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La moda della gioielleria antica in mostra a Milano alla Fondazione Luigi Rovati

di Cristina T. Chiochia
Imparare o descrivere la storia del gioiello non è compito facile. Eppure Il “mood della moda della gioielleria antica” ha sempre più successo. Ne è un valido esempio la mostra a Milano presso La Fondazione Luigi Rovati a Milano che, da quando è stata aperta un anno fa, offre la rara possibilità di vedere in un contesto unico, quello di un palazzo molto conosciuto in città, dei veri tesori etruschi, anche di alta gioielleria antica.
E non solo. Molti i tesori etruschi che è possibile ammirare in una mostra che è stata realizzata ad hoc e che è diventata in breve tempo un evento.
La mostra al piano nobile e ipogeo del Museo d’Arte di questa Fondazione la cui sede è in Corso Venezia a Milano, già dal titolo “Tesori etruschi: la collezione Castellani tra storia e moda” si presta a questa idea di “mood”. E così, dal 25 ottobre 2023 al 3 marzo 2024 è possibile ripercorrere questa arte orafa e un pò tutta la cultura etrusca, in queste sale con una passione davvero unica. La mostra che è stata realizzata e resa possibile con il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia di Roma al fine di portare a Milano i reperti archeologici più preziosi ed importanti della collezione Castellani. contiene reperti unici da vedere. Quasi a comprendere cosa sia un gioiello antico, il visitatore visitando i vari ambienti , grazie anche agli altri oggetti esposti, puo’ ammirare cosa significhi appunto notare le varie piccole disomogeneità e le piccole scoloriture in cui pero’ taglio lavorazioe e stile diventano lo scopo con cui apprezzare quelle che non sono imperfezioni ma anzi, unicità dei pezzi. E cosi, una passione, vero e proprio vanto di una antica tradizione antiquaria romana che ha fatto di una arte, un lavoro. Famiglia di orafi e collezionisti (oltre che di mecenati) nel corso di un secolo, hanno saputo nell’ottocento in fermento, re-inventare l’antica arte e cultura etrusca dell’oro rendendo bronzi, gioielli antichi e ceramiche ispirazione per le loro creazioni.
Per la prima volta arriva a Milano da Roma la più significativa collezione vanto di un lavoro fitto ed incessante tra la Fondazione milanese e l’istituzione pubblica romana. Valorizzare il patrimonio etrusco non è compito facile. Eppure questa mostra ci riesce appieno, in particolare nella sala azzurra al piano nobile, dove sono presenti le oreficerie e che sono strettamente connesse alla sfera del lusso ad opera dei Castellani a partire dal loro anno di fondazione, il 1814 sino alla sua chiusura nel 1927.  Collane con pendenti ad anforetta, bracciali a moduli stile etrusco, collane con pendenti triangolari “periodo primigenio” in mostra in tutto il loro splendore.

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Il mood della moda irrompe in questa mostra realizzata con molti altri capolavori tra cui vasellame e molto altro, ma che è proprio nella sezione sulla oreficeria a fare la differenza:  nella sezione del gioiello come esempio di questo modo di creare alta oreficeria, sia quella originale etrusca, sia nelle sue repliche moderne. Nasce la oreficeria archeologica italiana, destinata ad un target specifico che la ama e crea tendenza. Non si dimentichi infatti che ebbe una influenza forte sulle ispirazioni neoclassiche della moda e del costume italiani ed europei di quel tempo fino all’art nouveau.
Una mostra inedita con veri e propri capolavori in sei sezioni che espongono gioielli antichi e riproduzioni ottocentesche, circa 80, provenienti da Roma, oltre che un insolito viaggio nel tempo:  grazie ad uno spazio espositivo, quello dell’ipogeo che come un labirinto, offre la rara esperienza di scoperta inedita di una civiltà, come quella etrusca, che è stata frutto di scavi e ritrovamenti in luoghi nascosti con l’attività di Fortunato Pio Castellani e i suoi figli, Alessandro ed Augusto che ebbero anche una bottega orafa attenta alle tendenze della moda, e che creò appunto le collezioni della moda della gioielleria antica e che ora, grazie a questa fondazione privata, oggetto di conoscenza e di sperimentazione.



2 Profumi per … Gennaio

Iniziamo oggi una serie di articoli mensili in cui vi consigliamo 2 profumi al mese. Per questo mese di gennaio vi proponiamo un profumo cosiddetto “commerciale” e un profumo di nicchia: Devotion (D&G) e Desert Suave (Liquides Imaginaires).

Iniziamo con Devotion di Dolce & Gabbana, il nuovo profumo della maison uscito lo scorso autunno e che troviamo perfetto per questo periodo post-vacanze. Non vi manca già il profumo del panettone, dei canditi, la dolcezza delle feste? Allora Devotion è la scelta giusta per voi.

