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de Pisis: piccole riflessioni dopo la mostra al Museo del Novecento

di Silvia Ferrari Lilienau – Intanto: che sollievo visitare una mostra che sia tale, non un’esperienza immersiva in cui i dipinti siano manipolati per coinvolgere i sensi e la fantasia degli spettatori. Che sollievo che la mostra di Filippo de Pisis al Museo del Novecento non sia un piccolo Luna Park, ma la mostra di una novantina di opere in un crescendo cronologico, con pannelli esplicativi a introduzione delle sale. 

Che poi una mostra così allestita non sia facile è pegno inevitabile da pagarsi all’arte, visto che sarebbe sensato – contro l’insensatezza di ogni banalizzazione – accettare che l’arte non sia facile. Che sia comunque lecito accostarvisi è fuor di dubbio, come pure che sia doveroso provare a renderla accostabile. Ma, appunto, lo spostamento dovrebbe essere del cultore verso l’arte, per tramite di studiosi tenuti a offrire strumenti interpretativi, e non, invece, dell’arte verso il cultore, perché in tal caso si rischia una spettacolarizzazione quasi mai rispettosa della natura dell’opera.

Certo rifuggono da ogni forma di spettacolarizzazione i dipinti di Filippo de Pisis. Tutti, nessuno escluso, dalle prime nature morte che testimoniano l’incontro a Ferrara con de Chirico e Savinio, ai paesaggi e alle figurette agili degli anni parigini, e poi oltre, nei soggetti che tornano uguali, ma sempre più segnati da un pennello rapido e leggero, in cui sosta infine anche il suo arretrare alla vita.

A parte le prove che sono esplicito omaggio allo spaesamento metafisico, se si pensa alla pittura di de Pisis la si rivede costruita con segni brevi e vibranti, che toccano la tela in velocità. Carattere questo da più parti considerato troppo lieve, benché le parole di Elio Vittorini – citato in catalogo nel saggio di Pier Giovanni Castagnoli – bastino a garantirne il pondus: nel 1933, ne “L’Italia Letteraria” Vittorini scriveva infatti di come i detrattori di de Pisis non si rendessero conto dei “novemila metri di profondità ch’egli raggiunge senza nemmeno indossare lo scafandro”.

A ben vedere, si ha l’impressione che dipingere fosse, per de Pisis, come scrivere, là dove la scrittura era stata la sua vocazione prima e precoce, nonché una prassi mai interrotta. Rimangono di lui lettere, articoli, scritti di storia dell’arte, prose, poesie, diari. Non aveva ancora venti anni quando conobbe de Chirico e Savinio, e però a casa di Corrado Govoni, che aveva scritto per lui la prefazione a I Canti de la Croara, pubblicati già nel 1915.

Solo che nella sua pittura, la polpa materica un po’ sfatta si carica di un silenzio invece difficile a tradursi in parola scritta.

Come ne La lepre del 1932, con l’animale morto allungato sul tavolo, la pelliccia stropicciata dai picchiettamenti del pennello e la piccola chiazza di sangue accanto al muso, quasi colore sgocciolato, quasi una dimenticanza.

Il silenzio che si fa tattile, alla fine, dentro alle nature morte dipinte nella casa di cura dove avrebbe concluso i suoi giorni. In Cielo a Villa Fiorita, del 1952, l’esterno diventa un piccolo quadro in un interno, un quadro nel quadro in cui de Pisis sembra ricordarsi di se stesso quando componeva nature morte su uno sfondo di mare e cielo, a dire – allora – lo spazio senza margini anche del suo pensiero.

de Pisis

Milano, Museo del Novecento, 4 ottobre 2019-1 marzo 2020

a cura di Pier Giovanni Castagnoli con Danka Giacon

Catalogo a cura di Pier Giovanni Castagnoli, Milano, Electa, 2019




Sostenibilità in cucina

La cucina “zero waste” ovvero che non produce alcun rifiuto è tra i nuovi trend nella cucina d’autore. Non solo quindi attenzione spasmodica al prodotto biologico e, ancora meglio, ai piccoli fornitori locali, ma anche focus sul riciclo, riutilizzo e riduzione di ogni scarto. Una ristorazione pienamente sostenibile passa infatti inevitabilmente dalla lotta agli sprechi alimentari.
Tra i pionieri di questa scelta innovativa di ristorazione ci sono il tre volte stellato Massimo Bottura a e Dan Barber. Lo chef alla guida de “L’Osteria Francescana” ha dato vita nel 2016 al progetto Food for Souls, una Ong che anche grazie all’esperienza maturata con i Refettori, combatte gli sprechi alimentari. Barber invece, tra Londra e New York, ha creato dei temporary restaurant “WastED” con l’obiettivo di mostrare la creatività della cucina del riciclo e allo stesso tempo far riflettere sull’enorme spreco alimentare che, quotidianamente, avviene sulle tavole dei ristoranti di tutto il mondo. Ma non sono i soli. La sostenibilità permea ormai ogni ambito della vita sociale e personale e l’applicazione più integrale di questo approccio ai fornelli porta appunto all’approccio “zero waste”.

