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Annie Jr porta in scena 30 mini performer

Per due giorni al Teatro Manzoni di Milano andranno in scena  30 mini performer in Annie Jr. Lo spettacolo debutterà nel pomeriggio di Sant’Ambrogio e tornerà sul palco sabato 10 dicembre sempre alle 15.30.

 

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Anni Jr è un musical realizzato e messo in scena dalla Children’s Musical School asd e  nasce da un’idea di Fiorella Nolis e Maria Cristina Urru con l’obiettivo di dare l’opportunità a giovanissimi ragazzi di realizzare un vero musical da proporre nel panorama teatrale Italiano. Anni Jr i protagonisti esclusivi sono i ragazzi di età compresa tra i 7 e i 16 anni. Si aggiungono all’ensemble di Annie Jr le campionesse Italiane di FITKID, specializzate nell’unione di danza e acrobatica, guidate magistralmente da Gabriella Crosignani.

 

Annie Jr è una tradizionale fiaba di Natale a lieto fine. La storia infatti prende avvio nel Natale del 1930, all’indomani della Grande Depressione, quando piccola Annie, abbandonata da genitori nell’orfanotrofio diretto dalla crudele Miss Hannigan, Annie riesce a fuggire dall’orfanotrofio e, avventura dopo avventura, a trovare una nuova famiglia.

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DOVE, COME E A QUANTO Annie jr
TEATRO MANZONI DI MILANO 7 e 10 dicembre h 15.30
Biglietti da 15 euro

 

 




La Madonna della Misericordia di Piero della Francesca a Natale a Milano

Per un mese intero la Madonna della Misericordia di Piero della Francesca, tra le icone del Rinascimento italiano, sarà esposta a Palazzo Marino, in sala Alessi, e visitabile gratuitamente.

Si tratta della prima opera documentata del pittore toscano e consiste nella pala centrale dell’omonimo polittico della Misericordia realizzato da Piero della Francesca per la Confraternita della Misericordia di Sansepolcro tra il 1445 e il 1472 e conservato al Museo Civico di Sansepolcro, città natale del maestro toscano. Accanto al municipio di Milano, presso le Gallerie d’Italia, un’altra novità terrà compagnia a milanesi e turisti per tutto l’arco delle vacanze di natale: le opere di Bellotto e Canaletto.

La  Madonna della Misericordia, nella tradizionale rappresentazione della Vergine Maria che apre il mantello per dare riparo ai fedeli, conclude l’anno dedicato al Giubileo della Misericordia ed evidenzia la modernità di Piero della Francesca nella ricerca della prospettiva.  La particolarità del suo mantello della Madonna della Misericordia di Piero della Francesca in mostra a Milano, consiste nel fatto che il maestro toscano ha realizzato il mantello come se fosse l’abside di una chiesa, sotto la quale si rifugiano diversi personaggi dal priore, ami membri della Confraternita in un abbraccio tra il divino e l’umano.

 

Madonna della Misericordia – Piero della Francesca
Sala Alessi – Palazzo Marino, piazza della Scala, Milano
dalle 9.30 alle 20 (ultimo ingresso alle 19.30). Il giovedì fino alle alle 22.30 (ultimo ingresso alle 22)

il 7 dicembre chiusura alle 12 (ultimo ingresso alle 11.30)
24 e 31 dicembre 2015 chiusura alle 18 (ultimo ingresso alle 17.30)
8 e 25 dicembre, 1 e 6 gennaio dalle 9.30 alle 20 (ultimo ingresso alle 19.30)




Prima delle prime: alla Scala si parla di Madama Butterfly

Mancano ormai pochi giorni all’attesissima prima di “Madama Butterfly” al Teatro alla Scala di Milano. L’opera viene proposta nella sua prima versione, quella che nel 1904 debuttò alla Scala e, nonostante un cast di rilievo e la cura dell’allestimento, fu un flop colossale. Riccardo Chailly, con l’ausilio di Gabriele Dotto, ha compiuto un attento lavoro per ripristinare l’orchestrazione del primo manoscritto, proseguendo così nel percorso di rilettura critica delle opere pucciniane, per dare “una possibilità in più di ascolto, confronto e conoscenza” dell’opera che procurò il più grande dolore artistico a Puccini.