Con questo profumo, creato dal famosissimo Olivier Cresp, Stefano Dolce e Domenico Gabbana vogliono celebrare i valori più nobili della vita, quei valori positivi incarnati dal simbolo del cuore sacro, molto caro ai due stilisti e che campeggia sulla bellissima boccetta. Il cuore sacro è da sempre simbolo di devozione, e per i couturier è il simbolo della perfezione e della loro instancabile ricerca di bellezza. Il profumo Devotion celebra quindi la bellezza della nostra terra e in particolare della costiera amalfitana (non a caso lo spot – che vede Katy Perry protagonista – è stato girato a Capri): il limone candito in apertura stuzzica il nostro “appetito”, mentre i fiori d’arancio regalano freschezza e luminosità alla composizione, che termina con una deliziosa ed avvolgente vaniglia. Un delizioso gourmand, avvolgente e sensuale, ma anche frizzante e divertente, ottimo per contrastare la malinconia che accompagna la fine delle vacanze natalizie.

Il secondo profumo che vi proponiamo per questo mese è della Maison francese Liquides Imaginaires, fondata dal designer Philippe di Meo nel 2011 e ispirata ad un concetto di profumo che va al di là del semplice accessorio di bellezza, ma che si fa strumento di passaggio dal materiale all’immateriale, da solido a liquido, da visibile ad invisibile. Ecco quindi che il logo della maison è un talismano a forma di chiave, per aprirci le porte di questo mondo immateriale, e il tappo ha la forma di un’anfora, nei tempi antichi utilizzata per trasportare le essenze più preziose.

Tutta la collezione è straordinaria, per questo mese di gennaio vi consigliamo però Desert Suave, che fa parte della trilogia “Les Eaux Imaginaires” – creata per trasportarci via dalla routine di tutti i giorni in luoghi magici ed evocativi. Vi vogliamo quindi portare via dal freddo di gennaio e trasportarvi in un’oasi lussureggiante, un gioioso miraggio: una terra fertile in mezzo al deserto, acqua fresca e dolci datteri invitano lo stanco viandante a fermarsi qui, a rilassarsi e a stuzzicare tutti i cinque sensi ma anche a lasciare dietro di sé il sentore pungente del suo carico di spezie. Un profumo pieno di contrasti come è lo stesso deserto: caldo, avvolgente e dolce (la rosa, il dattero, il cisto) ma anche fresco ed energizzante (cardamomo, mandarino italiano, fiore d’arancio e chiodi di garofano).

Insomma: un miraggio olfattivo in un mondo apparentemente privo di odori.

Buon inizio di anno nuovo, scriveteci nei commenti se conoscete già queste fragranze e cosa ne pensate!




I Piatti del Buon Ricordo: le new entry 2024

L’Unione Ristoranti del Buon Ricordo si prepara a festeggia i suoi primi sessant’anni con otto ingressi che portano il numero degli aderenti a 112 (di cui undici locali all’estero) e quattro cambi di specialità. Un’occasione per organizzare un viaggio alla scoperta di territori e locali di eccellenza, oltre che per arricchire la collezione di piatti del Buon Ricordo (dipinti dagli artigiani della Ceramica Artistica Solimene di Vietri sul Mare), da sempre icona del sodalizio: il piatto viene infatti donato agli avventori che che degustano il menù del Buon Ricordo a ricordo dell’esperienza gastronomica vissuta.

ICONA TRICOLORE Prima che milioni di guide inondassero gli scaffali delle librerie e le edicole, i Ristoranti del Buon Ricordo fin dalle origini, dal 1964, hanno rappresentato un marchio di garanzia di ospitalità del territorio che, allo stesso tempo, ha concorso a salvaguardare e valorizzare le tradizioni e culture gastronomiche italiane.  Per conoscere da vicino i Ristoranti del Buon Ricordo e le loro specialità, si può consultare il sito omonimo o  la Guida 2024 appena pubblicata, in distribuzione gratuita nei ristoranti associati e scaricabile dal sito, dove si trovano anche gli Hotel, che hanno al loro interno un ristorante del Buon Ricordo.

NEW ENTRY Più in dettaglio new entry 2024 nell’Unione dei Piatti del Buon Ricordo sono: Ristorante Bon Parej di Torino con il Bonet; il Ristorante La Baia di Cremia con Persicotto; il Ristorante Enoteca del Duca di Volterra con Ravioli del Duca con piccione, crema di pere e finocchietto selvatico; il Ristorante Armare di Roma con Calamaro ripieno; l’Osteria Famiglia Principe 1968 di Nocera Superiore con ‘O Scarpariello del Principe 1968; La Bettola del Gusto di Pompei  con Spaghettoni di Gragnano Igp con alici fresche, colatura tradizione di Cetara, tartufo nero e burro di bufala; il Ristorante Ciccio in Pentola di Palermo con Paccheri al gambero rosso e pomodoro ciliegino;  il Terre – Pasta & Natural Wine di New York con Pappardelle con ragù di cinghiale selvatico.
A cambiare invece le specialità sono: il Ristorante Salice Blu di Bellagio con il Risotto ai fiori di zucchina e tartufo di Bellagio; l’Osteria di Fornio di Fidenza con le Mezze maniche di Fornio dal 1928 che da sole valgono il viaggio; il ristorante dell’Hotel Barbieri a Altomonte con le Polpette contadine il Ristorante Filippino a Lipari con le Caserecce al pesto di limoni con tartare di gambero del Ristorante Filippino.

UN EVENTO RECORD Per i suoi primi sessant’anni l’Unione dei Piatti del Buon Ricordo ha in programma inoltre un evento da record a Vietri sul Mare: “100 Chef per una sera”. A cucinare per 1000 commensali, accomodati a un’unica e lunghissima tavolata saranno 100 Chef del Buon Ricordo.

