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Meo Fusciuni: i profumi che parlano al cuore

di Claudia Marchini – “Quando annuso il profumo che sto creando e piango, allora capisco che è pronto”.

Così risponde alla mia domanda sui tempi di creazione di una fragranza artistica Meo Fusciuni (all’anagrafe Giuseppe Imprezzabile, ma ormai nemmeno sua madre lo chiama più Giuseppe), uno dei più originali e potenti creatori di profumi in Italia.

E pensare che prima del 2010 mai avrebbe pensato che questo sarebbe diventato il suo prossimo lavoro…dopo gli studi di chimica industriale, Meo ha iniziato infatti a lavorare nel campo dell’aromaterapia e della fitoterapia, ambiti che gli procuravano anche molte soddisfazioni. Perciò, quando una sua amica – quasi per scherzo, ma non troppo – gli ha buttato lì la fatidica domanda: “Ma perché non crei profumi”?, ne è rimasto molto stupito. Anche perché non aveva una particolare passione per i profumi, né tantomeno conosceva il mondo della profumeria di nicchia. Fino a quel viaggio ad Istanbul. 

Lì, tra il turbinio di voci del gran bazar e la cacofonia di spezie, tra il profumo delle stoffe preziose e i fumi dell’incenso, l’erborista ha lasciato il posto al profumiere. Tutti noi viviamo ad un certo punto della nostra vita un rito di passaggio, e per Meo quel viaggio nella capitale dei tre imperi rappresenta il momento in cui ha lasciato la via della “pianta medica” per intraprendere un nuovo cammino. La sua prima creazione si chiama infatti 1# nota di viaggio (Rites de passage) ed è dedicata a questo viaggio e questa città.

Il progetto Meo Fusciuni nasce proprio con lo scopo di raccontare viaggi, pensieri, emozioni, sensazioni, attraverso una complessa ricerca olfattiva e la creazione di profumi unici, 100% Made in Italy, e utilizzando materie prime di altissima qualità.

La collezione è composta al momento da 12 fragranze (la tredicesima è in dirittura d’arrivo), divise in Trilogie e Cicli. Le Trilogie parlano di viaggi “veri”, luoghi fisici, mentre i Cicli rappresentano viaggi mentali. 

La prima trilogia (Rites de passage, Shukran, Ciavuru d’amuri) parla di 3 paesi che hanno significato molto per Meo: di Istanbul abbiamo già parlato; la seconda nota di viaggio è invece dedicata al Marocco e alla bevanda che meglio rappresenta lo spirito gioioso ed energico del paese, il tè alla menta; e infine la terza nota di viaggio – uno stupendo fico – ci porta nella sicilia della sua infanzia.

Il Primo Ciclo (della Poesia), racconta la ricerca interiore del profumiere: Notturno, con le sue note di Rum e Inchiostro, ci trasporta in stanze vere ed immaginarie, dentro ad un tunnel di bellezza e poesia; mentre Luce grida il desiderio di trovare un equilibrio tra natura e uomo, illuminando la via con note di Betulla, Abete, Cedro e Tabacco.

La Trilogia della Mistica (Narcotico, Odor 93 e L’oblio) è ispirata a 3 luoghi veri (Palermo, la Danimarca, la Cambogia) che hanno una forte componente mistica per Meo, che ha voluto con essi raccontarci dei vecchi cassetti polverosi della casa di famiglia a Palermo; oppure di un fiabesco bosco del nord Europa da cui si esce chiedendosi se fosse tutto vero oppure un sogno; e ancora del potere della dimenticanza e della nostra ricerca della salvezza che essa ci può portare.

Il Secondo Ciclo (della Metamorfosi), è dedicato alla solitudine, attraverso due differenti riflessioni sulla libertà dell’anima. Con Little Song Meo riesce a raccontare perfettamente il profumo del tempo che passa: una tazzina di caffè lasciata sul tavolo da lavoro, una sigaretta ormai consumata, e un mazzo di rose tenuto in mano…Un profumo stupendo e melanconico, commovente fino alle lacrime. Spirito è invece dedicato ad Emily Dickinson: immaginiamo le pianure del Massachusetts dove la poetessa amava camminare, in un tripudio di Camomilla, Angelica, Semi di Carota, Cipresso, Lavanda. Lì, dove uomo e natura, spirito e poesia si fondono.

Ed eccoci infine all’ultima Trilogia di Viaggio, la Trilogia senza Tempo, dedicata all’attuale “ossessione” di Meo Fusciuni: l’Asia. Si parte dal colpo al cuore e allo stomaco di Varanasi, città simbolo dell’India, ricca di contrasti e significati, magia e mistica. Oud, Cuoio, Zafferano, Cardamomo, Rose e Gelsomini ci trasportano in un vortice di emozioni; un profumo magnetico, animalico, per palati forti dall’animo gentile.

Il secondo profumo della trilogia, Encore du temps, è dedicato al Laos e all’amore (la sua Federica – si illumina tutto quando ne parla, Meo); è un fiore che cade in una tazza di tè verde, la dolcezza del tempo che scorre lento e la voglia che quel tempo si dilati per sempre, per poter stare ancora e sempre di più con la persona amata.

In attesa della terza fragranza, che sarà ispirata dal Giappone, vi invitiamo a scrivere a info@meofusciuni.com per conoscere il punto vendita più vicino a voi. Noi siamo andati alla Profumeria La Nicchia di Legnano!