Domani, venerdì 2 dicembre, alle ore 18, nel Ridotto dei palchi “A. Toscanini” del Teatro alla Scala, Enrico Girardi, docente di Storia della musica all’Università Cattolica di Milano e critico musicale del “Corriere della sera”, parla di Madama Butterfly, nell’incontro “Quale Butterfly” con ascolti e video.

Grande dolore in piccole anime”: questo è quanto Puccini cercava per le sue opere. Lo suggerisce una sua lettera a Gabriele D’AnnunzioOra sai quello che mi ci vuole: amore–dolore. Grande dolore in piccole anime”. Chissà cosa rispose il poeta. Comunque Puccini aveva già raccontato le dolenti vicende di Mimì e Manon quando in un teatro londinese scopriva nel luglio 1900 un’altra piccola “anima”, assistendo a Madama Butterfly, una tragedia di David Belasco. Poco dopo nel 1901, con la collaborazione per la stesura del libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, iniziava la composizione che solamente nel dicembre 1903 poteva dirsi completa in ogni sua parte. A dilatare i tempi della realizzazione aveva forse contribuito una ricerca minuziosa di documenti legati all’Oriente: la precisione ambientale era un’esigenza imprescindibile di Puccini. In questa fase, preziosi furono gli aiuti di una attrice giapponese, Sada Yacco, e dell’ambasciatrice nipponica, profonde conoscitrici di usi e costumi orientali.

Tuttavia Madama Butterfly nel 1904 non entusiasmò. Si ritiene che attorno all’opera fosse stato costruito ad arte un clima d’ostilità o che forse il pubblico fosse rimasto sorpreso di fronte a un’opera innovativa che guardava agli sviluppi più recenti del teatro musicale europeo. Puccini così scrisse a un amico: “Con animo triste ma forte ti dico che fu un vero linciaggio… ma la mia Butterfly rimane qual è, l’opera più sentita e suggestiva che io abbia mai concepito”. L’insuccesso indusse autore ed editore a ritirare lo spartito per sottoporlo a una revisione con il risultato che la nuova versione di Madama Butterfly in tre atti fu accolta con entusiasmo al Teatro Grande di Brescia, appena tre mesi dopo, il 28 maggio. Tuttavia Puccini tornò continuamente sull’opera, “Non si decise mai per una versione in particolare ed è difficile individuare la sua ultima volontà”.

Ora tocca al pubblico milanese cancellare, dopo più di 100 anni, quell’antica ferita.

Primo appuntamento del ciclo

Prima delle prime
Stagione 2016/2017

Amici della Scala – Teatro alla Scala

Madama Butterfly
di Giacomo Puccini
libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa

Teatro alla Scala – Ridotto dei palchi “A. Toscanini”
Venerdì 2 dicembre 2016 ore 18

Ingresso libero fino a esaurimento dei posti




“ROBERTO BOLLE. L’ARTE DELLA DANZA” – VERSO UN NUOVO ”RINASCIMENTO”

