquistare Milano. Dal 25 novembre al 5 marzo 2017 le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, nella sede milanese in Piazza Scala, ospiteranno la mostra “Bellotto e Canaletto. Lo stupore e la luce“. Si tratta del primo progetto espositivo che Milano dedica al genio pittorico e all’intelligenza creativa di due artisti di spicco del Settecento europeo: Antonio Canal, detto “il Canaletto” (Venezia 1697-1768) e suo nipote Bernardo Bellotto (Venezia 1722 – Varsavia 1780).

Curata da Bożena Anna Kowalczyk, l’esposizione è organizzata da Intesa Sanpaolo in partnership con alcuni tra i più importanti musei europei che conservano le opere dei due artisti.

Con circa 100 opere, tra dipinti, disegni e incisioni, un terzo delle quali mai prima d’oggi esposto
in Italia, il percorso espositivo intende illustrare uno dei più affascinanti episodi della pittura europea, il vedutismo veneziano, attraverso l’opera dei due artisti che, legati da vincolo di sangue (Canaletto e Bellotto erano rispettivamente zio e nipote), seppero trasformare questo peculiare genere nella corrente d’avanguardia che tanto caratterizzò il Settecento.

Mentre Canaletto si impose sul teatro europeo grazie ai particolari procedimenti compositivi, risultato del razionalismo di matrice illuminista e delle più moderne ricerche sull’ottica (sarà in mostra anche la “camera ottica” che egli mise a punto e utilizzò per le sue creazioni), Bellotto, ne comprese i segreti della tecnica per poi sviluppare secondo una personale chiave interpretativa il proprio originale contributo.

Il confronto tra le loro soluzioni pittoriche offre l’occasione per cogliere un eloquente panorama sulla colta Europa del tempo e sulla sua classe dirigente, che fece a gara per commissionare i dipinti ai due grandi veneziani: il viaggio artistico parte da Venezia per toccare Roma, Firenze, Verona, Torino, Milano e il suo territorio, con Vaprio e Gazzada – dove Bellotto mette a frutto l’insegnamento di Canaletto nelle sue vedute e paesaggi di stupefacente modernità – e prosegue quindi alla volta dell’Europa, con i ritratti di Londra, Dresda, Varsavia o Wilanòw, fino a raggiungere luoghi fantastici e immaginari, immortalati nei memorabili “capricci”.

Inoltre la recente riscoperta dell’inventario della casa di Bellotto a Dresda, distrutta dal bombardamento prussiano del 1760, ha permesso di conoscere la biblioteca gettando una nuova luce sulla personalità e l’indipendenza intellettuale dell’artista, sulle sue passioni, la letteratura, il teatro, il collezionismo. L’eccezionale documento (cui viene dedicato un saggio nel catalogo) è esposto assieme a una selezione dei libri più sorprendenti che appartenevano alla sua ampia biblioteca, la più straordinaria tra quelle finora note formate da un artista.

Il catalogo della mostra, realizzato da Silvana Editoriale, contiene saggi su ambedue gli artisti e la loro opera, presenta la nuova ricerca storica e archivistica e illustra i risultati delle analisi tecniche più innovative che hanno permesso di confrontare per la prima volta in modo esaustivo i dipinti e i disegni dei due artisti.

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Bellotto e Canaletto
Lo stupore e la luce

Gallerie d’Italia – Piazza della Scala, 6
Sede museale di Intesa Sanpaolo a Milano

25 novembre 2016 – 5 marzo 2017

Mostra a cura di Bożena Anna Kowalczyk

Apertura
dal martedì alla domenica ore 9.30 – 19.30 (ultimo ingresso ore 18.30)
giovedì ore 9.30 – 22.30 (ultimo ingresso ore 21.30)
chiuso lunedì

Informazioni
numero verde 800.167619; info@gallerieditalia.com; www.gallerieditalia.com

