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“BAD MOMS – MAMME MOLTO CATTIVE”: QUANDO L’IMPERFEZIONE È LA VERA PERFEZIONE

di Elisa Pedini – Arriva al cinema dal 13 ottobreBAD MOMS – MAMME MOLTO CATTIVE”, scaturito dalla testa geniale e perversa dei registi di “Una notte da leoni” e “21&Over”: Jon Lucas e Scott Moore. Una pellicola esilarante, eccessiva, surreale, dissacrante, assolutamente psicopatica, insomma, da non perdere. Preparatevi a ridere fino alle lacrime dopo nemmeno dieci minuti dall’inizio del film. La trama è riassumibile in poche parole: Amy Mitchell è una donna bellissima, s’è sposata con Mike a vent’anni, ha due bambini: Jane e Dylan e lavora in un’azienda di caffè. Tutto sembra perfetto, se non fosse che: dovrebbe lavorare in part-time verticale e invece è sempre in ufficio, dovrebbe poter contare sul marito per la gestione della famiglia, mentre si ritrova al fianco una specie d’ameba, pantofolaia e indolente, vorrebbe avere una famiglia comunicativa e invece ha cresciuto due figli viziati, ansiosi e nevrotici. A tutto questo, si aggiungono le riunioni e gli impegni dell’Associazione Insegnanti-Genitori dell’idilliaca scuola elementare William McKinley, la di cui presidentessa, la perfettissima Gwendolyn James, supportata dalle sue amiche: Vicky e Stacy, tiranneggia tutte le altre madri, facendo un po’ il bello e il cattivo tempo come le pare. Tuttavia, proprio per il suo potere e il suo spirito altamente vendicativo, viene ubbidita e assecondata da tutte. Amy è sull’orlo di una crisi di nervi, ma non realizza quanto sia fasullo tutto quello che sta vivendo. Poi, nel giro di poche ore, si succedono una serie di, diciamo così, sfortunati eventi, sia interni alla famiglia, che esterni, culminanti in una magnifica riunione scolastica. Finalmente, Amy, trova il coraggio di dire “no”. Stringe amicizia con altre due mamme, Kiki e Carla e insieme, danno inizio alla loro rivoluzione di “mamme cattive”, riappropriandosi della loro identità e dei loro spazi. Ovviamente, la decisione, non sarà senza conseguenze e vedrà la triade delle “mamme cattive” contrapporsi a quella delle “mamme perfette”. Detto questo, va precisato che, “Bad moms” nasce dalle migliori intenzioni dei registi d’esaltare le loro mogli e tutto l’immenso, infaticabile, lavoro che, quotidianamente, svolgono. Pertanto, ci sono dei contenuti seri, sotto il paradossale aspetto del film. Primo fra tutti, il dilemma lacerante di qualsiasi genitore: “starò facendo bene?”; qui, parafraso una battuta proprio di “Bad moms” e dico: solo i figli potranno dirlo e quando saranno in grado di giudicare, sarà pure troppo tardi. Questa è una realtà, dura, forse spietata, ma fa parte del “contratto genitore” che si firma nel momento in cui si decide di mettere al mondo un figlio. Altra riflessione importante del film, è che lasciare i figli un po’ a se stessi, non significa abbandonarli, o amarli meno e anzi, non può far loro che bene. Spesso, nel tentativo di sentirsi “genitori perfetti”, si perde totalmente di vista il fatto che “crescere” significa, anche: tentare, sbagliare, migliorarsi e ritentare. Iper-proteggere, o, peggio ancora, risolvere costantemente i problemi ai figli, comporta, di fatto, non farli crescere mai. Questi sono i messaggi più importanti del film, per il resto, si muove su un sostrato di luoghi comuni: mamme iper-impegnate e padri indolenti o schiavisti. Tuttavia, essi sono necessari per costruire la solida, geniale, struttura su cui si basa questa spassosa commedia. Una maggiore aderenza al realismo, non avrebbe consentito le iperboli paradossali che rendono “Bad Moms” una commedia esilarante, che regala 80 minuti di sane, grasse, risate. Seguendo il più squisito e complesso metodo di “burlesco cinematografico”, i registi introducono “fratture” ben definite tra status del personaggio e il suo modo d’esprimersi, o tra modo di essere e modo di fare, o tra realtà percepita dal personaggio e realtà mostrata allo spettatore. Da qui, ne scaturisce un prodotto solido, sapiente e coerente, sia come regia, che come sceneggiatura. La commedia, di fatto, procede in modo, incredibilmente, compatto in un climax di “follia pura” e tale effetto è dato, proprio, dalle situazioni completamente surreali e da queste “fratture” operate ad arte. Ve ne descrivo una per tutte: il trio delle “mamme perfette” è davanti all’ingresso della scuola per distribuire i volantini della riunione. Sono ricche, ben vestite, impeccabilmente truccate e pettinate, quando, arriva lui, il papà dei sogni: bello, sexi, vedovo e dal sorriso smagliante. Bene, che le tre donne restino tutte compite e compunte, è abbastanza naturale, direi, che commentino tra loro, lo è altrettanto; ma, che lo facciano esprimendosi con un gergo che farebbe impallidire il Sergente Hartman, ecco, questo, è del tutto inatteso e crea una “frattura”. Oltre che risate a crepapelle, ovviamente. Questa particolare struttura del film, è supportata da un cast, semplicemente, superlativo: Mila Kunis (Il Cigno Nero), Kristen Bell (Frozen), Kathryn Hahn (Transparent), Christina Applegate (Anchorman), Annie Mumolo (Le amiche della sposa), Jada Pinkett Smith (Magic Mike XXL), Jay Hernandez (Siucide Squad), Clark Duke (Un tuffo nel passato), Emjay Anthony (Il libro della giungla), Oona Laurence (Il Drago invisibile) e David Walton (About a Boy).

