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Antonio Balestra in mostra a Verona

Apre il 19 novembre 2016 al Museo di Castelvecchio di Verona una retrospettiva dedicata ad Antonio Balestra, pittore barocco veronese. Sarà possibile visitare la mostra Antonio Balestra. Nel segno della grazia fino al 19 febbraio 2017.

Verona ha voluto dedicare l’evento all’artista, Antonio Balestra (Verona, 1666 – 1740), in occasione del trecentocinquantesimo anniversario della nascita. L’esposizione presenta oltre sessanta opere – dipinti, disegni, incisioni e volumi a stampa -, provenienti da prestatori pubblici e privati, italiani ed europei.

Il precorso dedicato ad Antonio Balestra si articola in otto sezioni: attorno ad alcuni dipinti particolarmente significativi, grande spazio è dedicato al disegno e all’incisione, in modo da rivelarne la stretta correlazione e da far emergere il genio compositivo del pittore. Grande attenzione è dedicata alla grafica. La mostra Antonio Balestra. Nel segno della grazia pone infatti in stretta correlazione alcune tele esposte e stampe che attestano la diffusione e la fortuna dello stesso Antonio Balestra.

Il percorso espositivo conduce il visitatore alla scoperta di un autore, Antonio Balestra appunto, che, nato a Verona nel 1666, approfondisce la sua formazione a Roma alla scuola di Carlo Maratti tra il 1691 e il 1695 e conclude la sua vita a Verona nel 1740, dopo aver trascorso parecchi anni tra la città natale e Venezia. Qui soggiornò fino al 1718 ricoprendo un ruolo di primissimo piano nello sviluppo della pittura veneziana ed europea verso un gusto pienamente settecentesco.

DOVE, COME E A QUANTO

Museo di Castelvecchio – Verona
lunedì 13.30 – 19.30
da martedì a domenica 8.30 – 19.30
Biglietti da 7,5 euro (il biglietto di ingresso a Castelvecchio comprende la visita della mostra)

 




Andy Warhol approda a Genova

A trent’anni esatti dalla scomparsa di Andy Warhol, Palazzo Ducale di Genova dedica una grande retrospettiva all’artista americano ( 6 agosto 1928 –   22 febbraio 1987). La retrospettiva di Andy Warhol, naugurata in settimana, sarà aperta fino al prossimo 26 febbraio

 

andy-wharlol-3 Curata da Luca Beatrice e prodotta e organizzata da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura di Genova e da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore, la mostra presenta circa 170 opere. Il percorso si sviluppa su sei temi: il disegno, le icone, le polaroid, i ritratti, Andy Warhol e l’Italia, e infine il cinema e copre l’intero arco dell’attività dell’artista. Con Andy Warhol si apre l’epoca dell’arte contemporanea.

 

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Andy Warhol è stato capace di intuire e anticipare i profondi cambiamenti che la società contemporanea avrebbe attraversato a partire dall’era pop, da quando cioè l’opera d’arte comincia a relazionarsi quotidianamente con la società dei massmedia, delle merci e del consumo. Nella Factory, a New York, non solo si producevano dipinti e serigrafie: si faceva cinema, musica rock, editoria, si attraversavano nuovi linguaggi sperimentali in una costante ricerca d’avanguardia. Anche nei confronti della televisione Andy Warhol manifesta una curiosità straordinaria.

 

 

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In mostra alcuni straordinari disegni preparatori che anticipano dipinti famosi come il Dollaro o il Mao; le icone di Marilyn, presente sia nella serigrafia del 1967 sia nella tela Four Marilyn, della Campbell Soup e delle Brillo Boxes; i ritratti di volti noti come Man Ray, Liza Minnelli, Mick Jagger, Miguel Bosè e di alcuni importanti personaggi italiani: Gianni Agnelli, Giorgio Armani e Sandro Chia. Un’intera sezione è poi dedicata alle polaroid.
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Le Tenute La Montina, per scoprire la Franciacorta partendo dalle cantine

La scoperta della Franciacorta non può che iniziare dalle cantine. Un ottimo punto di partenza sono Le Tenute la  Montina di Monticelli Brusati, aperte ogni giorno per accompagnare winelovers, appassionati o semplicemente curiosi alla scoperta delle blasonate bollicine in un paesaggio emozionate, ancora di più in autunno, quando la natura si veste d’oro e rubino.  Le Tenute La Montina infatti si trovano tra il lago di Iseo e l’anfiteatro morenico della Franciacorta, in una zona che gode di uno speciale microclima particolarmente favorevole alla coltivazione della vite. La “cantina che si racconta”, visite con degustazioni guidate di Franciacorta, porte aperte durante tutti gli week end: così Le Tenute La Montina di Monticelli Brusati, in Franciacorta, accolgono gli enoturisti. Le Tenute La Montina sono una delle  aziende storiche della Franciacorta con una produzione media è di 380.000 bottiglie annue.