Biglietto
Biglietto: intero 10 euro, ridotto 8 euro, ridottissimo 5 euro
Gratuito per meno di 18 anni e scuole e la prima domenica del mese




Villaggio di Natale Flover, una favola lunga vent’anni

Era il 2 novembre 1996 quando la famiglia Girelli tagliò il nastro del primo Villaggio di Natale in Italia: il Villaggio di Natale Flover. Un evento destinato a diventare un appuntamento atteso e a fare del Villaggio di Natale Flover il mercantino di Natale al coperto più grande d’Italia. Ogni anno per visitare il Villaggio di Natale Flover arrivano oltre 300mila visitatori. Per chi può, perderlo è davvero un peccato … tanto più che rimane aperto per quasi due mesi dal 2 novembre all’8 gennaio e raggiungerlo a Bussolengo, nei pressi di Verona, è decisamente  più comodo di molte altre mete “di stagione”.

Di ritorno da un viaggio in Germania, Silvano Girelli, si fermò a Rothenburg Ob der Tauber, sulla Romantische Straße, la strada che ha ispirato nel medioevo molti poeti e romanzieri. Ne rimase incantato, il borgo sembrava uscito da un libro dei fratelli Grimm. Ne  Pochi giorni dopo con un gruppo di collaboratori e un team di artisti e scenografi tornò a Rothenburg per catturare il fascino di questo antico borgo. Il primo Villaggio di Natale Flover aprì le porte poco dopo e iniziò a incantare con le sue atmosfere magiche e suggestive, ispirate alla tradizione nordica. Inizialmente una piccola finestra sul Natale, negli anni diventò sempre più grande, prendendo un’ampia parte del Centro Giardinaggio.

Al Villaggio di Natale Flover niente è stato lasciato al caso la scenografie e gli ambienti sono curati nei minimi dettagli e ricreano la magia delle fiabe natalizie. Per il suo ventesimo compleanno il Villaggio di Natale Flover regala una favola. L’ingresso Il viaggio nel Natale Flover inizia in una biblioteca speciale ricca di ricordi, dove grandi volumi rievocano tutte le edizioni di questo magico mondo. Dalla prima, ispirata al mercatino di Natale di Rothenburg in Germania, passando di anno in anno per le nuove ambientazioni, studiate per ogni edizione, sempre in linea con i must della stagione e con la vocazione Flover per la passione e la ricerca continua. Un viaggio nella storia accompagnato da un’esposizione di auto d’epoca grazie alla particolare collaborazione del Museo Nicolis di Villafranca di Verona, che ricorda, stanza dopo stanza l’evoluzione del Villaggio di Natale Flover. Passo dopo passo si arriva alle novità del 2016, una vera e propria fabbrica dei giocattoli.

Non solo. Il Villaggio di Natale Flover propone una vera e propria Galleria dei presepi, capanne e statuine di ogni misura e grandezza, da 3 cm a oltre un metro, disegnate e realizzate dalle più prestigiose aziende italiane, accuratamente modellate, con una plasticità giocata sull’intensità dei volti e lo studio di atteggiamenti e dettagli. Molto particolari le statuine napoletane sempre in movimento realizzare a mano in tessuto, i piccoli presepi provenienti da diverse parti del mondo o quelli creati da Martino Landi, scultore studioso di arte sacra, per chi cerca un dettaglio pregiato. La Galleria dei presepi prosegue con i più particolari villaggi americani in miniatura Lemax, dove alle rappresentazioni più tradizionali vengono aggiunte, senza limiti di fantasia, riproduzioni di scene di vita quotidiana, dal postino al trenino che passa per la città, giostre, piste da pattinaggio, sale da ballo… I villaggi Lemax sono la decorazione ideale per uffici o piccoli spazi, ma anche per creare grandi ambientazioni.