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“BIANCONERI – JUVENTUS STORY”: LA PASSIONE DIVENTA UN FILM

di Elisa Pedini – Nelle sale cinematografiche italiane, solo nelle date: 10, 11 e 12 OTTOBRE, arriva “BIANCONERI – JUVENTUS STORY”, l’atteso film su una delle squadre più antiche e forti d’Italia, per la regia di Marco e Mauro La Villa. Sul sito: www.juvestory.it, potrete trovare le sale che lo avranno in programmazione. “Bianconeri-Juventus story” è stato ardentemente desiderato dai registi, non solo per il personale piacere di tifosi di raccontare la storia d’una squadra che ha vinto tutto quello che si potesse desiderare di vincere; ma anche, per onorare la memoria del loro padre, Rosindo, juventino sfegatato. La pellicola, dunque, nasce da una profonda, generazionale, passione calcistica, che spinge i due fratelli a contattare Lapo Elkann, proponendogli un film indipendente sulla Juventus. L’intento iniziale, però, si trasforma in qualcosa di più profondo, che si fonde con la storia stessa del calcio italiano e con quella della famiglia Agnelli, il cui legame con questa squadra risulta essere unico al mondo, anche in ambito sportivo. Un’unione forte e unica, dunque, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, FINO ALLA FINE! Si, la formula non dice, esattamente, così; ma, l’idea che si ha di questo legame, è proprio quella d’un matrimonio indissolubile, che nulla ha potuto scalfire. I registi hanno lavorato, per cinque anni, direttamente con la società, i giocatori e la famiglia Agnelli, andando così a raccontare la storia del Club, in quello che è un viaggio dalla sua nascita, fino alla conquista della terza stella. Vengono rievocati i momenti più emozionanti, intensi, drammatici e trionfali, ma «con un punto di vista nuovo, umano, familiare», come sottolinea Ginevra Elkann. È indubbio che, questo tipo di taglio, che i registi hanno cercato, sia stato pienamente raggiunto: l’emotività viene, decisamente, sollecitata. Sono passata dal sorriso, al groppo in gola, fino a sentire i brividi per l’emozione. Tutto questo diviene ancor più lodevole se pensiamo che stiamo parlando d’un film su una squadra di calcio. Ritengo che, questa carica emotiva, veicolata dal documentario, sia possibile solo grazie alla reale, fortissima, passione, che c’è, alla base di questo lavoro e non solo da parte dei registi, ma anche dei protagonisti del film. “Bianconeri-Juventus story” si mostra come un sapiente e solido montaggio di immagini esclusive, video di repertorio, materiali inediti e bellissime interviste a illustri nomi del calcio mondiale, tipo: Buffon, Del Piero, Pirlo, Nedvěd, Chiellini e solo per citarne alcuni; oltre, naturalmente, ai racconti di Andrea Agnelli e di John, Lapo e Ginevra Elkann. La voce calda fuoricampo di Giancarlo Giannini, ci accompagna in questo viaggio nella storia affascinante della Juventus F.C. La squadra fu fondata nel 1897 a Torino, per opera d’un gruppo di amici appassionati di Football, sport che era stato appena importato dall’Inghilterra. Nel 1923, la famiglia Agnelli acquista la Juventus e inizia, così, una lunga storia storia d’amore che, a tutt’oggi, continua. Ci tengo a sottolineare, di nuovo, quest’aspetto, perché il legame umano, fortissimo e tangibile nelle interviste stesse, è alla base della forza di questa squadra, che non è arrivata a vincere tutto per caso, ma proprio grazie a questa unità, a questo fortissimo senso d’appartenenza, che ha permesso di superare, anche, i momenti più tristi e buî. Concludo, mettendo l’accento su alcuni aspetti che mi sono piaciuti molto. Ho già accennato all’inizio che, attraverso la storia della Juventus, si va, ovviamente, a toccare la storia dello stesso calcio italiano e per me, è stato molto interessante scoprire, ad esempio, come e quando è cambiato il mercato del calcio in Italia. Ai tempi ero una ragazzina e non m’interessavo di queste cose, pertanto, mi ha fatto piacere imparare qualcosa di nuovo. Inoltre, ho trovato molto intrigante la storia dell’arrivo di Platini in squadra: Gianni Agnelli vede in lui un potenziale enorme e decide di prenderlo, ne seguono: la trattativa segreta, gli imprevisti, i dialoghi, l’ingresso in squadra, fino alla consacrazione del mito di “Le roi”. Preciso che, ai tempi, il regolamento per le squadre di serie A, imponeva la presenza di massimo due stranieri e la Juventus aveva appena acquistato Boniek, ne derivò la pesante scelta dell’Avvocato, di doversi privare d’un altro campione per scommettere sul giovane Michel. Un altro aspetto che ho molto apprezzato è che laffaire “Calciopoli” è trattato in modo fedele, quasi cronachistico, da parte dei registi, mentre la visione interna e l’impatto emotivo sono lasciati, esclusivamente, alla viva voce degli intervistati, ovvero, di coloro che l’hanno vissuta dal “di dentro”. Decisamente, un film ben fatto e molto interessante. Ovviamente, nasce come tributo ai tifosi juventini; ma non mi sento d’escludere che, anche chi fosse tifoso di altre squadre o, addirittura, chi fosse indifferente al calcio, non possa trovarvi spunti di riflessione profondi, che vanno ben oltre lo sport stesso. Infine, è importante ricordare che “Bianconeri – Juventus story” è anche un libro, già in vendita dal 6 ottobre, dove la storia della “Vecchia Signora” è narrata in maniera emozionante e di grande impatto visivo, naturalmente, aggiornata fino all’ultima straordinaria stagione.

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A Villa Santa Maria per la Festa dei Cuochi

Showcooking con le star della cucina internazionali, degustazioni, dibatti e la storica competizione del Cuoco Doc trasformeranno, il 15 e il 16 ottobre, la cittadina abruzzese, ancora una volta, nella città dei cuochi. La 38° edizione della Festa dei Cuochi di Villa Santa Maria affonda le sue radici nella storia del borgo, da cui sono provenuti, nel tempo, molti dei maggiori chef che hanno portato la cucina italiana nel mondo. Un racconto ricco di miti, leggende e storie tutto da scoprire in un territorio, purtroppo ancora poco cosciuto, le cui materie prime (a iniziare dal grano della pasta….qui infatti hanno avuto origine i più grandi pastifici italiani) sono diventate “star” dei fornelli  in tutto il mondo. Ancora oggi la Festa dei richiama chef da tutto il territorio nazionale e non solo. Un’occasione unica per trascorrere qualche giorno alla scoperta di borghi, boschi, tradizioni e dei suggestivi trabocchi sulla costa.

La giornata di sabato 15 ottobre inizierà con il concorso di cocktail presso l’Istituto Alberghiero Marchitelli di Villa Santa Maria,  primo istituto dedicato al settore in tutta Itala e ancora oggi tra i più noti. Nel pomeriggio via libera agli show cooking, prima con gli insegnanti e gli alunni del Marchitelli e, a seguire con uno degli chef vegani più amati, Cristiano Bonolo. Una “sfida” davvero simpatica considerando la secolare tradizione regionale basata su salumi, carne, formaggi e grandi piatti a base di pesce. Per l’appuntamento di Villa Santa Maria presenterà la Tela di pasta all’essenza di cannella, un mix di colori e gusto davvero intrigante.

La sera a Villa Santa Maria sarà allietata dalla tradizionale cena preparata dai cuochi del paese, il modo ideale per prepararsi allo spettacolo con Andy Luotto. Volto televisivo amato da tutti, protagonista al fianco di Arbore in alcune trasmissioni di successo, Luotto ha saputo legare l’amore per la tv e la musica alla passione per la cucina, attività che oggi porta avanti con soddisfazione.