A Le Tenute La Montina si  visita una cantina scavata per oltre 7.450  metri quadri nella collina tappezzata di vigneti, una cantina in grado di tutto l’anno la minore escursione termica possibile (attorno ai 13°- 16°)  e la condizione ottimale per la giusta maturazione dei Franciacorta. Qui la  passione e la tradizione danno vita  al perlage finissimo e persistente, alla piacevole sapidità e freschezza dei suoi Franciacorta. Gli ospiti de Le Tenute La Montina possono poi seguire i complessi passaggi che portano dalla vigna alla bottiglia finita e al bicchiere di Franciacorta dieto cui si sono tre anni minimo in cantina in cui una bottiglia viene toccata 70 volte. Imperdibile poi la tappa presso la settecentesca Villa Baiana, nobile dimora attigua alla sede aziendale e sede di mostre d’arte contemporanea allestire ciclicamente nella Sala delle Esposizioni Temporanee del Museo d’Arte Contemporanea Remo Bianco in Franciacorta.

Un tour in una delle più nobili cantina del Franciacorta non può poi che concludersi con un brindisi. A Le Tenute La Montina si possono scegliere fra tre generi di degustazioni (da uno a tre tipologie di Franciacorta), abbinate a grana padano e salame bresciano.

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DOVE, COME E A QUANTO -Le Tenute La Montina
Dalle 10 alle 15.30
Prezzo: da 10 a 20 euro a seconda della degustazione scelta
Per informazioni: 030.653278.

 

 




Masi con l’Amarone, nella top 100 mondiale

L’Amarone Classico Masi Campolongo di Torbe 2009 ‘Cantina Privata Boscaini’ è nella top cento mondiale. Lo ha decretato James Suckling che nella sua classifica “The top wines of 2016”, ha assegna al pregiato cru dell’azienda vitivinicola veronese la 59° posizione su oltre 10mila bottiglie degustate.
“The top wines of 2016” ha preso in esame oltre 10mila e ha poi inserito nella top100 mondiale  26 vini italiani: 11 etichette toscane, 9 piemontesi e appunto 2 venete.  “L’inserimento del Campolongo di Torbe 2009 nella classifica di Suckling premia il concetto di cru di cui Masi è stato il brand pioniere in Italia a partire dagli anni ’50, interpretando già da allora le potenzialità qualitative del vino proveniente da un unico vigneto.  Questo Amarone nato nel 1958 rappresenta l’espressione eccellente di uno dei pregiati terroir della Valpolicella Classica e appartiene alla nostra collezione di ‘tesori liquidi’, la Cantina Privata Boscaini, assieme ad altri cru come il Mazzano, prodotti in quantità limitata e solo nelle migliori annate” ha dichiarato in merito  Raffaele Boscaini, direttore marketing di Masi.

E un altro cru di Masi è stato celebrato la settimana scorsa negli Stati Uniti: il Vaio Armaron Amarone Classico Serego Alighieri, decretato come uno dei dieci migliori vini al mondo per Wine Spectator. L’Amarone prodotto nello storico Château di proprietà dei Conti Serego Alighieri è stato presentato da Raffaele Boscaini nella “Wine Spectator’s Top 10 Wines”, durante la New York Wine Experience. “Da anni l’appuntamento della New York Wine Experience è per Masi immancabile, siamo sempre stati selezionati tra i protagonisti, dimostrando come l’Amarone sia uno dei campioni dell’enologia mondiale. Ora ” conclude Raffaele Boscaini.




