di Elisa Pedini – Apre oggi al pubblico la mostra “Gramsci. I quaderni del carcere ed echi in Guttuso” presso le Gallerie d’Italia in Piazza Scala a Milano. L’esposizione, presentata ieri alla stampa da Giovanni Bazoli, Presidente Emerito Intesa Sanpaolo, Silvio Pons, Direttore della Fondazione Istituto Gramsci, Ugo Sposetti, Presidente dell’Associazione Enrico Berlinguer e dal Presidente Emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, resterà fino al 17 luglio. La mostra di questi splendidi 33 quaderni, scritti di proprio pugno da Antonio Gramsci, nel periodo più duro della sua vita e da poco restaurati, è stata esposta al XXIX Salone del Libro di Torino e giunge ora a Milano. La sede delle Gallerie d’Italia non è casuale, anzi, è estremamente contestualizzata, poiché le vicende di questi scritti s’intrecciano con la storia della Banca Commerciale Italiana, che qui aveva la sua sede storica, attraverso la figura dell’allora presidente della Comit, Raffaele Mattioli, noto proprio come “Il banchiere umanista”, poiché operò molto attivamente per sostenere e proteggere gli intellettuali antifascisti, tra cui, appunto, Gramsci, per il quale contribuì in segreto alle spese di ricovero in clinica e poi, dopo la morte dell’intellettuale, si prodigò per salvare proprio questi quaderni. La mostra s’inserisce nel quadro delle attività di Intesa Sanpaolo all’interno di “Progetto Cultura”, che è l’iniziativa del Gruppo vòlta alla valorizzazione della storia e del patrimonio culturale nazionale, non solo attraverso il recupero e la divulgazione delle opere d’arte, ma anche tramite eventi dedicati a quelle personalità che, con la loro stessa vita e le loro idee, ne sono stati importanti protagonisti. Prima di parlarvi dell’installazione voglio introdurvi il contesto, storico da un lato e personale dall’altro, in cui questi quaderni vennero scritti. Antonio Gramsci è stato un uomo di grande spessore, profonda cultura e decisa caratura morale. È considerato uno dei più grandi pensatori del XX secolo. È stato giornalista, linguista, critico teatrale e letterario, filosofo, politico. Lo spazio non mi concede di raccontarvi la sua vita e il suo pensiero in modo dettagliato, posso solo tratteggiarne gli aspetti salienti e purtroppo anche sommariamente, ma v’invito ad approfondire da soli questa figura straordinaria del nostro patrimonio storico e culturale. Nasce ad Ales, in Sardegna, nel 1891. A due anni, si ammala del morbo di Pott, lo stesso del Leopardi. Tale forma di tubercolosi ossea, non solo gli impedirà una normale crescita, ma minerà per sempre la sua salute fisica. Antonio è molto povero, ma ha una mente lucida, brillante, critica e si dedica allo studio con passione e determinazione. Così dotato da conseguire la maturità classica col massimo dei voti e ottenere l’accesso a una delle borse di studio dell’Università di Torino. Quest’aspetto, apparentemente superfluo, non è cosa da poco se si pensa che il morbo di Pott comporta dolori ossei molto forti, nevrosi e tutta una serie di altre problematiche, che per nulla rendono facile la vita. V’invito a immaginare la grandezza dello spirito e della mente di questo intellettuale, che riprenderò in seguito. S’iscrive a Lettere e comincia a frequentare l’intelligentia torinese. Questi sono gli anni della sua iscrizione al partito socialista. Purtroppo, l’entrata in guerra dell’Italia, nel 1915, ferma la sua laurea; ma non la sua mente. Il suo impegno sia politico che giornalistico si fanno crescenti e pregnanti. Antonio vive sulla sua pelle la guerra, la fame, le ripercussioni, anche ideologiche, della Rivoluzione Russa. Nel 1921 viene fondato il Partito Comunista d’Italia. Designato a rappresentare il Partito italiano nell’esecutivo dell’Internazionale comunista, Antonio va a Mosca, dove, peraltro, conosce quella che diventerà sua moglie: Giulia, una bellissima violinista. Avranno due figli, ma, il secondogenito, Antonio lo vedrà solo nascere. Delle due sorelle di Giulia, Eugenia e Tatiana, la seconda sarà sempre in stretto contatto con Antonio e sarà fondamentale per il recupero proprio dei suoi quaderni. Nel 1922 si tiene il IV Congresso dell’Internazionale, che, di fronte all’avvento al potere di Mussolini, pone, ai delegati comunisti italiani, la necessità di fondersi con la corrente socialista e di costituire un nuovo Esecutivo. Nel 1923, in Italia, vengono arrestati i rappresentanti del nuovo Esecutivo. Gramsci resta, così, il massimo dirigente del Partito e deve trasferirsi a Vienna. Nell’aprile dello stesso anno, viene eletto deputato al parlamento. Protetto dall’immunità parlamentare, può rientrare in Italia, a Roma. A giugno, il delitto Matteotti, da