 




Con la monumentale Tosca di De Ana, l’Arena di Verona anticipa il Centenario di Puccini

Dieci minuti di standing ovation hanno decretato il successo della seconda rappresentazione della Tosca, nell’allestimento di Hugo De Ana, andata in scena lo scorso 5 agosto all’Arena di Verona. Sabato scorso infatti le stelle sono tornate a splendere sopra l’Antiteatro rendendo ancora più speciale l’assolo “E lucean le stelle” per cui Vittorio Grigolo, un ispirato Mario Cavaradossi, ha concesso il bis. Più volte poi, nel corso della serata, l’opera di Giacomo Puccini (il sesto titolo più rappresentato nel corso delle cento edizioni del Festival Lirico anche grazie ad arie memorabili e amate da un pubblico trasversale come la struggente “Vissi d’arte” e  “Recondita armonia”) è stata interrotta da applausi scroscianti da parte del folto pubblico accorso per il Festival del Centenario e, in particolare, per godere di questo allestimento senza tempo portato in scena per la prima volta nell’estate del 2006.

“Questo capolavoro di Puccini, in una produzione classica e leggibile ma sempre mozzafiato, costituisce uno spettacolo ideale tanto per gli esperti quanto per chi viene all’opera in Arena per la prima volta e si inserisce nell’omaggio che Fondazione Arena sta preparando per il centenario di Puccini” – dichiara Cecilia Gasdia, Sovrintendente della Fondazione che preannuncia novità in arrivo proprio in vista della ricorrenza (cento anni dalla morte di Puccini mancato il  29 novembre 1924) protagonista della prossima stagione dell’Opera Festival Arena di Verona.

Il palco dell’Anfiteatro è dominato dalla testa monumentale dell’Arcangelo Michele di Castel Sant’Angelo che incombe, distaccata e implacabile, mentre le sue enormi mani (una con un rosario e una imbraccia una gigantesca spada pronta a calare sui protagonisti) incorniciano la scena su cui si alternano opulenti candelabri, tele, croci e mobili d’epoca. Il dramma, in tre atti, prende vita nell’arco di un’unica giornata (il 14 giugno 1800) nella Roma papalina in tumulto, cupa e opulenta, contesa dai bonapartisti ma controllata dal regime di polizia dello spietato Barone Scarpia, mentre sullo sfondo si odono gli echi della battaglia di Marengo. È una Tosca colossale, teatrale e maestosa in cui l’allestimento è a servizio della psicologia dei personaggi: Floria Tosca, diva dalla forte forte personalità e da grandi contrasti; Cavaradossi artista liberale e il Barone Scarpia, il villain del dramma, a capo della polizia pontificia. Non sopravvivrà nessuno.

De Ana, regista, scenografo costumista e lighting designer, gioca sui simboli per far emergere tutte le pulsioni umane al centro dell’opera: gelosia, brama di potere, sesso, amore, passione, lascivia, ipocrita devozione, onore, amore, viltà e coraggio.

Indimenticabile il fastoso Te Deum che, in una sorta di allucinazione di Scarpia, chiude il primo atto con una processione di vescovi quasi mummificati a cui fanno da contraltare altre figure di ecclesiasti dalle fattezze scheletriche che emergono dalle nicchie della parete di fondo

La seconda rappresentazione di Tosca ha visto protagonisti, diretti da Francesco Ivan Ciampa, oltre a Grigolo, anche il soprano bulgaro Sonya Yoncheva nel ruolo di Tosca e Roman Burdenko in quello di Scarpia. Hanno completato il cast il basso georgiano Giorgi Manoshvili nel ruolo di Angelotti, Giulio Mastrototaro nel ruolo del sagrestano, Carlo Bosi come Spoletta, Nicolò Ceriani  nei panni di Sciarrone, Dario Giorgelè come carceriere e Erika Zaha che, con uno stornello cantato sulle rive del Tevere,  apre l’ultimo atto mentre le campane preannunziano la resa dei conti. In scena infine il coro preparato da Roberto Gabbiani e il coro delle voci bianche A.d’A.Mus. diretto da Elisabetta Zucca.

Repliche il 10 agosto e il 1° settembre

 




L’Aida di Poda domina l’estate in Arena

L’Aida è la regina incontrastata dell’Arena oggi così come nel 1913, quando fu scelta proprio l’opera verdiana per inaugurare la prima stagione dell’Arena di Verona Opera Festival voluta dal tenore veronese Giovanni Zenatello. Lo dimostra il nuovo allestimento dell’Aida firmato da Stefano Poda che ne cura anche scene, costumi, luci e coreografie, scelto per festeggiare le cento candeline del Festival. Una produzione kolossal che si unisce alle 28 già andate in scena in oltre sessanta precedenti edizioni del Festival Lirico per un numero complessivo di rappresentazioni che, a fine stagione, dovrebbe arrivare a quota 750.

A dieci anni dall’Aida meccanica della Fura dels Baus, allestita per il centenario dell’inaugurazione e i duecento anni dalla nascita di Giuseppe Verdi, il Festival propone quindi un’altra produzione ipertecnologica e innovativa per brindare a un compleanno davvero speciale, quello del centenario.

