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L’Australia negli occhi degli impressionisti

Coogee Bay, 1888
Coogee Bay, 1888

L’impressionismo non è limitato alla Francia, e neppure all’Europa. La National Gallery di Londra sta preparando una mostra davvero inconsueta per tutti quelli che, abituati alle cicliche mostre allestite nei musei di tutta Europa e dedicate ai classici nomi dell’impressionismo, finora non sapevano che il movimento impressionista fosse arrivato perisno nell’Oceano Pacifico, in Australia dove la corrente artistica  ha sposato le aspirazioni nazionaliste del Paese.

Debutterà il 7 dicembre alla National Gallery di Londra una esposizione dedicata agli impressionisti provenienti dall’Australia: Australia’s Impressionists. Un percorso unico, quanto  meno in Europa, visto che si tratta della prima retrospettiva interamente dedicata agli impressionisti australiani.

A quiet day on Darebin Creek [Merri Creek], 1885
A quiet day on Darebin Creek [Merri Creek], 1885
Nel percorso espositivo, 41 quadri molti dei quali per la prima volta in mostra in Europa, sarà possibile scoprire l’impatto dell’impressionismo europeo sugli artisti provenienti dall’Australia tra il 1880 e il 1890 ed esplorare le contiguità che emergono dalle due diverse esperienze e tradizioni. Gli artisti che, in diverse fasi della loro carriera, avevano viaggiato dall’Austria all’Europa, si ispiravano ai lavori di Whistler e Monet, sperimentavano la pittura all’aria aperta con i differenti effetti di luce e colore e provavano nuove tecniche pittoriche.

L’esposizione si concentra sui quattro principali pittori impressionisti provenienti dall’Australia: Tom Roberts (1856–1931), Arthur Streeton (1867–1943), Charles Conder (1868–1909) e John Russell (1858–1930) ed evidenzierà il crescente senso si apparenza nazionale proprio negli anni in cui l’Australia si proclamava Federazione (1901).

 

Riddells Creek, 1889
Riddells Creek, 1889

Australia’s Impressionists è organizzata in tre sezioni principali, ciascuna delle quali esplora le connessioni degli artisti, lo stile e la vicinanza o la distanza tra tradizione europea e australiana.

Sarà possibile visitare Australia’s Impressionists fino al 26 marzo 2017. Un’occasione davvero unica per comprendere le reciproche influenze, i puti di contatto e le differenze tra Europa e Australia. Molti dei dipinti in mostra provengono infatti da gallerie o collezioni australiane. E per chi non ha in programma, almeno a breve, viaggi in Australia… quindi è proprio il caso di dire, ora mai più. Per chi invece in Australia c’è stato, un’occasione in più per scoprire l’alba del continente dove la natura ora come allora regna sovrana.

On the River Yarra, near Heidelberg, Victoria, about 1890
On the River Yarra, near Heidelberg, Victoria, about 1890

DOVE, COME E A QUANTO
Australia’s Impressionists -National Gallery, Londra

Dal 7 dicembre 2016  al 26 marzo 2017
Dalle 10 alle 18 (ultimo ingresso alle 17) -venerdì dalle 10 alle 21 ( ultimo ingresso alle 20.15)

Ingresso: 7,5 sterline

 

Circular Quay, 1892
Circular Quay, 1892




Bagna cauda day e Langhe

Per un intero week end, protagonista delle tavole italiane e non solo, sarà la bagna cauda, piatto della tradizione che piemontese a base di acciughe, olio e tanto aglio. Un’occasione da non farsi sfuggire per concederis un ghiotto e rilassante fine setitmana nelle Langhe.

Dal 25 al 27 novembre si cleba infatti la quarta edizione del bagna cauda day con oltre 13 mila posti a tavola saranno riservati ai bagnacaudisti in oltre 130 locali, dal ristorante stellato alla  cantina sociale. Da non perdere poi il coraggioso “Barbera kiss” il bacio a mezzanotte” che tutti i bagnacaudisti si scambieranno in centro ad Asti e in altre piazze e nei ristoranti al termine delle serate.