Tutti i colori del Pinot Nero FVG

Cinque diverse interpretazioni del  Pinot Nero FGV (Friuli Venezia Giulia) il “più rosso dei vini bianchi del Friuli”. La collezione che custodisce racchiude cinque bottiglie di Pinot Nero FVG ,  ognuna interprete di un Pinot Nero di una diversa area della regione Friuli Venezia Giulia.  A racchiudere, senza nascondere, le differenti declinazioni del Pinot Nero FVG, un coperchio trasparente, che reca impresso in rilievo il logo dell’associazione.

Cinque sono infatti le cantine friulane ideatrici della Rete d’Impresa: Castello di Spessa, Conte d’Attimis Maniago, Masut da Rive, Russolo, Zorzettig. Cantine certamente molto diverse tra loro ma che nelle potenzialità del vitigno credono fermamente. Così, nella regione “bianchista” d’Italia,  i “pionieri del Pinot Nero friulano” si sono impegnati in prima persona per accrescere la notorietà di questo vino, raccontando le caratteristiche che in Friuli Venezia Giulia rendono unico il Pinot Nero, il rosso che meglio affianca le uve a bacca bianca nell’esaltare le qualità enologiche del Friuli Venezia Giulia.

 

Il Pinot Nero è infatti il vino che più sa esprimere i segreti più intimi di un terroir e la sensibilità interpretativa del vinificatore. Questo vitigno rispecchia come pochi altri l’ambiente in cui cresce ed è in grado di tradurlo in vini di straordinaria finezza, riconoscibilissimi e indimenticabili, fusione d’identità varietale ed eleganza espressiva. Caratteristiche che identificano appieno il territorio friulano e l’enologia di questa regione, conosciuta da sempre per l’attenzione “maniacale” con cui vengono trattati i vigneti, le uve, i vini.

 




Gli uomini e i demoni di José Molina

di Federico Poni – Dalla fisiognomica alla psicoanalisi: i lavori di Jose Molina, esposti a cura di Chiara Gatti alla galleria Deodato Arte fino al 26 novembre (divisi in nove serie, realizzate tra il 2004 e il 2016), offrono una gamma amplissima di percorsi e suggestioni.

Con le sue matite, gli olii, i legni e le cere, usate singolarmente o contemporaneamente, Josè elabora opere di natura molto diversa e si cimenta nella rappresentazione dell’interiorità umana, tema chiave nella storia dell’arte del Novecento, ma qui rielaborato con immagini originali e spiazzanti: l’umanità di Molina à bestiale, violenta, come le mascelle di un animale primitivo incastrate nel volto angosciato di un essere umano, ma anche eterea ed evanescente come le ali di una fata che annuncia il nuovo giorno.

Bosch e Goya sono i riferimenti, i “maestri” di Molina, nella determinazione del segno, nella ricerca instancabile della metafora apocalittica che meglio renda l’angosciante abisso della coscienza umana. Fedele al principio che il sonno della ragione genera mostri, l’artista ha, per Molina, il dovere morale di vigilare, di riflettere e far riflettere il pubblico, con la violenza perturbante delle sue immagini.

In Molina diventano via via più evidenti i riferimenti alla pittura surrealista, nell’effetto onirico di molte immagini, e alle opere di Escher, nella nettezza e precisione del segno che non perdona i palati fini e delicati.

Ne emerge indiscutibilmente che per il pittore l’uomo è un demone sociale, un mostro quotidiano: l’arte di Josè è un grande racconto sul declino dell’umanità, di ogni individuo e dell’intero consorzio umano.

In un’epoca in cui molta arte è affidata alla tecnologia, Molina sceglie procedimenti classici, tecniche tradizionali, per continuare a interrogarsi e a interrogarci sull’enigma dell’esistenza.

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José Molina. Uomini e altri demoni

fino al 26 novembre 2016

DEODATO ARTE | Milano | via Santa Marta 6

Info sull’artista www.josemolina.com




Dante, Verona, la Valpolicella e il vino

Proprio ora che con “Inferno”, il film di Ron Howard tratto dal libro di Dan Brown  e interpretato da Tom Hanks , ha riportato Dante nelle conversazioni quotidiane, oltre che alla ribalta internazionale, può essere interessante andare sulle orme di un Dante meno conosciuto …quello veronese. L’autunno potrebbe essere la stagione ideale per andare per Verona e la Valpolicella alla scoperta del sommo poeta …..e dei suoi discendenti che oggi si dedicano anche all’ospitalità e alla produzione del vino … proprio a Verona, lontano dalla “natia” Firenze.

