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La magia de La Traviata incanta l’Arena di Verona

Emozioni e magia incantano le migliaia di spettatori seduti sugli spalti dell’Arena di Verona che si zittiscono improvvisamente quando i violini aprono il Preludio de La Traviata di Giuseppe Verdi nell’allestimento di Franco Zeffirelli, l’ultima sontuosa creazione firmata dal Maestro toscano che ha inaugurato il Verona ’Opera Festival del 2019. Un affresco sulla Parigi dell’Ottocento con un trionfo di colori, luci e costumi che portano lo spettatore subito nel cuore dell’opera più rappresentata al mondo. Lo spettacolo, diretto dal Maestro Marco Armiliato, direttore musicale del Festival, adatta il percorso intimo e psicologico di Violetta, travolta dall’inaspettata storia d’amore tanto da spingersi al sacrificio di sé, alla grandiosità degli spazi areniani con una scena ambiziosa su più livelli resa possibile da una colossale scatola scenica.  Ancora poche repliche per uno spettacolo da non perdere: 22, 30 luglio (ore 21.00), 6, 20 agosto e 1 settembre (ore 20.45). Dopo occorrerà attendere l’estate del 2023 quando, per il Festival del centenario, sarà ripresa anche LA Traviata allestita da Zeffirelli insieme ad a altri sei titoli.

“Questa Traviata vuole essere un omaggio all’arte e alla tecnica di Zeffirelli, da parte di tutte le maestranze areniane, cui è richiesto un lavoro d’eccellenza. Come lui, inoltre, vogliamo credere nei giovani, e anche in questa produzione, accanto a stelle affermate, debuttano virgulti a cui auguriamo una carriera internazionale” racconta Cecilia Gasdia, Sovrintendente e Direttore Artistico di Fondazione Arena, ricordando come nel 1984 fu scelta proprio dal Maestro toscano come Violetta, ne La Traviata diretta da Carlos Kleiber, per poi aggiungere: “Da Sovrintendente, trentacinque anni dopo, è stato un onore per me poter affidare a Zeffirelli un nuovo allestimento e realizzare un sogno che coltivava dal 2008”. L’allestimento in scena de La Traviata “raccoglie l’idea originale di Zeffirelli, quel geniale flash forward che seguendo la musica di Verdi origina una storia d’amore fra le più belle di sempre, e la amplifica rendendola adatta all’unicità degli spazi areniani. Il tutto, grazie anche ai suoi collaboratori, nel segno della cura del particolare, anche nella scena più affollata, che contraddistingue l’opera sempre viva del Maestro. È stata lungamente, accuratamente preparata con lui e presentata al suo fianco nella primavera 2019. Ora la riproponiamo per la prima volta, rendendogli giustizia con un irripetibile cast di stelle” aggiunge Stefano Trespidi, vice Direttore Artistico.

Si inizia dalla fine, dal corteo funebre di Violetta, la Traviata il cui destino, evidenziato dalle note dolenti del Preludio, appare segnato fin da subito. L’irrompere dell’amore per Alfredo porta alla sorpresa, all’esplosione di gioia incontenibile, prima che venga chiesto e accettato il passo indietro per il bene dell’amato e quindi alla rinuncia e al riscatto. La storia è nota per un ruolo titanico che ha visto protagonista la giovane soprano armeno Nina Minasyan che ha dominato la scena commuovendo con grazia e delicatezza  il pubblico dell’Arena che, a sua volta, le ha tributato una standing ovation. Lunghi applausi nella rappresentazione del 15 luglio anche il tenore Francesco Meli, tornato in Arena come Alfredo Germont e per il baritono Amartuvshin Enkhbat (già Nabucco) nel ruolo di Giorgio Germont.

Impreziosiscono l’allestimento i costumi creati da Maurizio Millenotti, le luci di Paolo Mazzon e le coreografie di Giuseppe Picone interpretate dal Ballo dell’Arena coordinate da Gaetano Petrosino e con i primi ballerini Eleana Andreoudi e Alessandro Staiano. L’Orchestra della Fondazione Arena e il Coro preparato da Ulisse Trabacchin sono diretti dal Maestro Armiliato.​




I profumi che hanno fatto la storia: I RUGGENTI ANNI ‘20

di Claudia Marchini

Nelle scorse puntate abbiamo già parlato di due profumi iconici creati proprio in questo decennio: Chanel N°5 e Shalimar. Questa epoca, caratterizzata da un fenomeno di grande espansione industriale poi rifluito nei disastri della grande depressione del 1929 e del proibizionismo, ha creato mode e determinato tendenze, praticamente in ogni aspetto del costume e dell’arte del tempo. E la profumeria non fa ovviamente eccezione.