Coinvolti oltre 120 cuochi nelle cantine storiche, ristoranti e vinerie dell’Astigiano, Monferrato, Langa e Roero e nel resto del mondo proporranno la loro Bagna Cauda “come Dio comanda” (tradizionale), “eretica” o “atea” (con poco e senz’aglio).  In tutti i locali aderenti il prezzo della bagna cauda sarà di 25 euro, dolce, caffe e tovagliolo d’autore (firmato  da Antonio Guarene con lo slogan “Siamo tutti nella bagna”) compresi.

L’anteprima del bagna cauda day si terrà Imperia, dall’11 al 13 novembre (con la rassegna OliOliva) per poi spostare il baricentro ad Asti. Il bagna cauda day coinvolge altre piazze di rilievo a partire da Torino, Casale Monferrato, Ovada, Costigliole d’Asti e in decine di altri paesi di Langa, del Monferrato del Roero. All’appello hanno risposto anche dall’estero: da Berlino a New York e all’Australia. Perfino l’isola di Tonga celebrerà il rito della bagna cauda.

 




“LA PELLE DELL’ORSO”, un viaggio interiore tra stupendi paesaggi

di Elisa Pedini – Arriva al cinema, dal 3 novembre, “LA PELLE DELL’ORSO”, vincitore di numerosi premi al Festival Annecy Cinéma Italien 2016, per la regia dell’esordiente Marco Segato e tratto dall’omonimo romanzo di formazione di Matteo Righetto.

“LA PELLE DELL’ORSO” è una pellicola molto paesaggistica, riflessiva, onesta, pura, schiva e scarna come i protagonisti della vicenda. Il “set-up” della sceneggiatura mette subito lo spettatore all’interno della realtà fisica e umana dei protagonisti. Le prime scene ci dicono tutto quanto c’è da sapere, per avere gli strumenti di decodifica di tutto il resto del film. “LA PELLE DELL’ORSO”,  è ambientato negli anni Cinquanta, in un paese rurale del trevigiano, ai piedi delle Dolomiti: gente semplice e laboriosa, dai volti segnati dalla fatica e che si spezza la schiena nel duro lavoro, nei campi o alla cava.

“LA PELLE DELL’ORSO”, si apre con una specie di parata in maschera e il sostrato superstizioso ed evocativo, che la anima, è ben evidente. La vita che conducono gli abitanti del paese è altrettanto chiara allo spettatore. Vengono introdotti, anche, i due personaggi principali: Pietro Sieff e suo figlio, Domenico. Il muro che divide i due s’estrinseca nei loro silenzi, nella solitudine delle loro esistenze. Dividono lo stesso tetto, ma non la vita. Da un lato, un padre, che viene trattato da tutti come una “bestia”, ingiuriato, schernito e che trova nella bottiglia il suo rifugio. Dall’altro, un figlio, molto più maturo dei suoi quattordici anni, che da una mano agli zii con gli animali, si occupa della casa e del padre. Pietro, lavora alla cava e ha un rapporto difficile col capo, Crepaz. Un giorno, un orso bruno, che vive nei boschi, entra in una stalla e uccide una mucca. È già noto alla popolazione, la quale ha un approccio, ovviamente, di superstizioso terrore nei confronti dell’accaduto e qui, ci riallacciamo all’idea che ci ha trasmesso quella parata esorcizzante, in apertura del film. L’animale non è visto come una creatura affamata, ma è “el diàol”, il diavolo, astuto e cattivo, che ormai conosce bene tutti loro e i loro fucili. La sera, all’osteria, gli uomini ne parlano. Pietro, in un moto d’orgoglio e forse, anche, per riscattare la sua persona agli occhi degli altri, scommette con Crepaz che ucciderà l’orso. Un anno di paga, se vince. Se perde, lavorerà un anno gratis. Qui, inizia la “zona centrale” di “LA PELLE DELL’ORSO”, che si svolgerà tutta nel bosco, fra paesaggi stupendi. Pietro e Domenico si trovano da soli verso l’ignoto, alla ricerca del “diàol”, ma anche dei loro demoni interiori.