È un po’ come tornare indietro alle tradizioni contadine quando non era ammissibile sprecare le già limitate risorse (la francese bouillabaisse è un tipico esempio di queste tradizioni, ma anche la ribollita tanto per “giocare in casa”). Nel nuovo Millennio tuttavia la ricerca del “no waste” si sposa con una maggiore consapevolezza e con la volontà di perseguire fino in fondo i valori sostenibilità ambientale, economica e sociale.

In questi ultimi anni stanno aumentando le sperimentazioni di nuovi modelli di ristorazione a zero rifiuti anche se spesso si ricorre al format “pop up restaurant” piuttosto che a un locale stabile, come è accaduto con il trendy Zero Waste Bistrot di New York, inaugurato nel corso della Design Week per invitare a riflettere sull’economia circolare. In parallelo sono in crescita anche le certificazioni rivolte all’eco ristorazione come le americane Green Restaurant 4.0 Standards e Green Seal Gs-46, la neozelandese The Better Cafè and Restaurant e l’europea Nordic Ecolabelling for Restaurants.

In Italia il trend è ancora agli albori, soprattutto per quanto riguarda l’interpretazione creativa della cucina “no waste”. Ma la direzione è ben segnalata non solo dalle esperienze estere, ma anche dall’elevata sensibilità che le nuove generazioni mostrando sul tema. E a Milano la sperimentazione appare già ben a avviata.

Franco Aliberti ha impresso una svolta sostenibile nella cucina del ristorante Tre Cristi. La parola chiave è cucina attenta all’ambiente ed ecosostenibile: ogni piatto esalta le singole materie prime, presentate in diverse consistenze e utilizzando tutte le parti commestibili di frutta e verdura. Una innata curiosità e voglia di sperimentare: Franco Aliberti si avvale delle più moderne tecniche di cottura ma predilige un ritorno all’uso di cucina ancestrale, materica, come quella della griglia, che diviene garanzia di una cucina personale e decisamente creativa. “Sotto i riflettori il singolo ingrediente, bilanciato al massimo da altri due di supporto, perché amo colpire con la semplicità più che con la complessità, reinterpretando anche un semplice broccolo con una vena giocosa, senza perdere di vista la sostanza del piatto” racconta Franco Aliberti.

Tra le apertura più recenti il Røst porta invece in scena milanese un concetto di cucina circolare, con la riscoperta dei tagli poveri e una selezione di vini naturali di nicchia.
Massima attenzione alla materia prima e utilizzo degli ingredienti nella loro totalità caratterizzano la proposta gastronomica di una carta che ha due focus principali: i vegetali, dove la verdura di stagione è regina del piatto e i tagli poveri. Piatti della tradizione con gusti decisi, realizzati con delicatezza, pensati per tutti. Al numero 3 di Via Melzo, che sempre di più si distingue come la nuova food street del distretto di Porta Venezia. La carta del Røst abolisce le categorie di ordine (antipasti, primi, secondi, contorni), prediligendo un racconto orizzontale tra piccoli piatti da condividere liberamente, per favorire l’assaggio e la convivialità. Le proposte cambiano in relazione alla disponibilità di materie prime, aggiornandosi anche giorno per giorno per valorizzare gli ingredienti ed evitare gli sprechi. Una successione numerica caratterizza ogni menù, a testimonianza della freschezza di ogni selezione. La parete d’ingresso mette in scena i protagonisti con il Wall of Fame: 16 piatti in ceramica, ognuno raffigurante un produttore/fornitore di materie prime, disposti nello spazio a creare la ø di Røst.

Tra le esperienze all’estero più significative in evidenza quella d el Silo a Brighton nel Regno Unito a cura di Douglas McMaster. Porta in alto un concetto integrale di “zero waste”: i prodotti sono coltivati localmente e consegnati senza packaging, le bevande alcoliche (prodotte attraverso la fermentazione) o meno sono prodotte in casa utilizzando anche le erbe del territorio, i piatti sono di plastica riciclata, tavoli e sgabelli derivano dal processo di riciclo del legno, gli avanzi alimentari infine finiscono in una compostiera (messa a disposizione anche al resto della comunità) in grado di generare fino a 60 chili di compost in 24 ore. “Silo è nato dal desiderio di innovare l’industria alimentare dimostrando rispetto per l’ambiente, per la produzione del cibo e per il nutrimento dato al corpo. Questo significa che noi partiamo dalla forma originaria degli ingredienti, evitando gli sprechi nella preparazione dei piatti e preservando l’integrità e i valori nutrizionali degli alimenti” racconta McMaster. Una nuova etica in cucina che si sposa a menù strabilianti. Nei menù degustazione (quattro portate a 33 sterline a testa) troneggia, ad esempio un gelato ai semi di zucca con foglie di fisco, mentre tra gli snack si può scegliere per 3 sterline un piatto di spine di sgombro croccanti fermentate nel chili.