“Il profumo è un’anima che disegna la nostra ombra”

Meo Fusciuni




Balla come idea del femminile a Bottegantica

di Cristina T. Chiochia Dal 6 novembre 2021 al 30 aprile 2022, presso la sede di Milano di Banca d’Italia è stata esposta la propria collezione di opere di Giacomo Balla per una mostra piccola ma suggestiva dal titolo “Esistere per dare”. Un omaggio alle opere di Balla presenti nella collezione che hanno creato a Milano una sorta di percorso anche presso la Galleria Bottegantica  (con la stessa curatrice della mostra ) e presentata dall’ 1 al 30 aprile con il titolo BALLA AL FEMMINILE | TRA INTIMISMO E RICERCA DEL VERO con cui la galleria , recita il comunicato stampa : “intende rendere omaggio a Giacomo Balla, uno dei più importanti e originali esponenti dell’arte italiana del XX secolo. Una “preview” speciale con una selezione di opere inaugurerà la mostra alla fiera MIART di Milano, dal 31 marzo al 3 aprile, dove la Galleria sarà presente nella sezione Decades allo stand A100. L’esposizione si sposterà dal 6 al 30 aprile negli spazi espositivi di Galleria Bottega Antica in via Manzoni 45.Dopo quattro anni dalla rassegna Giacomo Balla. Ricostruzione futurista dell’universo (2018), incentrata sull’esperienza futurista del pittore, Bottegantica dedica una mostra alle declinazioni della femminilità interpretate dall’artista in due periodi apparentemente lontani della sua produzione, quello divisionista di inizio Novecento e quella figurativo-realista degli anni Trenta e Quaranta”.

Una mostra curata nei minimi dettagli a cui a fatto da padrona la grande storica Elena Gigli che ha soddisfatto nella preview riservata alla stampa aneddoti e curiosità sul lavoro di questo grande artista. Opere incredibili. Dai colori lucidi e vivi che custodiscono quel senso di “stare accanto” in famiglia a cui Balla era tanto affezionato. Balla maturo e molto attento agli accostamenti con grande capacità di sviluppare temi come la quiete o la famiglia oltre alla figura femminile. Veri e propri primi piani d’artista. Dove ritrarre significa generare, in quella sorta di “generatività” che gli fu tanto cara nei ritratti dei primi del 900.  Visibili quindi Quiete operosa (1898) e La famiglia Stiavelli (1905) ma anche grandi ritratti delle figlie, anche loro pittrici. ED è proprio quella casa dove nell’estate del 1929 Balla si trasferisce, che diventa il tutto.  La misura di tutte le cose, insomma. Tanto che per tutto il 2022 a casa in via Oslavia 39/b sarà visibile al pubblico e visitabile grazie alla collaborazione del MAXXI e la Soprintendenza speciale di Roma oltre che al supporto della banca Finnat. Spazio. Percezione della realtà e luce ridente. Balla che forse, da lassù, sorride soddisfatto.




L’arte coltivata di Giorgio Riva

di Cristina T. Chiochia Un invito alla lettura quello de “L’antro di Efesto” di Giorgio Riva e presentato al Museo della Permanente a Milano in cui l’autore a voluto esprimere l’essenzialità del suo libro cercando di mettere in luce il suo essere architetto ma che “coltiva arte” con una tipica forma di “essenzialità che gli appartiene”. E nel libro ce ne sono molti esempi a partire dall’idea di “bontà del caso”, quando l’autore racconta del suo talento. Anche pittorico. “In quel periodo” racconta nel libro “avevo accanto cugini e amici già studenti di Lettere e filosofia con i quali trovavo le categorie necessarie per un primo passo: distinguere la veduta cosiddetta “dal vero” dalla “veduta della mente”. Poco dopo il distinguo ha rinnovato il suo abito verbale: imago (dal latino imitor – it. “imitare”) aut phàntasma (in greco “visione”, libera dall’obbligo di imitare)”. La pittura come prima grande sintesi espressiva.

Per Riva, insomma l’idea del  progetto architettonico si colloca in una sorta di interregno. Che esemplifica con il suo modo di fare pittura fin dalla più tenera età e che poi lo ha portato addirittura alla pittura informatica fusa con il suono.

Sempre nel libro infatti dice ” tutti i progetti ritraggono ciò che non c’è, o almeno che non c’è ancora. Si annunciava così anche l’affascinante idea di utopia che in politica si candida a diventare ideologia. Contemporaneamente il mio dipingere si allontanava dall’imitazione veristica del soggetto ritratto per dare maggiore importanza al modo di condurre le pennellate sulla tela: cosa facevano macchiaioli e impressionisti? Ritraevano atmosfere di paesaggi o inseguivano da innamorati un loro nuovo modo di agitare il pennello? Stava insomma prendendo corpo un linguaggio pittorico in cui la realtà cessava di essere “rappresentata”, diventava per me molto più interessante “alluderla” o “citarla”: potevo semplicemente “usarla”, insomma, per ritrarre non più oggetti, ma “itinerari” del pensiero visivo. Contemporaneamente stavo preparandomi a rivedere anche i grandi ritratti dei realisti come specchi ingannevoli”.