Il ritmo è lento, scandito dal silenzio che viene rotto solo da brevi, lapidari, scarni dialoghi, che, riverberano perfettamente le personalità dei due protagonisti, seppur s’avverte, in realtà, l’esigenza di una maggiore dinamicità, se non d’azione, quanto meno, dialogica. Certo, tutta la situazione è ben coerente e comprensibile, date le premesse molto chiare e approfondite del “set-up”. Siamo di fronte a due personalità chiuse, schive, che non hanno molto da dirsi, perché, di fatto, non si conoscono, dunque, non possiamo, naturalmente, aspettarci che si trasformino in due garruli ciarlieri, sarebbe incoerente e poco credibile.

Altresì, va sottolineato il gioco della regia con la telecamera, che passa dalla lucida messa a fuoco sul primo piano, che ci rivela, in modo inequivocabile, i pensieri e i moti dell’anima del personaggio in quel momento; all’apertura sul paesaggio circostante. Questo sistema d’interiorizzazione ed esteriorizzazione d’un pensiero, consente allo spettatore d’inferire, non solo quanto sta avvenendo dentro la testa dei protagonisti, ma anche come questo si riverbera sulle loro azioni.

La ricerca dell’orso, alla fine, diviene una ricerca di sé e dell’altro. In questi silenzi e in quelle battute, scambiate tra padre e figlio, troviamo la catarsi dell’uno e la presa di coscienza dell’altro. Un ritrovarsi, un supportarsi, che, però, va detto, non muta, in modo molto realistico, quella che è la natura dei due protagonisti. Raramente si trova questa verosimiglianza al processo mentale umano: i due personaggi evolvono e trovano il loro modo di comunicare e il loro modo di conoscersi, senza mutare il loro carattere.

La mancanza di spettacolarizzazione, rende ancora più realistica questa pellicola, che si nutre di umanità per un verso e di paesaggi per l’altro.  La “conclusione” del film è molto rapida, come lo è stato il “set-up”, eppure, di nuovo, è l’indugio della telecamera sui volti che ci consente di capire molto più di quanto i personaggi esprimano a parole.

“LA PELLE DELL’ORSO” è, tecnicamente, un buon prodotto, solido e coerente nel suo svolgersi: il fulcro, ovvero, il rapporto padre-figlio, non viene mai perso di vista e resta sempre in primo piano. Buona, anche, l’interpretazione del cast: Marco Paolini e Leonardo Mason, rispettivamente nei ruoli di Pietro e Domenico Sieff, Paolo Pierobon, nella parte di Crepaz e Lucia Mascino, in quella di Sara.




Rubens conquista Palazzo Reale

Fino a fine febbraio sarà possibile scoprire Rubens e la nascita del barocco a Palazzo Reale di Milano dove è stato allestito un percorso con oltre 70 opere di cui 40 del pittore fiammingo. Non a caso la mostra, curata da  Anna Lo Bianco, è dedicata a Pietro Paolo Rubens e la nascita del Barocco.

Proprio a Rubens, in Italia tra il 1600 e il 1608, si devono i primi segnali della nascita del Barocco in Italia. I rapporti di Rubens con Genova, Mantova, Venezia e la stessa Roma, permettono di ricostruire il filo che lega così profondamente l’artista fiammingo alla cultura italiana.

La mostra sottolinea quindi i rapporti di Rubens con l’arte antica e la statuaria classica, la sua attenzione verso i maestri del Rinascimento come Tintoretto e Correggio e la straordinaria influenza esercitata sugli artisti italiani, protagonisti del Barocco come Pietro da Cortona, Bernini, Lanfranco, fino a Luca Giordano.

DOVE, COME E A QUANTO Rubens e la nascita del barocco
Palazzo Reale di Milano – fino al 26 febbraio 2017

Lun: 14:30 – 19:30 – Martedì, mercoledì, venerdì e domenica  09:30 – 19:30, giovedì e sabato  09:30 – 22:30
Dom: 09:30 – 19:30
Biglietti da 12 euro




Antonio Balestra in mostra a Verona

Apre il 19 novembre 2016 al Museo di Castelvecchio di Verona una retrospettiva dedicata ad Antonio Balestra, pittore barocco veronese. Sarà possibile visitare la mostra Antonio Balestra. Nel segno della grazia fino al 19 febbraio 2017.