La domenica 16 ottobre a Villa Santa Maria sarà riservata al padrino della 38^ edizione, Edoardo Raspelli, amato volto tv, presentatore e noto giornalista gastronomico. Simpatia e professionalità si mescolano nei suoi innumerevoli interventi tra le pagine dei maggiori quotidiani nazionali e nelle trasmissioni di successo come Melaverde.

Per chiudere in bellezza il pomeriggio della domenica di Villa Santa Maria  ci sarà anche un momento goloso con uno dei dolci simboli della regione e della zona di Castel Frentano, i Bocconotti. Sarà Piero Bucci, proprietario della Bottega del Bocconotto di Castel Frentano (Ch) a dare dimostrazione e qualche assaggio di questo “misterioso” dolce abruzzese la cui ricetta originale resta ancora in parte sconosciuta.

 




RIVUS ALTUS: frammenti visivi per ricostruire Venezia

11.354 foto-tasselli, 264 ore di appostamento, 15.963 persone ritratte. Non sono numeri a caso ma quelli di RIVUS ALTUS, 10.000 frammenti visivi dal ponte di Rialto a Venezia, la grande mostra fotografica ospitata presso il suggestivo Centro Culturale Don Orione Artigianelli, un antico convento ristrutturato ed attrezzato con le più moderne tecnologie, situato nel centro storico di Venezia, dall’8 Ottobre al 27 Novembre 2016.

La mostra propone una inedita e originale ricostruzione fotografica del panorama veneziano così come   appare da suo punto più celebre, ovvero dal Ponte di Rialto.

Gli elementi presenti nell’installazione trovano un valore aggiunto nella partecipazione di The Boga Foundation: la serie di sculture Homini, infatti, dialoga con gli elementi della mostra, mettendo così in relazione i visitatori e le persone ritratte.

Il progetto fotografico si ispira al testo di Georges Perec “Tentativo di esaurimento di un luogo parigino” (Parigi,  1975), in cui l’autore descrive una piazza parigina da differenti punti di vista e in diversi momenti, annotando ogni variazione.

L’architetto e fotografo milanese Massimiliano Farina indaga il concetto di stereotipo in quanto visione semplificata e largamente condivisa di un luogo, registrando con la macchina fotografica tutto ciò che accade (o non accade) durante i suoi lunghi appostamenti al centro del ponte. Nel luogo dove lo stereotipo della città veneziana si perpetua, grazie alla smania collettiva di fotografare il panorama sul Canal Grande e assicurarsi una foto ricordo, c’è però anche chi si abbandona alla visione suggestiva. In questo progetto fotografico, Massimiliano Farina riesce a cogliere questa eterogenea dimensione sensibile, catturando gli sguardi e le azioni delle persone che circondano la sua postazione privilegiata.

Il progetto Rivus Altus si compone così di due elementi distinti, in continuo dialogo tra loro: il panorama e i suoi osservatori.

La vista sul canal Grande è composta da un mosaico fotografico di 78 frammenti, frutto di una selezione delle 11.354 immagini raccolte dall’autore, in grado di cogliere nel dettaglio la mutevole natura del soggetto ritratto. Grazie alle innumerevoli combinazioni possibili, il frantumato stereotipo di Venezia viene così ricostruito con esiti di volta in volta inattesi e sorprendenti.

L’approccio utilizzato dall’autore per ritrarre gli osservatori, gli “abitanti di Rialto”, ricalca quello utilizzato per restituire un’immagine complessa del panorama. Grazie alla scatto quasi simultaneo di due fotocamere unite da un braccio meccanico è stato possibile catturare gli sguardi dei passanti in una veloce sequenza di immagini. Questi ritratti doppi che differiscono tra loro per tecnica, tempi di posa, zoom e movimenti, sono stati successivamente riuniti in dittici fotografici e proposti in bianco e nero. La scelta cromatica è un vero e proprio escamotage simbolico-figurativo grazie al quale l’autore distingue il proprio punto di vista, il panorama, dalla rappresentazione di quello degli osservatori, conservandone l’aspetto dialogico.

Come tributo al 50esimo della scomparsa di Alberto Giacometti e in ricordo della sua partecipazione alla Biennale del 1956 con la Femme de Venise, saranno presenti due sue opere appartenenti alla collezione di The Boga Foundation: Donna che cammina e Nudo in piedi. L’eclettica creativa dei Boga, attraverso le loro visioni post-moderne e surreali, trova infatti preziosa fonte di ispirazione dall’opera di Giacometti.

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Attraverso le sculture della linea Homini by Boga presenti in mostra, gli osservatori ritratti nei dittici di Massimiliano Farina trovano una parallela rappresentazione materica, proiezione silenziosa dell’essere umano. La duplicità espressiva di Rivus Altus rivela così un’eccezionale interconnessione con l’arte forgiata dai Boga, parte integrante dell’installazione.

L’Homino dei Boga è l’essenza dell’essere umano e con il suo contorno sottile, impreciso, fallibile e grezzo osserva l’orizzonte. L’Homino è “abitante di Rialto”, guarda lo scorrere del tempo muovendosi attraverso l’idea progettuale e prende vita con un segno libero che ne determina i confini, trascendendoli. In occasione della mostra sarà presentata la nuova collezione Homini – The Last Supper e l’opera Il Gelataio.

RIVUS ALTUS |  10.000 frammenti visivi dal ponte di Rialto a Venezia
con il contributo artistico di The Boga Foundation, il patrocinio del Comune di Venezia e dell’Università IUAV

8 Ottobre – 27 novembre 2016  Centro Culturale Don Orione Artigianelli | Zattere Dorsoduro 909/A – 30123 Venezia

7 ottobre h.12.30 press preview – h.18.30 inaugurazione

ORARI: Tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 20 | INGRESSO GRATUITO

SOCIAL MEDIA: Facebook: https://www.facebook.com/ilpontedirialto Instagram: https://www.instagram.com/maxfarina   hashtag ufficiali: #rivusaltus #pleasemyfriendgivemethemoney
THE BOGA FOUNDATION: http://thebogafoundation.it/ Facebook: https://www.facebook.com/quandoilpensierosuperailgesto
SONORIZZAZIONE: Sursumcorda
MEDIA PARTNER: Hestetika
PARTNERS:  AimOne  –  ArT – Za
SPONSORED BY: NOVACOLOR  –  Habitare – Idee Culturali  –  Mllo Architects
CONCEPT, SET UP AND COMMUNICATION: Farina Zerozero