L’idea alla base dei locali Instock, nati ad Amsterdam e ora presenti anche a Utrecht e Anversa, oltre che con furgoncini attrezzati per lo street food, è quella di utilizzare cibi brutti ma buoni, ovvero quelli scartati dalla catena della grande distribuzione per problemi di standard di qualità o di sovrapproduzione, così da sensibilizzare gli utenti a una scelta sostenibile “Buttare via un prodotto alimentare non significa solo gettare via i soldi, ma non curarsi dell’enorme spreco di energia prodotto per la produzione e la conservazione di un alimento poi buttato” sostengono da Instock dove sono persino riusciti a creare due tipologie da patate e pane di scarto, la Pieper Bier e la Bammetjes Bier. L’utilizzo di prodotti invenduti o di scarto da parte degli chef di Instock significa anche che ogni giorno è diverso dall’altro nei locali della catena di ristorazione dove la creatività è, necessariamente, la parola d’ordine.

Nolla a Helsinki di Carlos Henriques, Luka Balac e Albert Franch Sunyer. Il Nolla è il primo ristorante a zero rifiuti della penisola scandinava, divenuto alla fine stabile dopo una serie di aperture temporanee (in ultima quella presso il Christmas Markets). In pochi mesi di vita è subito diventato una delle esperienze da non perdere per chi va a Helsinki grazie creatività ai fornelli e alla tecnologia utilizzare per render possibile il progetto. La scelta dei tre startupper, finanziati tramite una raccolta di crowdfunding, è stata integrale: non solo l’attenzione a evitare ogni spreco in cucina è totale, anche oggetti, utensili, energia e arredi per il locale sono stati accuratamente scelti seguendo il mantra “riduzione degli sprechi, riciclo e riutilizzo”. Il locale si è perfino dotato di una macchina da compostaggio per gli avanzi alimentari. Il percorso degustazione da due portate costa 45 euro, quello da tre invece 59 euro.
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Aqua Dome, un’oasi di benessere in quota

Circondato dai ghiacciai tirolesi, l’Aqua Dome è un’oasi del benessere alpino grazie ai suoi 22mila metri quadrati votati al relax dove trascorrere una  vacanza andando alla scoperta di questo angolo di Austria, a meno di un’ora da Innsbruck e mezz’ora dalle piste di  Sölden dove ha sciato persino James Bond (a cui non a caso è dedicato un museo).

 

Il centro termale di Aqua dome sorge all’inizio della valle del Längenfeld ed è subito riconoscibile grazie al design futuristico delle sue vasche esterne e, in particolare, delle sue tre “navicelle spaziali”, piscine termali che pare galleggino nell’aria, dove si possono alternare getti idromassaggio, acqua solforosa e  vasca salina (con un contenuto di sale al 5%).

Qui all’Aqua Dome la remise en forme è completa grazie alle dodici vasche e ai tre piani di idromassaggi, cascate, saune e bagni di vapore di ogni tipo e temperatura, stanze al sale e bagni remineralizzanti. Il percorso ideale inizia nel cuore di Aqua Dome, nel “duomo termale”, una gigantesca cupola di cristallo dove ci si rilassa circa tra idromassaggi e getti e ci si lascia trasportare dall’acqua  verso le vasche esterne. Si prosegue poi verso il  “Gletscherglühen” dove tra saune al fieno, panoramiche o finlandesi, piscine salina circondate da pareti di sale, piscine e bagni di vapore alle erbe, accompagnati da Aufguss (gettata di vapore), effetti di luce o aromi speziati, e infine oasi relax, ognuno  può trovare la ricetta del benessere più adatta per sé.  Volendo poi si possono ammirare le luci del crepuscolo in accappatoio, magari sorseggiando delle bollicine in uno dei tre bar del centro, per poi scivolare nell’acqua termale  ammirando le luci colorate di quest’oasi di benessere e la  stellata che si stende sulle cime dell’Ötztal. Per una vacanza indimenticabile infine si può scegliere di soggiornare presso le terme raggiungibili dalle camere grazie a un percorso riscaldato sotterraneo. Gli opsiti dell’hotel, una struttur a cinque stelle, hanno accesso anche a un’area termale riservata, Aqua Dome 3000, da cui si gode un suggestivo paesaggio sui ghiacciai tirolesi.

 




Un brindisi a tutta Bottega

Nel mondo, dai duty free alla compagnie aeree, si brinda con i vini Bottega resi iconici dalle bottiglie metallizzate delle bollicine.  Un packaging che come raccontato dal capo azienda Stefano Bottega “non è mai stato un artificio fine a se stesso, ma uno strumento per comunicare la qualità del prodotto”. In particolare,  le bottiglie metallizzate, in particolare la Gold, richiamano Venezia e la sua raffinata eleganza: una bellezza assoluta e mai stucchevole. “Questa bottiglia ha dato prestigio al Prosecco Doc” sostiene l’imprenditore che poi ricorda come “Le due bottiglie sorelle, Rose Gold e White Gold, contengono nell’ordine un Pinot Nero spumante vinificato rosè e un uvaggio Venezia Doc, nuova denominazione compresa tra le colline di Conegliano e la laguna di Caorle”.