DOVE, COME E A QUANTO

Il Villaggio di Natale Flover si trova a Bussolengo (VR), in via Pastrengo 16.
Orari: aperti tutti i giorni dal 2 novembre 2016 al 8 gennaio 2017, anteprima dal 15 ottobre 2016. Orari: dalle 9 alle 19.30, con orario continuato. Unici giorni di chiusura il 25 dicembre 2016 e il 1° gennaio 2017.
Biglietto d’ingresso: 1,50 euro solo nei giorni di sabato e domenica, dal 5 novembre al 18 dicembre e l’8 e 9 dicembre 2016.

 




Bittersweet symphony, l’arte incontra la “Red Passion”

di Federico PoniCampari torna alle origini ristrutturando la propria fabbrica originale a Sesto San Giovanni. Il risultato è un nuovo concept, presentato con un’esposizione all’insegna della grafica, del design e dell’audiovisivo, ripercorrendo gli anni del più famoso bitter.

BitterSweet Symphony, questo è il titolo della mostra, che vuole presentare le due anime del Campari: Dolcezza e Amarezza.

Il percorso allestito nella Galleria Campari è un itinerario sensoriale. Si apre con la visione delle varie rèclame che hanno segnato la televisione italiana, seguite dalle opere dei vari artisti internazionali che hanno collaborato con l’azienda. Nomi importanti e che hanno dato volto al bitter più famoso del mondo: da Ugo Mochi a Nicolay Diulgheroff, da Marcello Dudovich al celebre Fortunato Depero, artisti tutti coinvolti nel pubblicizzare il Liquore Finissimo Purissimo.

Immersi in una scenografia accurata, si può accedere anche a un altro piano dell’esposizione, concentrato su serie di gadget e design: carte da gioco, calendari, stoviglie, posacenere, termometri, modellini di automobili e orologi sono solo alcuni degli oggetti che regnano sovrani in questo secondo livello della mostra.

Oltre ai classici artisti si dà spazio ai designer contemporanei, come Matteo Ragni e Matteo Thun, senza dimenticare la fortunata collaborazione con l’azienda italiana Kartel.

La mostra termina con un attentissimo percorso sensoriale, un tunnel con diverse porte. Solo la vostra sensibilità e i vostri sensi vi faranno procedere: la pelle diventerà uno strumento per conoscere il mondo: per percepire la musica, i vari profumi d’èlite, le emozioni del cinema d’autore, ma anche il sapore del cioccolato piemontese e del caffè. Ogni stanza attraversata andrà scrupolosamente annotata su un apposito cartoncino, dopodiché si tirerà una somma con le cifre trovate. Cosa significa il risultato? Scopritelo voi.

Al vernissage si è potuto assaggiare un cocktail d’autore: la base di questa delizia era composta ovviamente dal Campari, poi dal Velveth Cinzano, dalla soda Rosemary, dal Cynar e un tocco di Pepperminth. Decisamente un insolito insieme per un sapore nuovo ma che, nello stesso tempo, si può definire tradizionale. L’autrice di questa prelibatezza è la vincitrice del premio come miglior Barman Campari 2016, Luana Bosello.

Luana si è lasciata ispirare dalla tradizione italiana del Campari, come base ha usato, infatti, spezie e sapori che ricordano Roma: “Un Americano a Roma” è il nome del cocktail.

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La Galleria si trova in Via Sacchetti, 20, Sesto S.Giovanni
Sarà aperta al pubblico gratuitamente dal 13 ottobre sino al 22 dicembre di quest’anno, con i seguenti orari: Martedì, Giovedì e Venerdì alle ore 14.00, 15.30, 17.00 con visita guidata, più ogni secondo sabato del mese alle ore 10.00, 11.30, 14.00, 15.30, 17.00 sempre con visita guidata.
E’ possibile prenotare le visite per gruppi su appuntamento anche in altri giorni e orari.




“MUNDUS OTHER” seconda tappa della personale itinerante del pittore Daniele Bongiovanni

Dal 17 al 30 ottobre verrà aperta al pubblico, all’interno del Centro Svizzero di Milano la mostra personale Mundus – Other di Daniele Bongiovanni, pittore italiano molto attivo anche in Svizzera.