Verona ha voluto dedicare l’evento all’artista, Antonio Balestra (Verona, 1666 – 1740), in occasione del trecentocinquantesimo anniversario della nascita. L’esposizione presenta oltre sessanta opere – dipinti, disegni, incisioni e volumi a stampa -, provenienti da prestatori pubblici e privati, italiani ed europei.

Il precorso dedicato ad Antonio Balestra si articola in otto sezioni: attorno ad alcuni dipinti particolarmente significativi, grande spazio è dedicato al disegno e all’incisione, in modo da rivelarne la stretta correlazione e da far emergere il genio compositivo del pittore. Grande attenzione è dedicata alla grafica. La mostra Antonio Balestra. Nel segno della grazia pone infatti in stretta correlazione alcune tele esposte e stampe che attestano la diffusione e la fortuna dello stesso Antonio Balestra.

Il percorso espositivo conduce il visitatore alla scoperta di un autore, Antonio Balestra appunto, che, nato a Verona nel 1666, approfondisce la sua formazione a Roma alla scuola di Carlo Maratti tra il 1691 e il 1695 e conclude la sua vita a Verona nel 1740, dopo aver trascorso parecchi anni tra la città natale e Venezia. Qui soggiornò fino al 1718 ricoprendo un ruolo di primissimo piano nello sviluppo della pittura veneziana ed europea verso un gusto pienamente settecentesco.

DOVE, COME E A QUANTO

Museo di Castelvecchio – Verona
lunedì 13.30 – 19.30
da martedì a domenica 8.30 – 19.30
Biglietti da 7,5 euro (il biglietto di ingresso a Castelvecchio comprende la visita della mostra)

 




Andy Warhol approda a Genova

A trent’anni esatti dalla scomparsa di Andy Warhol, Palazzo Ducale di Genova dedica una grande retrospettiva all’artista americano ( 6 agosto 1928 –   22 febbraio 1987). La retrospettiva di Andy Warhol, naugurata in settimana, sarà aperta fino al prossimo 26 febbraio

 

andy-wharlol-3 Curata da Luca Beatrice e prodotta e organizzata da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura di Genova e da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore, la mostra presenta circa 170 opere. Il percorso si sviluppa su sei temi: il disegno, le icone, le polaroid, i ritratti, Andy Warhol e l’Italia, e infine il cinema e copre l’intero arco dell’attività dell’artista. Con Andy Warhol si apre l’epoca dell’arte contemporanea.

 

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Andy Warhol è stato capace di intuire e anticipare i profondi cambiamenti che la società contemporanea avrebbe attraversato a partire dall’era pop, da quando cioè l’opera d’arte comincia a relazionarsi quotidianamente con la società dei massmedia, delle merci e del consumo. Nella Factory, a New York, non solo si producevano dipinti e serigrafie: si faceva cinema, musica rock, editoria, si attraversavano nuovi linguaggi sperimentali in una costante ricerca d’avanguardia. Anche nei confronti della televisione Andy Warhol manifesta una curiosità straordinaria.

 

 

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In mostra alcuni straordinari disegni preparatori che anticipano dipinti famosi come il Dollaro o il Mao; le icone di Marilyn, presente sia nella serigrafia del 1967 sia nella tela Four Marilyn, della Campbell Soup e delle Brillo Boxes; i ritratti di volti noti come Man Ray, Liza Minnelli, Mick Jagger, Miguel Bosè e di alcuni importanti personaggi italiani: Gianni Agnelli, Giorgio Armani e Sandro Chia. Un’intera sezione è poi dedicata alle polaroid.
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Le Tenute La Montina, per scoprire la Franciacorta partendo dalle cantine