Quello firmato da Poda è spettacolo imponente e stellare tra luci laser, canne luminose, luci led che esaltano il profilo dell’Arena, una palla d’argento sospesa sopra l’Anfiteatro, fumi e una gigantesca mano di metallo, icona della produzione, che si apre e si chiude, crea e distrugge, benedice e uccide chiudendosi inesorabile sui due amanti che invocano la pace. Il pubblico, secondo lo stesso Posa, “si trova davanti a una grande installazione: il moderno non è una rincorsa all’attualità, bensì un salto al futuro”, con “un palcoscenico tecnologico, dinamico, cangiante, sorprendente”.

L’hanno ribattezzata Aida di cristallo perché sono le trasparenze a dominare il palcoscenico, un enorme e avveniristico piano inclinato avvolto da piramidi di luce su cui si muovono i protagonisti del dramma con costumi che riflettono e moltiplicano all’infinito gli effetti luminosi, ma potrebbe essere definita anche un’Aida rock che si discosta solo in apparenza dalla tradizione areniana, traboccante di ori, piramidi e cavalli in scena, per farne emergere pienamente lo stupore da parte degli spettatori. “La storia di Aida è quella di un mondo in guerra che divide in nemici mortali due popoli fratelli e vicini. Ma la stessa opera finisce in un sussurro di pace: un viaggio dantesco, da un inizio infernale a un finale di visione celeste” ha dichiarato Poda commentando il suo allestimento che vuole essere “uno spettacolo interdisciplinare che vuole parlare a tutti”.

Il palco è gremito con cinquecento persone circa in scena tra comparse, mimi, i coristi guidati da Roberto Gabbiani, il corpo di ballo coordinato da Gaetano Petrosino e i protagonisti del dramma verdiano tutti diretti da Marco Armiliato. Una massa che si concentra e si espande nello spazio dell’Arena, palcoscenico e gradinate, muovendosi a tratti anche al rallentatore, avvolgendo i protagonisti e creando grandi immagini scolpite dalle luci.

Protagonista della rappresentazione del 21 luglio è Monica Conesa, giovane soprano cubano-americana. Il tenore coreano Yonghoon Lee è stato applaudito al suo debutto come Radames in  Arena. Il baritono veronese Simone Piazzola ha vestito i panni Amonasro, Olesya Petrova quelli di Amneris, Rafał Siwek quelli del sacerdote Ramfis, Abramo Rosalen quelli del Re egizio, Carlo Bosi quelli del messaggero e Francesca Maionchi quelli della la sacerdotessa.

Repliche: 30 luglio – 2, 18, 23 agosto – 3, 8 settembre 2023




Robert Doisneau: la bellezza delle cose che ci circondano

di Cristina T. Chiochia

Le foto di Robert Doisneau arrivano a Milano dal 9 Maggio 2023 con 130 immagini in bianco e nero e sembrano prendere vita già ad occhi chiusi presso il Museo Diocesano Carlo Maria Martini, in una mostra antologica emozionate in un viaggio sino al 15 Ottobre 2023 in cui si segnalano del foto sugli iconici anni ’50 in Francia in particolare a Parigi davvero interessanti. La mostra, curata da Gabriel Bauret, grazie a i personaggi rappresentanti, in bianco e nero si diceva, intenti a fare “qualcosa”, in una sorta di bolla senza tempo e senza spazio, quasi  a dare vita ad un teatro inedito, come quello umano che emoziona, fa sorridere, meditare. Durante la conferenza stampa quello che si è messo in luce  è non solo di essere di fronte alle foto di uno uno dei più importanti fotografi del Novecento ma anche, come recita il comunicato stampa che questa è una “esposizione, curata da Gabriel Bauret, promossa da Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e prodotta da Silvana Editoriale, col patrocinio del Comune di Milano, col contributo di Fondazione Banca Popolare di Milano e di Fondazione Fiera Milano, ripercorre la vicenda creativa del grande artista francese, attraverso 130 immagini in bianco e nero, tutte provenienti dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge, nell’immediata periferia sud di Parigi“. Una sorta, insomma, di atto d’amore, che, in fondo, la fotografia è, attraverso improbabili personaggi, bambini (spensierati), uomini, donne , innamorati pieni di vita e di passione e personaggi famosi che diventano vere e proprie icone della “sua”città.  Vedere “il lato bello”, insomma della vita, lui che iniziò come pubblicitario e fini per diventare un grande fotografo. Perdersi per le strade di Parigi, come nella vita, osservare la “sua” città  contemporanea e riconoscerne un pò di quelle emozioni umane ora forse un po’ demodè e da secolo scorso e sicuramente, di cui, la recente pandemia da covid, ha un po’ disabituato: amore e vita in strada, dove anche un bacio può dare scandalo e lo si vive quindi con indifferenza, cosi come tra la gente sconosciuta e quella famosa, che sia per il gusto di sentirsi o essere vivi. Lontana la guerra, esplode la vita. In mostra inoltre, anche ritratti di Jacques Prévert, Pablo Picasso (con la celebre foto dell’amico) ed i tanti protagonisti di quegli anni.  Presente alla mostra anche il video documentario biografico della nipote Clementine Deroudille dal titolo Robert Doisneau uscito nei cinema italiani nel 2017 con il sottotitolo “La lente delle meraviglie” ed inoltre, tra i capolavori esposti, anche la  foto del bacio, Le baiser de l’Hôtel de Ville del 1950. Iconica foto che ritrae una giovane coppia che si bacia davanti al municipio di Parigi mentre la gente cammina veloce e distratta. L’opera, per lungo tempo identificata come simbolo della capacità della fotografia di fermare l’attimo, non è stata scattata per caso: Doisneau, infatti, stava realizzando un servizio per la rivista americana Life e per questa chiese ai due giovani di posare per lui. Una mostra voluta da Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e prodotta da Silvana Editore che ne cura anche il catalogo.Un modo per perdersi nella bellezza delle cose che ci circondano, almeno qualche ora.




