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Pamela Lacerenza, la diva di Spamalot

È il musical del momento, sta letteralmente sbancando il botteghino, un successo inaspettato, forse proprio per la comicità surreale e demenziale tanto lontana dalla nostra tradizione teatrale. Stiamo parlando di Spamalot, il musical ispirato al film Monty Python e il Sacro Graal, ora in scena al Teatro Nuovo di Milano, con la regia di Claudio Insegno, traduzione e adattamento del testo di Rocco Tanica. In scena, oltre a Elio nel ruolo di Re Artù, un gruppo tutto al maschile di grandi talenti, molto affiatato, e un’unica protagonista femminile, la Dama del Lago.

Cosmopeople ha incontrato la bravissima Pamela Lacerenza, la Dama del Lago.

Conoscevi i Monty Python e, nel caso, cosa apprezzavi maggiormente dei loro sketch?

Purtroppo devo ammettere che non conoscevo i Monty Python ed oggi mi chiedo come abbia fatto a vivere senza aver visto mai un loro sketch! Esilaranti, geniali! Per fortuna ho avuto l’occasione di avvicinarmi al loro mondo per la preparazione di Spamalot.

Hai avuto occasione di vedere le produzioni estere di Spamalot? Cosa ne pensi?

Ho visto gran parte delle produzioni solo attraverso la rete, mai dal vivo. Nonostante fossero diverse tra loro, a volte per scenografia, per contesto, costumi,… erano tutte accumunate dallo spirito con cui venivano messe in scena: divertirsi e far divertire. A prescindere dal luogo e dalla lingua in cui Spamalot è stato rappresentato il risultato è sempre lo stesso: grandi risate e tanti applausi.

In scena prendete in giro, neanche troppo velatamente, Llyod Webber e Grease. Cosa ne pensi a riguardo?

A Spamalot tutto è concesso!

Ritieni che l’arrivo di Spamalot, che si distingue tra gli show finora proposti al pubblico italiano quanto meno come musical, apra le porte a nuovi spettacoli meno tradizionali e più irriverenti?

Credo che il successo di Spamalot darà una spinta ad investire su prodotti diversi e meno conosciuti, poi ben venga anche la tradizione!

Come sei arrivato a interpretare la Dama del Lago? Hai fatto il provino solo per la Dama o ti eri candidata anche per altri ruoli? Cosa ti colpisce maggiormente di questo ruolo?

Sotto consiglio di un mio carissimo amico che mi ha chiamata dicendomi “dovresti mandare la candidatura per questo ruolo”, ho aperto il bando di audizione, ho visto il personaggio che cercavano e prima di mandare la candidatura mi sono documentata per capire se potessi essere adatta o meno. Ne sono rimasta folgorata! Canzoni meravigliose, costumi da sogno e poi lei, la diva che fa il verso alla diva, la regina alla quale ogni tanto “cade la corona”. Lei è tutto e in attimo… niente, tant’è che si dimenticano di lei lasciandola in disparte per 45 minuti! Me ne sono completamente innamorata.

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(foto di scena Luca Vantusso)

La tua voce esplode potente sul palco. Come ti sei preparata al ruolo e a chi ti sei ispirata?

Il mio percorso è un po’ diverso. Vengo dal mondo del live club, dei concerti, dell’intrattenimento e successivamente mi sono affacciata al teatro grazie al Micca Club, marchio che ha portato il burlesque in Italia e ora è leader nel campo del cabaret retrò, del Varietà e del cafè chantant, da 4 anni in scena con i suoi spettacoli al Salone Margherita di Roma. Quest’ultima esperienza mi ha arricchito artisticamente, mi ha avvicinato a cantanti come Judy Garland e Liza Minnelli, la mia fonte d’ispirazione, e mi ha portato alla realizzazione di due spettacoli in stile retrò “Tra le luci dello swing” e “Swinglesque” in cui sono cantante, show girl e conduttrice.

La maggior parte dei brani che ho cantato sul palco del Salone Margherita di Roma non sono altro che brani tratti dai musical di Broadway, quindi mi sono sempre sentita molto vicina a questa realtà.

Come protagonista di un Musical in Italia è la mia prima volta perciò non ho potuto far altro che mettere me stessa in tutto e per tutto e mi sono lasciata guidare dalla mano esperta di Claudio Insegno e dagli accorgimenti preziosi di Elio e Rocco Tanica. La cosa più complicata, per me, era portare in scena la mia versione della Dama del Lago. Spero proprio di esserci riuscita.

Dopo Spamalot cosa ti aspetta? Hai già dei progetti?

Dopo Spamalot tornerò nuovamente in scena al Salone Margherita di Roma con lo spettacolo Velvet Cabaret, produzione Micca Club. Tonerò ad interpretare il mio personaggio “Gigì” che tanto amo e al quale devo tantissimo.

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Anna Foria: da “La Febbre del Sabato Sera” a “Chicago”

“La Febbre del Sabato Sera” festeggia i 40 anni dall’uscita dell’iconico film con John Travolta a teatro con l’allestimento firmato da Claudio Insegno e prodotto dal Teatro Nuovo di Milano che da mesi sta riempiendo le sale italiane anche grazie a un cast di talenti come la travolgente Anna Foria, cantante, attrice e ballerina e co-protagonista dello spettacolo nel ruolo di “Stephanie Mangano”, che abbiamo incontrato all’indomani della tappa milanese della tournée. Napoletana, classe ’91, Anna Foria ha debuttato nel 2010 in “C’era una volta Scugnizzi” diretto da Claudio Mattone e con le coreografie di Gino Landi per poi approdare nell’ensemble de “La febbre del Sabato Sera” nella produzione del 2012 diretta da Carline Brouwer e Chiara Noschese e coreografie di Christopher Baldock e nel 2016 in “Grease” nel ruolo di Cha Cha De Gregorio. Il prossimo obiettivo? Interpretare Roxie. Non appena “Chicago” dovesse finalmente approdare sui palcoscenici italiani

Da un anno ormai “La Febbre del Sabato Sera” è sold out nei teatri di tutta Italia. Quali retroscena ci puoi raccontare?
Penso che la forza di questo spettacolo siano sicuramente le hit che tutti conoscono, queste musiche così moderne nonostante gli anni trascorsi, queste musiche che fanno vibrare tutti dalle poltrone. Ma c’è anche da dire che trovarsi in un cast coeso di persone ci dà la possibilità di far trasparire  la serenità e l’amore che proviamo nel fare questo spettacolo. Dovreste vedere il nostro backstage … abbiamo addirittura scritto il testo di una canzone su vari avvenimenti accaduti. Insomma che dire ci divertiamo molto e sia fuori che dentro la scena e questo per lo spettacolo e per noi è una grande vittoria.