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Dante su invito di Cangrande della Scala, alla morte dell’Imperatore decise di trasferirsi alla corte veronese, in quegli anni nel pieno della sua potenza, dove era stata garantita la sicurezza e il rifugio per sé e per i suoi figli proprio da Cangrande. Il poeta visse a Verona solo cinque anni, tra il 1313 e il 1318, gli anni del “Paradiso“, prima poi di proseguire verso Ravenna dove Dante morì nel 1321. Ma il legame con Verona è tutt’oggi attuale. Il figlio Pietro infatti, incantato dalla  bellezza di Verona e della campagna circostante, decise di rimanervi acquistando, nel 1353, la possessione Casal dei Ronchi in Gargagnago, nel cuore della Valpolicella storica. Casa e terreni, dopo ventun generazioni, sono tuttora di proprietà dei conti Serego Alighieri, discendenti diretti di Dante e collaborano con Masi Agricola nella produzione di vini. Qui infatti si producono tra l’altro il Vaio Armaron, un raffinato Valpolicella classico e il Recioto.

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Oggi la Foresteria della tenuta Serego Alighieri, un’immensa proprietà con una villa del XIV-XVI secolo, può essere un ottimo punto per esplorare Verona, la Valpolicella e le sue cantine a partire proprio dalla cantina dei discendenti di Dante che si contraddistingue, a giudizio degli esperti, per la presenza i fusti di ciliegio in cui riposano i vini del casato e di un  tradizionale fruttaio per l’appassimento delle uve. 

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DOVE E COME
La Foresteria: via giare 277, Gargagnago,  Sant’Ambrogio di Valpolicella
La rivendita: Via Stazione Vecchia, 472 – Loc. Gargagnago, Sant’Ambrogio di Valpolicella
39-045-7703622
serego@seregoalighieri.it

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“JACK REACHER – PUNTO DI NON RITORNO”: CAPOLAVORO D’AZIONE E D’INDAGINE