“LETTERE DA BERLINO”: UN CAPOLAVORO DI REGIA E INTEPRETAZIONE

di Elisa PediniDal 13 ottobre al cinema, “LETTERE DA BERLINO”, il toccante film dell’attore e regista svizzero Vincent Pérez. La pellicola è tratta dal libro “Ognuno muore solo”, di Hans Fallada, che, a sua volta, nasce da una storia vera: da un dossier della Gestapo su una coppia di coniugi come tanti, due operai, Otto ed Elise Hampel, giustiziati nel 1942 per aver diffuso materiale anti-nazista. Una regia, magistrale e sapiente, trasla in linguaggio cinematografico, la vita di questa famiglia berlinese e tutto quello che consegue dalle loro azioni. “Lettere da Berlino” è un film profondo, coinvolgente, intelligente, da non perdere e da gustare sin dalla prima inquadratura. La trama, purtroppo, è storia e sappiamo già come va a finire, inutile illudersi che dentro un regime ci sia spazio per le idee, per l’individuo, per il dolore. Tuttavia, tanto per il libro quanto per il film, è come il materiale viene trasmesso al pubblico che conta. Qui, la regia, gioca un ruolo fondamentale. Si prende sulle spalle la pesante responsabilità di farsi muta relatrice d’un nazismo, che non è quello dei lager e delle stragi di massa, ma è quello dello stillicidio quotidiano, giocato tra terrore, delatori, umanità e vita di tutti i giorni della gente comune. Caratteristica primaria e geniale di “Lettere da Berlino”, è che la telecamera è sempre l’occhio dello spettatore, sempre. Le emozioni inconsce, che si provano, guardando questo film, sono, esattamente, le stesse, che si provano di fronte alla Storia: dolore, rabbia e soprattutto, impotenza. Quello che sta davanti ai nostri occhi è già accaduto, in un passato, che non è remoto, ma, che, è comunque “stato” e come tale, è immutabile. La telecamera è l’occhio impotente di chi guarda. Sfruttando tutta la gamma delle inquadrature, il regista relega lo spettatore, lì, sulla sua poltroncina. Essere umano e testimone, muto, della stessa violenza umana, senza scampo e senza diritto di replica. Persino nei dialoghi tra i personaggi, il punto di vista è sempre quello dello spettatore. Un occhio che indaga, che scende nello sguardo dei protagonisti e da lì nell’anima, disperata e disperante, di chi ha perso il bene più caro; ma, proprio in questa perdita, ritrova la sua dignità, la sua identità d’individuo, la sua libertà. Tuttavia e qui subentra il tocco del genio, quella telecamera, rapida entra in soggettiva nei momenti cruciali, nei momenti interiori, quelli che, la Storia, non può raccontarci, ma l’anima, si. Ora, vi prendo per mano e vi porto nel film, proprio dal punto di vista tecnico, solo l’inizio, lo spazio non mi concede d’indulgere oltre, né posso stressare la vostra pazienza; ma, mi piace che, davanti al grande schermo, voi ritroviate queste parole e prestiate attenzione alle emozioni interiori e al lavoro della telecamera. Il film si apre con un bosco dalla vegetazione lussureggiante, d’un verde brillante. Una brezza, leggera e calma, accarezza gli arbusti. Quiete e un dolce stormir di fronde. Un sorriso affiora sulle labbra, perché è una sensazione di pace profonda, quella che il nostro cervello registra. Ma i tempi sono ben calibrati: nell’esatto istante in cui, questa emozione viene realizzata, la corsa disperata d’un soldato, giovane e bellissimo, squarcia quel silenzio, devasta quella quiete. Poi, uno sparo e un altro e quella vita, si spezza. Cade rivolto al cielo. Mentre la battaglia impazza, l’inquadratura “muore” sullo sguardo d’una giovane vita che finisce e che vola fra le cime degli alberi, che non sono più quiete, ma agitate e sbattute da un vento forte. È il vento della guerra, che si combatte ai loro piedi. Quegli alberi sono come noi: testimoni impotenti. Intanto, a Berlino, gli strilloni gridano alla vittoria. La Francia è stata battuta e il Reich impera. Festa per le strade. Euforia. Non per tutti. La postina Kluge sta andando a recapitare una lettera della posta militare, battuta a macchina. È per la famiglia Quangel. Lo spettatore è sempre lì, a fare da censore muto del dolore, che trascina la postina sulla sua bicicletta, verso la casa dei Quangel, persone che lei conosce e cui deve recapitare la peggiore delle notizie. Per lo spettatore è chiaro che ha a che fare con quel ragazzo morto. È qui, che si comincia a deglutire a fatica. Anna Quangel va ad aprire e ritira la lettera. Trema, ha già capito. Come noi, del resto. Noi, spettatori, che alla morte del figlio abbiamo assistito. Noi, che c’eravamo. Va in cucina, una stanza illuminata, ma i colori sono freddi. Non il maglione di lei, non il cuore d’una madre. Dal buio dell’altra stanza, arriva Otto, il marito. Dal buio alla luce. Dal silenzio al grido. La telecamera entra in soggettiva e diventa gli occhi di Anna, sulle sue mani tremanti di madre, che straccia la busta e legge. Hans, il loro unico figlio, è morto. Da eroe, dice la missiva, per il Führer. Ma questo, non può dare conforto a due genitori. Anna e Otto, non sono iscritti al partito, ma, come tutti, devono convivere col regime. Otto è capo officina in una fabbrica di bare, dove troneggia il poster propagandistico all’arruolamento. Il primo piano americano ci mostra un Otto, attonito e devastato, di fronte a quella scritta: «Auch du» (anche tu). Come la Fenice rinasce dalle sue ceneri, così, Otto e Anna, dalla morte interiore, riaffermano il loro diritto alla vita, alla libertà. Per Otto e Anna, è giunto il tempo della verità. La trasformazione interiore di quest’uomo è scandita magistralmente. Le soggettive, che v’invito a notare con particolare cura, come, per esempio, quella di Otto sul libro del figlio e sulla cartolina del Führer, che diventa «Der Lügner» (il bugiardo), servono proprio a portarci dentro l’anima dei due protagonisti, ad andare oltre la Storia. Otto e Anna cominciano la loro rivoluzione silenziosa. La rivoluzione più temuta da qualsiasi regime: quella delle idee. In due anni, dal 1940 al 1942, scrivono 285 cartoline, la loro «Freie Presse» (stampa libera), che disseminano per Berlino, dapprima negli uffici e poi, ovunque nella città. Quasi tutte, però, finiscono nelle mani dell’ispettore Escherich. Non vi dico altro, ma ci sarebbe tantissimo da dire su questo film. “Lettere da Berlino” è un capolavoro che va visto. Il finale simbolico, ci passa un messaggio forte e preciso: le idee non muoiono mai e scavano solchi profondi. Il pensiero è l’unica caratteristica, squisitamente umana, che può volare. Infatti, proprio come gabbiani, le idee turbinano nel loro volo libero.