Quali sono gli aspetti che ti coinvolgono maggiormente del ruolo di Stephanie Mangano?
Questi suoi modi di essere a volte un po’ troppo duri pur di mascherare i suoi momenti di fragilità e di insicurezza.

Quali sono le maggiori difficoltà che hai sostenuto per affrontata il ruolo e come ti sei preparata?
Mi sono impegnata al massimo e ho cercato come una spugna di assorbire quanto più nozioni possibile e ad oggi sono soddisfatta del risultato che ho portato in scena anche se continuamente cerco di trovare nuovi stimoli per arricchire il mio personaggio. Per affrontare questo ruolo ci sono stati tanti momenti di sconforto, ma fortunatamente sono una persona abbastanza forte e mi piace imbattermi in situazioni più grandi di me e quindi con la mia tenacia sono riuscita a superare delle lacune che credevo potessero ostacolare il mio percorso.

Eri già presente nel cast de “La Febbre del Sabato Sera” di Stage Enterteinment. Cosa ti ricordi di quella edizione?
Avevo solo 19 anni e non avevo tutta l’esperienza che ho oggi, ma non avevo nemmeno la responsabilità di affrontare un ruolo perché facevo parte dell’ensemble e quindi tutto era molto più spensierato. Ma ricordo con piacere quel bellissimo momento con un cast pieno di artisti e colleghi talentuosi.

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Prima di allora avvi avuto occasione di vedere il film del 1977? E, nel caso, il film ti aveva in qualche modo colpito o emozionato?
il film lo avevo visto appunto in occasione del musical e ad esser sincera la storia non mi ha mai entusiasmata così tanto, ma il grandissimo John Travolta era un mito in quel film e con le musiche dei Bee Gees non è stato così difficile farmelo piacere.

Dopo “La febbre del Sabato Sera cosa ti aspetta? Stai già lavorando a nuovi ruoli?
Beh dopo la Febbre chi può dirlo cosa mi aspetta, sono giovane e le sorprese sono sempre dietro l’angolo. Prenderò parte ad uno spettacolo di prosa con alcuni colleghi e poi aspetterò e continuerò a fare audizioni su audizioni. In ogni caso mi auguro tante cose belle sicuramente.

Hai mai pensato di andare oltre confine, da Londra a Broadway, per confrontarti con un mercato più ampio?
Per il momento preferisco restare nella mia amata Italia fin quando ho la possibilità di lavorare, poi chissà non escludo sicuramente la possibilità di potermi appunto confrontare con un mercato più ampio.

A quale spettatolo o ruolo sei rimasta maggiormente legata?
Uno degli spettacoli a cui sono maggiormente legata è senza dubbio il musical “C’era una volta Scugnizzi” di Claudio Mattone perché ho vissuto i momenti più belli della mia vita, emozioni e sensazioni meravigliose che auguro a tutti di vivere in uno show

Qual è il tuo sogno nel cassetto? Quale ruolo vorresti interpretare?
Mi piacerebbe interpretare il ruolo di Roxie in Chicago perchè è un ruolo che mi ha sempre affascinata sin da piccola.

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Se il Vip vola low-cost (…e porta scompiglio)

di Matteo Rolando – Ormai non è più certo una notizia fresca di agenzia: Madonna pochi giorni fa ha preso un volo Air Portugal da Londra a Lisbona viaggiando in classe economica. A vederla, poverina, raggomitolata in un cappotto over-size nero e con la ricrescita scura nella capigliatura trasandata – calzando un paio di sneakers rosa ai piedi – sembra davvero una disgraziata. Le mancava solo la forfora sulle spalle. Invece di interrogarmi sui motivi che hanno spinto una delle donne più ricche degli Stati Uniti (e forse del mondo, stando alle varie classifiche stilate ogni anno da Forbes), a volare low cost, osservo gli altri passeggeri che insieme a me aspettano l’imbarco “allineati” in una fila un po’ sbilenca all’aeroporto di Orio al Serio. Sono i trolley a farla da padrone, quelli troppo piccoli e quelli fuori misura, tanto più che il famigerato misura valigia della RyanAir tra poco andrà in pensione, avendo perso tutta la sua macabra fama – seconda solo alla ghigliottina per gli isterismi che riusciva a suscitare. Forse anche le compagnie low cost si sono rassegnate ai furbetti e agli idioti del bagaglio a mano: il tempo sprecato per le faticose misurazioni rischia di ritardare l’imbarco, di conseguenza la compagnia ci perde in puntualità nel confronto con le altre aerolinee. Ne vale davvero la pena anche per le low-cost? Non ci si fa più caso a quei trolley che finiranno a viaggiare sopra le nostre teste, nelle cappelliere; e a quelli che finiranno nella stiva, una volta esaurito lo spazio disponibile in cabina. Con grande rammarico dei loro proprietari, perché una volta arrivati a destinazione invece di uscire sgambettanti dall’aeroporto dovranno attendere i loro bagagli sul nastro trasportatore. Ecco perché stiamo tutti in piedi, me compreso, per entrare per primi sull’aereo, mica abbiamo fretta per niente. E’ l’ansia di portare il bagaglio a mano con noi in cabina, magari per poter estrarre una rivista, un tablet, un lettore MP3 oppure perché fa da coperta di Linus. Tornando a Madonna, se lo sarà messo lei da sola il bagaglio a mano nella cappelliera? (Visto che non è poi tanto alta, ci sarà riuscita da sola?) Sarà questa la vera preoccupazione che trapela da tanta attenzione mediatica a partire dai famosi tabloid inglesi, del Daily Mail o del Sun, per arrivare fino a quelli nostrani, dell’Huffington Post piuttosto che del Corriere della Sera. Povera Madonna, non è nemmeno libera di salire su un aereo in pace, va da sé sempre che non sia il suo jet privato.
La Signora Ciccone non è l’unica tra i vip ad aver ottenuto tanto clamore per aver osato volare economy o perfino low-cost: fece storia la presenza della super modella inglese Kate Moss su un volo Easyjet, con decollo da Bodrum, in Turchia, per raggiungere lo scalo londinese di Luton, nel gennaio del 2016. Del suo caso si occupò tra gli altri media anche il MailOline, riportando le testimonianze di alcuni passeggeri. Alla richiesta di avere un drink la hostess glielo rifiutò – forse Kate era già visibilmente ubriaca? – ma lei non si scompose, né tantomeno si lasciò scoraggiare: aprì il suo bagaglio a mano e ne estrasse una bottiglia di vodka. Un passeggero riferì che la modella inveiva contro l’equipaggio ed era <abbastanza ubriaca>, salvo poi aggiungere che <sembrava più divertente che pericolosa>. Una simpatia contagiosa, come se adesso anche io che sto per imbarcarmi su un aereo non vedessi l’ora di trovarmi accanto qualcuno che ha alzato troppo il gomito e alita e rutta all’altezza della mia spalla. La breve storia triste di Kate Moss terminò all’aeroporto di Luton, dove la polizia la fermò per <comportamento indisciplinato>: redarguita ma non arrestata né multata, in quanto la compagnia scelse di non denunciarla. Hai capito ad avere una supermodella a bordo, ci si guadagna in pubblicità e senza spendere niente.