di Elisa Pedini – Arriva nelle sale, dal 20 ottobre, l’attesissimo sequel del duro Jack Reacher, col titolo “JACK REACHER – PUNTO DI NON RITORNO”, per la regia di Edward Zwick. Pellicola, semplicemente, straordinaria. Un connubio degno di nota tra l’“action movie” e il “crime thriller”. Un film coinvolgente, avvincente, emozionante, scandito da un ritmo incalzante, che cattura l’attenzione dalla prima all’ultima scena. Nella sua indubbia spettacolarità, il film scorre solido e coerente, coinvolgendo lo spettatore in un intrigo ben strutturato, che, in certi passaggi, richiama la figura dell’hysteron proteron applicata alla cinematografia, che si attua nell’inversione dell’ordine naturale d’un evento, mostrandone prima l’effetto e poi la causa. Questa struttura, non solo consente di tenere sempre alta l’attenzione dello spettatore, ma anche di creare un forte senso di suspense. “Jack Reacher – Punto di non ritorno” è tratto dal libro “Never go back”, diciottesimo volume della fortunatissima saga di Jack Reacher, eroe letterario nato, nel 1997, dalla penna di Lee Child e giunto ormai a ben venti romanzi. Com’è noto, questo personaggio, affascinò talmente Tom Cruise, che, nel 2012, decise di produrre e interpretare il primo film: “Jack Reacher – la prova decisiva”, basandolo su “One Shot”, in realtà, il nono libro della saga. Notevole caratteristica, infatti, dei romanzi su questo eroe, è che non seguono un ordine cronologico, non c’è una continuità con cui familiarizzare per apprezzare il protagonista e le sue gesta. Di fatto, gli unici punti fermi sono Jack e il suo spazzolino da denti. Non per altro, la figura di questo personaggio è proprio quella dello “straniero misterioso”, una sorta di “cavaliere errante” dei nostri tempi. La sua vita nomade, scevra da ogni attaccamento, ha, però, una struttura rigida, basata su regole morali e senso di giustizia. Jack si sposta in autostop, non si ferma mai a lungo in nessun luogo ed è un ex maggiore dell’esercito americano. Il film inizia mostrandoci quattro uomini stesi a terra e ridotti proprio male, sul selciato, fuori da una stazione di servizio. Ecco, appunto, l’“effetto” di cui parlavo prima. Arriva la polizia. I testimoni riportano che, a metterli tutti e quattro ko, è stato un solo uomo, lo stesso che se ne sta, pacifico, seduto al bancone del locale. Quell’uomo è Jack. Ancora s’ignora la “causa”. Forte il contrasto che viene trasmesso allo spettatore: fuori, la notte, i lamenti dei malmenati, il vociare dei testimoni e la sbruffoneria dello sceriffo; dentro, una forte luce al neon, un bianco accecante e un uomo solo, seduto di spalle alla porta, calmo. La spiegazione di tutto, la “causa”, arriva, puntuale e in modo a dir poco spettacolare. Si tratta di traffico di clandestini e Jack li fa arrestare tutti. Quindi, il nostro “giustiziere nomade” se ne va, di nuovo, in autostop. Scopriamo che ad aiutarlo è stato il Maggiore Susan Turner, che gli è succeduta quando lui ha lasciato l’esercito. Quando Jack va a Washington per conoscerla, scopre che è stata arrestata con l’accusa di spionaggio. È subito evidente, per il nostro eroe, che c’è qualcosa di molto strano e inizia a indagare. Qualcuno lo pedina. Jack va a parlare con l’avvocato del Maggiore Turner e così, scopre che Susan aveva inviato due sue unità in Afghanistan, per indagare su una questione poco chiara relativa alle armi. I due inviati vengono ammazzati in pieno stile esecuzione e guarda caso, un giorno dopo, il Maggiore Turner viene arrestata. L’avvocato di Susan viene assassinato e le accuse ricadono su Jack. Con un espediente viene arrestato come militare. Riesce a evadere e a far scappare anche il Maggiore Turner con lui. Da questo punto, non vi dico altro perché la trama si fa sempre più intrigante in un coerente climax di tensione e conduce lo spettatore dentro a una storia di indagini fitte e avvincenti, fra pedinamenti, ricerche, testimoni e rapidi spostamenti per non essere presi, fino a dare spiegazione e soluzione a ogni enigma. A complicare ancora di più la situazione, c’è la figlia di Jack, che va tutelata, perché è un facile bersaglio per colpire lui. Vi rammento, però, quanto detto al principio sulle caratteristiche di questo personaggio: un samurai del nuovo millennio, solitario, nomade, senza legami e scevro da attaccamenti. Appare strano che abbia, al dunque, una figlia. Chi sia questa fanciulla, lo lascio scoprire a voi. “Jack Reacher – Punto di non ritorno” è un film che va seguito e che si fa seguire, con grande attenzione. Di azione ce n’è davvero tanta, ma tutto è calibrato e realistico, evitando così i più classici, abominevoli, cliché degli action movie americani: primo fra tutti, i tipici inseguimenti eterni con dilatazioni spazio-temporali tanto improbabili, quanto ridicole. I personaggi sono ben costruiti e le loro personalità risultano solide e credibili. I dialoghi sono sottili, acuti e vanno ascoltati, apprezzati, perché, persino quelli che possono sembrare più personali e meno utili alla trama, in realtà, sono portatori di messaggi molto importanti su tematiche molto attuali. Mi piace concludere, ponendo l’accento sulla figura del Maggiore Susan Turner, interpretata in modo squisitamente naturale e intenso da una straordinaria Cobie Smulders: una donna molto bella, intelligente, attiva, dotata di profondità e sensibilità, ma anche di grande forza e coraggio. Finalmente, una protagonista femminile realistica. Infine, molto apprezzabile è la totale mancanza d’una futile love story tra i due protagonisti, che non avrebbe dato valore aggiunto alcuno ad un film d’azione e d’indagine qual è “Jack Reacher – Punto di non ritorno.”




Al Museo del 900: BOOM 60! ERA ARTE MODERNA

È stata inaugurata oggi al Museo del NovecentoBOOM 60! Era arte moderna” una mostra promossa dal Comune di Milano, dedicata all’arte tra i primi anni Cinquanta e i primi Sessanta e alla sua restituzione mediatica, tramite i popolarissimi canali di comunicazione di massa.

La mostra al Museo del Novecento, curata da Mariella Milan e Desdemona Ventroni con Maria Grazia Messina e Antonello Negri, inaugura i nuovi spazi espositivi con un percorso articolato tra Arengario e Piazzetta Reale in un allestimento firmato dall’Atelier Mendini.