L’idea di proporre un percorso di innovazione anche nella presentazione stessa delle bottiglie nasce tuttavia per Bottega nell ‘universo della grappa per cui era stata adottata £una bottiglie in vetro soffiato per trasmettere un concetto di preziosità del distillato. La grappa spray è nata per regalare l’emozione fuggevole di un assaggio olfattivo, in conformità con l’adagio che la grappa si “assaggia prima di tutto con il naso”. La Grappa Riserva Privata Barricata con l’originale bottiglia a base quadrata e l’etichetta che si sviluppa su due facce ha vinto numerosi premi, tra cui nel 2010 l’Etichetta d’Oro del Vinitaly 15th International Packaging Competition”.

E in effetti Bottega nasce nel mondo della grappa 42 anni fa per poi entrare nell’universo variegato del vino a partire dal 1992. A raccontarlo è lo stesso Stefano Bottega oggi a capo dell’azienda: “L’azienda nasce come distilleria e ancora oggi sento che le mie radici affondano nelle vinacce da cui deriva la grappa. Tuttavia quello della distillazione è un mondo circoscritto che ha spinto me e la mia famiglia ad approcciare il vino che con la grappa condivide la stessa origine. E dalle colline di Conegliano il primo passo non poteva che essere il Prosecco che nei primi anni ’90 non aveva ancora conosciuto il boom attuale, ma era soltanto uno dei tanti vini spumanti del panorama enologico italiano. La crescita del Prosecco e di pari passo quella dell’azienda ci hanno consentito di diversificare e di produrre, oltre a molti altri vini anche i grandi rossi della Valpolicella (Amarone e Ripasso) e della Toscana (Brunello di Montalcino, Bolgheri, Chianti). In Valpolicella, a Valgatara, abbiamo una nuova cantina di proprietà, di cui abbiamo appena terminato la ristrutturazione, conservando l’architettura storica dell’edificio”.

La famiglia Bottega è entrata nel vino nel 1992, dapprima commercializzando il Prosecco prodotto da terzi. Nel 2007 con l’acquisizione della sede a Bibano di Godega e di 10 ettari di vigneti coltivati a Prosecco ha iniziato a produrre nella propria cantina che oggi conta oltre 100 autoclavi. Negli ultimi anni nuove acquisizioni a Vittorio Veneto e a Follina hanno portato a 20 ettari i terreni vitati di proprietà nella zona del Prosecco. Nel 2018 è stata aperta la cantina di proprietà a Valgatara in Valpolicella. Sempre dal 2018 è in funzione un’altra piccola cantina a Vittorio Veneto destinata alla produzione del tradizionale Prosecco Colfondo. Dal 2009 ha in gestione diretta a Montalcino una cantina dove vengono prodotti Brunello di Montalcino, Rosso e Sant’Antimo. Oggi  oltre ai vini e alle grappe, il  portafoglio di Bottega conta anche Limoncino, liquori a base frutta e crema e gin grazie a cui copre quasi completamente la gamma del beverage ed esporta prevalentemente in Canada, Germania, Uk, Olanda, Svizzera, Usa, Giappone e Scandinavia.

Tra i progetti più innovativi una particolare attenzione meritano i  “Prosecco Bar”,  un concept ideato da Bottega con la finalità di esaltare le eccellenze del nostro Paese . Nello specifico viene riproposta la filosofia del bacaro veneziano, ovvero di un’osteria informale, dove i cibi vengono presentati sia come “cicheti”, ovvero stuzzichini da consumare al bancone, sia come piatti più strutturati da servire ai tavoli. L’abbinamento con il Prosecco, privilegiato per la sua versatilità, e con altri vini italiani chiude il cerchio. Bottega Prosecco Bar è quindi un’evoluzione di questa filosofia, che estrapolata dalla realtà veneziana, è riproducibile in tutto il mondo. L’asse portante del progetto è il “Perfect Match”, ovvero l’abbinamento ideale tra i cibi tipici delle cucine regionali italiane e i diversi vini proposti da Bottega.

Quanto infine al vino preferito, l’imprendiore non ha dubbi: è il Pas Dosé Millesimato Stefano Bottega, un vino spumante, prodotto con metodo Charmat, che garantisce freschezza e facilità di consumo. Ha la sua cifra identificativa nel basso contenuto di zuccheri e nella prolungata persistenza aromatica, in quanto ha origine da un equilibrato uvaggio che assembla un 80% di uve Glera, le stesse del Prosecco, con un 20% di Chardonnay. Viene spumantizzato in autoclavi d’acciaio, dove in presenza di lieviti selezionati si compie naturalmente l’intero processo di fermentazione. Si può quindi definire un “vino nature”, che accarezza il palato con una struttura essenziale, asciutta e al tempo stesso armonica. Un vino ideale da abbinare alle moeche, ovvero i granchi che tutto l’anno popolano la laguna veneta e che solo per poche settimane all’anno assumono la stato di moeca, abbandonando nel periodo di muta il vecchio carapace.La tradizione vuole che le moeche si mangino fritte accompagnate da una polentina bianca morbida.