Dopo la fine della prima guerra mondiale la pace ritrovata inaugura una corsa sfrenata alla novità, al divertimento (a ritmo di Charleston) e allo sfarzo. I profumi anni ‘20 diventano beni di lusso. Abbiamo visto come la passione per l’Oriente portò alla creazione dei primi profumi cosiddetti “orientali”, con Shalimar grande precursore. 

Le donne, che sono diventate più emancipate, richiedono freschezza, dinamismo e novità. E qui entrano in campo le aldeidi, molecole sintetiche che danno la sensazione delle bollicine nello champagne. Chanel N°5 – come sapete – è considerato il capostipite della famiglia degli “aldeidati”, in cui troviamo anche Arpège di Jeanne Lanvin creato da André Fraysse nel 1927. 

Si racconta che Jeanne Lanvin volesse fare un bellissimo regalo all’amata figlia, Marguerite, per i suoi 30 anni: voleva regalarle il più bel profumo del mondo, e per questo mise a disposizione un budget illimitato per poter utilizzare le migliori materie prime. Il risultato fu un profumo meraviglioso (non per nulla è considerato tra i migliori profumi femminili di tutti i tempi, insieme a Chanel N°5 e Joy), una fragranza fiorita e fruttata a base di rosa bulgara, iris florentina, gelsomino e mughetto che lascia una scia di sandalo, tuberosa, vaniglia e vetiver.

In cambio, la stilista chiese alla figlia di dare un nome a quella nuova fragranza Lanvin. Essendo lei una cantante d’opera, optò per la parola “Arpège” (arpeggio), perché il profumo le sembrava proprio un arpeggio di aromi.

Il falcone in cristallo nero, disegnato dall’architetto Armand Albert Rateau e decorato da Paul Iribe, rappresentava le forme di una mela, sul quale era ritratto il logo di Lanvin, che rappresenta la stessa Jeanne Lanvin insieme alla figlia. Sia la bottiglia, che la sua confezione, in origine erano di una particolare tonalità di blu, il cosiddetto “blu Lanvin”, inventato dalla stilista e presente in molte delle sue creazioni.

Fra le star che lo hanno amato particolarmente possiamo citare Jayne Mansfield, Martha Stewart, la Principessa Diana, Grace Kelly e Rita Hayworth

Inizialmente nel 1993 e poi nel 2006 Arpège ha subito una riformulazione e ciò lo ha reso più moderno e di conseguenza amato anche dalle nuove generazioni, grazie al suo bouquet di oltre sessanta fiori.

(la confezione attuale)

La storia della Maison Lanvin – che è la casa di moda più longeva al mondo – e della sua fondatrice Jeanne è affascinante ed emblematica….ma ci vorrebbe un intero articolo per parlarne e non abbiamo tempo, perché vi dobbiamo ancora presentare un altro Giovann*: Jean Patou ! Ma chi era Jean Patou? All’epoca, il fondatore dell’omonima casa di moda era considerato l’uomo più elegante d’Europa, un vero Dandy degli anni ruggenti.

Dicevamo più sopra che l’euforia che caratterizza ogni aspetto di questo periodo storico si spegne con la crisi economica del 1929. Il crollo delle borse aveva dato un durissimo colpo alle finanze dei numerosi e facoltosi clienti americani di Jean Patou. Per superare la crisi il couturier sognava una fragranza lussuosa come antidoto alla sfortuna. Patou chiese quindi al naso Henri Alméras di creargli un profumo. Alméras gli propose una fragranza composta dalle più preziose essenze di rose e gelsomino, spiegando però allo stilista che in questo modo la fragranza sarebbe stata molto costosa. 

Patou aveva trovato il suo profumo, quello a immagine della haute couture; tanto che decise addirittura di raddoppiare la concentrazione della fragranza. Era nato il profumo più costoso al mondo (lo stesso stilista scherzò al riguardo prevedendo per l’appunto che sarebbe stato il profumo più costoso mai esistito). Per realizzarne solo 30 ml sono infatti necessari ben 10.000 fiori di gelsomino e 28 dozzine di rose!