L’arte come piacere di sentirsi a casa

di Cristina T. Chiochia

Con la mostra L’Ode al Piatto (30 novembre – 24 dicembre 2022) , lo storico Studio Bolzani di Milano, gioiello di Angelo Bolzani che quest’anno celebra il proprio centenario dalla fondazione con una serie di iniziative nel passaggio pedonale di Via Durini (la Galleria Strasburgo, proprio dietro a San Babila), ha offerto durante il periodo di Natale al suo pubblico, un concetto di arte come piacere, in questo caso quello di sentirsi a casa.
E lo ha fatto con una mostra su un oggetto apparentemente semplice: il piatto, appunto, presente in tutte le case.
Una mostra di piatti che, come recita il comunicato stampa sono “realizzati dai più conosciuti e rinomati artisti del ‘900. Le ceramiche presentate, saranno piu di quaranta. I campi di grano di Mario Schifano, i cavalli di Aligi Sassu, le ricche composizioni di Michele Cascella, i volti aggraziati di Ernesto Treccani, le geometrie di Arnaldo Pomodoro, i doppi profili di Remo Brindisi, i paesaggi di Carlo Mattioli, le figure cubiste di Ibrahim Kodra, sono solo alcune delle firme storicizzate che saranno esposte in mostra“. Durante il periodo natalizio insomma, la galleria ha offerto uno sguardo inedito sul “food” visto però non dando importanza al contenuto dei piatti, ma i piatti stessi. Perchè, in fondo, l’uomo è ciò che mangia. Perché non riflettere sull’uomo attraverso le emozioni che suscitano dei piatti proprio in questo periodo di festa? Inoltre tutti d’Autore.
Un viaggio, quello nel secondo piano della galleria dove erano presenti anche molti altri capolavori volutamente in ordine scomposto ma in continuo dialogo con le pareti, dove l’ alimentazione del cibo fisico è connessa all’evocazione della vita emotiva del piatto dipinto e che assume un significato estetico di arte, ma di esplicito richiamo alla “conditio sine qua non ” dove le opere evocano la sensibilità degli artisti.
L’uomo è ciò che mangia.  Ed ecco come una sorta di ritratti, i piatti dipinti come prospettive dell’anima nei diversi aspetti psicologici come quello di Bruno Cassinari che in una ceramica policroma (“prova d’autore”), oppure quello di  Franco Gentilini con il suo “Volto femminile. Piatto che puo’ essere anche in dialogo con quello che puo’ contenere, come aspetto fisiologico, come quello di Saverio Terruso (Pezzo unico) dove la rappresentazione di un piatto di pesci diventa moto accellerato sulla superficie dei colori.
Un viaggio nella “affettività” di un piatto tra abbuffate e trasgressioni umane, ma anche nell’intimità affettiva, religiosa e culturale della società che esprime, come quello di Salvatore Fiume con un nudo di donna ammiccante, o da contro, quello profondamente spirituale di Franco Rognoni.
Concludendo la mostra ha offerto un modo inedito per allontanarsi dalla percezione del piacere fisico del cibo (che un piatto ovviamente può contenere), per immergersi in quello del proprio mondo interiore Un ascolto di sé intenso, che avviene attraverso l’arte dove il concetto di “appetito”, permette agli artisti in mostra di dialogare tra di loro, quasi alla ricerca di un linguaggio nuovo per merito della superficie della ceramica del piatto.
Una mostra che è un’ode al bisogno d’amore, alla ricerca del proprio anestetico naturale, l’arte. Proprio perchè grazie all’arte, avviene spesso il miracolo: eliminare la sofferenza e la profonda insoddisfazione di vivere questi tempi tanto difficili e confusi.
Una scorciatoia? Forse. Ma la bella mostra “Ode al Piatto”  nutre di bellezza estetica in concetto di desiderio e di piacere associato al cibo e lo pone in relazione al piatto, ovvero ciò che da sempre lo contiene, lo accoglie per essere poi gustato. Piatti artistici che sono veri capolavori in ceramica di grandi autori italiani che dipingono sulla superficie del piatto, che diventa accogliente non solo di colori ma anche di arte, in totale equilibrio espressivo, ed in continuo dialogo tra di loro. Arte come piacere. Quello di sentirsi accolti ed “a casa”.



Cristian Cavagna: ritratto di un annusatore

“Ciao a tutti sono Cristian, e sono un annusatore”. Così si aprono i godibilissimi video che Cristian posta sul suo profilo TikTok, che vanta un seguito di quasi 18.000 follower.