Netri e i Laredo: arriva l’album della band Toscana

Dopo l’uscita di “Amore tattile” , il nuovo singolo della band toscana Netri e i Laredo, che lancia il loro primo album “Sogni di periferia” e si posiziona  da subito nelle classifiche vendita (album) di iTunes, nonché nelle classifiche radio airplay (per la categoria indipendenti), arriva finalmente anche il video.

“Sogni di periferia” è il titolo del vostro disco. Da dove nasce?

Nei sogni di periferia sono racchiuse le aspirazioni e i desideri di rivalsa di chi vive tutti i giorni nelle zone di periferia e che spesso sente forte la necessità di emanciparsi.

Gli stessi “Netri e i Laredo” sono principalmente un gruppo di quattro amici che provengono da Piombino, in provincia di Livorno, e possiamo dire che una piccola parte del nostro sogno di periferia si è avverato attraverso la pubblicazione di questo album di cui siamo soddisfatti, supportati e guidati da un ottimo team di professionisti.

Qual è la vostra storia musicale prima dei “Netri e i Laredo”? 

Ci conosciamo da tantissimi anni e da altrettanti suoniamo insieme in quanto fino al 2015 militavamo in una band hard rock in lingua inglese (Deadly Tide) con la quale abbiamo incisi vari album, partecipato a colonne sonore di film e dato vita a svariati show in Italia e all’estero. 

Come sono nate le importanti collaborazioni artistiche per la realizzazione del singolo “PER NIENTE FACILE”?

Il tutto è nato da un’intuizione di Federico Poggipolini (chitarrista di Ligabue e Litfiba), con il quale abbiamo collaborato per la produzione del nostro ultimo album a nome Deadly Tide, il quale ci ha consigliato di provare questo brano con un testo in italiano. Da qui è nata ” Per niente facile”, che è stata poi sviluppata da due grandi musicisti e produttori quali Niccolò Fragile e Davide Bosio.

Quali sono i progetti che vi terranno impegnati nel futuro prossimo?

Senza dubbio le esibizioni live per promuovere l’album non mancheranno e inoltre, per lo stesso motivo, abbiamo da pochissimo pubblicato il videoclip del singolo di lancio dell’album, “Amore tattile”, che ha  una protagonista femminile d’eccezione Anna Spina, finalista miss Italia 2017 (top 10). Il video racconta le sfaccettature dell’amore vissute da una giovane ragazza madre: l’amore verso suo figlio con tutte le difficoltà di crescere un bambino da sola e la ricerca di un nuovo amore con qualcuno che dovrà comunque accettare la sua difficile situazione. Una giovane madre persa in una situazione più grande di lei, che sembra andare verso l’orlo del baratro, ma la storia si chiude con un messaggio finale di speranza… perché l’amore è sempre la risposta, anche alle difficoltà: non è una scelta, lo si vive e basta e a volte lo si incontra solo  strada facendo. 

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foto Netri e i Laredo di Chiara Sardelli

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Morgan While esordisce come cantautore con il singolo The King of the Nowhere

The King of the Nowhere è  il singolo di esordio di Morgan While (Federico Lovato), arrangiato e composto insieme a Luca Sven Macher (Dreamsound Labs, Routing Studio). Si tratta di un brano molto particolare, che rispecchia la passione del suo autore per la narrativa fantasy.

Morgan While da dove arriva questo pseudonimo?

Morgan While è uno pseudonimo inventato come nickname per giocare online, unendo uno dei miei nomi preferiti, Morgan, con una parola che mi piaceva per assonanza, While. 

Morgan While è più producer, Dj, compositore, cantante?

MW vuole essere un progetto “smart”. Oggigiorno un musicista non può permettersi di essere una cosa sola, bisogna saper essere un po’ di questo, un po’ di quello, maturare sempre più conoscenza ed esperienza.

Dicci qualcosa di questo nuovo singolo, dal respiro molto internazionale

The King of the Nowhere è la storia di uno spaventoso invasore proveniente da altri mondi, che spunta nel cielo sconvolgendo l’intera umanità al suono dei suoi cannoni, mentre intona il suo spietato “canto di libertà”. Ma proprio nel momento più disperato per l’umanità, a rischio di estinzione, i pochi sopravvissuti riescono a dimenticare secoli di rancori tra razze e culture diverse, unendosi per organizzare una controffensiva che metta in ginocchio il nemico.  Una storia fantascientifica, allegoria della società attuale, troppo spesso dominata da odi, rancori, estremizzazione delle differenze e delle divisioni tra popoli e persone, sulla base della diversità di etnia, cultura, credo, natura…  

Perché la scelta dell’inglese?

Gli amici danno la colpa alla mia erre moscia per prendermi in giro ma, sinceramente, non saprei proprio dire il perché; adoro le sonorità inglesi, francesi, saranno le mie origini austriache ma trovo interessante anche la pronuncia tedesca, faccio la musica che mi sento di fare e la scrivo come mi esce, la lingua non è mai un limite, anzi, è come una formula magica!

Quali le prossime news?

Nei mesi futuri mi vedrete impegnato coni miei djset e da qui a Dicembre punto a rilasciare almeno due singoli.

Programmi in cantiere?