Un’ampia rassegna che persegue l’obiettivo di approfondire i temi dell’arte italiana del ‘900 arricchendo il percorso permanente museale, anche grazie all’estensione del percorso in nuove sale espositive. Nell’ideazione e nella scelta delle opere, oltre a prestiti di Musei e raccolte pubbliche e private, è stato possibile attingere alla ricca collezione del Museo del Novecento: dipinti e sculture del patrimonio civico a partire dalla collezione Boschi di Stefano che, non essendo esposti in modo permanente, risultano in questo modo una affascinante riscoperta.

La mostra esplora l’arte moderna com’era raccontata dai settimanali e dai mensili di attualità illustrata, i cosiddetti rotocalchi. Sono gli anni del “boom”, non solo quello dell’economia e dei consumi, ma anche quello delle riviste – Epoca, Tempo, Le Ore, Oggi, Gente, L’Europeo, Abc, L’Espresso, Vie Nuove, La Domenica del Corriere, La Tribuna Illustrata, Successo, Panorama, L’Illustrazione Italiana, Settimana Incom Illustrata, Lo Specchio, Settimo Giorno – che in questi anni raggiungono le loro massime tirature, con una diffusione di gran lunga superiore a quella dei quotidiani, diventando così un importante strumento di intrattenimento, nonché uno specchio fedele della mentalità e delle aspirazioni collettive.

Quella che emerge dalle pagine di queste riviste popolari è un’immagine dell’arte moderna e dei suoi protagonisti alternativa rispetto a quella della critica colta. Le novità artistiche si scontrano con le attese di un grande pubblico molto diffidente nei loro confronti, che le riviste a tratti assecondano nei suoi pregiudizi, a tratti “educano” calando il mondo dell’arte nelle forme della cultura di massa.

La mostra, nell’allestimento di Atelier Mendini, restituisce questi diversi aspetti della cultura visiva italiana in un suo momento decisivo, facendo principalmente perno sul contesto di Milano, centro al tempo stesso della grande editoria commerciale e di una buona parte della ricerca artistica più avanzata.

Circa centoquaranta opere di pittura, scultura e grafica, scelte in relazione al particolare successo nella comunicazione di massa, dialogano in quattro sezioni – “Grandi mostre e polemiche”, “Artisti in rotocalco”, “Artisti e divi”, “Mercato e collezionismo” – con le più diffuse illustrazioni fotografiche e televisive delle opere stesse e dei loro autori. Una ricca sezione documentaria, come una grande “edicola” d’altri tempi, presenterà invece al pubblico, nella sala Archivi del Museo, le riviste e i loro diversi modi di raccontare l’arte moderna, dalle copertine alle inchieste, dalle rubriche di critica alla pubblicità, dall’illustrazione all’uso dell’immagine fotogiornalistica, insieme a una selezione di opere tra cui Piazza del Duomo di Milano di Dino Buzzati.
Museo del Novecento, via Marconi 1, Milano

BOOM 60! Era arte moderna

18 ottobre 2016 – 12 marzo 2017

ORARI
lunedì 14.30 – 19.30
martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30
giovedì e sabato 9.30 – 22.30

BIGLIETTO
(l’ingresso alla mostra comprende anche la visita al museo)
– intero 10 €
– ridotto 8 €
Persone che abbiano compiuto i 65 anni d’età
Studenti universitari ed accademie di Belle Arti
Dipendenti dell’amministrazione comunale

– ridotto speciale 6 €
Ragazzi tra i 13 e i 25 anni
Possessori biglietto cumulativo (ingresso ai musei civici per 3 giorni)
Funzionari delle sopraintendenze statali e regionali
Iscritti ad associazioni riconosciute a livello locale e nazionale
Insegnanti con scolaresca (max 4 per classe)
Studiosi accreditati con permesso della direzione del museo
Tutti i visitatori in occasione dell’iniziativa ∆domenicalmuseo, ogni martedì dalle ore
14.00 e ogni giorno a partire da due ore prima della chiusura del museo.

