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I profumi che hanno fatto la storia: l’Interdit e Cabochard

Non possiamo lasciare gli anni ‘50 per avventurarci nel decennio successivo prima di aver parlato di una iconica fragranza di Givenchy, che venne creata appositamente per un’altra bellissima icona di quegli anni: Audrey Hepburn. 

Stiamo parlando di L’Interdit, profumo nato dal legame unico e leggendario che unì uno dei più grandi couturier mai esistiti – Hubert de Givenchy – e una delle attrici più famose e amate di sempre. Il rapporto tra lo stilista francese e Audrey Hepburn è ancora oggi uno dei grandi sodalizi creativi mai raccontati. Per lei, Givenchy disegnò i meravigliosi abiti di Sabrina, Cenerentola a Parigi e, naturalmente, Colazione da Tiffany. 

Un’altra creazione, meno vicina alla natura del designer ma sempre sinonimo dell’affetto che egli provava per Audrey Hepburn, è stata una fragranza unica, commissionata apposta per l’amica e musa, diventata poi uno dei grandi profumi da donna più amati: L’Interdit.

Così raccontano la storia del profumo i giornali di gossip dell’epoca: Hubert lo regala all’amica dicendole che la nostra presenza arriva sempre con il nostro profumo e che perciò lei non poteva non avere il suo profumo personale, unico e riconoscibile. Con l’aiuto del naso François Gravon crea una fragranza speciale, androgina con note di fiori bianchi femminili ma anche con accenni dark di ambra, muschio animale e fava tonka.

Una composizione fatta di contrasti, proprio come la personalità di Audrey. Per presentarlo alla star, Hubert lo vaporizza su un fazzoletto e glielo fa annusare. Lei lo trova meraviglioso. Lui le dice che è solamente per lei. Perché solo lei può portarlo. 

Hubert, però, dopo averlo donato alla sua musa si accorge di aver commesso un errore: lascia il fazzoletto impregnato della creazione in una stanza dove riceve le clienti couture: Tra queste, Jackie Kennedy e Madame Lanvin, che un giorno sentendo l’ambiente inondato da quell’aroma insiste per averlo.

Hubert a quel punto ha un problema, dire a Audrey che avrebbe dovuto mettere in commercio il suo profumo. «Je vous l’Interdis!» (Io glielo proibisco!) lei dice. Così la fragranza nata senza fini commerciali ma come un’ode all’amicizia che legava i due trova un nome: L’Interdit ed entra nel mondo e nella storia della profumeria.

Hubert de Givenchy, l’enfant terrible della moda, è stato il primo couturier a introdurre plastica e alluminio nelle sue creazioni. Il primo ad aver utilizzato solo modelle nere a Los Angeles. Il primo ad aver sdoganato la stampa animalier. Per lui era più importante il valore, il messaggio che le sue creazioni veicolavano, piuttosto che vendere qualche modello in più. Ed è stato anche il primo ad aver fatto pubblicità a un profumo usando un volto, una testimonial, Audrey Hepburn in questo caso.

Oggi la fragranza non è variata di molto, rimanendo – come amava dire la Hepburn – un talismano che dà la forza di fare qualsiasi cosa, un modo di essere “Choc within chic”. Poco mutata nel tempo anche la boccetta, che oggi ha una forma più moderna, ma sempre caratterizzata da grazia e semplicità, le stesse caratteristiche dell’anima gentile ma anche sfaccettata per la quale era stata creata.

Chiudiamo il decennio 1950-1960 con un profumo creato da Madame Grès, a seguito di un viaggio in India in cui viene inebriata di odori, colori e sapori orientali e sconosciuti. Dopo aver aperto la sua casa di moda nel 1942 a Parigi, Madame Grès divenne famosa per i suoi disegni fluidi che drappeggiavano il corpo come pieghe sulle statue greche. Bernard Chant era il profumiere responsabile della creazione di questa nuova fragranza voluta dalla stilista, e anche se a Madame Grès non piaceva personalmente, sentiva che Chant aveva creato una gemma con Cabochard.

Donna di carattere, forte e volitiva, battezza volontariamente il suo profumo con un nome gergale e dice: “Cabochard è il profumo delle donne che fanno sempre di testa propria.

“Caboche” infatti significa testardo in francese, suggerendo che chi indossa questo profumo trasmetterà la sua durezza, nonostante la facciata da “signora per bene”. Può odorare di fiori, ma sono fiori che bisogna bucare attraverso una nebbia di fumo di sigaretta per poterli cogliere.

È un aroma intenso e, per l’epoca, fu rivoluzionario, poiché includeva tra le sue note aromi maschili assolutamente insoliti nel campo femminile della profumeria. Tuttavia, riflette raffinatezza ed eleganza, e rappresenta una donna che rifugge dall’ordinario per entrare nel mondo inesplorato. E’ un cosiddetto chypre cuioiato (per la definizione di chypre, vi rimandiamo al secondo articolo della serie, quello dedicato alla Maison Guerlain).

Nella sua piramide olfattiva, centinaia di aromi provenienti dal continente Orientale si uniscono e si mescolano a note speziate, fruttate, aromatiche e floreali, in combinazione con agrumi e persino tabacco e cuoio. Una fusione impensabile che crea un finale unico, indescrivibile e inconfondibile, e che ha ispirato numerose composizioni sia nell’immediato ma anche più in là nel tempo.

 

Cabochard si inserisce dunque nel filone che abbiamo visto iniziare nel secondo dopoguerra, con fragranze come Bandit (ve lo ricordate? Non per nulla contiene il galbano come Cabochard), profumi che sfidano gli stereotipi, che iniziano a smontare le barriere tra uomini e donne – dopotutto, chi l’ha detto che certi profumi o certe note devono appartenere ad un sesso piuttosto che ad un altro? – che sfidano le convenzioni e vengono creati per stupire e farsi notare.

E voi: avete delle note olfattive o dei profumi che non osate indossare? Fatecelo sapere nei commenti e sui social!




I profumi che hanno fatto la storia: Eau d’Hermès

di Claudia Marchini

Nella puntata dedicata agli anni ’20 abbiamo parlato della ventata di energia, di ottimismo, della voglia di felicità e allegria che si percepiva dopo gli anni bui della guerra. E così furono gli anni’ 50: più che mai si sente la voglia di cambiamento, anche favorito dal benessere della ricostruzione. Con la liberazione, gli americani portano in Europa il chewing gum e i blue jeans, il rock ‘n’ roll e le t-shirt. 

Le donne, costrette durante la guerra a lavorare nelle fabbriche belliche, scoprono l’indipendenza economica. 

Nasce il prêt-à-porter, e anche le fragranze diventano più accessibili, e più leggere e vivaci. 

In questi anni, nascono anche le eau de toilette maschili con lavanda e vetiver che sottolineano una eleganza discreta, anche se il profumo maschile resta ancora legato al rito della rasatura.

È del 1951 l’uscita di Eau d’Hermès, che il celeberrimo naso Jean-Claude Ellena ha definito come una vera e propria opera d’arte olfattiva. L’Eau d’Hermès è un’acqua aromatica, costruita interamente attorno ai sentori di cuoio. Più di tutte le altre fragranze, questa celebra il savoir faire artigianale di Hermès nella lavorazione della pelle, ed è forse una delle prime fragranze che possiamo definire unisex. 