di Elisa Pedini – In sala ancora per due date: stasera 22 e domani 23 novembre, il film “ROBERTO BOLLE. L’ARTE DELLA DANZA”, a cura di Francesca Pedroni. Tutte le sale su www.nexodigital.it. Un tour formidabile ed entusiasmante alla scoperta delle grandi interpretazioni di Roberto Bolle, attraverso immagini esclusive, dal palcoscenico e dal backstage, degli spettacoli del suo gala “Bolle and Friends” in tre luoghi simbolo del patrimonio culturale italiano: l’Arena di Verona, il Teatro Grande di Pompei, le Terme di Caracalla a Roma. Una pellicola che trasuda la passione, la determinazione, la fatica, la gioia del protagonista e dei suoi compagni d’avventura: dieci eccezionali danzatori di tutto il mondo scelti dallo stesso Bolle per avvicinare la danza a un pubblico di migliaia di spettatori: Nicoletta Manni, del Teatro alla Scala, Melissa Hamilton, Eric Underwood, Matthew Golding del Royal Ballet di Londra, i gemelli Jiři e Otto Bubeníček, rispettivamente del Semperoper Ballet di Dresda e dell’Hamburg Ballett, Anna Tsygankova del Dutch National Ballet di Amsterdam, Maria Kochetkova e Joan Boada del San Francisco Ballet, Alexandre Riabko dell’Hamburg Ballett. Un film che è, sicuramente, dedicato agli appassionati di danza, ai fans di Roberto Bolle, ma anche e soprattutto, dedicato a un’italianità da riscoprire ed esaltare. La nostra Étoile sottolinea, infatti, la sua missione: in questo momento di crisi profonda, bisogna ripartire dalla bellezza, intesa come arte, cultura e patrimonio artistico, «un nuovo Rinascimento italiano», lo definisce. L’immagine è quanto meno affascinante e aulica. Per questo, aggiunge Bolle, il suo obiettivo è quello di portare la maestosità effimera della danza nell’eternità di luoghi di bellezza, che esistono da duemila anni. «È come ballare fuori dal tempo e dallo spazio» spiega. Devo ammettere che, veder danzare Roberto Bolle, con la sua figura maestosa, apollinea, principesca, capace di trasmettere emozioni persino attraverso il grande schermo, all’interno di imponenti cornici storiche di valenza mondiale, è un’esperienza davvero impattante. L’estasi che prova lo spettatore è la stessa che ci comunicano i ballerini, per i quali, il ballare fra gli scavi archeologici di Pompei è stata «un’esperienza unica nella vita». Inoltre, ci parlano delle Terme di Caracalla come d’un luogo magico, da cui si sprigiona un’energia speciale, che entra dentro e si riverbera nella danza. Infine, l’imponente Arena di Verona, simbolo della cultura e dell’arte italiane in tutto il mondo, in grado di far vivere un entusiasmo collettivo in una potenza, corporea ed emotiva, unica. Tanta spettacolare bellezza umana e monumentale non può, naturalmente, lasciare indifferenti. Mi sono sentita coinvolta e trascinata come in un sogno; ma, quello che mi è piaciuto in modo particolare e che ci tengo molto a sottolineare, è che “ROBERTO BOLLE. L’ARTE DELLA DANZA” non è una mèra esaltazione della bellezza, della danza e dell’arte, non è una copertina patinata da guardare; ma è, soprattutto, un percorso, un viaggio, in quello che significa avere una passione, un sogno, una missione. La danza è un’arte, uno sport, che, come nessun’altra pratica, plasma e forgia il corpo in un’armonia perfetta di forme. Tuttavia, la danza è un’amante gelosa ed esigente: pretende sacrifici, lavoro durissimo quotidiano, passione indefessa, cieca abnegazione, disciplina ferrea, allenamento estenuante alla sbarra. Tutto questo, a prescindere che tu sia alle prime armi o un’Étoile. Con la danza si forgiano corpo e anima. Nulla di tutto ciò viene nascosto allo spettatore. Il corpo è uno strumento di lavoro e lo si deve plasmare a compiere movimenti complessi, duri, contro natura, sin da bambini. Mi è piaciuto moltissimo questo messaggio di tenacia e passione. L’idea di forgiare se stessi, il proprio corpo, il proprio carattere e quindi il proprio futuro. Immagine molto bella di grande forza e spinta verso il “domani”, verso i propri obiettivi. Come già detto sopra, ma mi piace, anche qui, specificare meglio, “ROBERTO BOLLE. L’ARTE DELLA DANZA” riprende la filosofia dei gala “Bolle and Friends”, ispirata dal suo grande maestro e mentore: Rudolf Nureyev, il quale fu il primo a dare vita a una nuova figura di ballerino, rompendo gli schemi; oltre ad aver portato in scena, per la prima volta, la formula del gala “ Nureyev and Friends”. Un omaggio, dunque, al suo maestro, di cui vorrebbe «seguire le orme, portando la danza dove essa non è mai stata».




Vesna Pavan in “Fermo Immagine”

Vesna Pavan, artista di Spilimbergo (PN) che, come ama definirsi, è una donna che dipinge altre donne, prende e riconferma il suo impegno sociale a favore delle vittime di deturpazioni da acido. Venerdì 25 novembre 2016, in occasione della Giornata Mondiale Contro la Violenza sulle Donne, Vesna Pavan inaugurerà infatti una mostra fotografica di sensibilizzazione sul tema, dal titolo “Fermo Immagine”. Il percorso fotografico voluto da Vesna Pavan, sarà aperto al pubblico dalle ore 13:00 alle ore 19:00 all’interno della galleria “Spazio M7” di via Monte Nevoso 7 a Milano. L’esposizione rimarrà accessibile poi fino al 30 novembre 2016 e sarà visitabile  su appuntamento.