Il jus contiene anche note di ylang ylang e tuberosa, su un fondo di zibetto e muschio. Il risultato è un profumo intenso, ipnotico, inebriante e persistente. Impossibile da ignorare.

Originariamente il flacone di Joy fu creato dall’architetto ed artigiano francese Louis Süe, che realizzò una bottiglia dalla forma volutamente semplice e classicheggiante. Successivamente ne fu ripresentato un flacone di cristallo realizzato da Cristalleries de Baccarat (a sua volta riprogettato da Verrières Brosse).

Nonostante il prezzo elevatissimo, Joy ebbe subito una enorme fortuna, proprio per il messaggio di positività che voleva dare, per il suo voler essere un antidoto alla povertà e alle difficoltà di quel particolare periodo.

Tra le star che lo hanno amato ci sono Josephine Baker e Jacqueline Kennedy. Come resistere d’altronde alla scia travolgente del suo effluvio ? In fondo, aspiriamo un po’ tutt* ad essere indimenticabili …




I profumi che hanno fatto la storia: L’ACQUA DI COLONIA

di Claudia Marchini

Ancora oggi sono in molti ad abbinare il nome del profumo più celebre – e anche il più antico – al mondo alla omonima città tedesca, e non potrebbe essere altrimenti. Pochi però sanno che l’Acqua di Colonia racconta una storia in realtà decisamente italiana.

L’origine dell’Acqua di Colonia è legata infatti al nome di tre italiani, tutti originari della Val Vigezzo, in Piemonte, vicino a Domodossola. Il primo si chiamava Giovanni Maria Farina, nato a Santa Maria Maggiore nel 1685, il quale, stabilitosi a Colonia, vi fondò col cognato un negozio di merci varie, fra cui prese un posto notevole e poi esclusivo la cosiddetta Aqua Admirabilis.

Se il Farina stesso abbia inventato la ricetta o se l’abbia ricevuta da altri, non è ben certo. Secondo una leggenda, gliel’avrebbe data un ufficiale inglese reduce dalle Indie. Ma documenti antichi conservati a S. Maria Maggiore additano come probabile inventore di essa Gian Paolo Feminis, merciaio ambulante. Sembra infatti che il Feminis avesse messo a punto la ricetta di un infuso a base di limone, bergamotto, cedro, fior d’arancio, lavanda e rosmarino, macerato in acquavite, che veniva venduto come antidoto a diversi mali (gli furono riconosciute proprietà digestive, epatiche, antisettiche ed analgesiche), che lui stesso chiamò Aqua Admirabilis.

Il Farina perfezionò a sua volta la formula dell’Aqua Admirabilis eliminando i cattivi odori dovuti dall’impiego di acquavite. Ne modificò la formula, ingentilendola, e inizio a distribuirla ribattezzandola con il nome di Eau de Cologne, in onore della città in cui viveva. Il suo profumo fresco contrastava con le fragranze muschiate che si usavano all’epoca. 

“Il mio profumo è come un mattino italiano di primavera dopo la pioggia: ricorda le arance, i limoni, i pompelmi, i bergamotti, i cedri, i fiori e le erbe aromatiche della mia terra. Mi rinfresca e stimola sensi e fantasia”. (Giovanni Maria Farina, 1708)

La sua enorme fortuna fu la terribile guerra dei sette anni (1756-1763) che vide coinvolte Prussia e Inghilterra contro la coalizione formata da Austria, Francia e Russia. Al termine del conflitto, infatti, tutti i soldati francesi impegnati sul suolo prussiano, facendo ritorno in patria, passarono per Colonia e non mancarono di acquistare la ormai famosissima Eau de Cologne.

Morendo celibe nel 1766, Giovanni Maria Farina lasciò erede l’omonimo nipote e figlioccio, da cui discendono i Farina gegenüber dem Jülichs-Platz, che hanno ereditato il segreto di fabbricazione e difendono accanitamente il loro diritto contro gli innumerevoli contraffattori. (Pensate che nel 1794 vi erano a Colonia 15 ditte che fabbricavano acqua di Colonia, di cui 4 col nome di Farina; nel 1865 le ditte Farina erano ben 39!). 