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Nel frattempo il gate ha aperto – con dieci minuti tondi di ritardo – e la lunga coda di passeggeri dietro di me inizia ad avanzare minacciosa e anche un po’ sconsolata. Non si può distrarsi un attimo nemmeno per allacciarsi una scarpa che già qualcuno ti sta passando davanti. Una volta al check-desk delle hostess, mostriamo il documento e le nostre carte di imbarco prestampate; o per i più tecnologici la carta d’imbarco elettronica direttamente disponibile sull’App della compagnia aera – se per sfiga a qualche passeggero nel frattempo si fosse scaricato il telefonino rimarrebbe a terra a guardare l’aereo decollare attraverso le vetrate che affacciano sulla pista, con un po’ di malinconia e una grande incazzatura. Poi scendiamo due rampe di scale, perché il lusso del finger non ci è permesso; menomale che è una tiepida giornata d’autunno e le condizioni meteo sono pressoché ideali. E ci ritroviamo di nuovo fermi, sempre in fila, ad aspettare un pulmino, chi ai piedi delle scale chi ancora in cima. Pulmino che arriva in cinque minuti, ma non parte finché non siamo saliti tutti. Se penso a Madonna o alla Moss, immagino la policy di un volo privato: l’ingresso riservato all’aeroporto, zero controlli di sicurezza e poter arrivare poco prima dell’orario previsto per il decollo invece delle due ore di anticipo in aeroporto per imbarcarsi su qualsiasi volo commerciale.
C’è da dire che anche Brad Pitt e la Jolie possono vantare di aver viaggiato in economy. E perfino su una tratta a lungo raggio: nel giugno 2015 i Brangelina (oggi questa crasi non esiste più, poiché ahimé si sono separati), volarono tra gli Stati Uniti e Parigi e poi dalla capitale francese a Nizza con Air France, con la loro mezza dozzina di figli al seguito. Il dettaglio sfizioso dei media fu che la coppia sistemò i propri bagagli a mano nelle cappelliere e fece altrettanto anche per i figli, cosa che contando quanti sono non deve essere certo stata un’impresa facile.

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Mentre scendo dal pulmino e sto finalmente salendo sull’aereo, rifletto sul fatto che oggi la prima classe non esiste quasi più, è stata soppiantata dalla business class, che spesso non è presente. La business conta pochi posti a sedere e vengono solitamente prenotati con anticipo: che Madonna sia stata spinta dalla disperazione per volare, come i comuni mortali, in economy? O forse una delle sue assistenti è stata già licenziata perché ha dimenticato di prenderle il biglietto? Il futuro dell’aviazione civile è già segnato: sono nate le prime App di AirSharing, che diventerà un po’ come il CarSharing in città: vengono messi a disposizione jet privati su determinate tratte. Niente di più semplice. Una di queste App, la più popolare negli Stati Uniti, è Jet Smarter. No, non è fantascienza: i prezzi sono ancora alti, ma mentre noleggiare un aereo può costare (a seconda anche della tratta) intorno ai 20.000 dollari, con l’App ce la si può cavare con un migliaio di dollari; condividendolo ben inteso con altri passeggeri (altrettanto ricchi). Abbattimento dei costi: è questo il new concept introdotto proprio dalle compagnie low-cost. Finalmente ho raggiunto il mio posto 32B e sono seduto in fondo all’aereo, soddisfatto e contento di partire. Mi allaccio la cintura preparandomi per il decollo. “Boariding completed”, si sente dall’autoparlante e i portelloni vengono chiusi. Per fortuna non ho passeggeri ubriachi di fianco, e non ho ancora visto Madonna o Brad Pitt: sarà un volo senza autografi. Perché se il Vip vola low-cost alla fine sono fatti suoi. E che cos’altro è, se non un confortante desiderio di normalità?




Urban Tour, per scoprire i tesori nascosti di Milano

Un pomeriggio diverso alla scoperta delle meraviglie artistiche ed enologiche del nostro Paese. È questo quel che propone l’Urban Tour di Officine Turistiche di Milano: itinerari urbani accompagnati da una guida turistica pensati per abbinare arte, cultura e degustazioni caratterizzate da un tema o comunque mirate alla valorizzazione di un prodotto o di un territorio.

Per sabato 11 novembre, le Officine Turistiche di Milano hanno in serbo un programma d’eccezione:  il percorso guidato “Stazione Centrale, la Cattedrale del movimento”, e la degustazione, altrettanto guidata, di tre vini.  La Stazione  Centrale di Milano è troppo spesso ritenuta un semplice luogo di passaggio attraversato ma che racchiude in sé decenni di storia dove si fondono  passato e presente nel gioco incredibile delle sue architetture Nel tour è prevista una visita a Cascina Pozzobonelli, un tesoro nascosto attribuito al Bramante.Seguirà un “viaggio” con il Sauvignon per apprezzare le differenze stilistiche di tre vini prodotti con le stesse uve in tre Paesi diversi: Italia, Francia e Cile.

Gli itinerari su Milano sono quattro, per ora: ben due differenti percorsi portano alla scoperta del Liberty nel capoluogo Lombardo (in zona Porta Venezia il primo e in zona corso Magenta il sorprendente secondo  che porta alla ribalta il poco conosciuto “villino Maria Luisa” di via Tamburini); il tour legato alla Mediolaum romana e infine il percorso dedicato alla Stazione Centrale.