Quella di Hermès è una storia tutt’altro che convenzionale. Infatti, non è sempre stata una maison di moda come la conosciamo oggi: in origine, e per molti anni dopo la sua fondazione, l’azienda non aveva nulla a che fare con il lusso e realizzava equipaggiamento da equitazione.

Thierry Hermès inizia la sua carriera da un piccolo artigiano a Pont-Audemer, in Normandia. Nel 1837 si trasferisce a Parigi per avviare la propria azienda specializzata nella produzione di bardature, selle e altre attrezzature per l’equitazione.

Nella seconda metà del XIX secolo l’azienda viene rilevata da Emile-Maurice Hermès, nipote di Thierry, che amplia il repertorio del marchio e crea il primo prodotto paragonabile a una borsa: un contenitore per portare attrezzature come stivali o selle, così apprezzato dai clienti da essere usato anche come valigia. Sebbene il marchio e la sua produzione oggi siano molto più ricchi rispetto al 1837, Emile-Maurice è ancora considerato il cervello e l’anima della maison poiché si è sempre evoluto in stretta simbiosi con lo sviluppo sociale: ad esempio, quando l’auto ha iniziato a diffondersi tra la popolazione, Hermès ha immediatamente esplorato le nuove possibilità offerte dal bagagliaio.

La sua attività rimane senza logo fino al 1919, quando due nipoti di Thierry introducono il semplice logotipo Hermès Frères (“fratelli Hermès”) composto con un carattere handwrite, scelta coerente agli standard dell’epoca

Il marchio rimane invariato fino agli inizi degli anni ’50, quando viene lanciato l’iconico simbolo della carrozza nobiliare trainata da un cavallo. Il simbolo è direttamente ispirato al dipinto “Le Duc Attele, Groom a L’Attente” (“carrozza agganciata, sposo in attesa”) di Alfred de Dreux. Il 1951 in casa Hermès è infatti un anno rivoluzionario: con la morte di Emile-Maurice si chiude l’era degli Hermès Frères. Per la prima volta in oltre cento anni, l’azienda usciva dalla linea di sangue sotto la direzione del genero di Emile, Robert Dumas. Egli volle subito rimarcare la continuità con l’eredità del passato battezzando il passaggio del testimone con un profumo dedicato a Emile stesso e che rappresentasse l’eleganza Hermès. Edmond Roudnitska, (che abbiamo conosciuto la scorsa puntata con Diorissimo) recepì questo spirito creando un profumo che emanasse classe e tradizione, ma reinventato per guardare al futuro. 

Eau d’Hermès venne inizialmente creata per i clienti di 24, Rue du Faubourg Saint-Honoré e solo successivamente per tutti quanti ne facessero ordinazione alla boutique di Parigi. Veniva presentata in un flacone di cristallo ispirato alle vecchie lanterne da calesse e prodotto delle manifatture Saint Louis ornato da un fiocco di cuoio.

Le sensazioni offerte dalla profumazione sono infinitamente ricche di sfumature. La piramide olfattiva si apre tutta in freschezza, con lavanda, bergamotto, olio essenziale di petit grain, limone e salvia. L’incipit aromatico sfuma su un cuore di spezie: cumino, coriandolo, cannella, cardamomo regalano alla pelle una sensualità coinvolgente. Il fondo della piramide olfattiva si fa caldo, intenso e aromatico. Le note carezzevoli della vaniglia incontrano quelle balsamiche del legno di sandalo e del legno di cedro. La fava tonka apporta alla composizione una cremosa morbidezza. 

Simbolo di raffinatezza estrema, la fragranza è oggi racchiusa nel classico flacone a forma di parallelepipedo, dagli angoli stondati e con il tappo a forma di bombetta.




I profumi che hanno fatto la storia: il dopoguerra

di Claudia Marchini

Nella scorsa puntata abbiamo parlato di Joy, la fragranza creata da Jean Patou nel 1929 come antidoto all’atmosfera di preoccupazione che si era creata a causa della crisi economica. La prima fragranza di cui parliamo oggi vide la luce nel 1946 per celebrare la fine della seconda guerra mondiale: si tratta di Le Roy Soleil della stilista Elsa Schiaparelli.

La particolarità di questa fragranza sta nella bottiglia, che fu disegnata nientemeno che dal grande Salvador Dalì e realizzata dalle cristallerie Baccarat in soli 2000 esemplari.

La bottiglia è stata pensata come un omaggio a re Luigi XIV e veniva presentata in un grande guscio di metallo. Il tappo rappresenta un sole e sormonta una roccia battuta dalle onde. Gli uccelli in volo, disegnati all’interno del disco solare, creano una prospettiva aggiuntiva e formano un viso trompe-l’oeil. Il nome Roy Soleil è stato scelto anche perché faceva eco a Place Vendôme, sede della Maison Schiaparelli, perché prima della Rivoluzione francese si chiamava Place Louis le Grand (e infatti una statua del monarca occupava in precedenza il posto dell’attuale Colonna Vendôme).

E a proposito di star e personaggi famosi che hanno apprezzato la fragranza, non possiamo non citare la famosa Wallis Simpson, nota al mondo per essere stata il motivo della rinuncia al trono da parte di Edoardo VIII. Come sappiamo, il fratello gli subentrò con il nome di Giorgio VI, lasciando a sua volta il trono a sua figlia Elizabeth, che a 96 anni ancora regna saldamente sul Regno Unito. Ma questa è un’altra storia…

Dicevamo: la Duchessa di Windsor, alla quale Elsa Schiaparelli aveva offerto un flacone del profumo, le scrisse: “Cara Madame Schiaparelli, è il flacone più bello mai realizzato, e il Roy Soleil è un gentiluomo molto persistene e dolce… Ha soppiantato la fotografia del Duca sulla coiffeuse!”.

Data la tiratura estremamente limitata, e l’enorme successo della fragranza che – nonostante fosse molto costosa andò letteralmente a ruba – vi sono ormai pochi esemplari dell’epoca che hanno ancora il jus al suo interno. Questo profumo veniva descritto come dolce, devastante, super-longevo, lussuoso, regale, ma purtroppo non è arrivato fino ai giorni nostri. Dobbiamo quindi limitarci ad immaginarla e se vogliamo vedere dal vivo uno dei flaconi originali possiamo visitare il Museo del profumo di Milano, che ne possiede un esemplare. Il Direttore del Museo, Giorgio Dalla Villa, ci ha spiegato che è molto difficile trovare un pezzo con ancora tutti i raggi del sole intatti: il flacone è infatti pesante e i raggi sono delicati, perciò in alcuni punti sono spezzati. (per info e prenotazione visite guidate: https://museodelprofumo.it, museodelprofumo@virgilio .it).

Ma altri profumi famosi sono stati creati nella seconda metà dagli anni Quaranta, proprio per celebrare la pace e il ritrovato ottimismo. Ormai i couturier sono entrati prepotentemente nel mondo della profumeria e impongono fragranze di carattere, per farsi notare. Parliamo per esempio di Miss Dior e Vent Vert (Balmain), creati nel 1947 e di Bandit e Fracas di Robert Piguet, usciti rispettivamente nel 1944 e 1948.