Una realtà , quella che esprime Riva nel libro, che è sempre più interessante proprio perché da scoprire là, in quel “dentro” dove è  il pensiero visivo. Che è proprio quanto la pittura insegna, da sempre. Dalla superficie di un “vero apparente” a qualcosa che con il talento cresce e si rafforza. Forse per questo, dice sempre l’autore “c’era sempre un velo da togliere, altrimenti si sarebbe perso ogni senso, spessore e, in definitiva, la profondità del dipinto”. La realtà, insomma si raggiunge al contrario in pittura, come in architettura. E poi l’esperienza della testimonianza. Dove la Casa-Museo I Tre tetti nel Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone a Lecco , mostra ai visitatori una raccolta privata delle opere di Giorgio Riva presso la sua residenza estiva e come si è aperta al pubblico con una prima mostra notturna di “sculture luminose” (visibili al tramonto) nel 2005.

Sempre in ascolto. Per saper vedere e saper guardare. Ecco in estrema sintesi il libro. E questa l’intuizione dell’autore ,oltremodo attuale che, come recita il comunicato stampa: “nella confusa temperie delle culture che regna attualmente è fondamentale essere vigili e pronti a navigare controvento. La mia rotta mi ha condotto su un dosso del Parco di Montevecchia a fare un luogo destinato all’intreccio delle arti”. Villa 3 Tetti di Sirtori non è tanto una raccolta di opere, è piuttosto un’opera complessiva dentro la quale si cammina. Arte del paesaggio, arte della luce, architettura, scultura, pittura vi s’intrecciano con poesia e musica: qui il vero protagonista è il metalinguaggio che le unisce”. E questo libro, edito da Skira ditore, sicuramente ne è un valido esempio.




Gabbie d’oro, il singolo di Emil Spada contro gli status symbol

Gabbie d’oro è il nuovo lavoro di Emil Spada, giovane cantautore emiliano con al suo attivo un ricco percorso artistico. Gabbie d’oro nasce dal bisogno di comunicare che la strada più difficile è sempre quella che, se compiuta con logica e maturità, regala più soddisfazioni e serenità; utilizzando linee melodiche e arrangiamenti contemporanei, Emil vuole porre in evidenza, la superficialità legata alla ricerca esasperata dell’apparire, dello status symbol, del voler essere al centro dell’attenzione a tutti i costi.

Bellissimo anche il videoclip (https://www.youtube.com/watch?v=7HkKEJz3WrA), la cui protagonista è una ragazza acqua e sapone, schiava della società e dei suoi modelli, per la necessita di essere accettata. È  interpretata da Astrid Toh per la regia, Milo Barbieri, che ha colto e rappresentato alla perfezione le idee della sceneggiatura elaborata da Emil.

Come è nato Gabbie d’oro?

Era un periodo in cui facevo ascolti musicali davvero eterogenei, passavo da Caparezza a Morricone, dalle colonne sonore di film classici a produzioni indipendenti locali… questa commistione di generi mi ha fatto ragionare sulla enorme quantità di dati che ci viene costantemente proposta ogni giorno, oltre alla superficialità con cui questi vengono da noi interpretati e a nostra volta proposti.

Volevo racchiudere tutto questo in un brano, volevo qualcosa che attirasse lattenzione musicalmente e che, al contempo, attaccasse questo modo superficiale di vivere solo per apparire.

Anche per il videoclip, cercavo una ragazza acqua e sapone, che cambiasse diversi outfit nella ricerca di accettazione da parte della società, questa lidea di base da cui sono partito per realizzare la sceneggiatura. È nata lidea di girare  una giornata tipo,  tra shopping, di locali della movida, piscina… L’aggiunta della mano che prende la ragazza e la trasporta da una location allaltra sottolinea la superficialità e la rappresenta come una sorta di “oggetto”, per lanciare un messaggio di disagio, quello che il mondo contemporaneo sottintende, quello che ci fa ridere durante tutto larco della giornata, ma essere tristi e depressi tra le mura domestiche.  Ovviamente devo ringraziare sia Milo Barbieri, bravissimo regista che ha sopportato la mia puntigliosità e ha colto appieno le idee proposte con la sceneggiatura sia Astrid, bravissima interprete.

Come hai scoperto la tua passione per la musica?

Mi piace sempre raccontare che ascoltavo le audiocassetta dei cantautori in auto con i miei genitori fin da piccolo, questo è sicuramente stato un grande input per indirizzarmi verso la musica; in realtà credo che la mia sia una passione innata, perché già a 3 anni saltavo sullo sdraio in spiaggia, cantando le canzoni estive in voga per intrattenere i bagnanti e i vicini di ombrellone.

Poi a 13 anni ricevetti una chitarra ed un cd dei Queen come regalo di compleanno e da li fu immediato amore.

Il tuo più grande sogno nel cassetto?

Nel corso degli anni ne ho già depennati tantissimi dalla lista, oltre al fatto di collaborare con grandissimi musicisti che calcano o hanno calcato palchi negli stadi e che riconoscono la qualità dei miei brani, posso anche dire di aver registrato le mie canzoni nello studio personale di Vasco Rossi a Bologna e, quando ero un ragazzino, non me lo sognavo nemmeno… ora di fronte a me c’è un nuovo progetto che sta crescendo, spero che la musica e i concetti espressi possano arrivare a più persone possibili; fare musica e vivere di musica è già un sogno bellissimo.