Passeggiando si scoprono le meraviglie di Milano raccontate da guide appassionate che non esitano a cogliere le occasioni che possono presentarsi nelle diverse occasioni di incontro come, aderendo all’invito di un residente, esplorare i magnifici cortili di Milano generalmente nascosti generalmente al pubblico. E al termine del percorso a piedi, in genere un paio d’ore alla portata di tutti, il viaggio continua come nelle migliori tradizioni italiane esaltando i sapori della tavola.

Il prezzo, 35 euro, non è propriamente economico ma li vale: i gruppi sono piccoli e l’iterazione con le diverse guide è garantita. e, d’altro canto, per una pizza e un cinema si spende uguale.




“Musica ribelle” crea un ponte con gli Anni ’70

“Sai chi era Victor Jara?” è la domanda che il sessantanne Hugo, l’alter ego nella finzione di Eugenio Finardi,  rivolge a Lara93 e che racchiude l’essenza di “Musica ribelle”: il confronto tra generazioni apparentemente e inconciliabili e separate da quarant’anni di storia ma che, in fondo, se imparano a comunicare possono trovare molti punti di incontro. A iniziare dalla musica, la musica contro o appunto la “Musica ribelle”  quella “che ti ti dice di uscire che ti urla di cambiare di mollare le menate e di metterti a lottare”.

Il musical, diretto da Emanuele Gamba,  in scena fino a domenica 8 ottobre al Teatro Nuovo di Milano è prodotto da Todomodo e Bags Entertainment  e nasce  dalla scelta precisa di scrivere e realizzare uno spettacolo sulla musica e sulla testimonianza artistica Eugenio Finardi.

La scena si apre su una Milano contemporanea dove Hugo affitta un  vecchio scantinato da tempo in disuso a una “crew” di giovani rapper, graffittari, dj capitanati da Lara93 alle prese con la preparazione di un un rave notturno. Come spiega Hugo in realtà il suo è stato quasi un messaggio lanciato nello spazio alla ricerca di un “Extraterrestre” che potesse condividere la passione per la musica e la voglia di sognare ancora. Nello scantinato Lara93 scova i diari di Hugo che  portano la lancetta indietro al ’73 quando la stessa cantina era il covo di un collettivo politico, la sua sala prove, la sua stamperia, la sua radio libera “Nebbia” che appare e scompare e i concerti al Parco Lambro che, in un gioco di citazioni, avevano visto protagonista proprio lo stesso Finardi.  Le storie dei due protagonisti, corrono in parallelo. Sette anni per il collettivo e le storie di utopia, amore e impegno politico dei suoi protagonisti, mentre la violenza cede il posto al sogno di una rivoluzione pacifica,  sette giorni per Lara93 e il suo mondo di fuoriusciti del sistema,  dal cleptomane, alla vegana, alla narcisista.

La forza dello spettacolo è quella di non rimanere relegato all’effetto nostalgia, che pure sarebbe stata una via piuttosto semplice da seguire anche solo legando le prime canzoni di Finardi, quelle che hanno caratterizzato maggiormente il decennio della protesta. Sono infatti riproposti dal vivo, riarrangiati da Emiliano Cecere e Alberto Carbone sotto la supervisione di Finardi, “Dolce Italia”, “Trappole” “Patrizia”, “Diesel”, “Un uomo”,
“Extraterrestre”, “La radio”, e le immancabili “La Forza dell’Amore” e “Musica ribelle”  tra sonorità che vanno da quelle
rock-prog originarie degli anni ’70, a sconfinamenti d’n’b, techno, ma anche ballate e medley. Nessuna nostalgia e nessun buonismo. La violenza, le droghe, gli abusi ieri come oggi non sono nascosti e tratteggiano personaggi a tutto tondo.

“Musica ribelle” prova a far dialogare  i giovani degli Anni ’70 con i nuovi Anni ’20, trovando numerosi punti di incontro. D’altro canto, come spiega Hugo, i sogni non terminano nello spazio di una generazione anche quando questa stessa generazione ha in parte tradito l’utopia a cui aspirava quarant’anni fa e di cui ha lasciato eredità artistiche ancora attuali. Magari cambia il modo. gli strumenti a disposizione e probabilmente anche mode e musica,  ma la ricerca della felicità, anche se relegata temporaneamente in uno scantinato, non tramonta e neppure il sogno di realizzare le proprie aspirazioni artistiche, musicali o meno.

“Ho sempre pensato che la creazione di questo specifico racconto per il palcoscenico presentasse dei livelli di complessità molto alti: due epoche da raccontare, sette anni e sette giorni, un unico spazio scenico, un cast impegnato in doppi ruoli, la musica dal vivo con band da integrare nella fabula, la volontà di muovere i corpi con un linguaggio fisico inedito per il nostro teatro musicale, un immaginario video da far vibrare con la musica” ha commentato Gamba per poi aggiungere: “Una complessità che alle volte è sembrata insormontabile ma che poco alla volta si è rivelata lo strumento
necessario e ineludibile per raccontare la complessità della vita e delle relazioni di dieci giovani, uomini e donne in lotta per la determinazione di un futuro degno di essere vissuto”. Una complessità che, secondo il regista, “Musica ribelle” scioglie in una verità semplice: ”  che in ogni epoca e ad ogni latitudine uomini e donne abbiano un bisogno pressoché unico, il bisogno di curare paure e debolezze con quella che Eugenio chiamò “la forza dell’amore”.

Applausi al cast numeroso e coinvolgente  in cui il talento scorre a fiumi. Tra i protagonisti in scena per “Musica ribelle” spiccano le voci di Arianna Battilana, in scena con le stampelle per un incidente capitato pochi giorni fa, Luca Viola  e di Federico Marignetti, già nel cast di “Spring Awakening”  e di “Romeo Giulietta” e vincitore lo scorso anno del premio Persofone come miglior attore emergente.

E per chi come me  è stato solo sfiorato dagli Anni ’70:  Victor Jara, citato in “Musica ribelle”, era un artista cileno ucciso nel settembre del 1973 nei giorni del colpo di Stato di Pinochet.  Un artista che ha pagato la ribellione sulla propria pelle e un delicato cantautore che vale la pena di cercare e ascoltare su youtube, magari partendo proprio dalla commovente “Te recuerdo Amanda” citata e cantata in “Musica ribelle”.