parte di gruppi fascisti, solleva una forte indignazione nel paese, che fa sperare a Gramsci il crollo del fascismo. Non è così. Nel gennaio del 1926, a Lione, si svolge clandestinamente il III Congresso del Partito. Gramsci presenta le Tesi congressuali elaborate insieme con Togliatti. La “questione meridionale” è un problema che lui sente molto forte e che, difatti, ritorna nei suoi stessi quaderni. Egli analizza lucidamente lo sviluppo politico italiano a partire dal 1894. Il 31 ottobre 1926, Mussolini subisce, a Bologna, un attentato senza conseguenze personali, che, però, costituisce il pretesto per l’eliminazione degli ultimi residui di democrazia. Il 5 novembre il governo scioglie i partiti politici d‘opposizione e sopprime la libertà di stampa. È l’8 novembre del 1926, quando, in violazione dell’immunità parlamentare, Antonio Gramsci viene arrestato nella sua casa e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Dopo un periodo di confino a Ustica, viene tradotto nel carcere milanese di San Vittore. L’istruttoria va per le lunghe. Non ci sono prove per montare su di lui accuse credibili. Il 1° febbraio del 1927, Mussolini, istituisce il Tribunale Speciale Fascista. Tutti i componenti, dal presidente ai giurati, appartengono alla milizia fascista. Tutti in uniforme. Sintomatico come il pubblico ministero termini la sua requisitoria con una frase entrata nella storia: «Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare». L’ho premesso: la mente e lo spirito di Gramsci sono inarrestabili. Viene condannato a vent’anni di reclusione e tradotto nel carcere di Turi, in Puglia. Ma, se il corpo d’un uomo può essere messo in catene, altrettanto non si può fare col suo pensiero. Una mente libera, resterà per sempre libera. I quaderni che oggi possiamo ammirare in questa mostra, custoditi gelosamente in teche di vetro, ne sono la più potente e incontestabile prova. A Gramsci non fu concessa subito la possibilità di scrivere. Ottenne il permesso soltanto nel gennaio del 1929. Proseguì la sua attività di scrittura anche quando, le peggiorate condizioni fisiche, ne obbligarono il trasferimento in clinica a Formia, nel 1933. Morì in una clinica di Roma il 27 aprile del 1937, assistito dalla cognata, Tatiana. Alla sua morte, fu proprio lei a prendere in consegna i suoi quaderni, catalogandoli e numerandoli con cifre romane, quindi, li inviò a Mosca. Rientrarono in Italia solo nel 1945. In questi 33 manoscritti ritroviamo tutto il suo pensiero di filosofo, di politico, d’idealista, di uomo. Le tematiche riguardano: la storia d’Italia, la funzione degli intellettuali, la letteratura popolare e altre «quistioni», come le chiama lui, filosofiche, storiografiche e politiche. Ne notiamo la scrittura: regolare, precisa, lineare e minutissima. Tipico d’un’intelligenza profonda e raffinata, d’una mente lucida, penetrante e acuta osservatrice. La commozione non può non assalire chi osserva. La mostra, inoltre, offre didascalie interessanti su ogni oggetto esposto e ne illustrano il contenuto. In più, i quaderni sono integralmente consultabili in formato digitale attraverso touch screen, occasione meravigliosa per poterli “sfogliare” e poter confrontare il quaderno originale con il suo doppio digitale. L’allestimento è arricchito dall’esposizione di due dipinti di Guttuso, che proprio grazie a questa mostra possiamo ammirare qui a Milano e che riprendono simbolicamente alcuni temi gramsciani, nonché la visione dell’arte come impegno civile. “La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio” del 1955, proveniente dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma, raffigura la vittoriosa battaglia combattuta da Garibaldi a Palermo il 27 maggio 1860 e ci consente un parallelismo con le note di Gramsci sull’impresa garibaldina, sui Mille, sullo scontro tra democratici e moderati e sulla “questione meridionale” prima e dopo l’Unità d’Italia. Il secondo dipinto esposto è “I funerali di Togliatti” del 1972, conservato al MAMbo, Museo d’Arte Moderna di Bologna, ove la presenza di Gramsci è richiamata in più modi: il suo volto accanto al feretro di Togliatti e i riferimenti alle sue tematiche: il moderno partito politico, gli intellettuali, le classi subalterne e la dimensione nazionale e internazionale.
Le Gallerie d’Italia sono aperte dal martedì alla domenica dalle 9.30 alle 19.30, ingressi fino a un’ora prima dalla chiusura. Il giovedì l’orario si prolunga fino alle 22.30, con l’ultimo ingresso alle 21.30. Il costo del biglietto è di € 5,00 e consente l’accesso anche alla mostra “La Bellezza ritrovata”. Il 2 giugno le Gallerie saranno aperte.
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