E allora, quali sono i tuoi progetti futuri?

Con la mia etichetta PMS Studio, siamo già al lavoro sul prossimo singolo, un brano progressive-rock che vanterà una incredibile collaborazione a livello di videoclip, con un altro settore artistico; per me è infatti una grandissima emozione poter dar vita a questo progetto, che racchiude oltre alla musica unaltra mia grande passione che è il fumetto.

Dopo questo singolo, si giungerà, se non ci saranno intoppi, alluscita del nuovo album, che racchiuderà in 8 brani, un eterogeneità di generi e temi.

La realizzazione dellalbum è infatti legata alla miriade di ascolti fatti negli ultimi anni, che mi hanno portato a scrivere brani in diverse chiavi, dal rock al pop, dalla bossanova al crossover… sarà un album spartiacque col passato, una sorta di partenza per un Emil 2.0” che, conscio della esperienza accumulata, vuole dar anelito ai suoi punti di forza e migliorare in ciò che è carente.

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La croce del Giubileo: Borromini dialoga con Lady Be

Lady Be reinterpreta l’opera di Francesco Borromini, un’importante opera del 1625, eseguita dal mosaicista Giovan Battista Calandra, La Croce fu realizzata su commissione di Papa Urbano VIII Barberini, come sigillo della porta santa dopo il Giubileo del 1625.

Quando Innocenzo X Pamphilij riaprì la porta santa per il suo giubileo, nel 1649, ruppe simbolicamente il sigillo e ne fece dono al cardinale nipote (nipote di donna Olimpia, Francesco Maidalchini), e per questa via il piccolo mosaico venne riposizionato sullo stipite della porta della chiesa, che era divenuta la cappella privata dell’adiacente giardino di donna Olimpia in Trastevere.

Il 4 Settembre verrà presentata a Roma in località Trastevere, nella Chiesa di Santa Maria in Cappella, è l’opera più recente della eco-artista Lady Be; l’ultima perla realizzata per un progetto esclusivo realizzato per l’evento “Di là dal fiume”, giunto alla quarta edizione.

L’opera rappresenta una croce ed è la reinterpretazione del mosaico borrominiano presente nella stessa chiesa, ma con materiali di recupero, ovvero oggetti di plastica di varia provenienza usati in tutte le opere di Lady Be (tappi di bottiglie, involucri, bigiotteria, cancelleria, giocattoli vecchi, tubi, cavi elettrici).

L’opera è sagomata e fedele ai colori originali, che grazie all’utilizzo della plastica risultano brillanti e decisi, la composizione è ben equilibrata. Come nell’opera originale, è presente la fronda d’ulivo simbolo dei Pamphilij, e la particolarità che salta subito all’occhio è la presenza di 5 api (regine) attorno alla croce,  simbolo di laboriosità, purezza, capacità di comando, di orientamento ed abilità nella costruzione dei nidi con celle esagonali, scelte per nobilitare il simbolo della famiglia. Sono presenti in tante altre opere commissionate dai Barberini, tra cui il Baldacchino dell’ altare maggiore di San Pietro.

Lo speciale eco-mosaico, di dimensioni 54 x 88 cm, verrà presentato durante la visita guidata alla Chiesa, in Via Piero Peretti 6  alle ore 11; la visita è su prenotazione obbligatoria ed è necessario esibire il green-pass.

L’evento si svolge nell’ambito del festival curato dall’Associazione Culturale Teatroinscatola, “Di là dal fiume” il cui programma va dal 29 agosto al 5 settembre, ed offre esperienze culturali insolite, gratuite e diffuse in luoghi ogni volta differenti, con particolare attenzione al XII Municipio di Roma.

Musica, incontri, installazioni, proiezioni, presentazioni libri, mostre, fotografia, blitz urbani e biciclettate in undici location, cui si aggiunge quest’anno un programma di visite guidate presso quattro edifici di culto, come la Chiesa a Trastevere in cui si svolge l’esposizione della preziosa opera di Lady Be.

La “sfida” del festival è quella di portare in spazi ordinari eventi di qualità, nell’idea di fondo che il riuso di strade, edifici, piazze e aree della città mediante l’interazione con le arti possa creare inediti luoghi di relazione, dove la fruizione dell’evento da parte dello spettatore è spesso casuale.

Il progetto è congeniale all’idea di Lady Be, che fa del “riuso” il suo punto di forza, ed è ciò che consolida questa collaborazione oltre alla presenza del mosaico.

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Infatti, dal 2019 Lady Be ha cominciato a portare la sua arte in luoghi non espressamente nati per l’arte (ma fruibili liberamente dal pubblico) realizzando maestose esposizioni; dalla sua personale allestita all’Aeroporto di Milano Malpensa (mostra attualmente visitabile) all’esposizione nell’Università di Pavia, alla presenza delle sue opere sostenibili a Fiumicino nell’ambito di un evento organizzato da Disney e Legambiente e nel backstage del Concertone del 1 Maggio a Roma.

L’idea è che l’arte vada verso lo spettatore, abbandonando così gli asettici musei e altre realtà come gallerie d’arte e altri luoghi frequentati soltanto da appassionati d’arte.