Come tutti i prodotti di successo infatti, anche l’Acqua di Colonia venne presto riprodotta e imitata: questo fenomeno generò numerose dispute, sia per quel che riguarda la formula, sia tra i vari discendenti (veri e supposti) della famiglia Farina, in Germania e all’estero. E se la formula del profumo poteva essere copiata dalle pagine di numerosi manuali di profumeria – che cominciavano a diffondersi in quegli anni in Europa – le battaglie legali sui diritti e sui profitti non accennavano a placarsi.

Il concorrente principale del prodotto originale nacque in Germania nel 1804, quando Wilhelm Mulhens acquistò la licenza del prodotto «Acqua di Colonia e Farina» da uno degli innumerevoli pseudo-parenti di Giovanni Maria.

Nel 1806 un altro componente della famiglia Farina, tale Gian Maria Giuseppe, si trasferì a Parigi, dove cominciò a produrre e vendere la famosa fragranza. Nel 1840 cedette l’azienda a Monsieur Leon Collas che a sua volta, nel 1862, la rivendette ad Armand Roger e Charles Gallet, per una cifra all’epoca considerata astronomica…Questi nomi vi dicono qualcosa? Ebbene sì, stiamo proprio parlando dei fondatori del marchio Roger&Gallet, che acquisirono la licenza per produrre e vendere l’Acqua di Colonia Farina, rinominata poi Eau de Cologne Extra Vieille.

Nel 1880 R&G citarono in giudizio la famiglia Mulhens per l’uso improprio dei nomi «Farina» e «Colonia», per cui nel 1881 i Muhlens cambiarono il nome del loro prodotto in Kölnisch Wasser 4711, dal numero civico della loro abitazione a Colonia, dove avveniva anche la produzione.

Ancora oggi, l’acqua di Colonia originale Jean Marie Farina si contraddistingue per una spiccata presenza di bergamotto nella formula, rispetto alle concorrenti Kölnisch Wasser 4711 e Roger&Gallet, dove invece prevale l’aspetto floreale fresco dato dal neroli, un’essenza ricavata dal fior d’arancio.

Tra gli estimatori e i grandi consumatori d’Acqua di Colonia si annoverano – sin dall’epoca della sua prima commercializzazione – moltissimi personaggi famosi. Il più importante? Di certo Napoleone Bonaparte. Si dice che il generale fosse letteralmente ossessionato da questo profumo, tanto da utilizzarne almeno quattro litri alla settimana, sia per profumarsi sia come medicina, ingerita imbevendone le zollette di zucchero. Si pensa che l’Eau de Cologne ricordasse all’allora imperatore francese la sua terra natale, la Corsica, per uno degli ingredienti della formula, il rosmarino. Anche Richard Wagner apprezzò molto la fragranza: grazie al ritrovamento delle sue lettere d’acquisto, sappiamo che prevedeva di consumarne almeno un litro alla settimana. Insieme a lui, tra gli altri, c’erano anche Goethe, Voltaire, Luigi XVI e la regina Vittoria d’Inghilterra.

Se volete seguire le orme del grande Napoleone (anche se fare il bagno con il sapone e non con l’acqua di Colonia risulta decisamente più economico!!!) e scoprire tutti gli aneddoti legati alla storia di questa fragranza, vi consigliamo una visita a Santa Maria Maggiore, dove nel 2016 ha aperto i battenti la Casa del Profumo Feminis-Farina, con un bellissimo percorso multisensoriale e multimediale dedicato a questo famosissimo profumo.




I profumi che hanno fatto la storia: LA MAISON GUERLAIN

di Claudia Marchini

Da quasi due secoli, cinque generazioni di profumieri Guerlain hanno tenuto le redini creative della Maison. Oggi, il Maître Parfumeur Thierry Wasser è erede di un patrimonio olfattivo di oltre 1100 fragranze. Guerlain è uno dei pochissimi marchi che è esistito per anni producendo e commercializzando esclusivamente profumi, a cui soltanto in anni più recenti sono state aggiunte alcune linee di cosmetici.

Era il 1828 quando Pierre-François-Pascal Guerlain, profumiere e chimico, il fondatore della Maison, inaugurava la sua prima boutique nel cuore di Parigi, al numero 42 di rue de Rivoli. L’indirizzo diventa immediatamente una meta imprescindibile per i dandy e le donne eleganti della città e non solo. La fama e il successo della Maison Guerlain raggiungono presto tutte le corti d’Europa. 