Ma chi è Cristian Cavagna? Se ancora non lo conoscete, ve lo diciamo noi: Cristian è uno dei massimi esperti di profumeria in Italia e il suo curriculum è impressionante. Consulente e direttore creativo per marchi famosi, selezionatore di marchi per piccole e grandi profumerie, valutatore di fragranze, presentatore a Pitti Fragranze, giudice all’Accademia del Profumo per citare solo alcuni dei suoi innumerevoli interessi e progetti. E’ fondatore di Adjiumi, un gruppo di Facebook nato 17 anni fa per riunire sia i rappresentanti delle varie filiere legate al mondo dei profumi, sia semplici appassionati, con lo scopo di diffondere la cultura olfattiva e il rispetto della materia prima. Oggi Adjiumi (non vi scervellate: il nome è puramente inventato e non significa nulla. E’ come un profumo: c’è ma non lo vedi, lo senti ma non lo puoi toccare) conta più di 6600 membri, ed è diventato un punto di riferimento per gli appassionati, anche perché Cristian ed il suo staff promuovono una cultura dello scambio, della curiosità, dell’amore per il bello e per l’arte, e combattono la critica becera, inutile e fine a se stessa.

Il gruppo e la sua filosofia rispecchiano appieno la personalità e lo stile di Cristian: elegante, raffinato, pacato, mai sopra le righe e attento alle sensibilità e ai gusti altrui. E’ sempre impeccabile, lui: pensate che una volta l’abbiamo incontrato in pieno luglio in profumeria, con l’aria condizionata andata in tilt per il gran caldo. Lui era lì, perfetto, senza una piega e senza una pezza, fresco come una rosa. E dispensava sorrisi a tutti agitando con nonchalance il ventaglio di emergenza che ci avevano fornito per resistere alla canicola. Noblesse oblige! Quando inizia a parlare di materie prime, progetti artistici, sensazioni e storia del profumo, staresti lì ad ascoltarlo per ore e senti che ne hai ancora da esplorare e studiare prima di poterti definire anche solo appassionata di fragranze!

Da due anni però Cristian ha anche deciso di comporre le sue fragranze. Ha infatti iniziato a creare – insieme ad alcuni amici nasi, primo fra tutti il maestro Arturetto Landi – una collezione di sette profumi dedicati al suo fiore preferito, la tuberosa, linea che ha chiamato “La tuberosa secondo me”. Ne sono già usciti tre: Musa Paradisiaca, Boa Madre e Murice Imperiale. Musa Paradisiaca è il nome scientifico del BANANO, dalle cui foglie Cristian ha estratto un composto luminoso ed elegante, che insieme alla freschezza del sedano e alla corposità della tuberosa, del narciso, della vaniglia e dell’ambra danno vita ad un delizioso contrasto tra freddo e caldo, ad una sensualità fresca e moderna allo stesso tempo.  E che dire dell’elegantissima bottiglia che strizza l’occhio all’art déco? Non solo: tutte le creazioni sono accompagnate da illustrazioni create appositamente da artisti internazionali (per Musa Paradisiaca l’australiana Rhea Ornias; per Boa Madre la tedesca Polina grafik designer; per Murice Imperiale la lituana Natasha Gro).

Boa Madre è la seconda delle tuberose secondo Cristian, una declinazione inedita e animale della tuberosa: il boa è il rettile, freddo, glaciale, elegantissimo, ma è anche il boa di piume, morbido, arioso, leggero. Boa madre è infine la buona madre in portoghese, la terra madre da cui tutto nasce, il porto salvo a cui approdare. Ritroviamo in apertura l’accordo fresco di foglie di banano accostato alla piccantezza dello zenzero e del pepe rosa. Il cuore fiorito e sensuale vede un’assoluta di tuberosa che si fonde con il gelsomino, la zagara, il seducente ylang ylang e l’iris, mentre il fondo animale e potente fonde le note legnose di sandalo con quelle bruciate della betulla e del cuoio, per tuffarle nell’animalità del muschio, dello zibetto e del castoreo. Una fragranza che potrebbe sembrare più maschile e che sta invece piacendo moltissimo alle donne.

Infine, quest’estate è uscita la terza creazione: Murice Imperiale. Murice è il mollusco da cui si ricava il viola imperiale, il rosso porpora, pigmento che non scolorisce mai, anzi a contatto con il sole si fissa ancora di più. Imperiale perchè veniva usato dagli imperatori sia per le case che per le vesti. “Ho immaginato il profumo dell’aria del mare in mezzo ad una piantagione di tuberose” dice Cristian. Attenzione però a non chiamarla tuberosa marina: è una tuberosa oceanica!