Il pubblico di grandi e piccoli da sempre apprezza molto le opere di Lady Be. L’artista porta avanti questa attività da più di 10 anni e lo fa per sostenere il suo importante messaggio per l’ambiente, non sprecare ma trovare risorse e alternative per utilizzare e smaltire correttamente tutti i materiali, in particolare la plastica che è ciò che attualmente provoca più problemi di inquinamento in particolare di mari e oceani, andando a stravolgere l’intero eco-sistema.

Gran parte del materiale che utilizza Lady Be nelle opere proviene infatti dalla raccolta sulle spiagge, altro deriva dalle scuole e da mercatini dell’usato. Gli oggetti vengono consegnati inconsapevolmente dal popolo, e divengono tasselli del suo speciale mosaico.

Nel caso della croce, è possibile vedere diversi pezzi di materiale riconoscibile intero e spezzettato, per riprodurre con minuzia e maestria i diversi dettagli della croce, dalla presenza delle 5 api, al rosone di luce in alto, con sfumature dorate ricercate nei materiali, alle foglie di ulivo con diverse sfumature di verde.

Il mosaico borrominiano, infatti, leggermente minore di dimensioni rispetto all’opera di Lady Be, è un minuzioso lavoro di micro-mosaico, che a detta dei custodi è stato apprezzato moltissimo anche dal critico Vittorio Sgarbi che, avendo a disposizione poco tempo, ha voluto vedere solo quello e ha scattato decine di foto.

Lo stesso critico d’arte che conosce da anni l’arte di Lady Be apprezza molto anche i suoi mosaici, che nelle sue recensioni ha definito “formidabili”; “sorprendenti figurazioni”.

 

Info e prenotazione visita

Tel 340.5573255

Email info@teatroinscatola.it

Sito www.teatroinscatola.it




Lolita: la nuova identità di Mr Dailom passa per la pista da ballo

Dopo i due album Sulle mie gambe e Vita da cane, è uscito il 2 luglio Lolita, il nuovo singolo di Mr Dailom, un brano che segna una vera e propria svolta creativa nel percorso dell’artista.

Spostandosi verso nuove sonorità latine, tipiche del reggaeton, ma sempre legate al mondo urban, il singolo apre un nuovo capitolo nella carriera di Dailom; scelta chiaramente non dettata dalla necessità di aderire alle tendenze del momento, ma che getta piuttosto le fondamenta per una nuova identità.

Il brano, oltre a delineare un nuovo percorso, parla di una esperienza personale di Dailom che viene ben rappresentata anche dal video, diretto da Paolo Meroni di Altered Studio (https://youtu.be/sPnB-DzAxpE): in questo, infatti, la protagonista (Letizia Poma) ha un atteggiamento smorfioso e giocoso, a tratti sprezzante dei sentimenti che il partner le esprime e manifesta; quello che emerge, tuttavia, è un messaggio positivo, di rivincita del protagonista, che nelle scene finali si dimostra non più affranto dal rifiuto, ma sorridente, quasi a pregustare l’attesa di un nuovo inizio.

Com’è nato il tuo nuovo singolo Lolita?

Sicuramente nasce dall’esigenza di scrivere e cantare sulle basi latin e arriva da una mia esperienza personale che ho condensato in una canzone durante il periodo del lockdown. Ci sono chiari riferimenti al contesto al quale appartengo ora, ovvero la pista da ballo che ho potuto vivere per un anno e che mi ha regalato bellissime esperienze, ahimè, prima delle chiusure.

Cosa ti ha spinto a iniziare questo nuovo capitolo legato alle sonorità latine?

Semplicemente andando alle serate latin e iniziando a prendere lezioni di bachata mi sono innamorato del genere, per me è stato un po’ come tornare all’inizio della mia carriera; i primi rapper, infatti, li ho sentiti dallo stereo di amici domenicani in auto e gli ascolti di allora erano Daddy Yankee e Don Omar, per intenderci.

Chi è Mr Dailom oggi e chi era ieri?

Oggi è un artista con esperienza che riesce a sfruttare maggiormente i suoi talenti.

Sono cresciuto grazie a delle esperienze che ho volutamente scelto per uscire dalla mia confort zone, ovvero ho sperimentato fino al punto di trovare maggiore feeling con i suoni che mi piacciono, e soprattutto, dal punto di vista della scrittura, ho cercato di distaccarmi dai classici canoni del rap provando a scrivere per e con altri come autore.

Il Dailom di ieri è stato fondamentale per il mio percorso, la musica è uno sfogo emotivo quasi terapeutico, e nei miei due precedenti album ho sfogato la rabbia senza fare calcoli, oggi invece ho maggiore consapevolezza del mio intimo, per cui ho l’esigenza di esprimerlo.

C’è un tuo brano al quale ti senti particolarmente legato? Perché?

Allora, io cerco di vivere sempre nel presente in base al trasporto emozionale che quella canzone mi trasmette, per cui ora come ora dico Lolita, perché mi ricorda anche quella normalità prima della pandemia, passata tra serate e appuntamenti, una normalità che stiamo gradualmente recuperando.

Progetti futuri?

Sicuramente vorrei far uscire un nuovo album; inoltre vorrei dimostrare che si può intrattenere e far divertire le persone trattando anche di contenuti seri, ma con la delicatezza di chi si sa esprimere senza appesantire l’ascoltatore, che a volte ha voglia solo di “scappare” un po’ dalla quotidianità.