La scoperta della Franciacorta non può che iniziare dalle cantine. Un ottimo punto di partenza sono Le Tenute la  Montina di Monticelli Brusati, aperte ogni giorno per accompagnare winelovers, appassionati o semplicemente curiosi alla scoperta delle blasonate bollicine in un paesaggio emozionate, ancora di più in autunno, quando la natura si veste d’oro e rubino.  Le Tenute La Montina infatti si trovano tra il lago di Iseo e l’anfiteatro morenico della Franciacorta, in una zona che gode di uno speciale microclima particolarmente favorevole alla coltivazione della vite. La “cantina che si racconta”, visite con degustazioni guidate di Franciacorta, porte aperte durante tutti gli week end: così Le Tenute La Montina di Monticelli Brusati, in Franciacorta, accolgono gli enoturisti. Le Tenute La Montina sono una delle  aziende storiche della Franciacorta con una produzione media è di 380.000 bottiglie annue.

A Le Tenute La Montina si  visita una cantina scavata per oltre 7.450  metri quadri nella collina tappezzata di vigneti, una cantina in grado di tutto l’anno la minore escursione termica possibile (attorno ai 13°- 16°)  e la condizione ottimale per la giusta maturazione dei Franciacorta. Qui la  passione e la tradizione danno vita  al perlage finissimo e persistente, alla piacevole sapidità e freschezza dei suoi Franciacorta. Gli ospiti de Le Tenute La Montina possono poi seguire i complessi passaggi che portano dalla vigna alla bottiglia finita e al bicchiere di Franciacorta dieto cui si sono tre anni minimo in cantina in cui una bottiglia viene toccata 70 volte. Imperdibile poi la tappa presso la settecentesca Villa Baiana, nobile dimora attigua alla sede aziendale e sede di mostre d’arte contemporanea allestire ciclicamente nella Sala delle Esposizioni Temporanee del Museo d’Arte Contemporanea Remo Bianco in Franciacorta.

Un tour in una delle più nobili cantina del Franciacorta non può poi che concludersi con un brindisi. A Le Tenute La Montina si possono scegliere fra tre generi di degustazioni (da uno a tre tipologie di Franciacorta), abbinate a grana padano e salame bresciano.

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DOVE, COME E A QUANTO -Le Tenute La Montina
Dalle 10 alle 15.30
Prezzo: da 10 a 20 euro a seconda della degustazione scelta
Per informazioni: 030.653278.

 

 




Masi con l’Amarone, nella top 100 mondiale

L’Amarone Classico Masi Campolongo di Torbe 2009 ‘Cantina Privata Boscaini’ è nella top cento mondiale. Lo ha decretato James Suckling che nella sua classifica “The top wines of 2016”, ha assegna al pregiato cru dell’azienda vitivinicola veronese la 59° posizione su oltre 10mila bottiglie degustate.
“The top wines of 2016” ha preso in esame oltre 10mila e ha poi inserito nella top100 mondiale  26 vini italiani: 11 etichette toscane, 9 piemontesi e appunto 2 venete.  “L’inserimento del Campolongo di Torbe 2009 nella classifica di Suckling premia il concetto di cru di cui Masi è stato il brand pioniere in Italia a partire dagli anni ’50, interpretando già da allora le potenzialità qualitative del vino proveniente da un unico vigneto.  Questo Amarone nato nel 1958 rappresenta l’espressione eccellente di uno dei pregiati terroir della Valpolicella Classica e appartiene alla nostra collezione di ‘tesori liquidi’, la Cantina Privata Boscaini, assieme ad altri cru come il Mazzano, prodotti in quantità limitata e solo nelle migliori annate” ha dichiarato in merito  Raffaele Boscaini, direttore marketing di Masi.

E un altro cru di Masi è stato celebrato la settimana scorsa negli Stati Uniti: il Vaio Armaron Amarone Classico Serego Alighieri, decretato come uno dei dieci migliori vini al mondo per Wine Spectator. L’Amarone prodotto nello storico Château di proprietà dei Conti Serego Alighieri è stato presentato da Raffaele Boscaini nella “Wine Spectator’s Top 10 Wines”, durante la New York Wine Experience. “Da anni l’appuntamento della New York Wine Experience è per Masi immancabile, siamo sempre stati selezionati tra i protagonisti, dimostrando come l’Amarone sia uno dei campioni dell’enologia mondiale. Ora ” conclude Raffaele Boscaini.