Il profumo Miss Dior fu introdotto sul mercato per il Natale del 1947, lo stesso anno del lancio della prima collezione firmata da Christian Dior, ed è stato creato da Paul Vacher.

La fragranza, imbottigliata in prestigioso vetro di Baccarat, reca il nome della sorella Catherine Dior. Il profumo è un tripudio di note floreali, di agrumi e patchouli  con un sottofondo cipriato. La storia racconta che fu una segretaria dello stilista a dare lo spunto per la scelta del nome. Catherine era infatti irrintracciabile da alcuni giorni e attesa ad una riunione. Al vederla, la donna esclamò: “Oh, Miss Dior“, che venne quindi scelto come nome per la nuova fragranza!

Miss Dior arriva in profumeria accompagnata dal lancio della collezione “Corolle”, che consacra il mito del New Look. Il profumo viene vaporizzato nelle sale dell’edificio durante il défilé: una pubblicità che diede benefici al suo lancio nelle boutique.

Per Monsieur, che si auto definì “couturier-parfumeur“, il profumo doveva essere un “chypre d’eccezione sinonimo di amore ed eleganza assoluta“.

Gli altri 3 profumi di cui vi vogliamo parlare sono tutti opera di Germaine Cellier, primo “naso” donna della storia del profumo, soprannominata “enfant terrible”. In un mondo essenziero all’epoca dominato dagli uomini Lady Germaine appare come una figura di rottura, una fresca ventata di aria nuova. Dopo un’infanzia a Bordeaux e gli studi parigini Cellier lavora in realtà importanti come Roure Bertrand e Colgate-Palmolive prima di avvicinarsi all’incontro che le cambierà la vita con il grande artista Robert Piguet, stilista di Paul Poiret, uno dei primi e fervidi sostenitori della necessità del binomio moda-profumeria.

Nel 1944 vede la luce Bandit di Robert Piguet, che rappresentava un’idea di donna completamente nuova, dirompente e che rispecchiava un momento in cui le cose stavano davvero cambiando per l’autodeterminazione femminile.

Bandit rompe tutti i canoni ed è infatti considerato il primo profumo chypre-cuoiato della storia. Nell’apertura, accanto alle note agrumate e aldeidate, compare subito prepotentemente la sferzata verde del galbano. Gelsomino e patchouli donano al profumo un tocco esotico mentre il cuoio e il muschio di quercia creano una scia tenebrosa. Un profumo per donne moderne pronte ad affrontare le grandi battaglie sociali dell’epoca.

Era una nuova era, a cui nessuno era preparato, e questo si rifletteva anche nella sfilata stessa in cui venne presentato Bandit, dove le modelle, vestite da malvagi banditi con maschere nere, sfilavano tenendo in mano coltelli, brandendo revolver giocattolo e – si dice – persino rompendo bottiglie di profumo in passerella. Proviamo ad immaginare lo stupore e lo scandalo che deve aver provocato all’epoca!

Pierre Balmain intraprende gli studi di architettura a Parigi ma li abbandona molto presto per seguire la sua passione per la moda. Dopo la sua prima collezione, di gran successo, chiede a Germaine Cellier di creare una fragranza che rappresentasse “l’aria di libertà e cambiamento del dopo guerra”, che non somigliasse ai classici profumi fioriti di moda all’epoca, un bouquet di sentori sani e vivificanti della campagna. Nacque così Vent Vert.

Vent Vert è considerato il primo profumo “Floreale – Verde” della storia della profumeria e vide la luce nel 1947. L’elemento rivoluzionario nella composizione della Cellier era il galbano, una resina gommosa dall’odore molto caratteristico che aveva già sperimentato con Bandit e che qui viene utilizzata in vera e propria overdose.

E’ invece del 1948 il secondo profumo creato da Cellier per Piguet: Fracas

Il lancio di questa fragranza è legato alla scandalosa collezione che Robert Piguet presenta nel 1948, suscitando scalpore per le sue idee audaci e sexy. Germaine Cellier vuole creare una fragranza che faccia sentire chi la indossa un vero “schianto”, immaginando una donna enigmatica che lascia una scia ammaliante di tuberosa. Note di testa di fiore d’arancio con un cuore misterioso di tuberosa, gelsomino e gardenia miscelati alla ricchezza del sandalo e alla delicatezza del muschio: Fracas è a ragione considerato LA fragranza di riferimento per chi ama la tuberosa. 

La sua formula seducente e cremosa si fonde alla pelle della donna che lo indossa e la riscalda con la sua sorprendente alchimia. A differenza di tante fragranze tradizionali a base di fiori bianchi, Fracas è misterioso e sensuale: non per nulla, è uno dei profumi preferiti (se non il preferito) della star Madonna (che ha raccontato fosse anche il profumo di sua madre .

Ma non solo Madonna. Tra le star che hanno amato e continuano ad amare questo capolavoro ricordiamo Kim Basinger, Marlene Dietrich, Ava Gardner ( che pare lo abbia lanciato in viso a Frank Sinatra). Insomma, una fragranza imperdibile per non ama passare inosservata!

 




L’Aida di Anna Netrebko infiamma Verona

Dieci minuti di standing ovation hanno chiuso la rappresentazione dell’Aida di Giuseppe Verdi all’Arena di Verona. Sabato 16 luglio, in una serata prossima al sold outè trionfare è stata Anna Netrebko nel ruolo della protagonista, la Celeste Aida figlia del re etiope Amonasro e schiava in Egitto. Carismatica in “Ritorna vincitor”, suadente in “O cieli azzurri” e poi ancoracombattuta e accorata nel tragico duetto con Amonasro e sensuale in quello con l’innamorato Radames, Netrebko ha saputo dominare la scena anche grazie all’intesa conYusif Eyvazov, suo compagno nella vita e sul palcoscenico.  Lasciate al di fuori dell’anfiteatro romano le polemiche sull’utilizzo del “blackface”, il pubblico del 99° Verona Opera Festival è rimasto incantatodal ritorno in scena del soprano russa nell’opera regina dell’Arena.

Accompagnata da un cast di eccezione a iniziare daltenore Eyvazov nel ruolo del guerriero Radames combattuto tra l’amore per Aida e l’amore per la propria patria dal mezzosoprano Anna Maria Chiuri nel ruolo di Amneris, figlia del Re degli Egizi e sfortunata terza nel triangolo amoroso in scena. Applausi anche per Amonasro interpretato dal baritono Ambrogio Maestri che alterna la dolente supplica al Re degli Egizi con l’intransigente duetto con Aida, per il Re degli Egizi del basso Romano Dal Zovo e per il gran sacerdote Ramfis del basso polacco Rafał Siwek.