L’evento, patrocinato dal Consolato generale Svizzero a Milano e dalla Camera di Commercio svizzera in Italia, curato dallo storico dell’arte Gregorio Rossi, verrà lanciato come secondo capitolo di Mundus (2006 – 2016), mostra tenutasi precedentemente a Lugano presso gli spazi della CD Arts Consulting.

Questa nuova esposizione prevede anche dei momenti multimediali, con proiezioni video dedicati all’artista e permetterà di scoprire il seguito di un percorso espositivo già consolidato.

Nella capitale meneghina verrà posta in risalto una selezione di dipinti incentrati sul volto umano, soggetto molto amato, studiato e rappresentato dall’artista.

‘’L’intelligenza esige costanti confronti perché il sapere deve essere ancorato alla memoria permettendo però di trovare percorsi innovativi al proprio pensiero – scrive lo storico dell’arte Gregorio Rossi – Se Daniele Bongiovanni è stato influenzato dall’Espressionismo bisogna affermare che da questo non è stato condizionato ma, avendone appresa la lezione, ha trovato il suo personale stilema.

La sua arte ci colpisce e spesso ci sorprende, dirada la nebbia dell’abitudine, non permette contaminazioni di categorie e luoghi comuni. Proprio nella successione dei quadri in questa antologica, possiamo coltivare la fantasia e quella visione interiore che potremmo riferire alle facoltà dell’occhio della mente, sul quale intervengono interferenze quando ci esprimiamo con le parole.

Un pittore come questo ha lacerato lo schermo delle convenzioni teso tra i sui occhi e le cose; se posto davanti agli elementi ed ai metodi della conoscenza come a loro tempo fecero Cézanne davanti alla mela oppure Van Gogh davanti ad un campo di grano. Non ha escluso fatti ed aspetti della realtà, oltrepassando però frontiere fissate da teorie in uso comune.’’

Recentemente, in concomitanza con eventi espositivi in Italia, in Inghilterra e negli Usa, l’artista è stato impegnato in un progetto di ricerca negli studi di arte e design del centro RTR4C in California ed è stato presente nel padiglione dedicato all’arte contemporanea, all’evento Tattoo Forever curato da Marco Manzo, al Macro Testaccio di Roma, e al Fuorisalone – Milano Design Week, con un progetto personale dal titolo: La pittura di Daniele Bongiovanni incontra il Design, De Morphology – Natural. Nel 2016 per la sua attività fuori dai confini nazionali, è stato omaggiato dalla Camera di Commercio italiana per la Svizzera con una grande personale a Lugano. Le sue opere sono presenti in musei e fondazioni, in Italia e all’estero.

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Autunno a Friburgo tra Oktoberfest e vendemmia

Autunno nella Germania del sud, alla scoperta dei paesaggi della Foresta Nera e delle meraviglie artistiche di Friburgo. Il periodo è perfetto. il sole è caldo, i boschi e i campi si tingono di rosso e del giallo dorato autunnale e a Friburgo si celebrano i prodotti del territorio dal vino alla birra, dalla frutta ai fiori che si possono scegliere, cogliere e acquistare direttamente nei campi lasciando il corrispettivo nelle apposite cassettine. Nel centro storico cinquecentesco di Friburgo e nei dintorni si alternano una serie di appuntamenti dedicati alla gastronomia, una Oktoberfest locale e  la  Kürbisfest di Mundenhof dedicata alla zucca.

L’autunno è anche il periodo delle Straußenwirtschaften, locande temporanee gestite dai viticoltori in fienili ristrutturati, in vecchie case di vignaioli o nelle corti, dove gustare semplici piatti, come la torta di cipolle Zwiebelwaie, le schiacciatine guarnite Flammenkuchen, il Bibiliskäs, formaggio fresco  con erba cipollina fresca, le patate arrosto con speck e cipolla o bollite, e ottimi vini di produzione propria.  Il simbolo tipico di queste Straußwirtschaften è la scopa appesa alla porta della corte a indicare che la locanda è aperta. Entrare in questa dimensione dell’ospitalità è un’esperienza unica, da provare.