 

“Musica ribelle” DOVE, COME E QUANDO
Fino all’8 ottobre al Teatro Nuovo di Milano h 20.45 e domenica alle 15.30
Biglietti da 25,8 euro

 




Brunella Platania racconta Heathers – Il Musical

Heathers”, il musical ispirato al film-cult del 1989 “Heathers – Schegge di Follia” con Winona Ryder e Christian Slater, si prepara a debuttare in Italia. Una scelta coraggiosa, molto audace e interessante, voluta da un trio di professionisti di tutto rispetto, quali Brunella e Maria Laura Platania e Marcello Sindici.

In America, dove ha debuttato nel 2013 con grande tributo di pubblico e critica, “Heathers” è diventato un vero e proprio fenomeno di massa.

Lo spettacolo tratta tematiche di grande attualità: bullismo, adolescenza a rischio, omofobia, suicidio: argomenti profondi, trattati con pensosa leggerezza e in chiave esorcizzante, grazie anche a una colonna sonora rock, originale e coinvolgente, pienamente aderente ai momenti salienti e ai passaggi narrativi della trama.

Brunella Platania, regista, attrice, cantante, un grande nome del teatro italiano, e che di “Heathers” ha curato la regia e l’adattamento in italiano, ci racconta il perché di questa particolare scelta.

Perché Heathers? È stata una scelta solo artistica o per i temi trattati?

Ho strenuamente voluto questo spettacolo: ho insistito e mi sono applicata con determinazione, insieme a Marcello Sindici, per ottenere la possibilità di portarlo in scena in Italia, anche se per ora in una High School Edition, che comunque è di tutto rispetto.
È stata una prima di tutto scelta artistica perché mi sono innamorata sia della colonna sonora, che è molto rock, molto forte e assolutamente accattivante, sia della messa in scena teatrale di un film cult degli anni ’90 “Schegge di Follia”, a cui sono molto affezionata.
Pensare che qualcuno abbia trovato il coraggio e il modo di portare in scena la storia controversa che racconta il film, mi ha completamente affascinato. Ovviamente la pellicola tratta argomenti molto forti, pur con accenti a tratti ironici e leggeri, che, nella versione teatrale, sono ancora più rilevanti.
Quello che ha convinto me, Maria Laura e Marcello sono stati proprio questi argomenti, tra l’altro attualissimi, che, essendo così forti, vanno per forza trattati con un minimo di leggerezza.
La colonna sonora, insieme con quell’impronta più ironica e- direi quasi – sopra le righe, serve proprio a questo, a sdrammatizzare un po’ i toni, perché altrimenti sarebbero troppo pesanti per uno spettacolo teatrale.

C’è un messaggio?

E’ uno spettacolo con un messaggio importantissimo. Tratta argomenti scottanti, duri, pesanti. L’occhio è puntato sul microcosmo di una scuola che è rappresentativa di un mondo in corruzione e, soprattutto, su questa adolescenza che attraversa un momento delicatissimo.
Abbiamo messo sotto una lente d’ingrandimento un po’ deformante, proprio per garantire maggiore serenità nell’audience, i veri problemi adolescenziali, le tematiche che riguardano i nostri figli, i figli di questo mondo: il bullismo, l’omofobia, il suicidio adolescenziale che è conseguenza della sofferenza, della mancanza di equilibrio, della mancanza di protezione, dell’assenza degli adulti che a volte ignorano o non vedono il dolore dei giovani.
Il “male” e il disagio ormai passano attraverso mezzi che sono poco controllabili: tutte tematiche di un’attualità sconvolgente molto vicine a noi.
Lavorare a questo spettacolo, in versione italiana, con un cast di ragazzi, ci ha portato a curare l’adattamento con molta attenzione e scrupolo, proprio perché il messaggio passasse con più incisività.

In generale il musical e il teatro devono trasmettere un messaggio? È uno dei compiti dell’arte in generale?

L’arte è comunicazione, è veicolo di emozione, di sentimenti, di tradizione, è il modo che hanno gli esseri umani, in qualche modo, di eternare se stessi, le proprie potenzialità e capacità e di tramandare, di far arrivare la loro voce anche a chi ci sarà dopo.
Certamente l’arte ha questo compito, ma non dimentichiamo che mantiene anche quello del divertimento e dell’intrattenimento.
In qualche modo, bisogna che i due aspetti siano legati tra loro, perché dove c’è leggerezza, i messaggi profondi arrivano in maniera più diretta, perché si predispone il pubblico a uno stato d’animo più ricettivo.

Lo spettacolo ha mantenuto l’ambientazione negli anni 80?

Lo spettacolo ha un’ambientazione più anni ’90. Quegli anni erano meno problematici per la generazione giovanile, anche se gli adolescenti hanno sempre vissuto gli stessi problemi.
Dal mio punto di vista gli anni ’80 davano più ganci, offrivano più possibilità di appoggio, di motivazione e di “salvezza”.
Negli anni ’90 abbiamo assistito a un passaggio verso un’atmosfera più cupa, più demotivante e quindi alcune problematiche anche incomprensibili sono venute più in superficie e si sono rese più evidenti.
Questa è la chiave dello spettacolo. All’improvviso, in una mente non completamente sana si è insinuato il tarlo della demolizione di una generazione a sé contemporanea, una sorta di autodistruzione proprio per eliminare traccia di quelli che nel musical sono chiamati dinosauri.

Quale sarà il futuro di questo Heathers?

Il futuro di Heathers lo decideranno il pubblico e lo spettacolo stesso!
Da parte nostra ce la mettiamo tutta, perché sia un lungo futuro.
È la prima volta che viene portato in Italia,; poi debutterà a Londra nel 2018 e infine sbarcherà anche in altri paesi europei.
Non è certamente uno spettacolo semplice, ma è assolutamente attuale e artisticamente straordinario, perciò speriamo che nel futuro abbia una grande diffusione, soprattutto per il messaggio che contiene e perché parla dei giovani, è fatto da giovani e non può non lasciare il segno in chiunque lo venga a vedere.

Vi aspettiamo dal 20 al 22 ottobre allo Spazio Diamante di Roma.

Per tutte le informazione visitate la pagina Facebook ufficiale “Heathers the Musical Italia – High School Edition” e il sito www.heathersmusicalitalia.com

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Spumante Garda Doc alla conquista del mondo

Cosa fanno 10 denominazioni di eccellenza – Valtènesi, San Martino della Battaglia, Lugana, Colli Mantovani, Custoza, Bardolino, Valdadige, Valpolicella, Durello e Soave – riunite in un unico brand? Spumante Garda Doc è la risposta, il nuovo ambizioso e innovativo progetto del Consorzio Garda Doc.