News in arrivo nell’immediato: presto il video di “The king of the Nowhere” e altre novità.

foto di Chiara Sardelli

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Andrea Palumbo: Da qui ad ogni secondo, un esordio che parla di vita

Da qui ad ogni secondo”, in radio e negli stores digitali dallo scorso 11 febbraio, è il titolo del primo singolo del giovane artista novarese Andrea Palumbo, un brano il cui sound e la cui struttura richiamano fortemente le sonorità del pop italiano, ma con influenze internazionali. Frutto della consolidata collaborazione tra l’artista e “La Sociedad”,  team di produttori italiani che ha scritto e prodotto il pezzo e che ha all’attivo una certificazione Fimi d’oro per l’album di Thomas “#18 Edition” (Warner Music), il brano tratta un tema attualissimo: la vita di un adolescente che si trova, come tutti, ad affrontare il passaggio all’età adulta.

Andrea, quando hai deciso di dedicarti alla musica?

Ho deciso di dedicarmi alla musica dopo l’ascolto di un brano di Giorgia. Il brano che portò a Sanremo nel ‘94, “E poi”. Mi ha letteralmente emozionato! 

Che studi musicali hai intrapreso fino ad oggi?

Sono partito cantando nel coro della scuola elementare, poi dopo le elementari ho accantonato il tutto per poi riprendere seriamente all’inizio delle superiori con l’insegnante Aurelio Pitino, il mio attuale insegnante di canto .

Nel frattempo ho suonato qualche strumento quale chitarra, piano e violino, anche se devo ammettere che il pianoforte è lo strumento che uso di più. Ne ho uno anche in camera mia. Durante il periodo liceale ho avuto il piacere di conoscere Carlo Montanari, Danilo Galenda e Sara Laddomada, che sono stati fondamentali nella nascita del brano “Da qui ad ogni secondo” ed altri del mio progetto! Fanno parte di un team di produttori denominati La Sociedad. Ci siamo conosciuti durante uno stage di canto, hanno notato subito il mio timbro e mi hanno chiesto di iniziare una collaborazione. Con loro mi sento a mio agio, posso parlare di ogni cosa, sono delle persone, prima di essere dei professionisti!. Per me il lato umano è tutto nel lavoro, è un punto che prendo seriamente in considerazione nella scelta dei collaboratori, ad esempio il mio fotografo Vito Vagali.

Di cosa parla questo singolo?

Ho da poco finito le superiori, quindi è da qui che ho voluto cominciare. Il brano è autobiografico, è una presa di coscienza del percorso umano, spirituale che ho esplorato fino ad adesso. In questo brano sono presenti insicurezze e paure… che mi hanno permesso di arrivare fin qui con nuove consapevolezze, nuove risposte e forze maggiori. Perché quando finisci la scuola, sembra nascere una nuova vita, alla quale devi abituarti. A cominciare dalle ore di Università!

Nel tuo inedito si sentono molto le influenze di Tiziano Ferro,Marco Mengoni, hanno inciso nei tuoi ascolti?

Sicuramente hanno avuto una grande influenza, come del resto Giorgia, Sam Smith, la grandissima Whitney e Mariah Carey. Quello che mi affascinava e che mi affascina tuttora sono i colori e le sfumature che riescono a dare nell’interpretazione di un brano. Devo ammetterlo, all’inizio dei miei studi di canto sono stato incline a copiare e incollare la loro modulazione vocale.

Ti piacerebbe partecipare ad un talent come Amici ed Xfactor?

Chi non vorrebbe! Per iniziare un percorso il trampolino del Talent se si ha un progetto dietro, è necessario per arrivare al grande pubblico!

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Sicuramente continuare a cantare a livello professionistico.

 

 

foto di Vito Vagali

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A Pavia si festeggia il pi greco day

Terza edizione, dopo il grande successo delle precedenti, del pi greco day a Pavia.

Un numero sfuggente e intrigante che ha ispirato l’immagine della locandina di quest’anno: Mani che disegnano di Escher. Una ricerca costante e continua delle cifre di un numero irrazionale che permea la realtà che ci circonda ma anche la fantasia, infatti, al suo interno potrebbe essere custodito un messaggio alieno o un segreto primordiale oltre che tutto lo scibile.

A promuovere l’iniziativa è l’Istituto Superiore Statale TaramelliFoscolo e l’ARMT Milano con la collaborazione dell’Università degli Studi di Pavia e dell’I.I.S. Volta.

L’iniziativa, patrocinata dal Comune di Pavia, avrà inizio alle 9:00 nella sala conferenze del Museo Civico, presso il Castello Visconteo, con un concerto, a cura degli allievi del Liceo Musicale Cairoli di Pavia, durante il quale verrà suonato anche il pianoforte, recentemente restaurato, di Einstein.

La mattinata proseguirà nei chiostri del Liceo Scientifico Taramelli e del Liceo Classico Foscolo con una serie di conferenze di Matematica, Arte, Fisica e cinema. In piazza della Vittoria, lato Broletto, sino alle 13:00 saranno attivi diversi laboratori di divulgazione scientifica.