L’allestimento dell’Aida proposta dal 99° Verona Opera Festival è quello monumentale e faraonicofirmato, vent’anni fa, da Franco Zeffirelli che porta in scena un Egitto dorato, magnificente, prezioso, sovrabbondante, immaginario e sontuoso sovrastato da una colossale piramide e su cui vegliano gli occhi delle 14 sfingi e dei quattro idoli collocati sugli spalti e sulla scena La scena monumentale e tradizionale, anche grazie ai costumi multicolori di Anna Anni e alle coreografie originali di Vladimir Vasiliev, restituisce la doppia anima dell’opera di Verdi solenne ed esotica in costante equilibrio fra l’intimismo dei duetti sottolineato da calibrati giochi di luce e la grandeur del trionfo e delle celebrazioni pubbliche come nell’invocazione a Fthà o nell’esortazione alla guerra. Amori, gelosie, passioni, vendette, drammi dilanianti, pentimenti e messaggi di pace tra popoli si alterano sul palco in una rappresentazione che non può che suscitare stupore e meraviglia tra gli spettatori.  Non manca chi parla perfino di un allestimento hollywoodiano e di una “operazione esteticamente abbagliante” per questo allestimento dell’opera tratta da Verdi dal soggetto originale dell’egittologo Mariette e rappresentata in Arena fin dalle origini nel 1913.

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Sul podio di Aida il Maestro Marco Armiliato, Direttore musicale del 99° Arena di Verona Opera Festival 2022, alla guida di Orchestra della Fondazione Arena e Coro preparato da Ulisse Trabacchin. Insieme al Ballo areniano coordinato da Gaetano Petrosino, oltre alla Akmen di Ana Sophia Scheller, fatale spirito guida creato da Zeffirelli appositamente nel 2002 (all’epoca per Carla Fracci), si confermano i due primi ballerini Eleana Andreoudi e Alessandro Staiano.

Si può dire quindi che l’Arena di Verona rimane il teatro migliore dove godersi l’Aida nella lunga stagione estiva. Da non perdere le prossime repliche: 24, 28 luglio (ore 21.00); 5, 21, 28 agosto (ore 20.45) e 4 settembre (ore 20.45).​




La magia de La Traviata incanta l’Arena di Verona

Emozioni e magia incantano le migliaia di spettatori seduti sugli spalti dell’Arena di Verona che si zittiscono improvvisamente quando i violini aprono il Preludio de La Traviata di Giuseppe Verdi nell’allestimento di Franco Zeffirelli, l’ultima sontuosa creazione firmata dal Maestro toscano che ha inaugurato il Verona ’Opera Festival del 2019. Un affresco sulla Parigi dell’Ottocento con un trionfo di colori, luci e costumi che portano lo spettatore subito nel cuore dell’opera più rappresentata al mondo. Lo spettacolo, diretto dal Maestro Marco Armiliato, direttore musicale del Festival, adatta il percorso intimo e psicologico di Violetta, travolta dall’inaspettata storia d’amore tanto da spingersi al sacrificio di sé, alla grandiosità degli spazi areniani con una scena ambiziosa su più livelli resa possibile da una colossale scatola scenica.  Ancora poche repliche per uno spettacolo da non perdere: 22, 30 luglio (ore 21.00), 6, 20 agosto e 1 settembre (ore 20.45). Dopo occorrerà attendere l’estate del 2023 quando, per il Festival del centenario, sarà ripresa anche LA Traviata allestita da Zeffirelli insieme ad a altri sei titoli.

“Questa Traviata vuole essere un omaggio all’arte e alla tecnica di Zeffirelli, da parte di tutte le maestranze areniane, cui è richiesto un lavoro d’eccellenza. Come lui, inoltre, vogliamo credere nei giovani, e anche in questa produzione, accanto a stelle affermate, debuttano virgulti a cui auguriamo una carriera internazionale” racconta Cecilia Gasdia, Sovrintendente e Direttore Artistico di Fondazione Arena, ricordando come nel 1984 fu scelta proprio dal Maestro toscano come Violetta, ne La Traviata diretta da Carlos Kleiber, per poi aggiungere: “Da Sovrintendente, trentacinque anni dopo, è stato un onore per me poter affidare a Zeffirelli un nuovo allestimento e realizzare un sogno che coltivava dal 2008”. L’allestimento in scena de La Traviata “raccoglie l’idea originale di Zeffirelli, quel geniale flash forward che seguendo la musica di Verdi origina una storia d’amore fra le più belle di sempre, e la amplifica rendendola adatta all’unicità degli spazi areniani. Il tutto, grazie anche ai suoi collaboratori, nel segno della cura del particolare, anche nella scena più affollata, che contraddistingue l’opera sempre viva del Maestro. È stata lungamente, accuratamente preparata con lui e presentata al suo fianco nella primavera 2019. Ora la riproponiamo per la prima volta, rendendogli giustizia con un irripetibile cast di stelle” aggiunge Stefano Trespidi, vice Direttore Artistico.

Si inizia dalla fine, dal corteo funebre di Violetta, la Traviata il cui destino, evidenziato dalle note dolenti del Preludio, appare segnato fin da subito. L’irrompere dell’amore per Alfredo porta alla sorpresa, all’esplosione di gioia incontenibile, prima che venga chiesto e accettato il passo indietro per il bene dell’amato e quindi alla rinuncia e al riscatto. La storia è nota per un ruolo titanico che ha visto protagonista la giovane soprano armeno Nina Minasyan che ha dominato la scena commuovendo con grazia e delicatezza  il pubblico dell’Arena che, a sua volta, le ha tributato una standing ovation. Lunghi applausi nella rappresentazione del 15 luglio anche il tenore Francesco Meli, tornato in Arena come Alfredo Germont e per il baritono Amartuvshin Enkhbat (già Nabucco) nel ruolo di Giorgio Germont.

Impreziosiscono l’allestimento i costumi creati da Maurizio Millenotti, le luci di Paolo Mazzon e le coreografie di Giuseppe Picone interpretate dal Ballo dell’Arena coordinate da Gaetano Petrosino e con i primi ballerini Eleana Andreoudi e Alessandro Staiano. L’Orchestra della Fondazione Arena e il Coro preparato da Ulisse Trabacchin sono diretti dal Maestro Armiliato.​




I profumi che hanno fatto la storia: I RUGGENTI ANNI ‘20

di Claudia Marchini

Nelle scorse puntate abbiamo già parlato di due profumi iconici creati proprio in questo decennio: Chanel N°5 e Shalimar. Questa epoca, caratterizzata da un fenomeno di grande espansione industriale poi rifluito nei disastri della grande depressione del 1929 e del proibizionismo, ha creato mode e determinato tendenze, praticamente in ogni aspetto del costume e dell’arte del tempo. E la profumeria non fa ovviamente eccezione.

Dopo la fine della prima guerra mondiale la pace ritrovata inaugura una corsa sfrenata alla novità, al divertimento (a ritmo di Charleston) e allo sfarzo. I profumi anni ‘20 diventano beni di lusso. Abbiamo visto come la passione per l’Oriente portò alla creazione dei primi profumi cosiddetti “orientali”, con Shalimar grande precursore. 

Le donne, che sono diventate più emancipate, richiedono freschezza, dinamismo e novità. E qui entrano in campo le aldeidi, molecole sintetiche che danno la sensazione delle bollicine nello champagne. Chanel N°5 – come sapete – è considerato il capostipite della famiglia degli “aldeidati”, in cui troviamo anche Arpège di Jeanne Lanvin creato da André Fraysse nel 1927. 