La fotografia, affidata al maestro Christophe Beaucarne (Tournée, Coco avant Chanel-l’amore prima del mito, Dio esiste e vive a Bruxelles), incanta come sempre. Semplicemente impeccabile e non avrebbe potuto essere diversamente, l’interpretazione d’un grande cast: Emma Thompson nel ruolo di Anna Quangel, Brendan Gleeson in quello di Otto Quangel e Daniel Brühl nella parte dell’ispettore Escherich.

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“DOMANI”: il futuro è possibile

di Elisa PediniDal 6 ottobre nelle sale cinematografiche italiane, “DOMANI”, l’importante film sul nostro futuro, per la regia dello scrittore francese Cyril Dion e dell’attrice e regista Mélanie Laurent. Pellicola intelligente, coinvolgente, comprensibile, incisiva. “Domani” va visto, assolutamente. Ci chiama in ballo tutti e ci mostra in modo, a dir poco, inequivocabile, che tutti noi, ma proprio tutti, possiamo e dobbiamo, fare qualcosa. Il nostro pianeta è la nostra casa. Saremmo l’unica specie animale, con pretese di superiorità, tra l’altro, che si auto-estingue. In tanti anni di carriera, non mi era mai successo che, alla fine d’una programmazione per la stampa, la platea esplodesse in un applauso spontaneo e unanime. Eppure, tant’è. Questa è una pagina di critica cinematografica, dunque, non indulgerò in commenti che esulino da tale contesto, ma, fedele a me stessa, non vi lesinerò la verità, per cruda ch’essa sia. Sono lieta d’avere lettori intelligenti, che sapranno trarre le loro conclusioni e andranno a vedersi il film per iniziare, da oggi, a costruire il “Domani”. Dagli ultimi studi scientifici, la situazione del nostro pianeta è apparsa inquietante. L’uomo sta giungendo all’autodistruzione di se stesso. Quello che ha preoccupato maggiormente gli studiosi e che ha spinto i registi a dar vita a questo incredibile prodotto cinematografico, è la totale indifferenza della gente. Se, fino a ieri, la scusa era quella di dire che mancava l’informazione, bene, oggi, ve la stiamo dando: i miei colleghi ed io, in prima persona e i registi per mezzo di questo film. Vi avviso subito che non è un film per ambientalisti, ma per “cittadini”, che è molto diverso. “Domani” è una pellicola intelligente, che ci obbliga a prenderci le nostre responsabilità sulle spalle, senza alibi e con coraggio. I cambiamenti che stanno avvenendo alla nostra terra sono rapidi e preoccupanti. Il messaggio di “Domani” è chiaro: se non agiamo subito, tra un paio di decenni, ci ritroveremo come i dinosauri. Mi piace far riflettere sul fatto che, mentre i dinosauri si sono estinti per mutazioni naturali e climatiche del tutto indipendenti dalla loro volontà, noi, ce la saremo andata a cercare. La crescita demografica ha fatto triplicare la popolazione. Siamo in troppi. Il nostro pianeta è stato sfruttato eccessivamente e le risorse naturali sono finite. Mi dispiace informarvi che non è uno di quei film catastrofici da botteghino, è la realtà dei fatti. Mi dispiace, anche, dirvi che gli alieni non c’entrano niente e che sterminarsi tra di noi, non è la soluzione. “Domani” analizza tutti i settori della nostra vita: agricoltura, energia, economia, politica, o meglio, democrazia e istruzione. Dopo aver presentato la situazione attuale del nostro pianeta, il film ci propone, con lucidità e obiettività, le soluzioni, che ci sono e che sono già state adottate. Basta ascoltare e applicare. Personalmente, l’ho fatto, nel mio piccolo, il giorno dopo aver visto il film. Vi porterò solo alcuni esempi tratti dal film, ma le frasi le riporterò fedelmente. Cominciamo, per esempio, riflettendo su quanto possiamo fare in campo “agricolo”. Ammetto che ignoravo che il 70% del cibo fresco ci provenisse dai piccoli agricoltori, perché, in realtà, l’agricoltura industriale non è assolutamente in grado di rispondere ai fabbisogni poiché depaupera il suolo e dunque, le colture non possono essere variegate. A Detroit, hanno dato una svolta. I cittadini, piuttosto che andarsene e abbandonare la città, si sono rimboccati le maniche, dando così vita all’«agricoltura urbana». Hanno cominciato a coltivare le aree abbandonate, i giardini tra le case, le aiuole. I terreni incolti sono stati dati in gestione alla popolazione, che, con amore e dedizione, se li coltiva. «Bisogna cominciare da dove si è: dalle proprie case, dalle proprie strade. Solo così si può cambiare.», ci dice una signora. Oggi, hanno tutti i cibi freschi in tavola, a disposizione gratuitamente di tutti e a km0. Certo, «ci vuole una gran forza di volontà, non è un lavoro facile, è duro, ci si sporca e va conciliato con la vita di tutti i giorni.», afferma un ragazzo. Magnifico, ho pensato, basterebbe un po’ di senso civico in più e si potrebbe fare anche qua. Posso dirvi che io ho un piccolo balconcino, fino a ieri del tutto inutile, che è diventato la sede del mio piccolo “orto urbano”, perché nel film spiegano i principi e danno le fonti per approfondire. Parliamo, ora, di energia. Il cambiamento climatico dovuto all’inquinamento, sta mutando radicalmente il ciclo dell’acqua, con conseguenze catastrofiche. «Sole, acqua, vento, geotermia sono tutte fonti d’energia gratuita e inesauribile» per questo «Bastano piccoli operatori per gestire, non servono certo colossi. Basta volere e attivarsi.» Di nuovo, torna il concetto, su cui mi piace insistere: «volere e attivarsi». L’Islanda ha già centrato l’obiettivo: indipendente al 100%. Molti altri sono gli esempi prodotti di chi ce la sta già facendo, o di chi, per esempio, potrebbe farcela benissimo. V’invito a fare molta attenzione a ogni singolo intervento. Le riflessioni che solleva il film, fotogramma dopo fotogramma, sono innumerevoli e davvero importanti. Soprattutto, per noi, per la nostra realtà nazionale. Molto interessanti e istruttivi anche gli aspetti dell’economia e dell’imprenditoria, che vi lascio scoprire; mentre, mi piace attirare la vostra attenzione su quanto vedrete relativamente al concetto di “democrazia” e agli esempi apportati. Vi cito solo due frasi: «Dobbiamo tutelare l’unico potere che abbiamo: quello popolare» e «Troppi soldi e troppo potere sono deleteri e portano alla corruzione». Qui, una riflessione in nome del popolo sovrano, direi, che sia piuttosto obbligatoria. V’invito, in particolare, a prestare attenzione alla realtà islandese. Concludo, con un altro aspetto d’estrema d’importanza: l’istruzione. «Non siamo un paese ricco, la nostra forza è l’istruzione». Ecco, è su questa frase che vi lascio riflettere e che rinnovo l’invito a non perdere, assolutamente, questo film. Lasciatevi prendere da una fotografia decisamente seducente, ridete delle battute, fatevi sedurre dalle idee, ma soprattutto, riflettete e laddove possiate, agite. Mi piace pensare un “Domani” per i nostri figli, che comincia dal nostro «volere e attivarsi», oggi.