Potremmo parlare per ore ricordando tutte le meravigliose creazioni della Maison: da Jicky, che risale al 1889 e che – inizialmente creata per il pubblico maschile – ebbe la sua maggior fortuna quando venne commercializzata per il pubblico femminile, a Après l’ondée, leggendaria fragranza del 1906 che simula l’odore dell’aria dopo la pioggia; da Vetiver a Samsara; da Champs-Elysées alla fresca serie delle Aqua Allegoria.

Sono 3 però secondo noi le fragranze che un appassionato non può non conoscere, perché sono emblematiche del periodo storico in cui furono create oppure perché rappresentarono un punto di rottura col passato.

La prima è L’Heure Bleu, creata da Jacques Guerlain nel 1912 per celebrare il suo momento preferito della giornata. L’ora blu è quel momento fra il giorno e la notte, all’imbrunire: il sole è già tramontato, ma la notte non è ancora arrivata. È l’ora in cui il tempo si ferma… L’ora in cui ci troviamo in armonia con il mondo e con la luce. La fragranza fu creata in omaggio alla moglie Lily e divenne, durante la guerra, simbolo di femminilità. Fazzoletti imbevuti di profumo furono distribuiti ai soldati in trincea per sollevare il loro morale.

Il design del flacone in stile Art Nouveau è stato creato da Georges Chevalier e realizzato dalle cristallerie Baccarat.

La violetta è in grande spolvero, insieme ai semi di anice, eliotropio, neroli e tuberosa in questo capolavoro crepuscolare, cipriato, con una leggerezza tutta parigina e – qualcuno dice – con una vena di tristezza e melanconia. E’ un profumo da budoir, che sembra dare l’addio – forse con un po’ di rimpianto – a quella Belle Epoque che stava per terminare.

E’ del 1919 il secondo capolavoro di Jacque Guerlan: Mitzouko. E’ proprio in quell’anno infatti che l’Europa si appassiona al Giappone e alla sua storia e cultura, e la parola Mitsouko è il nome dell’eroina del racconto di Claude Farrère, La bataille. La storia, ambientata in Giappone durante la guerra russo-giapponese, racconta l’amore impossibile fra un ufficiale inglese e Mitsouko, la moglie dell’ammiraglio Togo. Nonostante l’ispirazione sia il tema dell’adulterio, questo profumo non ha nulla di provocante: la sua composizione non contiene accordi romantici e tradizionalmente femminili, ma è piuttosto cupo e intenso, totalmente unisex, ancorché soffice come un cuscino di velluto verde scuro.

Mitsouko, che significa ‘mistero’ in lingua giapponese, è dunque il simbolo di una nuova femminilità, appassionata e misteriosa.

Una nuova fragranza, originale ed equilibrata, misteriosa e vellutata, che apre la strada alle composizioni fruttate-chypre, utilizzando per prima la nota di pesca. Quest’ultima è abbinata a fiori di gelsomino e rosa di maggio, mentre il fondo combina spezie ad un terroso patchouli, al vetiver e al legno di aloe. L’idea, eccezionale e audace, di Jacques Guerlain fu di unire un chypre (Chypre è una famiglia di profumi composti da note di testa agrumate, un cuore fiorito ed un fondo animale/muschiato) con la nota decisamente marcata della pesca, conferendo a questo profumo il suo caratteristico tocco moderno.

Anche questa fragranza non ha mai smesso di essere prodotta e venduta, diventando quindi una delle più antiche che ci siano in commercio.

Infine, ultimo di questo tris di stelle della profumeria (ma solo perché più recente, essendo stao creato nel 1925) è il celeberrimo Shalimar. Questo profumo è diventato da tempo ormai il punto di riferimento della famiglia olfattiva degli Orientali, gruppo di profumi marcatamente caldi ed opulenti a causa dei molti ingredienti inebrianti (muschio, vaniglia, spezie, fiori, frutti, resine e legni), che si innestano su un fondo di ambra.

Si racconta che Jacques Guerlain abbia creato il profumo Shalimar in omaggio alla leggendaria storia d’amore ambientata nel XVII secolo tra Mumtaz Mahal e l’imperatore Shah Jahan nei giardini di Shalimar ad Agra in India. Quando la donna morì, l’imperatore devastato dal dolore, decise di costruirle una tomba nel punto in cui, 14 anni dopo, sorse il Taj Mahal.