Le tuberose però non possono crescere vicino al mare, perciò come può arrivare un fiore cosi delicato su una spiaggia? Attraverso una sirena che sulla battigia ha trovato una murice, dove la tuberosa si era nascosta per poter viaggiare attraverso il mare. Cavalcando le onde del mare, sfidando mostri marini, la tuberosa ha pianto nella pioggia e si è asciugata al sole. Ha abbracciato un blocco di ambra grigia e ha danzato con assolute di alghe rosse. Ha difeso il diritto alle radici con tutte le sue forze, aggrappandosi ad un corallo. C’è una estrazione molecolare di muschio marino, che ci fa scivolare sugli scogli, ed ecco che incantevole arriva l’accordo di Musa paradisiaca con le sue foglie di banano. Non ditelo a Cristian…ma io ci sento anche il profumo del melone maturo, succoso e luminoso come il sole d’estate…

(collage di ©Emmanuelle Varron per ©Cafleurebon)

Ma non finisce qui: per festeggiare i 15, 16 e 17 anni del gruppo Adjiumi, Cristian ha creato altrettanti cubi celebrativi. Nel 2020 è nato Dolce q.b., una vaniglia orientale unisex, studiata sotto una prospettiva completamente nuova: ci troviamo di fronte ad una diversa interpretazione del sillage orientale, una vaniglia morbida ma allo stesso tempo molto tostata e speziata, poiché letteralmente avvolta da catrame di betulla, incenso e cannella che la rendono irresistibile ma senza risvolti golosi.

La scatola di Dolce q.b. ci ricorda un contenitore per monoporzioni di torte. Sfilando la parte superiore si nascondono golose curiosità: il pack di un rosso deciso per omaggiare gli interni delle borse di Coco Chanel presenta minuscoli disegni che danno forma agli elementi olfattivi presenti in piramide, provette, pipette e la sigla di ADJ. Rovesciando questa base, la stessa formerà una piramide dove in chiaroscuro campeggiano le lettere di Adjiumi a caratteri “qb…tali”. Dopo il bianco, il 2021 si tinge di oro, e vede l’uscita di Elevato al Cubo. Qui lo scopo è di far conoscere meglio la famiglia olfattiva dei gourmand, tanto amata dal pubblico. Il profumo è quello di una pralina di cioccolato fondente ottenuta da fave di cacao di São Tomé. Note di testa di menta fresca e ripieno morbido di miele di corbezzolo, su un fondo intenso di incenso e vetiver bourbon. È un sontuoso peccato di gola, da cui lasciarsi catturare e sedurre: l’esperienza è intensa, mentre l’infusione di fiori di sambuco è il piacere zuccherino da condividere.

La scorsa settimana è uscito il terzo cubo celebrativo: INCUBO. Un profumo dedicato all’odore del nero…ma di cosa profuma il colore nero?? Ovviamente di liquirizia!!!  Molti hanno chiesto a Cristian se fosse sicuro di questo progetto: il 17, il nero, l’uscita nella seconda metà di ottobre, il nome Incubo…ma lui voleva creare un profumo che avvolgesse il corpo umano, come una spirale, come le famose rotelle alla liquirizia, e quindi il colore nero era d’obbligo, così come materie prime dark, introspettive, calde e avvolgenti per l’appunto: non solo liquirizia, ma anche tè nero, ribes nero, prugna ed elicriso. Nessuno spavento quindi: già al primo annuso Incubo ti stampa un sorriso in faccia, di riporta in un negozio di caramelle e ti seduce con la sua effervescenza che vira in un caldo abbraccio nel drydown.

Concludiamo questo ritratto con la frase che utilizza Cristian per chiudere i suoi video: BUON PROFUMO A TUTTI!! E non è finita qui: l’anno prossimo ne vedremo delle belle, dato che il vulcanico Cristian ha in serbo per noi dei bellissimi progetti!

Potete seguire Cristian su TikTok (_cristiancavagna_) e su Instagram (_cristiancavagna_), mentre trovate su FB e su Instagram le omonime pagine dedicate al gruppo Adjiumi.




Gli ottanta ritratti di alcuni dei più noti e acclamati chef in un libro

di Cristina T. Chiochia

Volti iconici che il libro di Skira Editore racchiude in ritratti ad acquarello di Severino Salvini con una introduzione al libro di Paolo Bianchi (suoi anche i commenti).

Un volume dal titolo evocativo di  CHEF PORTRAITS Ritratti ad acquerello  che, come recita il comunicato stampa è “una raccolta di ottanta ritratti ad acquerello di alcuni dei più noti e acclamati chef, che rappresentano la grandezza e l’eccellenza della ristorazione italiana.

Da Massimo Bottura, Antonino Cannavacciuolo e Carlo Cracco a Ernst Knam, Heinz Beck e Davide Oldani, Giorgio Locatelli e Gennaro Esposito, Enrico e Roberto Cerea, Annie Feolde, Claudio Sadler, solo per citare i più noti”. Molto più di una semplice galleria di immagini ad acquerello. E’ un modo per mettere in evidenza una grande passione. Ovvero quello dello “stare a tavola” per godersene insieme a pennelli e colori, Chef in carne ed ossa che cucinano, sorridono, muovono le mani e gli utensili, per rappresentare il potenziale della loro arte, in modo inedito. Gusti ed aspettative sul cibo che vengono soddisfatte dal palato degli intenditori dell’arte.