– gratuito
Ragazzi sotto i 12 anni
Portatori di handicap
Possessori Card OttoNoveCento
Possessori Abbonamento Musei Lombardia
Giornalisti
Guide e interpreti turistici accompagnatori di gruppi (con licenza)
Membri dell’ICOM

Audioguide mostra e museo: 3 €

INFO
Tel. 02.88444061
www.museodelnovecento.org

VISITE GUIDATE
Ad Artem
Info e prenotazioni
Tel. 02.6597728
info@adartem.it




Gallerie d’Italia ospitano Bellotto e Canaletto

Un grande evento si prepara a conquistare Milano. Dal 25 novembre al 5 marzo 2017 le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, nella sede milanese in Piazza Scala, ospiteranno la mostra “Bellotto e Canaletto. Lo stupore e la luce“. Si tratta del primo progetto espositivo che Milano dedica al genio pittorico e all’intelligenza creativa di due artisti di spicco del Settecento europeo: Antonio Canal, detto “il Canaletto” (Venezia 1697-1768) e suo nipote Bernardo Bellotto (Venezia 1722 – Varsavia 1780).

Curata da Bożena Anna Kowalczyk, l’esposizione è organizzata da Intesa Sanpaolo in partnership con alcuni tra i più importanti musei europei che conservano le opere dei due artisti.

Con circa 100 opere, tra dipinti, disegni e incisioni, un terzo delle quali mai prima d’oggi esposto
in Italia, il percorso espositivo intende illustrare uno dei più affascinanti episodi della pittura europea, il vedutismo veneziano, attraverso l’opera dei due artisti che, legati da vincolo di sangue (Canaletto e Bellotto erano rispettivamente zio e nipote), seppero trasformare questo peculiare genere nella corrente d’avanguardia che tanto caratterizzò il Settecento.

Mentre Canaletto si impose sul teatro europeo grazie ai particolari procedimenti compositivi, risultato del razionalismo di matrice illuminista e delle più moderne ricerche sull’ottica (sarà in mostra anche la “camera ottica” che egli mise a punto e utilizzò per le sue creazioni), Bellotto, ne comprese i segreti della tecnica per poi sviluppare secondo una personale chiave interpretativa il proprio originale contributo.

Il confronto tra le loro soluzioni pittoriche offre l’occasione per cogliere un eloquente panorama sulla colta Europa del tempo e sulla sua classe dirigente, che fece a gara per commissionare i dipinti ai due grandi veneziani: il viaggio artistico parte da Venezia per toccare Roma, Firenze, Verona, Torino, Milano e il suo territorio, con Vaprio e Gazzada – dove Bellotto mette a frutto l’insegnamento di Canaletto nelle sue vedute e paesaggi di stupefacente modernità – e prosegue quindi alla volta dell’Europa, con i ritratti di Londra, Dresda, Varsavia o Wilanòw, fino a raggiungere luoghi fantastici e immaginari, immortalati nei memorabili “capricci”.

Inoltre la recente riscoperta dell’inventario della casa di Bellotto a Dresda, distrutta dal bombardamento prussiano del 1760, ha permesso di conoscere la biblioteca gettando una nuova luce sulla personalità e l’indipendenza intellettuale dell’artista, sulle sue passioni, la letteratura, il teatro, il collezionismo. L’eccezionale documento (cui viene dedicato un saggio nel catalogo) è esposto assieme a una selezione dei libri più sorprendenti che appartenevano alla sua ampia biblioteca, la più straordinaria tra quelle finora note formate da un artista.

Il catalogo della mostra, realizzato da Silvana Editoriale, contiene saggi su ambedue gli artisti e la loro opera, presenta la nuova ricerca storica e archivistica e illustra i risultati delle analisi tecniche più innovative che hanno permesso di confrontare per la prima volta in modo esaustivo i dipinti e i disegni dei due artisti.

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Bellotto e Canaletto
Lo stupore e la luce

Gallerie d’Italia – Piazza della Scala, 6
Sede museale di Intesa Sanpaolo a Milano

25 novembre 2016 – 5 marzo 2017

Mostra a cura di Bożena Anna Kowalczyk

Apertura
dal martedì alla domenica ore 9.30 – 19.30 (ultimo ingresso ore 18.30)
giovedì ore 9.30 – 22.30 (ultimo ingresso ore 21.30)
chiuso lunedì

Informazioni
numero verde 800.167619; info@gallerieditalia.com; www.gallerieditalia.com

Biglietto
Biglietto: intero 10 euro, ridotto 8 euro, ridottissimo 5 euro
Gratuito per meno di 18 anni e scuole e la prima domenica del mese