Questo jus femminile, sensuale, voluttuoso e ipnotico – Shalimar significa letteralmente “tempio dell’amore” – fu presentato al pubblico nel 1925 all’Esposizione delle Arti Decorative a Parigi, al Grand Palais. In seguito al successo ottenuto a bordo del transatlantico Normandie, in occasione di una traversata verso New York di Raymond Guerlain (cugino di Jacques) e di sua moglie, Shalimar venne lanciato in anteprima negli Stati Uniti.

Ed è proprio Raymond che disegna la bottiglia di Shalimar, ispirandosi alle vasche di quei giardini, con l’inconfondibile tappo a forma di ventaglio e la “trasparenza di zaffiro che ricorda le loro acque eternamente zampillanti”.

Il profumo – sfacciatamente sensuale – si apre con note di mandarino, cedro, bergamotto (questo ingrediente occupa il 30% della fragranza) e limone, matura in accordi di iris, patchouli, gelsomino, vetiver e rosa e si chiude in un fondo di cuoio, sandalo, opoponax, muschio animale, zibetto, vaniglia, incenso e fava tonka. Questo contrasto tra il preludio pungente di penetranti note agrumate, il cuore fiorito e il fondo caldo e sensuale è ciò che fa di questo profumo una delizia imperitura.

Nonostante le sue note dolci, questa fragranza non ha nulla di stucchevole e sdolcinato, come ben sottolineò Ernest Beaux, creatore del mitico Chanel N°5 (vedi la prima puntata della serie dedicata ai profumi che hanno fatto la storia): “Con questo pacchetto di vaniglia, sarei stato in grado di creare soltanto una crema pasticcera, mentre lui, Jacques Guerlain, creò Shalimar”. Fu un jus talmente vincente che oltre a essere ancora attuale è stato di ispirazione nella creazione di capolavori olfattivi quali, per citarne alcuni, L’Instant de Guerlain, Obsession di Calvin Klein e Opium di Yves Saint-Laurent.

 

 




UN PROFUMO, UNA LEGGENDA: CHANEL N° 5

I profumi che hanno fatto la storia.

di Claudia Marchini

“Non c’è nulla che invecchi tanto quanto il voler sembrare giovani. Si può essere irresistibili a qualunque età”. Così sentenziava Coco Chanel, e certamente una delle sue più fortunate creazioni – il mitico Numéro Cinq (accento sulla “e”, s’il vous plaît, e arrotiamo bene quella “r”) – i suoi 101 anni non li dimostra affatto. Ciò è corroborato anche dal fatto che rimane uno dei profumi più venduti al mondo (forse proprio il più venduto); si dice che venga venduta una boccetta di N° 5 ogni 30 secondi.

Perciò, questa serie di articoli che parla dei profumi che hanno fatto la storia e che ogni appassionato dovrebbe conoscere non può non aprirsi proprio con questa mitica fragranza, prototipo dei profumi cosiddetti “aldeidati” e composto nel 1921 da Ernest Beaux, profumiere della società Rallet.

Fino ad allora i profumi erano principalmente “soliflore”, cioè basati sull’essenza di un solo fiore (di solito rosa o mughetto), molto romantici e leggeri e dalla durata limitata, perciò dovevano essere dosati in gran quantità per poter durare a lungo. Quando Coco cominciò  a pensare di lanciare una sua fragranza, il suo stile anticonvenzionale la portò a chiedere a Beaux una fragranza costosa, lussuosa, elaborata, provocante, senza mezze misure. Basti pensare che il bouquet di muschio e gelsomino (cuore del jus composto da Beaux) all’epoca era associato a cortigiane e prostitute!

Non solo: proprio in quegli anni si erano affacciate nel mondo della profumeria le famose aldeidi. Ma cosa sono? Le aldeidi sono sostanze presenti in natura, che ai primi del Novecento cominciano ad essere sintetizzate in laboratorio per dare luminosità ed effervescenza da champagne alle formule dei profumi. Beaux pensò di inserire una di queste aldeidi (dal sentore di arancia) nella formula del nuovo profumo per Coco Chanel, e iniziò a sperimentarle con parsimonia. Ma la grande stilista, in pieno suo stile, gli ordinò di abbondare: fiumi di champagne perbacco, non lesiniamo!!!