La mostra è composta da circa duecento foto che Vesna ha scelto tra le immagini più significative, viste in tv negli ultimi due anni e mezzo. “Fermo Immagine” ha l’obiettivo di farci riflettere su due aspetti: il primo riguarda la velocità dei video che vengono proiettati durante i telegiornali, che talvolta rende impossibile una visione chiara e una comprensione completa; il secondo è lo spaventoso numero di donne che hanno subito violenze, percosse e mutilazioni negli ultimi due anni e la necessita di fare qualcosa affinché la situazione possa cambiare.

Venerdì 25 novembre  verrà presentato, in anteprima assoluta, il video raffigurante l’installazione multi-sensoriale, che Vesna Pavan aveva allestito il 14 febbraio 2015, in occasione della presentazione di RED&FUCHSIA, progetto umanitario che Vesna Pavan sta portando avanti allo scopo di raccogliere fondi da destinare ad ASFI (Acid Survivors Foundation India) e ASTI (Acid Survivors Trust International), associazioni umanitarie che assistono quotidianamente le donne che hanno subito violenza. Centoventicinque opere appartenenti al ciclo SKIN sono state realizzate da Vesna appositamente per essere vendute all’asta nelle sedi Rotary di 24 paesi, dall’Italia all’India, e i proventi verranno devoluti interamente alle due associazioni.

 




Georges Mathieu: alla nascita dell’Astrazione Lirica

di Andrea Farano – Resta ancora qualche giorno utile per accostarsi (ed ammirare coi propri occhi) alla strabiliante potenza del tratto segnico di Georges Mathieu (Boulogne sur Mer, 1921 – Boulogne-Billancourt, 2012), uno dei padri della pittura del novecento, al quale la giovane Dellupi Arte dedica una retrospettiva di valore assoluto.

Sito all’interno dello straniante panorama di City Life, lo spazio espositivo accoglie un’antologia di opere realizzate dal pittore francese nelle due decadi fondamentali per la nascita e lo sviluppo della propria espressione artistica, selezionate in collaborazione con il Comité Georges Mathieu, a garanzia della qualità dell’allestimento apparecchiato dalla galleria milanese.

Già all’ingresso si è quasi tramortiti dalla monumentalità delle tele alle pareti, compiute testimonianze di quella “Astrazione Lirica” che a partire dal 1947 canalizza – attraverso un binomio semantico apparentemente inconciliabile – la poetica innovativa di Mathieu, capace di concepire una via autonoma e sempre riconoscibile nell’oceano delle correnti di pittura informale: si accosta alla scuola americana dell’ Action Painting e dell’Espressionismo Astratto (Pollock e De Kooning), guarda allo Spazialismo di Fontana e lambisce le avanguardie giapponesi del gruppo Gutai, pur restando una voce sostanzialmente unica nel panorama mondiale del secondo dopoguerra.

Questa nuova astrazione – che resta pur sempre profondamente gestuale – eleva a proprio totem una fenomenologia puramente pittorica, dove il coinvolgimento corporeo è totale, da vivere spesso attraverso una performance teatrale svolta sotto gli occhi del pubblico: i colori, sovente applicati sulla tela (dal fondo rigorosamente monocromo) direttamente dal tubetto, sfociano alternativamente in simboli calligrafici o esplodono in dinamismi al limite del caos.

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Eppure, a ben vedere, ogni composizione, nonostante l’apparente disordine, si struttura quasi sempre a partire da un asse centrale – sviluppandosi poi per linee ortogonali e curve semicircolari spinte all’esterno da forze centrifughe – in un costrutto che piuttosto rivela, in ultima analisi, un’energia solenne e pacificata.

2Sarebbe un errore lasciarsi abbagliare dalla facilità compositiva di Mathieu e confonderne la mano innegabilmente virtuosa con un mero decorativismo vuoto di contenuti; se nella sua poetica il segno anticipa il significato è solo per divenire mezzo di connessione fra l’inconscio e il mondo reale.