Ph. Chiara Sardelli

 

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Tatuaggi: l’ironia di Andrea Annecchini per celebrare le differenze

Dopo il successo di Gerbere in dicembre (terzo estratto dall’album Apri gli occhi), arriva in radio e negli stores dal 2 luglio il nuovo singolo di Andrea Annecchini, Tatuaggi, scritta da Andrea stesso insieme al Maestro Giancarlo Prandelli (GNE Records).

 

Tatuaggi è una canzone pop rock indie, dal messaggio pungente veicolato con ironia: si tratta, infatti, di una esortazione a non giudicare dall’aspetto, a non lasciarsi andare a giudizi basati unicamente sulle apparenze, soprattutto in un momento di difficoltà come quello attuale. Un invito a valorizzare la diversità di aspetti e di opinioni, nella convinzione che sono le differenze a rendere più ricco e bello il nostro angolo di universo.

Un messaggio tradotto in modo giocoso e allegro dal video (https://youtu.be/iyh4VUj5V8s), realizzato da Carlo Neviani e girato in un vero studio di tatuaggi (Pride & Glory Tattoo), con un alone di leggerezza e di colore che sicuramente non può che suscitare allegria e buon umore.

Ne parliamo meglio con Andrea stesso.

Com’è nato il brano Tatuaggi?

Cercavo una sonorità fresca, ritmicamente allegra e spontanea. Questo brano è nato proprio da questo mood: nella spontaneità, ovviamente, ma anche nel guardarmi intorno e vedere un mondo di colori, tatuaggi e persone alla continua ricerca di un cambio di aspetto.

Viene spontaneo chiedere: hai qualche tatuaggio?

Paradossalmente non ho tatuaggi, non ho mai contemplato la possibilità di farne uno fino ad ora. Dopo aver girato il video sicuramente la voglia di farsene uno aumenta: tutti quei disegni, quelle forme, quei colori ispirano a disegnare e disegnarsi il corpo, senza dubbio. Mi piacerebbe, insomma, ma non trovo mai l’ispirazione giusta nel decidere cosa realmente tatuare. La mia anima viaggia a velocità che la mente non controlla, spesso il mio essere così sognatore, così utopico e creativo, spinge la mia mente a provare tutto ciò che la vita sa darmi, ma non si sofferma. Per questa ragione non riesco a decidere ancora l’immagine giusta da fermare sulla pelle.

Fra poco dovrebbe uscire il tuo libro… Ti va di parlarcene un po’?

Nel libro che uscirà presto, racconto la collaborazione e il lavoro che si evolve tra un artista e il suo produttore. Potrebbe essere sicuramente utile per chi vuole iniziare questo percorso, per chi vuole rendere questo il lavoro di tutti i giorni, la sua stabilità. Sicuramente uno degli scopi del libro è lanciare il messaggio che nulla è impossibile se ci credi veramente, che la vita sa regalarti eventi importanti quando è il momento di sperimentarli. Che qualsiasi cosa decidiamo e costruiamo dentro di noi diventa reale, se hai fede in quello che sei e in ciò che fai. E per finire spero di poter spiegare come queste trasformazioni cambiano la prospettiva di noi e di quello che è intorno a noi; collaboratori, amici e amori, tutto cambia in meglio se restiamo saldi in ciò che vogliamo veramente. Nel libro descrivo proprio come è cambiato tutto in me e con me.

Progetti per il futuro?

Sicuramente nei prossimi mesi c’è la costruzione di un nuovo album, ho ancora tanti contenuti da esprimere e rendere pubblici.

Appena sarà possibile spostarsi, però, partirò per l’America Latina con l’album Apri gli occhi, infatti sto ricantando i brani in lingua spagnola. Questo mi entusiasma molto, perché viaggiare è sempre stato un desiderio che finalmente potrò realizzare. Grazie alla vittoria ai Sanremo Music Awards sarà a Cuba nel mese di novembre, ma prima presenzierò al Festival della Moda di Venezia, a settembre.

Ph. Federico Folli

Tatuaggi : https://backl.ink/147277476

 

Spotify 
https://open.spotify.com/artist/1zKKlfDcOg0vhfBmbO6Rzx?si=8dS5s4HYSVGJr8yr5My1DQ

Apple Music 
https://music.apple.com/it/artist/andrea-annecchini/1471714186

Facebook 
https://www.facebook.com/AndreaAnnecchiniOfficial

Instagram 
https://www.instagram.com/annecchiniandreaofficial

Canali YouTube

GNERECORDS
https://www.youtube.com/user/gnerecords

Andrea Annecchini
https://www.youtube.com/channel/UCE-kScFQUruBWHLHjHEJXng




Il conformismo dei Little Liars nel nuovo singolo di Dilemma

Dopo il successo di I don’t wanna smile, Dilemma torna con un nuovo brano, Little Liars, fuori dal 9 luglio. Con un testo profondo, ancora una volta la giovane artista bresciana si fa portavoce del disagio della sua generazione che, oltre a vivere in un periodo storico incerto, si deve confrontare con le difficoltà tipiche dell’adolescenza.