 

 




“3 GENERATIONS”: UN’OTTIMA OCCASIONE PERDUTA

di Elisa Pedini – Arriva al cinema dal 24 novembre “3 GENERATIONS – UNA FAMIGLIA QUASI PERFETTA”, per la regia di Gaby Dellal. Una commedia tenera, delicata, ironica, piena di sentimento e buoni propositi, con una Susan Sarandon semplicemente divina e che da sola regge e vale tutto il film. Incantevole anche l’interpretazione di Elle Fanning e molto intensa quella di Naomi Watts. Nonostante questo, la commedia risulta incoerente e scricchiola. Peccato davvero.

Alcuni l’hanno apprezzata in sala; ma, a me, ha lasciato perplessa e non ha convinto. Troppe le contraddizioni per fare di “3 GENERATIONS” una pellicola solida. Sono andata a vedere questo film, piena di grandi aspettative, date dalla tematica trattata, decisamente coraggiosa e nuova, perché non si parla spesso dei transgender; ne sono uscita, infastidita. Una commedia dai toni troppo soffusi per far ridere, se non sporadicamente. Tuttavia, non la si può neppure definire “cinema impegnato”, nonostante la tematica, perché manca totalmente d’introspezione psicologica e del singolo e del sociale.

Ma, andiamo ad analizzare “3 GENERATIONS” per spiegare la mia posizione. Questa la trama: Ray, è un ragazzo bello, coraggioso, forte, deciso e vive con la sua mamma single, Maggie, a casa della nonna, Dolly, detta Dodo: donna eclettica, liberale, colta, raffinata e lesbica, che condivide amorevolmente la sua vita con la compagna di lunga data, Frances, detta Honey. Tuttavia, Ray, è nato Ramona e vuole intraprendere la terapia ormonale per essere, finalmente, se stesso: un ragazzo a tutti gli effetti. Per lui, è uno stop-and-go. Vuole cambiare scuola e accoglie con gran gioia l’evenienza di cambiare casa. Una nuova nascita, praticamente. Messaggio bellissimo. Si frappongono, fra lui e il suo desiderio, due cose: le remore della nonna e il fatto che la terapia richieda l’autorizzazione di entrambi i genitori, cosa che obbliga Maggie a dover fare i conti col suo passato.

Va premesso che la regista di “3 GENERATIONS” specifica: «Quando il film inizia, è già stata presa una decisione; si è già verificato un processo», pertanto, non ci si aspetta una particolare introspezione psicologica dei personaggi, perché, si presuppone, che tutti i traumi, le crisi, gli eventi drammatici, sia privati che sociali, siano stati già affrontati e superati. Difatti, all’inizio del film, vediamo Ray andare da un medico, con sua mamma e sua nonna, per parlare della cura ormonale che deve intraprendere. Ora, si presuppone, che se ne sia già parlato in casa.

Tuttavia, ecco, la prima contraddizione: Dolly non comprende. Susan Sarandon sente l’esigenza di giustificare il suo personaggio dicendo e cito: «Essere gay non significa approvare il cambiamento di sesso. Essere gay ha a che fare con l’orientamento sessuale, mentre essere transgender riguarda l’identità». È giusto e mi sta bene; ma, nel film, non trapela in modo così netto dai dialoghi post-incontro col medico. Inoltre, s’insiste molto sulla giovane età di Ray.