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La Breaking Art di Alex del Santo al MONO Bar

La Breaking Art di Alex del Santo apre la stagione artistica del MONO Bar di Milano.

Dal 4 al 19 ottobre, le pareti del MONO Bar mostreranno la street art di Alex del Santo: immagini shock-pop-punk, pezzi unici, tumultuosi ed estremamente originali, stampati su carta patinata.

Le ispirazioni vengono dal rock’n’roll duro e da icone senza tempo come Stonehenge, i Clash, la Monnalisa, i lipstick e i brand, le religioni, le dittature e il terrorismo del nostro tempo. Tematiche rinnovate nella creazione di “un tutto analogico, un ritaglio, una maniacale ricerca di accostamenti che solo oggi – spiega l’artista – riconosco come un’ossessione che mi ha spinto già da molti anni a spedire i miei lavori ad amici in giro per il mondo, esclusivamente via posta”.

Alex del Santo è uno street artist nel vero senso del termine. La sua arte pungente ed attuale nasce per strada, tra la gente, cercando ispirazione tra i vizi e le virtù della società. Le sue creazioni smuovono le coscienze e oltre al divertimento immediato, suscitano una riflessione. I riferimenti iconoclastici e sessuali sono la matrice fondamentale dei suoi lavori provocatori e dirompenti che in un modo quasi punk risvegliano le pulsioni primordiali di chi li guarda.

La Breaking Art, della quale è fondatore Alex del Santo, è l’arte del recupero della carta, unita alla ricerca maniacale di accostamenti cromatici pop, che regala nuova vita ad oggetti ed immagini che assumono forme e significati dove contraddizione e provocazione si intrecciano costantemente. Un’arte suonata e creata dalle dita del corpo e dell’anima, oltre il surreale nascosto, per fare emergere il subliminale nella coscienza di tutti i giorni.

Le opere di Alex del Santo rimarranno in mostra al MONO Bar dal 4 ottobre al 19 ottobre 2016.

Inaugurazione mostra: martedì 4 ottobre ore 18:30.

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MONO Bar

Via Lecco 6 
- Milano

Tel. 339 4810264

FB/ MONO Bar




HI>Dance 2.0 Dance&Technology, la danza internazionale si dà appuntamento ad Aosta

Dal 13 al 16 Ottobre per 4 giorni il capoluogo valdostano ospiterà il festival internazionale della nuova danza. Una rassegna aperta sul mondo tecnologico che ci circonda

di Lea ValliDal 13 al 16 Ottobre Aosta diventa capitale della danza con il Festival HI>Dance 2.0 Dance&Technology: spettacoli, performance-installazioni, workshop e conferenze accademiche, feedback e dj set per celebrare la musa Tersicore e per indagare le dinamiche della società contemporanea, l’avvento di social media e nuove tecnologie ed il loro impatto sull’arte e sulle relazioni sociali, il ruolo del corpo.

Festival internazionale della nuova danza, animerà la Cittadella dei Giovani di Aosta e vedrà coinvolti non solo artisti, tecnici, scenografi ma la città tutta: gli Aostani saranno veri padroni di casa ospitando gli artisti che si esibiranno da giovedì a domenica.

Gli organizzatori stanno inoltre cercando volontari da coinvolgere a diversi livelli: dall’assistenza nell’allestimento dei luoghi del festival all’ accoglienza artisti, partecipanti ai workshop e spettatori. Tra le figure ricercate dall’organizzazione anche autisti per coadiuvare gli spostamenti interni alla regione ed i collegamenti con gli aeroporti (la segreteria del festival sta raccogliendo in questi giorni le candidature come volontari e host: per informazioni scrivere a hidancefest@gmail.com o chiamare il 3406809047 / 3283986434.

In cartellone in anteprima nazionale i danesi Granhoj Dans in Petruska-Extended. Tra i nomi di spicco la coreografa svizzera Cindy Van Acker, in scena con Helder (sabato 15 alle 20,15) e Roberto Castello dello storico gruppo di Carolyn Carlson alla Fenice di Venezia. Scomodo, seminale ed ideologicamente impegnato, Castello è figura di rilievo della danza contemporanea in Italia: ad Aosta presenta insieme all’attore e regista Andrea Cosentino, l’esilarante Trattato di Economia (domenica 16 Ottobre alle 22).

Performance e installazioni sono non solo esibizioni ma riflessione sul denaro e l’arte, sul corpo e la sua ritualità. L’impatto dei social media su arte e spettacolo sarà tema al centro di una conferenza dal titolo Prima e oltre i social media: la creazione dell’inatteso come logica di mobilitazione artistica.

Realizzato con il sostegno della Compagnia di San Paolo, del Consiglio regionale della Valle d’Aosta e patrocinata dal Comune di Aosta, la rassegna vede impegnati nella direzione artistica Marco Chenevier e Francesca Fini, quest’ultima ideatrice della manifestazione nella sua prima edizione romana.

Il festival vuole essere un percorso teso a creare un legame tra le nuove generazioni di cittadini, gli artisti ed il territorio valdostano. Apertura, partecipazione e condivisione sono alla base delle varie declinazioni che il Festival avrà tra giovedì 13 e domenica 16 Ottobre. Tra i momenti di incontro merita attenzione l’originale momento del feedback aperò che si terrà il secondo ed il terzo giorno del festival e nel corso del quale il pubblico e gli artisti si potranno confrontarsi direttamente sugli spettacoli visti in rassegna.

Una rassegna diffusa e condivisa che ha lo scopo di contrastare l’imperante consumismo che caratterizza l’arte performativa dei nostri giorni.

L’organizzazione ha invitato gli artisti a rimanere in città per tutta la durata della manifestazione al fine di creare, insieme al pubblico e alla cittadinanza, una vera comunità critica e partecipativa.

Tutte le info su http://www.tidaweb.net/it-it/hidance

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STREEAT® Food Truck Festival: ultimo giorno a Milano poi riparte il tour

Ultimo giorno, oggi, per visitare , soprattutto, assaggiare le delizie offerte dallo STREEAT® Food Truck Festival, il primo e unico grande festival del cibo di qualità su ruote, itinerante, che quest’anno, a Milano, si svolge nella suggestiva cornice di Carro Ponte, Sesto San Giovanni.