Attraverso la sua musica, con sonorità indie rock e un sound che, nel finale, diventa una sorta di marcia, Dilemma denuncia la logica pericolosa del conformismo, portata al suo estremo, raffigurando appunto  la marcia dei Little Liars, soldatini obbedienti, che seguono le ombre di terze persone, leader che ne condizionano i comportamenti.

Come nasce Little Liars?

Little Liars nasce dall’idea di voler esprimere una sensazione personale, cercando di riportarla attraverso metafore e altre forme descrittive indirette. Il brano vuole “scoperchiare” la realtà dei fatti, ossia la tendenza a fingere di essere qualcun altro solo per appartenere ad un gruppo.

Pensi che la pandemia ed il lockdown abbiano acuito questi problemi per la tua generazione?

Sicuramente, il mio progetto nasce proprio dal lockdown, un periodo di riflessione e scoperta, quindi ogni pezzo racchiude un momento passato in quei mesi.

Come ogni adolescente, vivo questo tipo di situazioni ogni giorno e il mio modo di sfogarmi è scrivere e produrre quello che ho in mente. In particolare, i sei testi racchiudono: la mia passione per la musica, l’amicizia, la “tossicità” di alcuni rapporti, la società, la visione che ho di me stessa… cosa su cui ho lavorato molto durante il lockdown.

Quali artisti musicali ascolti più spesso?

Tra i primi cantanti che ho seguito c’è Noemi, ho iniziato ad ascoltare le sue canzoni alle elementari e mi sono innamorata delle sonorità e del genere dei suoi brani, della sua voce e dei testi.  Crescendo ho poi scoperto la musica estera, quella americana in particolare. La prima artista che mi ha colpito è stata Miley Cyrus. Ad oggi mi ispiro a quelli più indie rock, pop come ed esempio Mika, Billie Eilish, Melanie Martinez, Cavetown, Camila Cabello, Harry Styles… e tanti altri. Di italiano mi piace molto anche Achille Lauro.

Cosa ti aspetti dal futuro?

Spero un giorno di poter rendere questa passione il mio lavoro, vorrei vivere di musica al 100%, quindi il mio progetto al momento è continuare a fare quello che mi piace, continuare a fare musica.

Ph: Giulia Strazzabosco

Instagram: https://www.instagram.com/gaiaparzani/

Youtube: https://www.youtube.com/c/GNERECORDS/videos

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Stefano Colli racconta Aquiloni, il suo album di esordio

Stefano Colli non ha bisogno di presentazioni, è un artista poliedrico che si divide tra la carriera come cantante e quella da attore. Aquiloni è il suo album di esordio, dopo i singoli Crudele e Guarda la Notte. Prodotto e arrangiato da Giancarlo Di Maria, Aquiloni è composto da nove tracce che includono sette pezzi inediti, una cover del brano “La lettera che non scriverò mai“, portato al successo da Fiorella Mannoia, e un prologo introduttivo, recitato dal famoso attore italiano Ivano Marescotti.  Il progetto si arricchisce della preziosa collaborazione di Giò Di Tonno, nel brano Indispensabile, di Iskra Menarini in Mozambico e di Rebecca Pecoriello nel singolo di lancio Aquiloni,  di cui è anche autrice. Il booklet dell’album è interamente illustrato da Patrik Fongarolli Frizzera, noto per il suo progetto artistico Il lato fresco del cuscino.

Il brano Aquiloni è la chiave di lettura di tutta l’opera che si caratterizza per un sincretismo artistico che, del resto, rispecchia proprio la versatilità artistica di Stefano. Una ricerca che si concretizza in un’opera pluriartistica, che unisce letteratura, musica, teatro, arti visive. Aquiloni è un inno all’unicità dell’essere umano e alla continua ricerca del senso profondo della vita, in cui ogni uomo è protagonista spaesato. Gli aquiloni rappresentano quindi l’essere umano, sospinto da venti e correnti che sembrano guidarne il percorso; l’uomo è un aquilone che percorre il suo tragitto, il cammino della vita, evolvendo ad ogni incontro, evento, esperienza, bella o brutta che sia, ma restando libero e sempre più consapevole della propria identità ed unicità. Il testo vuol essere, pertanto, un appello e una rivendicazione di tale libertà e, al contempo, della necessità e del diritto di proteggere la bellezza che ancora rimane in noi e attorno a noi.

Abbiamo incontrato Stefano che, nella video intervista che segue, ci racconta come è nato questo suo ultimo progetto e quali sono i suoi impegni futuri.

ph. Riccardo Sarti

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Stefano Duranti Poccetti – Per una nuova Commedia dell’Arte. Nuovi intrighi e nuove maschere

La Commedia dell’Arte  è parte integrante della nostra cultura,  uno dei patrimoni teatrali più importanti, oggi apparentemente dimenticata o spesso incompresa nella sua natura ed essenza. Eppure, ad una più attenta analisi, essa sembra essere sempre viva e attuale. Viene da chiedersi, quindi, come si può riproporre la Commedia dell’Arte ai giorni nostri?

Ce lo racconta Stefano Duranti Poccetti, laureato in Discipline letterarie, artistiche e dello spettacolo alla facoltà di Lettere e Filosofia di Arezzo (Università degli Studi di Siena), giornalista e traduttore, con il suo bellissimo libro Per una nuova Commedia dell’Arte. Nuovi intrighi e nuove maschere (Edizioni Akkuaria), opera adottata recentemente in una importante università americana, la Middlebury Language Schools di Vermont.