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Il libro, lo dice molto bene: “[…] non li abbiamo decisi sfogliando le guide, perché così avremmo in fondo lasciato che fossero altri a sceglierli al nostro posto, e nemmeno ci siamo limitati a dare credito ai nostri gusti. Davanti a impegni come questi, bisogna essere in grado di allontanarsi un minimo dal proprio palato e dal proprio cuore ed evitare così l’effetto scuola elementare, quando le maestre erano brave solo quando ci davano un buon voto. E anche se il numero totale va ben oltre le dita delle nostre mani, siamo davvero molto ma molto lontani dall’olimpo tricolore. Succede perché mi viene difficile pensare a un altro Paese con una varietà di cucine e di interpreti paragonabile alla nostra”.

L’Italia. Ma anche il resto del mondo nel piatto. Eccellenze a “doppio taglio” che vengono in questo modo segnalati, appezzati e messi in risalto. Perché il mondo ama i cuochi. Ed ama mangiare. Ed è bello qualche volta, segnalarlo con un sorriso.




I profumi che hanno fatto la storia: i favolosi anni ’60

Non so voi, ma io quando penso agli anni ‘60 e in particolare ai profumi da uomo, ho stampata in mente l’immagine di Alain Delon mollemente sdraiato a bordo piscina nell’omonimo film del 1968 con Romy Schneider. A dirla proprio tutta, in realtà mi viene in mente quell’immagine anche quando mi chiedono quale sia per me l’archetipo della bellezza maschile…

Ma lasciamo da parte il mio pénchant per il bell’Alain e parliamo di alcuni dei profumi più iconici del favoloso decennio 1960-1969.

Negli anni ‘60 il movimento hyppie, nato a San Francisco, predica un ritorno alla natura, il rifiuto delle costrizioni, l’uguaglianza dei sessi e la ricerca dei paradisi artificiali al grido di “fate l’amore, non la guerra”. I simboli di questa gioventù ribelle sono la musica pop, i giacconi di cuoio nero, e i capelli lunghi. Dalle manifestazioni contro la guerra del Vietnam al maggio sessantottino, un vento di ribellione soffia ovunque tra i giovani e si diffonde in Europa. La gioventù scopre l’India, i suoi guru, le sue sette e i suoi aromi: si profuma di sandalo, muschio e patchouli e brucia bastoncini di incenso.

Parallelamente a questa anti-moda, l’alta moda si orienta verso il prêt-à-porter di lusso con Yves Saint-Laurent, Daniel Hechter, Paco Rabanne, Cacharel, Courrèges.

Nel 1966, Dior lancia Eau Sauvage, creata da Edmond Roudnitska: a un tempo discreta e persistente, segna l’avvento della profumeria al maschile e apre la via alle eau frâiche femminili, mascoline e androgine. Eau Sauvage è stato il primo profumo per uomo di Dior e, per almeno 25 anni, è stato il profumo per uomo più venduto al mondo. Roudnitska, nel crearlo, decise di mantenere la semplicità della struttura classica del profumo per uomo, ma aggiungendo un tocco di eleganza con l’uso di fiori, fino ad allora esclusivi dei profumi femminili, e con l’hédione, una nuova sostanza che verrà molto utilizzata da Roudnitska, ad aggiungere freschezza. L’essenza legnosa e aromatica del profumo creano un’essenza selvatica che dà il nome al prodotto.

E il nostro Alain fu anche il primo testimonial utilizzato da Dior per pubblicizzare questa fragranza.

Per quanto riguarda la profumeria femminile, come dicevamo i profumi negli anni ‘60 diventano più accessibili non solo dal punto di vista dei costi, ma anche più leggeri e freschi.

Oggi vogliamo citare Calèche, un altro capolavoro di Hermès uscito nel 1961, esattamente a 10 anni di distanza da Eau d’Hermès (trovate qui l’articolo che abbiamo dedicato a questa maison) e creato da Guy Robert. La prima fragranza femminile della maison: un profumo delicato per un’amazzone moderna (se preferite, potete immaginarvi comodamente sedute all’interno della carrozza che dà il nome alla fragranza). Un profumo gioioso e femminile ispirato da un cuoio dall’odore fiorito, con un accordo di note di legni bruciati. E’ la rosa liana Argyreia a dare questa sensazione di cuoio fiorito addolcita da note verdi come mughetto, narciso e iris. Il profumo possiede un carattere cipriato e dolce che richiama la scia di vetiver e di muschio bianco.

Il secondo profumo che riteniamo emblematico del decennio è Chamade di Guerlain. Con il cuore che batte al ritmo de La Chamade, romanzo di Françoise Sagan, rivendica la parità tra uomini e donne e il diritto di decidere della propria vita. Ispirandosi al celebre romanzo e all’energia di questa rivoluzione in corso, Jean-Paul Guerlain immagina la “sua” Chamade, una fragranza decisa che infrange anch’essa i codici del suo tempo e che vuole esprimere il battito spaventato del cuore quando si è infinitamente innamorati.

(bottiglietta vintage)

Dedicato alla donna emancipata, questo fiorito ambrato verde vede per la prima volta in assoluto utilizzati i boccioli del ribes nero, a cui aggiungono freschezza l’accordo di giacinto ed il galbano, per poi arrivare alle note di fondo: vaniglia, sandalo e gelsomino. Un’audace incarnazione della libertà di essere ed amare.

Ma adesso tocca a voi: qual è l’uomo più bello di tutti i tempi? E il profumo da uomo che più vi piace?  Scrivetecelo nei commenti, alla prossima!