Non si tratta di semplici bollicine ma di un vero e proprio programma strategico di valorizzazione di eccellenze Made in Italy. “La scelta del Consorzio – spiega Carlo Alberto Panont direttore del Consorzio Garda Doc – è stata quella di valorizzare un brand già affermato, Garda, facendolo diventare un vino di successo, individuando nella tipologia spumante il vino in grado di aggiungere altro valore economico e commerciale alle produzioni tradizionali delle dieci denominazioni”.

Lo Spumante Garda Doc è prodotto nel grande anfiteatro naturale del Benaco, dalle sapienti mani di produttori capaci di esprimere al meglio l’importante variabilità ampelografica delle dieci denominazioni che compongono la Doc Garda. Il progetto punta a portare la produzione di spumante dalle attuali 7 milioni di bottiglie a 20 milioni entro il 2020, utilizzando come trampolino di lancio le sponde del Benaco, meta di turisti da tutto il mondo, fino a conquistare i mercati esteri.

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L’ambizioso progetto è stato presentato in occasione della ventunesima edizione del Festivaletteratura di Mantova, con il lancio in edizione limitata del Garda Doc Collezione Brut 2016. “Non c’è alcuna differenza tra bottiglie di vino e libri – dice Paolo Polettini del comitato organizzatore del Festivaletteratura – entrambi raccontano una storia”. Ed è vero! Spumante Garda Doc racconta la storia del suo territorio, una zona tanto cara, fin dall’antichità, a poeti e scrittori come Catullo, Virgilio, Dante, Carducci, Goethe e Stendhal, specchio di una traduzione millenaria e di grande cultura. Sorseggiando un calice di Garda Doc si assaporano i valori simbolo del
Lago di Garda: divertimento, stile di vita, convivialità, cultura e bellezza.




Gino Rodella: l’archi-stylist del Papa

Gino Rodella è un artista poliedrico, che ama definirsi archi-stylist. Architetto, scenografo, stilista, designer e pittore nonché performer, dal 1990 a oggi ha realizzato la ristrutturazione di oltre 480 locali, sia in Italia che all’estero.

Una delle sue opere maggiori è il suggestivo trono papale per Sua Santità Papa Benedetto XVI.

Inarrestabile e sempre attivissimo, è attualmente impegnato in un progetto originale di riciclo di scarti di alluminio per la realizzazione di opere d’arte e di design, nonché nella realizzazione di una grande opera d’arte dedicata ai due Papi, Benedetto XVI e Francesco.

D. Gino Rodella, architetto, artista, stilista, designer e tanto altro. Quando hai scoperto il tuo talento?

R. Ho scoperto il mio talento nella prima infanzia, visto che quando ero all’asilo già creavo delle piccole scenografie e costumi, facendo esibire i miei amici  sul piccolo teatro dell’asilo. Le prime scenografie erano costruite con rami d’albero, scope in paglia, i costumi erano realizzati con pezzi di tende, vestiti vecchi e cartoncino . Sì, potrei dire che la mia vita artistica è partita proprio dalla scuola materna, già le suore erano molto preoccupate per il mio sdoppiamento di personalità, ma erano pur felici perché tenevo occupati per ore gli altri bambini.

D. Oltre ad essere un artista a tutto tondo, sei anche scenografo. Quali sono le tue collaborazioni più importanti in tale ambito?

R. A parte le realizzazioni fatte da ragazzino, posso dire che le prime scenografie vere e proprie sono nate nell’organizzazione di spettacoli di piazza  per beneficenza. Dal punto di vista professionale, il mio percorso inizia nel periodo in cui frequentavo il corso di scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Grazie alla mia grande fantasia e capacità di ottenere risultati di grande effetto con poco costo, vengo chiamato in Rai da Michele Cucuzza, per creare situazioni scenografiche e coreografiche per la trasmissione “La vita in diretta” . Tramite sempre l’accademia di Milano ho progettato fondali scenografici per il teatro, per serate di Gigi Proietti.  Una collaborazione importante, di cui vado molto fiero, è con l’attrice Paola Borboni, perché non solo è stata una maestra, ma specialmente un’amica che mi ha aiutato ad accettare le mie mille personalità e ad inserirmi nell’ambito teatrale.

D. Tv o Teatro, dove pensi di aver dato il meglio?

R. Penso di aver dato il meglio di me stesso sia in TV che in teatro, perché il mio lavoro è sempre stato la base della mia vita, tendo a dare il massimo quando creo e libero la fantasia, creazioni spesso destinate al successo e prestigiose. Un esempio è stata la realizzazione, ancora da studente, dei disegni per la trasmissione “Indietro tutta” con Renzo Arbore.

D. Un personaggio che nella tua vita ha avuto un significato importante?

R. Un personaggio a me molto caro è Sophia Loren, riguardo ai canoni di bellezza, insieme ad Anna Magnani, che interpretava i suoi personaggi dando l’anima e tutta se stessa. Queste due attrici sono stati i due punti di riferimento per la mia arte. Talmente ero affascinato da entrambe le attrici che, in alcuni periodi nella mia vita, mi immedesimavo in loro, iniziando dall’abbigliamento, al trucco, parrucco fino anche ai gesti e al modo di parlare. Dal punto di vista umano, sicuramente l’incontro con Papa Ratzinger mi ha dato una grande forza morale. Il ricordo che ho di Papa Benedetto XVII è di uomo di grande cultura, umiltà e spiritualità. Abbiamo avuto diversi colloqui privati ed ho avuto tutte le risposte alle mie domande esistenziali, in occasione della realizzazione del trono che mi era stato commissionato in suo onore.

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D. Un attore, un cantante, un artista tra i tuoi preferiti?

R. La cantante da me sempre amata e in cui mi rispecchio  è Amanda Lear per come dipinge , per come canta , per come si veste , per come si muove e per il suo stile di vita. Anche grazie a lei ho accettato il mio modo di essere e ho capito la mia ambiguità, che poi è la fonte del mio estro creativo. Non a caso la considero una musa ispiratrice.

D. Architettonicamente a chi ti ispiri o a quale corrente?

R. La mia risposta è molto semplice, riguardo l’architettura non mi sono mai ispirato a nessuna corrente specifica, le mie progettazioni sono puro istinto, quindi il progetto è insito nel mio Dna.