Nel suo gesto – apparentemente incontrollato, ma in realtà figlio di un processo di automatismo psichico di matrice surrealista – traspare con forza la dimensione di un pensiero profondo e complesso, che riflette e indaga sul passato, sul presente, sulla propria esistenza, trasmettendoci la febbre e l’eccitazione della vita… sino a travolgerci.

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I primi concetti dell’intelletto preesistono in noi come semi di scienza, questi sono conosciuti immediatamente dalla luce dell’intelletto agente dall’astrazione delle specie sensibili… in questi principi universali sono compresi, come germi di ragione, tutte le successive cognizioni.” | Tommaso d’Aquino

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Georges Mathieu: 1951-1969
Dellupi Arte, via Spinola n. 8 – Milano
sino al 20 novembre 2016
Info: www.dellupiarte.com




L’Australia negli occhi degli impressionisti

Coogee Bay, 1888
Coogee Bay, 1888

L’impressionismo non è limitato alla Francia, e neppure all’Europa. La National Gallery di Londra sta preparando una mostra davvero inconsueta per tutti quelli che, abituati alle cicliche mostre allestite nei musei di tutta Europa e dedicate ai classici nomi dell’impressionismo, finora non sapevano che il movimento impressionista fosse arrivato perisno nell’Oceano Pacifico, in Australia dove la corrente artistica  ha sposato le aspirazioni nazionaliste del Paese.

Debutterà il 7 dicembre alla National Gallery di Londra una esposizione dedicata agli impressionisti provenienti dall’Australia: Australia’s Impressionists. Un percorso unico, quanto  meno in Europa, visto che si tratta della prima retrospettiva interamente dedicata agli impressionisti australiani.

A quiet day on Darebin Creek [Merri Creek], 1885
A quiet day on Darebin Creek [Merri Creek], 1885
Nel percorso espositivo, 41 quadri molti dei quali per la prima volta in mostra in Europa, sarà possibile scoprire l’impatto dell’impressionismo europeo sugli artisti provenienti dall’Australia tra il 1880 e il 1890 ed esplorare le contiguità che emergono dalle due diverse esperienze e tradizioni. Gli artisti che, in diverse fasi della loro carriera, avevano viaggiato dall’Austria all’Europa, si ispiravano ai lavori di Whistler e Monet, sperimentavano la pittura all’aria aperta con i differenti effetti di luce e colore e provavano nuove tecniche pittoriche.

L’esposizione si concentra sui quattro principali pittori impressionisti provenienti dall’Australia: Tom Roberts (1856–1931), Arthur Streeton (1867–1943), Charles Conder (1868–1909) e John Russell (1858–1930) ed evidenzierà il crescente senso si apparenza nazionale proprio negli anni in cui l’Australia si proclamava Federazione (1901).

 

Riddells Creek, 1889
Riddells Creek, 1889

Australia’s Impressionists è organizzata in tre sezioni principali, ciascuna delle quali esplora le connessioni degli artisti, lo stile e la vicinanza o la distanza tra tradizione europea e australiana.

Sarà possibile visitare Australia’s Impressionists fino al 26 marzo 2017. Un’occasione davvero unica per comprendere le reciproche influenze, i puti di contatto e le differenze tra Europa e Australia. Molti dei dipinti in mostra provengono infatti da gallerie o collezioni australiane. E per chi non ha in programma, almeno a breve, viaggi in Australia… quindi è proprio il caso di dire, ora mai più. Per chi invece in Australia c’è stato, un’occasione in più per scoprire l’alba del continente dove la natura ora come allora regna sovrana.

On the River Yarra, near Heidelberg, Victoria, about 1890
On the River Yarra, near Heidelberg, Victoria, about 1890

DOVE, COME E A QUANTO
Australia’s Impressionists -National Gallery, Londra

Dal 7 dicembre 2016  al 26 marzo 2017
Dalle 10 alle 18 (ultimo ingresso alle 17) -venerdì dalle 10 alle 21 ( ultimo ingresso alle 20.15)

Ingresso: 7,5 sterline

 

Circular Quay, 1892
Circular Quay, 1892




Bagna cauda day e Langhe

Per un intero week end, protagonista delle tavole italiane e non solo, sarà la bagna cauda, piatto della tradizione che piemontese a base di acciughe, olio e tanto aglio. Un’occasione da non farsi sfuggire per concederis un ghiotto e rilassante fine setitmana nelle Langhe.