Si racconta che Jeanne Lanvin volesse fare un bellissimo regalo all’amata figlia, Marguerite, per i suoi 30 anni: voleva regalarle il più bel profumo del mondo, e per questo mise a disposizione un budget illimitato per poter utilizzare le migliori materie prime. Il risultato fu un profumo meraviglioso (non per nulla è considerato tra i migliori profumi femminili di tutti i tempi, insieme a Chanel N°5 e Joy), una fragranza fiorita e fruttata a base di rosa bulgara, iris florentina, gelsomino e mughetto che lascia una scia di sandalo, tuberosa, vaniglia e vetiver.

In cambio, la stilista chiese alla figlia di dare un nome a quella nuova fragranza Lanvin. Essendo lei una cantante d’opera, optò per la parola “Arpège” (arpeggio), perché il profumo le sembrava proprio un arpeggio di aromi.

Il falcone in cristallo nero, disegnato dall’architetto Armand Albert Rateau e decorato da Paul Iribe, rappresentava le forme di una mela, sul quale era ritratto il logo di Lanvin, che rappresenta la stessa Jeanne Lanvin insieme alla figlia. Sia la bottiglia, che la sua confezione, in origine erano di una particolare tonalità di blu, il cosiddetto “blu Lanvin”, inventato dalla stilista e presente in molte delle sue creazioni.

Fra le star che lo hanno amato particolarmente possiamo citare Jayne Mansfield, Martha Stewart, la Principessa Diana, Grace Kelly e Rita Hayworth

Inizialmente nel 1993 e poi nel 2006 Arpège ha subito una riformulazione e ciò lo ha reso più moderno e di conseguenza amato anche dalle nuove generazioni, grazie al suo bouquet di oltre sessanta fiori.

(la confezione attuale)

La storia della Maison Lanvin – che è la casa di moda più longeva al mondo – e della sua fondatrice Jeanne è affascinante ed emblematica….ma ci vorrebbe un intero articolo per parlarne e non abbiamo tempo, perché vi dobbiamo ancora presentare un altro Giovann*: Jean Patou ! Ma chi era Jean Patou? All’epoca, il fondatore dell’omonima casa di moda era considerato l’uomo più elegante d’Europa, un vero Dandy degli anni ruggenti.

Dicevamo più sopra che l’euforia che caratterizza ogni aspetto di questo periodo storico si spegne con la crisi economica del 1929. Il crollo delle borse aveva dato un durissimo colpo alle finanze dei numerosi e facoltosi clienti americani di Jean Patou. Per superare la crisi il couturier sognava una fragranza lussuosa come antidoto alla sfortuna. Patou chiese quindi al naso Henri Alméras di creargli un profumo. Alméras gli propose una fragranza composta dalle più preziose essenze di rose e gelsomino, spiegando però allo stilista che in questo modo la fragranza sarebbe stata molto costosa. 

Patou aveva trovato il suo profumo, quello a immagine della haute couture; tanto che decise addirittura di raddoppiare la concentrazione della fragranza. Era nato il profumo più costoso al mondo (lo stesso stilista scherzò al riguardo prevedendo per l’appunto che sarebbe stato il profumo più costoso mai esistito). Per realizzarne solo 30 ml sono infatti necessari ben 10.000 fiori di gelsomino e 28 dozzine di rose!

Il jus contiene anche note di ylang ylang e tuberosa, su un fondo di zibetto e muschio. Il risultato è un profumo intenso, ipnotico, inebriante e persistente. Impossibile da ignorare.

Originariamente il flacone di Joy fu creato dall’architetto ed artigiano francese Louis Süe, che realizzò una bottiglia dalla forma volutamente semplice e classicheggiante. Successivamente ne fu ripresentato un flacone di cristallo realizzato da Cristalleries de Baccarat (a sua volta riprogettato da Verrières Brosse).

Nonostante il prezzo elevatissimo, Joy ebbe subito una enorme fortuna, proprio per il messaggio di positività che voleva dare, per il suo voler essere un antidoto alla povertà e alle difficoltà di quel particolare periodo.

Tra le star che lo hanno amato ci sono Josephine Baker e Jacqueline Kennedy. Come resistere d’altronde alla scia travolgente del suo effluvio ? In fondo, aspiriamo un po’ tutt* ad essere indimenticabili …




I profumi che hanno fatto la storia: L’ACQUA DI COLONIA

di Claudia Marchini

Ancora oggi sono in molti ad abbinare il nome del profumo più celebre – e anche il più antico – al mondo alla omonima città tedesca, e non potrebbe essere altrimenti. Pochi però sanno che l’Acqua di Colonia racconta una storia in realtà decisamente italiana.

L’origine dell’Acqua di Colonia è legata infatti al nome di tre italiani, tutti originari della Val Vigezzo, in Piemonte, vicino a Domodossola. Il primo si chiamava Giovanni Maria Farina, nato a Santa Maria Maggiore nel 1685, il quale, stabilitosi a Colonia, vi fondò col cognato un negozio di merci varie, fra cui prese un posto notevole e poi esclusivo la cosiddetta Aqua Admirabilis.

Se il Farina stesso abbia inventato la ricetta o se l’abbia ricevuta da altri, non è ben certo. Secondo una leggenda, gliel’avrebbe data un ufficiale inglese reduce dalle Indie. Ma documenti antichi conservati a S. Maria Maggiore additano come probabile inventore di essa Gian Paolo Feminis, merciaio ambulante. Sembra infatti che il Feminis avesse messo a punto la ricetta di un infuso a base di limone, bergamotto, cedro, fior d’arancio, lavanda e rosmarino, macerato in acquavite, che veniva venduto come antidoto a diversi mali (gli furono riconosciute proprietà digestive, epatiche, antisettiche ed analgesiche), che lui stesso chiamò Aqua Admirabilis.

Il Farina perfezionò a sua volta la formula dell’Aqua Admirabilis eliminando i cattivi odori dovuti dall’impiego di acquavite. Ne modificò la formula, ingentilendola, e inizio a distribuirla ribattezzandola con il nome di Eau de Cologne, in onore della città in cui viveva. Il suo profumo fresco contrastava con le fragranze muschiate che si usavano all’epoca. 

“Il mio profumo è come un mattino italiano di primavera dopo la pioggia: ricorda le arance, i limoni, i pompelmi, i bergamotti, i cedri, i fiori e le erbe aromatiche della mia terra. Mi rinfresca e stimola sensi e fantasia”. (Giovanni Maria Farina, 1708)

La sua enorme fortuna fu la terribile guerra dei sette anni (1756-1763) che vide coinvolte Prussia e Inghilterra contro la coalizione formata da Austria, Francia e Russia. Al termine del conflitto, infatti, tutti i soldati francesi impegnati sul suolo prussiano, facendo ritorno in patria, passarono per Colonia e non mancarono di acquistare la ormai famosissima Eau de Cologne.

Morendo celibe nel 1766, Giovanni Maria Farina lasciò erede l’omonimo nipote e figlioccio, da cui discendono i Farina gegenüber dem Jülichs-Platz, che hanno ereditato il segreto di fabbricazione e difendono accanitamente il loro diritto contro gli innumerevoli contraffattori. (Pensate che nel 1794 vi erano a Colonia 15 ditte che fabbricavano acqua di Colonia, di cui 4 col nome di Farina; nel 1865 le ditte Farina erano ben 39!). 