D. Il tuo progetto più importante?

R. Il progetto che mi sta più a cuore tra quelli realizzati è stata la costruzione di una chiesa in Brasile, fatta con materiali di recupero, nel 1988, a Capo Gabana. Stavo realizzando dei locali sul posto e con parte dei ricavi ho voluto creare questa chiesa particolare, in un capannone dove prima vendevano frutta e verdura all’ingrosso. Ho poi donato questa realizzazione a Suor Camilla, che si occupava di orfani.

D. Abbiamo saputo di un nuovo grande progetto in fase di realizzazione, puoi anticiparci qualcosa?

R. Il progetto attualmente in fase di realizzazione riguarda il mio mondo spirituale. I simboli che sto creando nascono dalla mia convinzione che l’unione di questi due ultimi papi abbia la forza di salvare il mondo. Si tratta in realtà di 3 progetti denominati “Deus” per i due papi (Benedetto XVI e Francesco): una croce, un calice e un braccialetto. Ci sto lavorando intensamente, perché si tratta di una impresa di grande portata, quindi estremamente difficile ed impegnativa.

D. A cosa stai lavorando attualmente, oltre al progetto “Deus”?

R. Attualmente sto collaborando con una ditta bresciana, specializzata in estrusione di profili. Si tratta di un progetto molto originale: dagli scarti di alluminio derivanti dal processo di lavorazione, realizzo opere d’arte, quadri, arredamento, design, pavimenti e persino abbigliamento. Naturalmente con la mia fantasia è uscito un fiume di opere che saranno presto commercializzate sotto il nome di una nuova linea di prodotti (qualche esempio su www.pasturi.it).

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Links: www.ginorodella.it
FB: https://www.facebook.com/GinoRodellaArts/

foto Gaetano Cucinotta




Rigoletto, il castello di Mantova prende vita in Arena

Entrati in Arena a Verona per la messa in scena del Rigoletto, il primo colpo d’occhio è la fedele riproduzione del Castello di Mantova che prende vita sulle gradinate dell’Anfiteatro preceduto da grandi pannelli in cui sono riproposti gli affreschi della “Camera degli Sposi”.  Ed è subito magia, un incanto che riporta ad altri luoghi ed altre epoche. L’allestimento è certo ultratradizionale forse un po’ antiquato volendo, ma per una volta, è bello non doversi soffermare sui significati reconditi di scelte artistiche peculiari e lasciarsi trasportare dalla musica di Giuseppe Verdi, dalla tragica storia del Rigoletto, il buffone di corte “esternamente difforme e ridicolo-  nelle parole di Verdi -, e internamente appassionato e pieno d’amore”,  e dall’immenso spettacolo realizzato per il Festival per questa nuova stagione, considerata quella della rinascita dopo le difficoltà finanziarie che, lo scorso anno, avevano fatto temere il peggio.tn_0207_Rigoletto_FotoEnnevi_032_20170701

credito: ©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona
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La regia è di Ivo Guerra, le scene di Raffaele Del Savio ed i costumi di Carla Galleri. Sul podio Julian Kovatchev. In scena il baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat (1 – 6 luglio), già vincitore di numerosi concorsi internazionali e, con il Rigoletto, al suo debutto in Arena, che si alterna nel ruolo con  Carlos Álvarez (14 e 19 luglio) e Leo Nucci (27 luglio), Rigoletto per eccellenza tanto che, solo a Verona è stato buffone alla Corte del Duca di Mantova per 45 volte. Il ruolo Duca di Mantova è di Gianluca Terranova (1 e  27 luglio), Francesco Demuro (6 luglio) e Arturo Chacón-Cruz (14 e 19 luglio), mentre Gilda è interpretata da Elena Mosuc (1 luglio), Jessica Pratt (6/7), Ekaterina Siurina (14 e 19 luglio),  e Jessica Nuccio (27 luglio).

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La lettura del regista Ivo Guerra  è fedele al libretto e prende ispirazione dalla prima rappresentazione areniana di Rigoletto del 1928, come omaggio ai grandiosi allestimenti dei primi festival lirici. L’allestimento de Il Rigoletto di Guerra è andato in scena per la prima volta nel 2003, per essere e poi ripreso nel 2004, nel 2008 e nel 2013. Raffaele Del Savio riproduce sulle gradinate areniane l’aspetto rinascimentale della città di Mantova, incorniciando i ricercati costumi cinquecenteschi ricreati da Carla Galleri. Da 1928 in poi in Arena sono stati comunque ben 10 gli allestimenti del Rigoletto, per un totale di rappresentazioni che, già ora, sfiora le 100 rappresentazioni. Si tratta, in effetti, della settima opera più rappresenta nell’anfiteatro  romano e sempre con un enorme successo di pubblico: sabato 1 luglio sulle gradinate non c’era un posto libero e c’èe da scommettere che il sold out sarà bissato nelle prossime repliche. D’altro canto lo stesso Verdi parlava del Rigoletto come della sua “opera migliore”. Il titolo, insieme a Il Trovatore e a la Traviata, appartiene alla triologia popolare dell’autore di Busseto ed è assolutamente godibile per un pubblico non solo di melomani. Al di là delle voci, e in particolare di quelle di Enkhbat  e Terranova, il Rigoletto entrata  un’opera nella memoria collettiva di ogni italiano che ne conosce ogni dettaglio della storia , di nascosto, ne canticchia e arie più note da “Bella figlia dell’Amore” a “Vendetta tremenda vendetta”.   Senza poi considerare che lo spettacolo in Arena è travolgente tra l’allestimento grandioso della Mantova Rinascimentale, i costumi da Oscar e l’uso massiccio e coreografico di comparse, coro e balletto.

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credito: ©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona
credito: ©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona

Purtroppo ci sono solo altre quattro opportunità per assistere, in Arena, al Rigoletto che è proposto per la 95° edizione dell’Opera Festival, il 6, 14, 19 e 27 luglio alle 21.00. I biglietti per le gradinate partono da 22 euro. Insomma è un’occasione da non perdere:

 

 

 

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“Non commettere atti impuri”: l’esordio letterario di Alberto Bernardi

Un backgroud professionale nell’ambito della produzione cine-televisiva dal 2000 (in RAI ha collaborato a programmi quali “Sì Viaggiare”, “L´Italia sul Due”, “Easy Driver”, “Costume e Società”, “TG1 Cultura”, “La Vita in Diretta”, “Chi l’ha Visto?”, “Rai News 24”, “TSP” e “Alle Falde del Kilimangiaro”), da sempre attento alla narrazione per immagine e convinto che la parola abbia il potere di trasformarsi, sino a scomparire, Alberto Bernardi si riscopre scrittore ed esordisce con il suo primo lavoro “Non commettere atti impuri”, presentato in Feltrinelli a Bologna lo scorso 16 giugno.