Da tutto ciò, mi domando: ma non era già stato tutto deciso? Se il film mette lo spettatore dentro una storia in cui «è già stata presa una decisione», allora, la posizione di Dolly, i dubbi sulla giovane età di Ray, le crisi di Maggie, sono fuori luogo. Se, invece, c’è ancora qualcosa da discutere, allora, non siamo dentro «una decisione già presa»; ma di fronte a una “decisione da prendere” e dunque, cadiamo nella mancanza d’introspezione psicologica. Cadiamo, altresì, nella superficialità d’una società che, senza colpo ferire, accetta Ray. Peccato che, la realtà sia ben altra. Certo, c’è una scena, di pochi secondi, in cui un ragazzotto infastidisce Ray, che reagisce proprio come un ragazzo, ovvero, attaccandolo al muro e cavandone un occhio nero. Peccato che, il ragazzotto in questione, sia il classico “bulletto”, che ha bisogno d’importunare la quiete altrui per trovare una misera giustificazione al suo inutile esistere e non rappresenta certo “la società”.

Volendo, comunque, passar sopra a quanto finora detto, invece, non posso ammettere la “gender inequality, potentemente professata. A mio avviso, questa, è l’unica vera rovina della nostra società, malata di preconcetti e luoghi comuni. Ad un certo punto, Ray parla di sé, affermando che s’è sempre sentito un ragazzo, che lo ha capito da quando aveva quattro anni, perché i suoi interessi non erano “da femmina, perché sognava di fare l’astronauta, o il cowboy e tante altre prese di posizione di questo tipo. Mi sembra ovvio: se avesse giocato a fare la mammina fasulla d’una qualche sorta di bambolotto, o la casalinga precoce col kit delle pulizie, o se avesse aspirato a fare la “moglie”, la “principessa”, o peggio, la soubrettina, sarebbe, naturalmente, cresciuto come la “femmina perfetta”. Tralascio ogni riferimento alla cronaca, ogni tipo d’esempio altisonante e qualunque invettiva, limitandomi a riflettere su di me. Da bimba, giocavo con le macchinine, i robot, a calcio e a “cowboys contro indiani”. A sedici anni, ero talmente allenata, che avevo le spalle d’un lottatore e ho fatto studi scientifici, eppure, sono femmina, fiera e convinta e pure etero. Io penso che, ognuno, è ciò che è, dentro di sé, a prescindere da ciò con cui gioca, da come si pettina, da come si veste, dallo sport che pratica, dagli studi che fa e dalla professione che sogna o sceglie. Nonostante il film sia basato su testimonianze dirette e sulla stretta cooperazione con transgender, purtroppo, non si riescono, neppure in questo contesto, a scardinare le ancestrali differenze sociali, basate sui “gender roles”. Concludo con altre due riflessioni. Dolly, si fa remore sul cambio di sesso di Ray, ma, non contesta e anzi sostiene, la condotta d’una figlia fragile, nevrotica, di facilissimi costumi e d’un’immoralità, che sta seconda solo alla Brooke di “Beautiful” e il paragone la dice già lunga. Ecco, personalmente, avrei accordato il massimo della fiducia a mio nipote, che, coi suoi sedici anni, dimostra idee chiare, profondità d’animo, coerenza morale e grandissimo coraggio, mentre, avrei pesantemente condannato mia figlia. Un’ultima cosa che mi ha infastidita, è il giudizio, mai esplicito, ma sottinteso, verso il padre di Ray.

Quest’uomo ha avuto la vita devastata da Maggie. Dopo dieci anni, se la vede ripiombare davanti, con la pretesa che firmi subito i documenti per la terapia del figlio. Personalmente, le avrei sbattuto la porta in faccia. Lui, invece, l’accoglie, nonostante abbia una nuova, fantastica famiglia, l’ascolta, nonostante lei sia psicopatica e giustamente, a mio avviso, chiede di capirci di più. A me, è sembrato un comportamento fin troppo responsabile.

In conclusione, l’impressione che ho avuto, di “3 GENERATIONS”  è quella d’un film senza coraggio: nel tentativo di restare politically correct e non turbare nessuno, finisce per restare superficiale, se non, addirittura, esporre il fianco ai detrattori della causa, che vuole, invece, difendere.

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