Lasciatevi conquistare da deliziosi e sfiziosi manicaretti di ogni sorta, preparati dai migliori FOOD TRUCK d’Italia, selezionati secondo i rigidi parametri di STREEAT® secondo cui GOURMET, DESIGN e ON THE ROAD convivono su furgoncini, carretti, biciclette e ape car allestiti come vere e proprie cucine mobili.

L’esperienza gastronomica è totale e unica: si va dal dolce al salato e ce n’è davvero per tutti i gusti e le intolleranza, nessuno escluso.

Supplì, panini con porchetta, arrosticini di pecora, pizza fritta Napoletana, gnocchi di bosco con zola e mirtilli, gelati naturali, patate sieglinde cotte nel vincotto Primitivo, churros, pancakes, cozze fritte, baccalà in pastella, cannoli Siciliani, hamburger di Chianina – hot dog di maiale toscano, farinata di ceci, lumache alla Bourguignonne,… sono solo alcune delle prelibatezze che potrete gustare.

Inoltre, la degustazione degli innumerevoli street food è arricchita dalla presenza di Birrifici Artigianali, tra i più rinomati nel panorama brassicolo italiano, dalle centrifughe di frutta e verdura fresche in collaborazione con Ceado e una selezione di vini naturali Nazionali.

L’atmosfera è resa ancor più eccezionale dalle proposte musicali selezionate da Barley Arts Promotion, storico promoter di concerti e spettacoli dal 1979.

STREEAT® – European Food Truck Festival è un evento organizzato da Barley Arts Promotion e da Buono – Food & Events, giovane realtà che opera nell’ambito dei food-events e specializzata nella promozione di piccoli e medi produttori artigianali.

Dopo Milano, il tour autunnale della manifestazione prosegue nelle seguenti città:

MANTOVA – Piazza Virgiliana dal 30 settembre al 2 ottobre
UDINE – Piazza 1° Maggio dal 7 al 9 ottobre
BARI – Torre Quetta dal 14 al 16 ottobre

Ogni tappa avrà i seguenti orari:
venerdì dalle ore 16:00 p.m. alle ore 01:00 a.m.
sabato dalle ore 11:00 a.m. alle ore 01:00 a.m.
domenica dalle ore 11:00 a.m. alle ore 01:00 a.m.

Ingresso libero.

FB: https://www.facebook.com/StreeatFoodTruck/?fref=ts
TWITTER: https://twitter.com/streeatfestival?lang=it
INSTAGRAM: https://www.instagram.com/streeatfoodtruckfestival/
YOUTUBE: www.youtube.com/channel/UCYoaEwnbGvAcfYly4gJgSFg
www.streeatfoodtruckfestival.com
www.barleyarts.com




Dalla parte degli animali: Annalisa Gimmi presenta il suo nuovo libro

Bestie come noi” è il nuovo libro/saggio scritto da Annalisa Gimmi, insegnante di lettere in un liceo pavese, giornalista, scrittrice e, soprattutto, paladina degli animali. Un libro che vuole far riflettere sull’importanza del rispetto di tutti gli esseri viventi. Un libro di forte contenuto, scritto con molta intensità, che, senza mezzi termini, denuncia tutti quei comportamenti, tipicamente ed esclusivamente umani, che si riflettono in modo drammatico nei confronti del mondo animale, di cui, peraltro, l’uomo stesso fa parte.

D. Perché hai deciso di scrivere un libro su questo specifico argomento?

R. Ho sentito la necessità di scrivere di questo argomento nel momento in cui mi sono resa conto che i libri attualmente in commercio sono o molto specifici e di difficile lettura oppure troppo semplicistici e quindi con conseguente banalizzazione del complesso rapporto uomo/animale. Ho quindi pensato di scrivere un testo molto semplice, divulgativo, ma completo, in cui ho affrontato il rapporto uomo/animale sotto ogni punto di vista, etico, filosofico e giuridico.

D. Quali sono gli argomenti più importanti che hai trattato?

R. Gli argomenti più grossi di cui mi sono occupata sono quelli legati all’allevamento intensivo e alla sperimentazione animale. Dico “più grossi”, perché coinvolgono una quantità di animali incredibile. Solo l’allevamento intensivo coinvolge più di 5 miliardi di animali all’anno. Il problema non è tanto il fatto che questi animali finiscono nei nostri piatti: l’uomo ha da sempre mangiato gli animali.  Quello che è immorale è come questi animali vengono fatti vivere.

Si parla tanto del grave problema di come vengano allevati questi animali, spesso con somministrazioni smodate di ormoni e antibiotici. Se ne parla tantissimo ma sempre ed esclusivamente dal punto di vista umano, cioè pensando al male che ci possono fare queste carni. Nessuno però sembra riflettere sul male che noi facciamo a questi poveri animali.

Per approfondire questo tema, ho incontrato Annamaria Pisapia, presidentessa di CIWF (Compassion in World Farming Onlus Italia). CIFW è una associazione internazionale, con sede anche in Italia, che si pone come obiettivo quello di cercare di migliorare la vita di questi animali angariati negli allevamenti. Gli animali trattati peggio sono i volatili di ogni genere, polli e tacchini, ma anche i conigli e i maiali, costretti in gabbie così piccole in cui non hanno alcuna possibilità di movimento, spesso malati e curati con dosi massicce di antibiotici che poi, tra l’altro, finiscono anche nei nostri piatti.

L’altro argomento estremamente spinoso è quello della sperimentazione animale. Il mondo medico avanza una giustificazione altamente morale per portare avanti la sperimentazione: sacrificare animali per la salute dell’uomo. Ho parlato con medici che dicono che questo non è assolutamente vero. La sperimentazione sugli animali poteva avere una sua ragione in epoca illuminista, nel Settecento, quando ancora non si sapeva molto sul funzionamento del corpo umano dal punto di vista fisiologico. Aprire e vedere il corpo di un animale, tra l’altro di un animale vivo, ha sicuramente portato l’uomo a conoscere meglio i meccanismi del proprio corpo.

Oggi, tuttavia, tale indagine non ha più alcun senso. Sperimentare farmaci per curare patologie proprie dell’uomo su specie viventi diverse porta a risultati inattendibili. Il Prof. Stefano Cagno, medico psichiatra, è stato uno dei primi, della sua categoria, ad alzare la voce contro l’inutilità di questa sperimentazione. Il Prof. Cagno (partendo dai dati ufficiali resi noti dalla Food and Drug Administration, l’organizzazione statunitense che si occupa dell’entrata in circolazione dei nuovi farmaci) sostiene che il 92% dei farmaci testati su animali non sono buoni per gli uomini. Ciò vuol dire che il 92% degli animali utilizzati sono sacrificati per niente.