Tutti i colori del Pinot Nero FVG

Cinque diverse interpretazioni del  Pinot Nero FGV (Friuli Venezia Giulia) il “più rosso dei vini bianchi del Friuli”. La collezione che custodisce racchiude cinque bottiglie di Pinot Nero FVG ,  ognuna interprete di un Pinot Nero di una diversa area della regione Friuli Venezia Giulia.  A racchiudere, senza nascondere, le differenti declinazioni del Pinot Nero FVG, un coperchio trasparente, che reca impresso in rilievo il logo dell’associazione.

Cinque sono infatti le cantine friulane ideatrici della Rete d’Impresa: Castello di Spessa, Conte d’Attimis Maniago, Masut da Rive, Russolo, Zorzettig. Cantine certamente molto diverse tra loro ma che nelle potenzialità del vitigno credono fermamente. Così, nella regione “bianchista” d’Italia,  i “pionieri del Pinot Nero friulano” si sono impegnati in prima persona per accrescere la notorietà di questo vino, raccontando le caratteristiche che in Friuli Venezia Giulia rendono unico il Pinot Nero, il rosso che meglio affianca le uve a bacca bianca nell’esaltare le qualità enologiche del Friuli Venezia Giulia.

 

Il Pinot Nero è infatti il vino che più sa esprimere i segreti più intimi di un terroir e la sensibilità interpretativa del vinificatore. Questo vitigno rispecchia come pochi altri l’ambiente in cui cresce ed è in grado di tradurlo in vini di straordinaria finezza, riconoscibilissimi e indimenticabili, fusione d’identità varietale ed eleganza espressiva. Caratteristiche che identificano appieno il territorio friulano e l’enologia di questa regione, conosciuta da sempre per l’attenzione “maniacale” con cui vengono trattati i vigneti, le uve, i vini.

 




Gli uomini e i demoni di José Molina

di Federico Poni – Dalla fisiognomica alla psicoanalisi: i lavori di Jose Molina, esposti a cura di Chiara Gatti alla galleria Deodato Arte fino al 26 novembre (divisi in nove serie, realizzate tra il 2004 e il 2016), offrono una gamma amplissima di percorsi e suggestioni.

Con le sue matite, gli olii, i legni e le cere, usate singolarmente o contemporaneamente, Josè elabora opere di natura molto diversa e si cimenta nella rappresentazione dell’interiorità umana, tema chiave nella storia dell’arte del Novecento, ma qui rielaborato con immagini originali e spiazzanti: l’umanità di Molina à bestiale, violenta, come le mascelle di un animale primitivo incastrate nel volto angosciato di un essere umano, ma anche eterea ed evanescente come le ali di una fata che annuncia il nuovo giorno.

Bosch e Goya sono i riferimenti, i “maestri” di Molina, nella determinazione del segno, nella ricerca instancabile della metafora apocalittica che meglio renda l’angosciante abisso della coscienza umana. Fedele al principio che il sonno della ragione genera mostri, l’artista ha, per Molina, il dovere morale di vigilare, di riflettere e far riflettere il pubblico, con la violenza perturbante delle sue immagini.

In Molina diventano via via più evidenti i riferimenti alla pittura surrealista, nell’effetto onirico di molte immagini, e alle opere di Escher, nella nettezza e precisione del segno che non perdona i palati fini e delicati.

Ne emerge indiscutibilmente che per il pittore l’uomo è un demone sociale, un mostro quotidiano: l’arte di Josè è un grande racconto sul declino dell’umanità, di ogni individuo e dell’intero consorzio umano.

In un’epoca in cui molta arte è affidata alla tecnologia, Molina sceglie procedimenti classici, tecniche tradizionali, per continuare a interrogarsi e a interrogarci sull’enigma dell’esistenza.

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José Molina. Uomini e altri demoni

fino al 26 novembre 2016

DEODATO ARTE | Milano | via Santa Marta 6

Info sull’artista www.josemolina.com