Anche quest’anno viene riproposto il giro turistico nei luoghi di Einstein a Pavia, a cura degli allievi della sez. Turistica dell’Istituto Tecnico Bordoni, per ricordarne il legame ma anche la ricorrenza della nascita.

Nel pomeriggio le iniziative si sposteranno al Museo della Tecnica Elettrica (prenotazione obbligatoria) e alla libreria Feltrinelli. In chiusura di settimana alla libreria Delfino ci sarà l’incontro con Ennio Peres.

 

Ecco il programma completo:

Musei Civici Sala Conferenze Castello Visconteo Pavia

Apertura dei lavori alla presenza delle Autorità cittadine, del Dirigente Scolastico dell’IstitutoSuperiore Statale Taramelli-Foscolo, Prof. Oler Grandi e della Presidente dell’A.R.M. T. Milano Prof.ssa Rosa Iaderosa

ore 9:00  Apertura Musicale, a cura degli allievi del Liceo Musicale A.Cairoli di Pavia  verrà suonato il Pianoforte di Einstein

ore 9:30 Intervento del Prof. Lucio Fregonese, Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Pavia

Chiostro Liceo Scientifico Taramelli

ore 10:00 – 10:45

Arance, alveari e correzione di errori in codici complessi

Conferenza di Matematica a cura del Direttore del Dipartimento di Matematica dell’Università degli Studi di Pavia, Prof. Ugo Gianazza

ore 11:00 – 11:45

Pi greco, la fase, l’interferenza: dalla fisica classica alla fisica quantistica 

Conferenza di Fisica a cura dei proff. Lucio Andreani e Matteo Galli.

Chiostro Liceo Classico Foscolo

ore 10:00 – 12:00 

Conferenza di Matematica e Arte “Cornelius Escher: di-segni e di numeri”, a cura dei Proff. Emanuele Vicini, I.I.S. Volta, Ludovico Pernazza, Dipartimento di Matematica dell’Università degli Studi Pavia

ore 12:00 -13:00

Il cielo cade

lezione cinematografica ispirata ad alcuni frame de sulla storia di Robert Einstein, a cura del Prof. Simone Leddi, Liceo Omodeo di Mortara

Maratona nei luoghi di Einstein a Pavia dalle 9:00 alle 13:00

Museo Civico Castello Visconteo

Museo della Storia dell’Università

Liceo Classico Ugo Foscolo

Casa di Einstein, in Via U.Foscolo

Industrie Einstein-Garrone

Ponte Vecchio

Laboratori in Piazza della Vittoria dalle 9:00 alle 13:00

Sezioni coniche: Macchine Matematiche (Associazione Macchine Matematiche di Modena)

Il giardino di Pitagora

Geometria sulla sfera

Prodotti davvero notevoli

Il tiro al pi greco

Giochiamo disegnando “pi greca

Sezione aurea girando attorno a noi

Ammoniti auree”

Museo della Tecnica Elettrica 

Ondivaghiamo presso MTE

a cura della Prof. Carla Vacchi

(nel pomeriggio su prenotazione obbligatoria)

Libreria Feltrinelli: 

dalle 18:00 alle 19.00

Mettiamoci in gioco con la Matematica, a cura di Valeria Ferrari 

Libreria Il Delfino, 

19 marzo, ore 18:00

Uno zero infinito. Divertimenti per la mente

L’autore Ennio Peres dialoga con Gipo Anfosso




Mara Bosisio: il nuovo singolo è Liquido, come la nostra società

Liquido è il nuovo singolo della cantautrice Mara Bosisio, in radio e negli stores dal 21 gennaio,  e propone una tematica insolita nell’attuale panorama musicale: una  personale e libera interpretazione del concetto di “società liquida” del sociologo polacco Zygmunt Bauman.

Ne parliamo con  questa talentuosa e impegnata artista, che divide il suo tempo tra impegni musicali, sportivi e televisivi.

1. Come nasce Liquido?

Dopo essermi imbattuta in una delle teorie più importanti del sociologo polacco Zygmunt Bauman sulla “società liquida” ho avuto l’idea del brano;  chiaramente una mia personale e libera interpretazione del suo concetto (oggi più che mai ancora molto attuale), applicato al mio modo di vivere e percepire la realtà.

La canzone, quindi, è stata realizzata  grazie alla collaborazione con il producer Samuel Aureliano Trotta.

2. Qual è il tuo brano a cui sei affezionata di più delle tue produzioni precedenti?

Lucciole, sicuramente, per una ragione emotiva ed affettiva,  è il brano che ha dato una sterzata positiva al mio lavoro: con Lucciole ho avviato un nuovo ciclo produttivo, con un nuovo team tecnico, un nuovo stile di composizione e “nuove” sonorità (in realtà sto ripescando moltissimo dalle sonorità anni ‘80-’90).

3. Quali sono le  differenze tra Liquido e le  tue precedenti produzioni, in termini stilistici e di contenuto?

Sicuramente il contenuto, la tematica trattata è molto più complessa e impegnativa rispetto a tutti gli altri miei testi precedenti.

Il sound invece, rimane volutamente più minimale e fresco.

C’è sempre però un filo conduttore tra questo lavoro e le precedenti produzioni: l’incrocio tra il cantato e un parlato molto ritmico.