Come tutti i prodotti di successo infatti, anche l’Acqua di Colonia venne presto riprodotta e imitata: questo fenomeno generò numerose dispute, sia per quel che riguarda la formula, sia tra i vari discendenti (veri e supposti) della famiglia Farina, in Germania e all’estero. E se la formula del profumo poteva essere copiata dalle pagine di numerosi manuali di profumeria – che cominciavano a diffondersi in quegli anni in Europa – le battaglie legali sui diritti e sui profitti non accennavano a placarsi.

Il concorrente principale del prodotto originale nacque in Germania nel 1804, quando Wilhelm Mulhens acquistò la licenza del prodotto «Acqua di Colonia e Farina» da uno degli innumerevoli pseudo-parenti di Giovanni Maria.

Nel 1806 un altro componente della famiglia Farina, tale Gian Maria Giuseppe, si trasferì a Parigi, dove cominciò a produrre e vendere la famosa fragranza. Nel 1840 cedette l’azienda a Monsieur Leon Collas che a sua volta, nel 1862, la rivendette ad Armand Roger e Charles Gallet, per una cifra all’epoca considerata astronomica…Questi nomi vi dicono qualcosa? Ebbene sì, stiamo proprio parlando dei fondatori del marchio Roger&Gallet, che acquisirono la licenza per produrre e vendere l’Acqua di Colonia Farina, rinominata poi Eau de Cologne Extra Vieille.

Nel 1880 R&G citarono in giudizio la famiglia Mulhens per l’uso improprio dei nomi «Farina» e «Colonia», per cui nel 1881 i Muhlens cambiarono il nome del loro prodotto in Kölnisch Wasser 4711, dal numero civico della loro abitazione a Colonia, dove avveniva anche la produzione.

Ancora oggi, l’acqua di Colonia originale Jean Marie Farina si contraddistingue per una spiccata presenza di bergamotto nella formula, rispetto alle concorrenti Kölnisch Wasser 4711 e Roger&Gallet, dove invece prevale l’aspetto floreale fresco dato dal neroli, un’essenza ricavata dal fior d’arancio.

Tra gli estimatori e i grandi consumatori d’Acqua di Colonia si annoverano – sin dall’epoca della sua prima commercializzazione – moltissimi personaggi famosi. Il più importante? Di certo Napoleone Bonaparte. Si dice che il generale fosse letteralmente ossessionato da questo profumo, tanto da utilizzarne almeno quattro litri alla settimana, sia per profumarsi sia come medicina, ingerita imbevendone le zollette di zucchero. Si pensa che l’Eau de Cologne ricordasse all’allora imperatore francese la sua terra natale, la Corsica, per uno degli ingredienti della formula, il rosmarino. Anche Richard Wagner apprezzò molto la fragranza: grazie al ritrovamento delle sue lettere d’acquisto, sappiamo che prevedeva di consumarne almeno un litro alla settimana. Insieme a lui, tra gli altri, c’erano anche Goethe, Voltaire, Luigi XVI e la regina Vittoria d’Inghilterra.

Se volete seguire le orme del grande Napoleone (anche se fare il bagno con il sapone e non con l’acqua di Colonia risulta decisamente più economico!!!) e scoprire tutti gli aneddoti legati alla storia di questa fragranza, vi consigliamo una visita a Santa Maria Maggiore, dove nel 2016 ha aperto i battenti la Casa del Profumo Feminis-Farina, con un bellissimo percorso multisensoriale e multimediale dedicato a questo famosissimo profumo.




I profumi che hanno fatto la storia: LA MAISON GUERLAIN

di Claudia Marchini

Da quasi due secoli, cinque generazioni di profumieri Guerlain hanno tenuto le redini creative della Maison. Oggi, il Maître Parfumeur Thierry Wasser è erede di un patrimonio olfattivo di oltre 1100 fragranze. Guerlain è uno dei pochissimi marchi che è esistito per anni producendo e commercializzando esclusivamente profumi, a cui soltanto in anni più recenti sono state aggiunte alcune linee di cosmetici.

Era il 1828 quando Pierre-François-Pascal Guerlain, profumiere e chimico, il fondatore della Maison, inaugurava la sua prima boutique nel cuore di Parigi, al numero 42 di rue de Rivoli. L’indirizzo diventa immediatamente una meta imprescindibile per i dandy e le donne eleganti della città e non solo. La fama e il successo della Maison Guerlain raggiungono presto tutte le corti d’Europa. 

Potremmo parlare per ore ricordando tutte le meravigliose creazioni della Maison: da Jicky, che risale al 1889 e che – inizialmente creata per il pubblico maschile – ebbe la sua maggior fortuna quando venne commercializzata per il pubblico femminile, a Après l’ondée, leggendaria fragranza del 1906 che simula l’odore dell’aria dopo la pioggia; da Vetiver a Samsara; da Champs-Elysées alla fresca serie delle Aqua Allegoria.

Sono 3 però secondo noi le fragranze che un appassionato non può non conoscere, perché sono emblematiche del periodo storico in cui furono create oppure perché rappresentarono un punto di rottura col passato.

La prima è L’Heure Bleu, creata da Jacques Guerlain nel 1912 per celebrare il suo momento preferito della giornata. L’ora blu è quel momento fra il giorno e la notte, all’imbrunire: il sole è già tramontato, ma la notte non è ancora arrivata. È l’ora in cui il tempo si ferma… L’ora in cui ci troviamo in armonia con il mondo e con la luce. La fragranza fu creata in omaggio alla moglie Lily e divenne, durante la guerra, simbolo di femminilità. Fazzoletti imbevuti di profumo furono distribuiti ai soldati in trincea per sollevare il loro morale.

Il design del flacone in stile Art Nouveau è stato creato da Georges Chevalier e realizzato dalle cristallerie Baccarat.

La violetta è in grande spolvero, insieme ai semi di anice, eliotropio, neroli e tuberosa in questo capolavoro crepuscolare, cipriato, con una leggerezza tutta parigina e – qualcuno dice – con una vena di tristezza e melanconia. E’ un profumo da budoir, che sembra dare l’addio – forse con un po’ di rimpianto – a quella Belle Epoque che stava per terminare.

E’ del 1919 il secondo capolavoro di Jacque Guerlan: Mitzouko. E’ proprio in quell’anno infatti che l’Europa si appassiona al Giappone e alla sua storia e cultura, e la parola Mitsouko è il nome dell’eroina del racconto di Claude Farrère, La bataille. La storia, ambientata in Giappone durante la guerra russo-giapponese, racconta l’amore impossibile fra un ufficiale inglese e Mitsouko, la moglie dell’ammiraglio Togo. Nonostante l’ispirazione sia il tema dell’adulterio, questo profumo non ha nulla di provocante: la sua composizione non contiene accordi romantici e tradizionalmente femminili, ma è piuttosto cupo e intenso, totalmente unisex, ancorché soffice come un cuscino di velluto verde scuro.

Mitsouko, che significa ‘mistero’ in lingua giapponese, è dunque il simbolo di una nuova femminilità, appassionata e misteriosa.