Vi è poi un dato paradossale: la legge italiana, come la maggior parte delle leggi degli altri paesi, prevede anche l’obbligatoria sperimentazione dei farmaci direttamente sugli esseri umani. Questo dimostra, ancora una volta, che la sperimentazione sugli animali porta a risultati non attendibili, perché diversamente quale necessità ci sarebbe di sperimentare i farmaci sugli umani prima di metterli in commercio? Continuiamo nella lettura delle statistiche. Abbiamo detto che il 92% dei farmaci che hanno passato il test sugli animali sono da scartare perché tossici sull’uomo. Bene: di quelli sperimentati sugli umani, che poi vengono messi in circolazione, circa il 50% danno reazioni negative. Non ci vuole un luminare per capire che, tra l’altro, i farmaci reagiscono in maniera diversa da persona a persona. Sommando, quindi, questi dati, l’inattendibilità delle sperimentazioni sugli animali è pari al 98%. Non capisco perché a nessuno venga in mente che forse questo tipo di sperimentazione è sbagliato e sarebbe necessario trovare metodi alternativi. Purtroppo, ed è un dato incontrovertibile, non c’è volontà da parte degli enti pubblici di trovare questi metodi alternativi, al punto che non vengono neppure stanziati fondi per la ricerca.

D. Ci sono leggi che tutelano espressamente gli animali in Italia?

R. In Italia c’è la legge n. 189/2004 che dovrebbe proteggere gli animali. Dico “dovrebbe” perché, in realtà, non trova quasi mai applicazione e spesso viene furbescamente aggirata. Tale legge prevede anche l’istituzione di una figura molto importante: la guardia zoofila. Le guardie zoofile hanno il compito di verificare situazioni di maltrattamento animale, di cercare eventuali rimedi, laddove possibile, o denunciare alla competente autorità giudiziaria i casi particolarmente gravi. La legge, tuttavia, riesce anche a “negare se stessa” e a consentire espressamente i maltrattamenti degli animali nel momento in cui cristallizza la norma secondo cui non rientrano sotto la protezione della legge 189/2004 gli animali destinati a diventare cibo, quindi per allevamenti intensivi,  e quelli per le manifestazioni culturali, come il palio, o le manifestazioni tipo spettacolo, come il circo.

D. Quale è la posizione della Chiesa nei confronti degli animali?

R. Nel corso degli anni direi che c’è stata una piccola apertura da parte dei teologi. Certo, la maggior parte di questi, discrimina gli animali perché, diversamente dall’uomo, non dotati di anima. Ma sarà poi vero? Ho molto apprezzato il Papa che, in un’enciclica molto bella e molto coraggiosa, si è schierato apertamente in difesa della biodiversità, includendo nel termine tutte le creature viventi sulla terra. Ho scoperto poi l’esistenza di una piccola associazione di cattolici vegetariani che si batte perché il rapporto uomo/animale venga riconosciuto come paritario, come compagni nati con uguale dignità all’atto della creazione stessa. Questa mi sembra una cosa molto bella anche perché fino ad oggi molti cristiani, e spesso i sacerdoti stessi, sono stati veramente i peggiori nemici della difesa degli animali, proprio sul presupposto dell’asserita e non documentata circostanza che questi non hanno l’anima.

D. Quali benefici porterebbe invece una pacifica convivenza tra uomo e animale?

R. Sono convinta che un miglioramento comune, porterebbe a un vantaggio reciproco. Se li facciamo vivere meglio, gli animali ci danno tanto e migliorano la nostra vita. Nel libro ho fatto l’esempio della pet-therapy: con i cani, con i cavalli, con gli asini e, in generale, con tutti gli animali. Persino i pesci pare che diano una sensazione di serenità e pace in chi li osserva. La pet-therapy viene molto utilizzata anche negli ospedali, nelle case di riposo e negli ospizi. I dati dimostrano che dove c’è la presenza di un animale è più rapida la guarigione, perché l’umore della persona malata o dell’anziano, che spesso è fortemente depresso, migliora immediatamente. L’ospedale San Matteo di Pavia è stato tra i primi ad aver fatto sperimentazioni di pet-therapy nel reparto di chirurgia infantile, dimostrando che le guarigioni dei bambini sono così più veloci e che necessitano di meno farmaci. Un altro impiego interessante della pet-therapy è quello fatto nelle carceri, come ad esempio a Bollate: il rapporto che si instaura tra il carcerato e il cane è una cosa molto profonda. Il cane riesce a far venire fuori il lato umano della persona, permettendo a quest’ultima di ritrovare un contatto affettivo.

D. Hai affrontato anche il tema del randagismo?

R. Assolutamente. Il randagismo è un altro grande problema, soprattutto in molte zone del Mediterraneo compreso il sud Italia. Ho esaminato il problema dei cani randagi in Turchia, e come sia stato risolto con una semplice donazione di $ 2000, e quello della colonia felina romana di Torre Argentina. Ogni anno il comune cerca sempre di sfrattare la colonia romana, anche se a Roma i gatti sono considerati cittadini romani e patrimonio culturale della città. I turisti, soprattutto gli stranieri, vanno a Torre Argentina non tanto per fotografare i ruderi ma piuttosto i gatti che lì risiedono.

D. Oggi si parla molto di dieta vegana e vegetariana. Al di là delle questioni al bene che può fare mangiare della carne o dei derivati animali, pensi che sia crudele cibarsi di altri esseri viventi?

R. La crudeltà non è propria degli animali. Un animale che uccide per mangiare non è crudele, segue la natura. Noi se uccidiamo una mucca per mangiarla non siamo crudeli, mangiamo. Noi siamo crudeli quando trattiamo gli animali come vengono trattati negli allevamenti. L’essere crudeli tra i propri simili è una prerogativa unicamente umana; non c’è nessun altro animale che ammazza in modo sistematico i propri simili per motivi di odio e rancore. La verità è che siamo tutti uguali, abbiamo lo stesso modo di sentire, la stessa sensibilità al dolore e alla sofferenza. Non è una novità: lo aveva già detto nel Settecento Jeremy Bentham, un grande filosofo e giurista inglese.

Più recentemente, nel 1975 Peter Singer un filosofo australiano scriveva che l’uomo, quale unico detentore della ragione, va in giro a martoriare tutti quelli che, a suo insindacabile giudizio, la ragione non ce l’hanno. Ma forse un corretto, consapevole e umile utilizzo della ragione potrebbe diventare lo strumento per vivere meglio tutti quanti insieme.

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ANNALISA GIMMI
BESTIE COME NOI (ed. EFFIGIE)