Come nasce Per una nuova Commedia dell’Arte. Nuovi intrighi e nuove maschere?


La pubblicazione è del 2017. Ho sempre amato il teatro ed i miei primi tentativi letterari sono stati proprio teatrali. Poi, per un lungo periodo, ho scritto prevalentemente poesia e nel 2017 sono arrivato al testo citato. Non so proprio da dove tutto sia scaturito: pura ispirazione, voglia di scrivere commedie, di divertirsi scrivendo, perché il bello di scrivere commedie è proprio questo, che si riesce a volte a sorprendere se stessi e a strapparci un sorriso.

Quali potrebbero essere i nuovi intrighi e le nuove maschere di cui parli?
Partiamo dalle maschere. All’interno di questo libro ho posto anche un piccolo dizionario di personaggi da me inventati. Ci sono, solo per citarne alcuni: il Politico Corrotto, Il Mafioso Caduto in Fallimento, il Notaio Napoletano, l’Uomo Vicino al Suicidio. Non credo che abbiano bisogno di presentazioni e che già i nomi dati siano già abbastanza evocativi. Questi e altri danno vita a nuovi intrighi dal carattere a tratti comico, a tratti tragico, proprio perché c’è l’intenzione, attraverso la commedia, sì di far ridere, ma anche di far riflettere e piangere intimamente su temi e personaggi che dovrebbero rispecchiare problematiche sociali ed esistenziali.

Nel libro, oltre a presentare e auspicare una nuova teoria teatrale, proponi alcuni testi per la nuova Commedia dell’Arte, uno di questi è “Città comica, città tragica”. In cosa consiste?
“Città comica, città tragica” è la prima pièce della raccolta e se non ricordo male anche la prima che scrissi, proprio perché possedeva in sé tutti gli elementi della mia idea di Nuova Commedia dell’Arte. Innanzitutto, assistiamo al gioco tra comico e tragico e troviamo qui alcuni dei personaggi principali. Abbiamo il perfido Politico Corrotto che non riesce a conquistare la più bella del paese: Isabella appunto (gioco di parole), e così si avvale dell’ausilio del Mafioso Caduto in Fallimento, che però fallisce tutti i suoi stratagemmi. Isabella è innamorata del timido Misantropo e alla fine i due riusciranno a stare insieme, dopo tante peripezie. All’interno della commedia si assiste nel finale al ritorno della più famosa delle maschere della Commedia dell’Arte, vale a dire Arlecchino, che rimetterà ordine alla vicenda. Particolarità della mia ideazione sta anche nella scenografia, la quale rappresenta la città in cui sono ambientati i fatti e che non cambia mai durante la messinscena. I personaggi la abitano simultaneamente, senza entrate e uscite. In questo modo vivono di volta in volta le diverse zone della città, ma le altre intanto rimangono vive e i personaggi in quel momento non chiamati alla recitazione accompagnano il dramma con gesti e movimenti.

Nel “Manifesto per il Ritorno della Commedia dell’Arte”, contenuto nel libro, auspichi un teatro che non tenga conto della televisione e che non sia autoreferenziale. In che modo può avvenire questa emancipazione?
Non è propriamente una emancipazione, è un tornare indietro per migliorarsi. Una volta chi faceva teatro poi poteva fare televisione, oggi spesso è il contrario e questo fa sì che la qualità si venga a perdere (vi svelo un segreto lettori, non vado quasi più a teatro, perché non si possono proprio vedere gli attori che recitano col microfono, non essendo in grado d’impostare la voce. Negli ultimi anni ho preferito andare all’opera, lì dove la qualità è indispensabile – e non nego che per la mia Commedia dell’Arte un po’ di spunti dalla lirica li ho presi, in particolare per quanto concerne la creazione di atmosfere e stereotipi.)
Trovo inoltre che, sì, oggi quello che vediamo in scena sia autoreferenziale, scusami la parola, non so se qui possiamo dirla, ma spesso e volentieri si assiste a masturbazioni artistiche, se mi consenti. Questi due elementi, mancanza di qualità e autoreferenzialità, hanno allontanato un certo pubblico dal teatro e questo è un peccato.

La pandemia ha colpito molto duramente tutto il settore dello spettacolo e forse con particolare forza il mondo del teatro. Secondo te questa può essere un’occasione di rinascita? Come?
Semplicemente ricercando sulla qualità. Nei momenti difficili non c’è tempo per i compromessi e per le manfrine. Ora più che mai bisogna puntare sulla meritocrazia e sull’innovazione!

Perché la gente non andava più a teatro prima della pandemia?
Credo di averti risposto nella domanda precedente: per mancanza di qualità e anche a causa di un teatro troppo autoreferenziale. Cosa potrei aggiungere a questo? Forse potrei imputare qualcosa anche alla scuola. A volte vengono organizzati progetti in cui si portano i ragazzi a teatro, e questo è bello, il problema è quello che si porta a vedere, di norma un mattone di teatro sociale quasi ducumentaristico (oddio, quanto lo odio, vi prego, mettetelo al bando, ci bastano i documentari televisivi!). Portate i ragazzi a vedere una bella commedia di Molière, di Eduardo o di Goldoni e vedrete che si appassioneranno al teatro!

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