Dal 25 al 27 novembre si cleba infatti la quarta edizione del bagna cauda day con oltre 13 mila posti a tavola saranno riservati ai bagnacaudisti in oltre 130 locali, dal ristorante stellato alla  cantina sociale. Da non perdere poi il coraggioso “Barbera kiss” il bacio a mezzanotte” che tutti i bagnacaudisti si scambieranno in centro ad Asti e in altre piazze e nei ristoranti al termine delle serate.

Coinvolti oltre 120 cuochi nelle cantine storiche, ristoranti e vinerie dell’Astigiano, Monferrato, Langa e Roero e nel resto del mondo proporranno la loro Bagna Cauda “come Dio comanda” (tradizionale), “eretica” o “atea” (con poco e senz’aglio).  In tutti i locali aderenti il prezzo della bagna cauda sarà di 25 euro, dolce, caffe e tovagliolo d’autore (firmato  da Antonio Guarene con lo slogan “Siamo tutti nella bagna”) compresi.

L’anteprima del bagna cauda day si terrà Imperia, dall’11 al 13 novembre (con la rassegna OliOliva) per poi spostare il baricentro ad Asti. Il bagna cauda day coinvolge altre piazze di rilievo a partire da Torino, Casale Monferrato, Ovada, Costigliole d’Asti e in decine di altri paesi di Langa, del Monferrato del Roero. All’appello hanno risposto anche dall’estero: da Berlino a New York e all’Australia. Perfino l’isola di Tonga celebrerà il rito della bagna cauda.

 




“LA PELLE DELL’ORSO”, un viaggio interiore tra stupendi paesaggi

di Elisa Pedini – Arriva al cinema, dal 3 novembre, “LA PELLE DELL’ORSO”, vincitore di numerosi premi al Festival Annecy Cinéma Italien 2016, per la regia dell’esordiente Marco Segato e tratto dall’omonimo romanzo di formazione di Matteo Righetto.

“LA PELLE DELL’ORSO” è una pellicola molto paesaggistica, riflessiva, onesta, pura, schiva e scarna come i protagonisti della vicenda. Il “set-up” della sceneggiatura mette subito lo spettatore all’interno della realtà fisica e umana dei protagonisti. Le prime scene ci dicono tutto quanto c’è da sapere, per avere gli strumenti di decodifica di tutto il resto del film. “LA PELLE DELL’ORSO”,  è ambientato negli anni Cinquanta, in un paese rurale del trevigiano, ai piedi delle Dolomiti: gente semplice e laboriosa, dai volti segnati dalla fatica e che si spezza la schiena nel duro lavoro, nei campi o alla cava.

“LA PELLE DELL’ORSO”, si apre con una specie di parata in maschera e il sostrato superstizioso ed evocativo, che la anima, è ben evidente. La vita che conducono gli abitanti del paese è altrettanto chiara allo spettatore. Vengono introdotti, anche, i due personaggi principali: Pietro Sieff e suo figlio, Domenico. Il muro che divide i due s’estrinseca nei loro silenzi, nella solitudine delle loro esistenze. Dividono lo stesso tetto, ma non la vita. Da un lato, un padre, che viene trattato da tutti come una “bestia”, ingiuriato, schernito e che trova nella bottiglia il suo rifugio. Dall’altro, un figlio, molto più maturo dei suoi quattordici anni, che da una mano agli zii con gli animali, si occupa della casa e del padre. Pietro, lavora alla cava e ha un rapporto difficile col capo, Crepaz. Un giorno, un orso bruno, che vive nei boschi, entra in una stalla e uccide una mucca. È già noto alla popolazione, la quale ha un approccio, ovviamente, di superstizioso terrore nei confronti dell’accaduto e qui, ci riallacciamo all’idea che ci ha trasmesso quella parata esorcizzante, in apertura del film. L’animale non è visto come una creatura affamata, ma è “el diàol”, il diavolo, astuto e cattivo, che ormai conosce bene tutti loro e i loro fucili. La sera, all’osteria, gli uomini ne parlano. Pietro, in un moto d’orgoglio e forse, anche, per riscattare la sua persona agli occhi degli altri, scommette con Crepaz che ucciderà l’orso. Un anno di paga, se vince. Se perde, lavorerà un anno gratis. Qui, inizia la “zona centrale” di “LA PELLE DELL’ORSO”, che si svolgerà tutta nel bosco, fra paesaggi stupendi. Pietro e Domenico si trovano da soli verso l’ignoto, alla ricerca del “diàol”, ma anche dei loro demoni interiori.