Una nuova fragranza, originale ed equilibrata, misteriosa e vellutata, che apre la strada alle composizioni fruttate-chypre, utilizzando per prima la nota di pesca. Quest’ultima è abbinata a fiori di gelsomino e rosa di maggio, mentre il fondo combina spezie ad un terroso patchouli, al vetiver e al legno di aloe. L’idea, eccezionale e audace, di Jacques Guerlain fu di unire un chypre (Chypre è una famiglia di profumi composti da note di testa agrumate, un cuore fiorito ed un fondo animale/muschiato) con la nota decisamente marcata della pesca, conferendo a questo profumo il suo caratteristico tocco moderno.

Anche questa fragranza non ha mai smesso di essere prodotta e venduta, diventando quindi una delle più antiche che ci siano in commercio.

Infine, ultimo di questo tris di stelle della profumeria (ma solo perché più recente, essendo stao creato nel 1925) è il celeberrimo Shalimar. Questo profumo è diventato da tempo ormai il punto di riferimento della famiglia olfattiva degli Orientali, gruppo di profumi marcatamente caldi ed opulenti a causa dei molti ingredienti inebrianti (muschio, vaniglia, spezie, fiori, frutti, resine e legni), che si innestano su un fondo di ambra.

Si racconta che Jacques Guerlain abbia creato il profumo Shalimar in omaggio alla leggendaria storia d’amore ambientata nel XVII secolo tra Mumtaz Mahal e l’imperatore Shah Jahan nei giardini di Shalimar ad Agra in India. Quando la donna morì, l’imperatore devastato dal dolore, decise di costruirle una tomba nel punto in cui, 14 anni dopo, sorse il Taj Mahal.

Questo jus femminile, sensuale, voluttuoso e ipnotico – Shalimar significa letteralmente “tempio dell’amore” – fu presentato al pubblico nel 1925 all’Esposizione delle Arti Decorative a Parigi, al Grand Palais. In seguito al successo ottenuto a bordo del transatlantico Normandie, in occasione di una traversata verso New York di Raymond Guerlain (cugino di Jacques) e di sua moglie, Shalimar venne lanciato in anteprima negli Stati Uniti.

Ed è proprio Raymond che disegna la bottiglia di Shalimar, ispirandosi alle vasche di quei giardini, con l’inconfondibile tappo a forma di ventaglio e la “trasparenza di zaffiro che ricorda le loro acque eternamente zampillanti”.

Il profumo – sfacciatamente sensuale – si apre con note di mandarino, cedro, bergamotto (questo ingrediente occupa il 30% della fragranza) e limone, matura in accordi di iris, patchouli, gelsomino, vetiver e rosa e si chiude in un fondo di cuoio, sandalo, opoponax, muschio animale, zibetto, vaniglia, incenso e fava tonka. Questo contrasto tra il preludio pungente di penetranti note agrumate, il cuore fiorito e il fondo caldo e sensuale è ciò che fa di questo profumo una delizia imperitura.

Nonostante le sue note dolci, questa fragranza non ha nulla di stucchevole e sdolcinato, come ben sottolineò Ernest Beaux, creatore del mitico Chanel N°5 (vedi la prima puntata della serie dedicata ai profumi che hanno fatto la storia): “Con questo pacchetto di vaniglia, sarei stato in grado di creare soltanto una crema pasticcera, mentre lui, Jacques Guerlain, creò Shalimar”. Fu un jus talmente vincente che oltre a essere ancora attuale è stato di ispirazione nella creazione di capolavori olfattivi quali, per citarne alcuni, L’Instant de Guerlain, Obsession di Calvin Klein e Opium di Yves Saint-Laurent.

 

 




UN PROFUMO, UNA LEGGENDA: CHANEL N° 5

I profumi che hanno fatto la storia.

di Claudia Marchini

“Non c’è nulla che invecchi tanto quanto il voler sembrare giovani. Si può essere irresistibili a qualunque età”. Così sentenziava Coco Chanel, e certamente una delle sue più fortunate creazioni – il mitico Numéro Cinq (accento sulla “e”, s’il vous plaît, e arrotiamo bene quella “r”) – i suoi 101 anni non li dimostra affatto. Ciò è corroborato anche dal fatto che rimane uno dei profumi più venduti al mondo (forse proprio il più venduto); si dice che venga venduta una boccetta di N° 5 ogni 30 secondi.

Perciò, questa serie di articoli che parla dei profumi che hanno fatto la storia e che ogni appassionato dovrebbe conoscere non può non aprirsi proprio con questa mitica fragranza, prototipo dei profumi cosiddetti “aldeidati” e composto nel 1921 da Ernest Beaux, profumiere della società Rallet.

Fino ad allora i profumi erano principalmente “soliflore”, cioè basati sull’essenza di un solo fiore (di solito rosa o mughetto), molto romantici e leggeri e dalla durata limitata, perciò dovevano essere dosati in gran quantità per poter durare a lungo. Quando Coco cominciò  a pensare di lanciare una sua fragranza, il suo stile anticonvenzionale la portò a chiedere a Beaux una fragranza costosa, lussuosa, elaborata, provocante, senza mezze misure. Basti pensare che il bouquet di muschio e gelsomino (cuore del jus composto da Beaux) all’epoca era associato a cortigiane e prostitute!

Non solo: proprio in quegli anni si erano affacciate nel mondo della profumeria le famose aldeidi. Ma cosa sono? Le aldeidi sono sostanze presenti in natura, che ai primi del Novecento cominciano ad essere sintetizzate in laboratorio per dare luminosità ed effervescenza da champagne alle formule dei profumi. Beaux pensò di inserire una di queste aldeidi (dal sentore di arancia) nella formula del nuovo profumo per Coco Chanel, e iniziò a sperimentarle con parsimonia. Ma la grande stilista, in pieno suo stile, gli ordinò di abbondare: fiumi di champagne perbacco, non lesiniamo!!!

Il risultato fu un profumo totalmente nuovo, che non assomigliava a nessun’altra fragranza passata né dell’epoca. Un’overdose talmente audace non poteva passare inosservata, e la grande stilista ne comprese infatti subito le grandi potenzialità commerciali e non esitò a scegliere proprio quel quinto prototipo che il profumiere le aveva sottoposto – da qui pare il nome che fu scelto, N°5 (e anche il fatto che fu lanciato nel mese di maggio).

 (la prima immagine nota di Chanel N° 5)

L’iconica boccetta di Chanel N°5, che dal 1954 fa parte delle collezioni permanenti del MOMA di New York, non è altro che una semplice confezione da laboratorio, alla quale vennero smussati gli angoli, e cambiato il tappo. Questo, infatti, venne sostituto con un tappo tagliato come un diamante, che riproduce la forma della celebre Place Vandôme a Parigi, famosa per le sue gioiellerie e tanto cara a Coco Chanel.

Il flacone di Chanel No. 5, nel corso degli anni, è diventato un oggetto talmente identificabile che Andy Warhol decise di commemorare il suo stato di icona a metà degli anni ottanta con l’opera pop art intitolata “Ads: Chanel”, una serie di serigrafie ispirate a pubblicità del profumo apparse fra il 1954 e il 1956.

Il resto è storia. Non solo N° 5 è il profumo più venduto della storia, ha anche ispirato un filone e una sottofamiglia olfattiva (quella dei fioriti aldeidati per l’appunto) e dato il via ad una serie innumerevole di imitazioni.