Un thriller originale, destinato agli amanti del mistero e dell’affascinante universo onirico. Un racconto dalle venature metafisiche, un vero e proprio psicofilm, composto da totali, primi piani, cambi di scena e flash-back: tra amore, mistero, sesso, azione, una storia densa di colpi di scena, dal finale mozzafiato…

D. “Non commettere atti impuri” è un libro pieno di sorprese e colpi di scena. Come nasce l’idea di questo romanzo?

R. Non è stata un’idea improvvisa. Sono curioso, guardo il mondo e le persone intorno a me.
Inoltre, amo i documentari: da uno in particolare mi è nata l’idea di una storia che toccasse aspetti quali il multiverso e la percezione del mondo che per ognuno di noi è del tutto soggettiva.
Faccio riferimento a (COSMOS) Carl Sagan quando , oltrepassato Nettuno, convince la NASA a girare la fotocamera del Voyager 1 verso la Terra per un ultimo sguardo e ciò che vede è “un pallido puntino azzurro” in un tenue raggio di sole”.

La scienza dell’infinitamente piccolo ci dice che il mondo è una pura “rappresentazione” personale che si manifesta nel momento stesso che lo osserviamo. Tutti i possibili avvenimenti coesistono in contemporanea. Per farla semplice immaginiamoci attori, abbiamo recitato in tutti i film possibili e immaginabili e ora li stanno trasmettendo tutti sui canali TV. Essi convivono in simultanea sulle diverse frequenze ma noi, cambiando canale, ne vediamo soltanto uno per volta.

D. Ci racconti la trama senza svelare troppo?

R. Protagonista è il trentacinquenne Carlo, che vive in un cottage della campagna toscana insieme al suo cane Ambra. Carlo nasconde un segreto inconfessabile, una grave e sconosciuta malattia che gli preclude di vivere un’esistenza normale. Si tratta di un’inspiegabile catatonia che quando lo coglie è improvvisa e totale, tanto da farlo sembrare morto. L’incontro con Laura innescherà una serie di eventi imprevedibili. Una narrazione serrata in cui si inserisce, in parallelo, la storia di Bro, coetaneo di Carlo, con un’infanzia disastrosa. Occultato ai vicini perché visto come un mostro, e pertanto odiato dalla madre che se ne sbarazza in malo modo. Violento e perverso, è ossessionato dalle donne che considera oggetti da usare in tutti i modi che la sua fantasia malata gli suggerisce. Due vite opposte, ma destinate a incrociarsi, in maniera apparentemente casuale… non diciamo di più per ora.

D. Nel romanzo abbiamo quindi un protagonista Carlo e un antagonista Bro, due storie e due personaggi antitetici, come un po’ tutto il romanzo è segnato da un dualismo profondo: luce/ombra, bene/male, luce/buio, sogno/realtà…

R. Lo psicanalista Jung sosteneva che noi tutti abbiamo due facce: una è quella pubblica e l’altra è quella privata. Della seconda spesso ci vergogniamo nonostante sia la più vera.

Ogni aspetto delle vita ha due facce, anche l’amore. Esistono grandi storie d’amore senza figli e rapporti fugaci, di violenza, di sopruso, che generano figli. Non è solo l’amore a generare la vita.
L’ideale è quando l’amore e il sesso si bilanciano, ma io credo che sempre e comunque si sia un po’ di più nella luce o un po’ di più nel buio.

D. Sembrerebbe esservi un maggiore approfondimento psicologico nelle figure maschili del romanzo che in quelle femminili, come mai?

R. Ciò che si deve fare è guardare il racconto come un immenso “panorama”.

Le figure femminili sullo sfondo, in realtà, sono quelle che tracciano tutto il percorso della trama, Carlo e Bro sono come palline che rimbalzano in un flipper. L’attenzione si concentra sulla pallina, ma le figure femminili sono lì a condizionarne il percorso, nel bene e nel male.

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D. Non commettere atti impuri, perché questo titolo?

R. In realtà, come tanti altri elementi nel corso della lettura, è il tassello di un puzzle che piano piano viene a completarsi. Durante una discussione questa frase viene pronunciata nei confronti di Carlo che, quindi, comincia a temere che la sua condizione di salute sia in qualche modo, proprio per via di questo comandamento, una punizione.

D. In generale nel romanzo sono numerosi i riferimenti filosofici, scientifici, storici nonché derivati dalla fisica e dalla vita reale. Quanta ricerca e documentazione ha richiesto questa tua opera?

R. Il romanzo è ambientato nel 2008. Il lavoro più grosso, pertanto, una volta tracciata la trama, è stato controllare la veridicità di alcune supposizioni.

Ho dovuto verificare se certe “invenzioni”, studi scientifici, film, o altro, esistessero nel 2008 e se la storia potesse reggere in termini temporali. Ho impiegato anni a raccogliere tutte le informazioni nel tempo libero, poi un fermo forzato, per motivi di salute, ha fatto sì che l’idea, la trama e gli appunti, diventassero il romanzo che è oggi.

D. Il romanzo è stato definito una sorta di film psichico, del resto tu stesso arrivi dall’ambiente cinematografico e televisivo, e sei da sempre attento alla narrazione per immagine. In che modo questo tuo stile narrativo si concretizza nel romanzo?

R. Scrivendolo ho cercato di fare in modo che il lettore “vedesse” ciò che leggeva, rappresentando anche le emozioni, quando fattibile, con il tremore di una mano o un’espressione.

Il limite di uno scritto è che è sequenziale, una cosa è obbligata a seguire l’altra, mentre in un solo frame cinematografico posso dire molteplici cose simultaneamente.

D. A chi è destinato il romanzo? Avevi già in mente un pubblico ideale nel momento dell’ideazione?

R. A un pubblico adulto, senza preconcetti, che attende di giungere alla fine per capire che, a dispetto di tutto, quello che ha letto è un messaggio di speranza.

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Non commettere atti impuri
di Alberto Bernardi

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