Il ritmo è lento, scandito dal silenzio che viene rotto solo da brevi, lapidari, scarni dialoghi, che, riverberano perfettamente le personalità dei due protagonisti, seppur s’avverte, in realtà, l’esigenza di una maggiore dinamicità, se non d’azione, quanto meno, dialogica. Certo, tutta la situazione è ben coerente e comprensibile, date le premesse molto chiare e approfondite del “set-up”. Siamo di fronte a due personalità chiuse, schive, che non hanno molto da dirsi, perché, di fatto, non si conoscono, dunque, non possiamo, naturalmente, aspettarci che si trasformino in due garruli ciarlieri, sarebbe incoerente e poco credibile.

Altresì, va sottolineato il gioco della regia con la telecamera, che passa dalla lucida messa a fuoco sul primo piano, che ci rivela, in modo inequivocabile, i pensieri e i moti dell’anima del personaggio in quel momento; all’apertura sul paesaggio circostante. Questo sistema d’interiorizzazione ed esteriorizzazione d’un pensiero, consente allo spettatore d’inferire, non solo quanto sta avvenendo dentro la testa dei protagonisti, ma anche come questo si riverbera sulle loro azioni.

La ricerca dell’orso, alla fine, diviene una ricerca di sé e dell’altro. In questi silenzi e in quelle battute, scambiate tra padre e figlio, troviamo la catarsi dell’uno e la presa di coscienza dell’altro. Un ritrovarsi, un supportarsi, che, però, va detto, non muta, in modo molto realistico, quella che è la natura dei due protagonisti. Raramente si trova questa verosimiglianza al processo mentale umano: i due personaggi evolvono e trovano il loro modo di comunicare e il loro modo di conoscersi, senza mutare il loro carattere.

La mancanza di spettacolarizzazione, rende ancora più realistica questa pellicola, che si nutre di umanità per un verso e di paesaggi per l’altro.  La “conclusione” del film è molto rapida, come lo è stato il “set-up”, eppure, di nuovo, è l’indugio della telecamera sui volti che ci consente di capire molto più di quanto i personaggi esprimano a parole.

“LA PELLE DELL’ORSO” è, tecnicamente, un buon prodotto, solido e coerente nel suo svolgersi: il fulcro, ovvero, il rapporto padre-figlio, non viene mai perso di vista e resta sempre in primo piano. Buona, anche, l’interpretazione del cast: Marco Paolini e Leonardo Mason, rispettivamente nei ruoli di Pietro e Domenico Sieff, Paolo Pierobon, nella parte di Crepaz e Lucia Mascino, in quella di Sara.




Rubens conquista Palazzo Reale

Fino a fine febbraio sarà possibile scoprire Rubens e la nascita del barocco a Palazzo Reale di Milano dove è stato allestito un percorso con oltre 70 opere di cui 40 del pittore fiammingo. Non a caso la mostra, curata da  Anna Lo Bianco, è dedicata a Pietro Paolo Rubens e la nascita del Barocco.

Proprio a Rubens, in Italia tra il 1600 e il 1608, si devono i primi segnali della nascita del Barocco in Italia. I rapporti di Rubens con Genova, Mantova, Venezia e la stessa Roma, permettono di ricostruire il filo che lega così profondamente l’artista fiammingo alla cultura italiana.

La mostra sottolinea quindi i rapporti di Rubens con l’arte antica e la statuaria classica, la sua attenzione verso i maestri del Rinascimento come Tintoretto e Correggio e la straordinaria influenza esercitata sugli artisti italiani, protagonisti del Barocco come Pietro da Cortona, Bernini, Lanfranco, fino a Luca Giordano.

DOVE, COME E A QUANTO Rubens e la nascita del barocco
Palazzo Reale di Milano – fino al 26 febbraio 2017

Lun: 14:30 – 19:30 – Martedì, mercoledì, venerdì e domenica  09:30 – 19:30, giovedì e sabato  09:30 – 22:30
Dom: 09:30 – 19:30
Biglietti da 12 euro