Arrivati all’epoca della guerra, il profumo aveva ottenuto un successo tale fra le classi abbienti e come status symbol per quelle medie, che i soldati americani a Parigi facevano file di ore per portarsi a casa un flacone che ricordasse loro l’idea dell’eleganza e del lusso europei.

Dopo la guerra, la più grande testimonial della fragranza è stata Marilyn Monroe. Durante un’intervista nel 1952, l’attrice dichiarò: “Cosa indosso a letto? Che domande… Chanel N. 5, ovviamente”. Questa affermazione di Marylin ebbe il potere di consacrarne il fascino, aggiungendo quell’aurea di glamour hollywoodiano che ne fece un successo globale.

Un successo tale che qualche anno dopo, nel 1955 Marilyn accettò di lasciarsi fotografare da Ed Feingersh, poco prima della première del film La Gatta sul tetto che Scotta di Tennesee Williams, proprio mentre “indossava” guardandosi allo specchio alcune gocce del prezioso Chanel N.5.

E così, di decade in decade, questo rivoluzionario profumo è diventato un grande classico, mai dimenticato ma anzi sempre più amato: i testimonial e le pubblicità si sono adattati al gusto di ogni epoca ma la fragranza è sempre lì, scolpita nell’Olimpo della profumeria mondiale.

Catherine Deneuve, Carole Bouquet, Nicole Kidman o attualmente Marion Cotillard sono tra le ambasciatrici che, con il loro spirito e la loro modernità, elevano N° 5 nell’eterno pantheon femminile per i posteri.

E infatti, in occasione della bellissima campagna lanciata l’anno scorso per i 100 anni della fragranza, Thomas du Pré de Saint Maur, Head of Global Creative Resources Fragrance and Beauty della Maison quota la mitica Coco: “La giovinezza è prima di tutto uno stato d’animo: è il desiderio di osare, di conservare la libertà di essere sé stessi al di là delle convenzioni, di non prendersi sul serio, di essere leggeri senza essere frivoli. Di avere l’audacia di preferire la giovinezza dell’immaginazione, alla vecchiaia dell’abitudine”.

Insomma: non si è mai troppo vecchi per una bella coppa di champagne!!!! SALUTE!!

(la classica boccetta)




Sfide di stile: intervista alla look designer Deborah Facchino

di Cristina T. Chiochia – Estrarre la bellezza. E’ possibile? Incontriamo la titolare di Dath’s Amore che da sempre si prefigge di rendere le persone più belle, rispettando le tendenze del proprio look. In particolare sottolineando quell’idea del “mood dello sguardo” che rende un pò misteriosi ed un pò magnetici e che da qualche anno, non è solamente trucco , ma anche “look smoky “per gli occhi, ma un’attitudine di conquista che si sta sviluppando anche per esempio sul colore dei capelli, qualsiasi esso sia. Ed è proprio rispetto a questa nuova tendenza per l’estate 2022 che la sentiamo durante la Milano Beauty Week.
Chiedendole cosa ne pensa del “mood smoky” e come mai anche i capelli castani e bruni, si stanno avvicinando a questo modo di decolorare i capelli.
Ciao Deborah, raccontaci di te e di come “estrai la bellezza” dalle persone che si affidano a te?
 Sono nata a Milano il 5 aprile 1977, mia madre ha avuto le doglie mentre era dal parrucchiere … sarà forse un segno? Probabilmente attraverso il suo ombelico invece di galleggiare oziando, già guardavo il mondo, i volti della gente e immaginavo come estrarne la bellezza.Molti di noi passano troppo poco tempo a guardarsi allo specchio, forse là beauty routine e il make-up, hanno molto più a che fare con la sola seduzione e la bellezza. Sono convinta che a volte non ci si ami abbastanza!
Da qui parte il mio percorso, la mia prima parola è stata sicuramente mascara, amavo Bambi i suoi occhioni languidi e quelle ciglia che ti fanno ad ogni battito sognare!
Tutto era molto chiaro a 4 anni, già avevo per le mani cosmetici make up station e il merlo ( mio papà) come modello, essendo il primo ad aver bisogno di una ristrutturazione dato che aveva un riporto da urlo! Non mi sono più fermata
I miei studi si sono concentrati sulla bellezza a 360 gradi, pelle, capelli, mani, trucco, gesti semplici senza impazzire, esaltare i nostri pregi e non nascondere i difetti, che il più delle volte sono proprio quelli che fanno la differenza e che ci contraddistinguono.
Ma il fascino si può insegnare?
Certo! Il fascino non si può insegnare, dicono sia innato, ma il look ci da la possibilità di acquisire sicurezza e di essere ogni giorno un personaggio diverso. Parola d’ordine: no agli eccessi, a meno che non ce ne sia l’occasione o il desiderio, luce, eleganza ed a proprio agio sempre.
E cosa ne pensi del creare tendenza e nuovi mood nel campo della bellezza?
Sono passata da centri estetici, spa ,parrucchieri sfilate di moda, spose, consulenze, corsi di trucco, ma resto sempre lì a guardare dall‘amorevole ombelico di mia madre tutte le donne, gli uomini, gli X del mondo ed a desiderare solo una cosa: venite da me vi aiuterò a risplendere , basta levare la polvere dell’insicurezza e il vostro sorriso sarà la più bella ricompensa.
A volte non ci si immagina nemmeno come si potrebbe essere con piccoli stratagemmi che, data la soddisfazione regalata, daranno la costanza che è l’unica cosa che paga sempre ed è infallibile.
Hai uno slogan?
Sì è “glitteriamo il mondo”! Perche’ abbiamo tutti bisogno che ogni superficie riflettente ti urli a gran voce “ehi innamorati di te”.
E della tenenza “smoky 2022” anche per i capelli femminili? Cosa ne pensi per questa estate 2022 ? 
La tendenza sono i capelli lunghi che rende molto affascinanti e molto femminili da sempre. Toni caldi che rendono “fumoso” anche il look dei capelli, non solo quello degli occhi. E sta praticamente sta bene a tutte. Anche ai tagli medio lunghi.
La tendenza è curare i capelli. Non solo cambiargli colore.
Ci sono dei piccoli trucchi?
Certo! Per esempio andare a letto ed usare una federa di seta oppure tamponarli sempre quando si asciugano. Anche poi scegliere uno shampoo adatto, non seguire la marca in voga ma quello più adatto. E come piccolo trucco di bellezza, sicuramente applicare un  henne’ neutro sulla chioma che la rende più folta e lucente. Iniza l’estate. E sotto il sole bisogna nutrili! Si a olio di cocco sui capelli bagnati e mai  asciutti perchè cosi porta via l’acqua contenuta nella fibra dei capelli.
Capelli sani e “Smoky” per tutti quindi? 
Certo! Perchè no! Stanno bene molto bene e con tagli appropriati rendono il viso fresco e anche il colore dei capelli aiuta a miglioare le proporzioni del viso. Sia che sia un look selvaggio pratico e libero sia che sia un colore scuro o chiaro, tutto viene sorpassato dai contrasti dello “smoky” che come un vero e proprio “make up” dei capelli illumina e perchè no, assottiglia.
Salutiamo Debora con un sorriso. Ebbene si, estrarre bellezza insomma, pare possibile. Buona estate “smoky” a tutti.