4. Tu sei una persona da mille interessi, insegni, lavori come veeJay, giochi a calcio, sei cantautrice Rispetto a tutti questi ambiti, come è oggi  lavorare nel campo della musica in Italia?

Per tutti gli ambiti in Italia oggi, in generale, è molto difficile lavorare.

A maggior ragione poi lavorare in  un ambito dove non esistono dei criteri di valutazione precisi e l’offerta supera di gran lunga la richiesta. Il mercato musicale è saturo, e il pubblico è abituato ad ascoltare sempre meno e con meno attenzione.

Aggiungiamoci poi il fatto che la Musica ancora oggi non è riconosciuta come una professione; di conseguenza per vivere di musica comporta  grosse difficoltà e molta tenacia e perseveranza.

foto Roberto Palladini e Daniele Di Lecce




Luigi Ghirri: il paesaggio dell’architettura in mostra alla Triennale

di Federico Poni – È stata inaugurata, in occasione della Milano Arch Week 2018, la mostra “LUIGI GHIRRI, IL PAESAGGIO DELL’ARCHITETTURA

Devoto della pop art, Ghirri, sicuramente uno dei più grandi fotografi italiani, è stato pioniere del mezzo della pellicola a colori con cui ritrae il binomio paesaggio/architettura, partendo sempre dal legame con il suo territorio natio, con la dimensione della storia e della memoria, che rappresenta la costante di tutte le sue fotografie.

Attraverso l’adozione di metodi di osservazione e registrazione ispirati al modello della collezione (ma non del collezionismo), Ghirri vuole stabilire un inventario della cultura materiale italiana (e non). Infatti, buona parte della retrospettiva mette in luce la decennale collaborazione tra il fotografo emiliano e la rivista Lotus International, che ha dato all’architettura un nuovo punto di vista.

È proprio grazie agli archivi di Lotus International che ha preso vita  questa grande esposizione.

Ghirri, che ha avuto una formazione da geometra, ha sperimentato la fotografia da autodidatta. I suoi riferimenti culturali derivano da diversi ambiti artistici: non cerca né vuole la citazione colta, non vuole nemmeno formulare un credo estetico. Ghirri indaga modelli di comportamento e ci riesce tramite lo studio del medium dell’architettura.

Entrando nell’esposizione si riesce a vedere tutto l’allestimento, composto da due parti: la sala delle stampe e il corridoio delle diapositive.

Nel primo scenario le preziose stampe originali sono poste su piedistalli che permettono al pubblico di entrare realmente a contatto con le opere: le fotografie, non essendo di grandi dimensioni, rendono possibile una lettura veramente intensa e semplice.

Più in particolare, questo spazio espositivo è suddiviso in sette sezioni: “Un’idea dell’Italia”, che raccoglie molte opere dalla celebre mostra Paesaggio Italiano tenuta a Reggio Emilia nel 1989; “La grande pianura”, dedicata ai servizi fotografici svolti da Ghirri sui progetti di Aldo Rossi a Modena e a Parma su commissione di Lotus; “Nel Giardino” che racconta il servizio svolto nel 1983 sul cimitero di Carlo Scarpa a San Vito di Altivole; “Il percorso” dedicato al servizio del 1988 sulle opere di Jože Plečnik installate sul lungofiume di Lubiana; “Progetto domestico” sulla mostra omonima del 1986 esposta in Triennale; “La Triennale e il parco” con una selezione di immagini inedite di un ampio servizio realizzato nel 1986 sulla Triennale ma anche sul parco Sempione, il Castello Sforzesco, l’Arco della Pace, la fontana dechirichiana dei Bagni Misteriosi e altri luoghi milanesi. Infine “Atlante Metropolitano” comprende fotografie anche di altri autori internazionali sul tema della città e della metropoli.

Nel corridoio a lato si succedono proiezioni di grande formato, che permettono al pubblico di immergersi nelle opere.

Sul fondo compare una gabbia, ispirata dalle fotografie di Ghirri dell’installazione di Achille Castiglioni per la Triennale del 1986, con applicate fotografie di vari allestimenti di artisti e architetti, da Marcel Duchamp a Mario Merz, da Carlo Santachiara a John Hejduk e altri.

Nel contesto di un violento capitalismo in continua crescita, dopo la fine della guerra fredda, Ghirri ha elaborato un nuovo modo di guardare il mondo intorno a sé, in primo luogo attraverso una tecnica (l’uso del colore in particolari condizioni atmosferiche che danno risalto al concetto di temporalità), ma soprattutto attraverso una nuova e inedita riflessione sul paesaggio urbano.

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Informazioni

Luigi Ghirri. Il paesaggio dell’architettura

A cura di Michele Nastasi

Allestimento di Sonia Calzoni

Grafica di Pierluigi Cerri

Fino al  26 agosto 2018

Triennale di Milano

Da martedì a domenica, ore 10.30 – 20.30

Biglietti: 7 euro (intero) / 6 euro (ridotto)

Triennale di Milano

Viale Alemagna 6

20121 Milano

T. +39 02 724341

www.triennale.org