Il risultato fu un profumo totalmente nuovo, che non assomigliava a nessun’altra fragranza passata né dell’epoca. Un’overdose talmente audace non poteva passare inosservata, e la grande stilista ne comprese infatti subito le grandi potenzialità commerciali e non esitò a scegliere proprio quel quinto prototipo che il profumiere le aveva sottoposto – da qui pare il nome che fu scelto, N°5 (e anche il fatto che fu lanciato nel mese di maggio).

 (la prima immagine nota di Chanel N° 5)

L’iconica boccetta di Chanel N°5, che dal 1954 fa parte delle collezioni permanenti del MOMA di New York, non è altro che una semplice confezione da laboratorio, alla quale vennero smussati gli angoli, e cambiato il tappo. Questo, infatti, venne sostituto con un tappo tagliato come un diamante, che riproduce la forma della celebre Place Vandôme a Parigi, famosa per le sue gioiellerie e tanto cara a Coco Chanel.

Il flacone di Chanel No. 5, nel corso degli anni, è diventato un oggetto talmente identificabile che Andy Warhol decise di commemorare il suo stato di icona a metà degli anni ottanta con l’opera pop art intitolata “Ads: Chanel”, una serie di serigrafie ispirate a pubblicità del profumo apparse fra il 1954 e il 1956.

Il resto è storia. Non solo N° 5 è il profumo più venduto della storia, ha anche ispirato un filone e una sottofamiglia olfattiva (quella dei fioriti aldeidati per l’appunto) e dato il via ad una serie innumerevole di imitazioni.

Arrivati all’epoca della guerra, il profumo aveva ottenuto un successo tale fra le classi abbienti e come status symbol per quelle medie, che i soldati americani a Parigi facevano file di ore per portarsi a casa un flacone che ricordasse loro l’idea dell’eleganza e del lusso europei.

Dopo la guerra, la più grande testimonial della fragranza è stata Marilyn Monroe. Durante un’intervista nel 1952, l’attrice dichiarò: “Cosa indosso a letto? Che domande… Chanel N. 5, ovviamente”. Questa affermazione di Marylin ebbe il potere di consacrarne il fascino, aggiungendo quell’aurea di glamour hollywoodiano che ne fece un successo globale.

Un successo tale che qualche anno dopo, nel 1955 Marilyn accettò di lasciarsi fotografare da Ed Feingersh, poco prima della première del film La Gatta sul tetto che Scotta di Tennesee Williams, proprio mentre “indossava” guardandosi allo specchio alcune gocce del prezioso Chanel N.5.

E così, di decade in decade, questo rivoluzionario profumo è diventato un grande classico, mai dimenticato ma anzi sempre più amato: i testimonial e le pubblicità si sono adattati al gusto di ogni epoca ma la fragranza è sempre lì, scolpita nell’Olimpo della profumeria mondiale.

Catherine Deneuve, Carole Bouquet, Nicole Kidman o attualmente Marion Cotillard sono tra le ambasciatrici che, con il loro spirito e la loro modernità, elevano N° 5 nell’eterno pantheon femminile per i posteri.

E infatti, in occasione della bellissima campagna lanciata l’anno scorso per i 100 anni della fragranza, Thomas du Pré de Saint Maur, Head of Global Creative Resources Fragrance and Beauty della Maison quota la mitica Coco: “La giovinezza è prima di tutto uno stato d’animo: è il desiderio di osare, di conservare la libertà di essere sé stessi al di là delle convenzioni, di non prendersi sul serio, di essere leggeri senza essere frivoli. Di avere l’audacia di preferire la giovinezza dell’immaginazione, alla vecchiaia dell’abitudine”.

Insomma: non si è mai troppo vecchi per una bella coppa di champagne!!!! SALUTE!!

(la classica boccetta)




Sfide di stile: intervista alla look designer Deborah Facchino

di Cristina T. Chiochia – Estrarre la bellezza. E’ possibile? Incontriamo la titolare di Dath’s Amore che da sempre si prefigge di rendere le persone più belle, rispettando le tendenze del proprio look. In particolare sottolineando quell’idea del “mood dello sguardo” che rende un pò misteriosi ed un pò magnetici e che da qualche anno, non è solamente trucco , ma anche “look smoky “per gli occhi, ma un’attitudine di conquista che si sta sviluppando anche per esempio sul colore dei capelli, qualsiasi esso sia. Ed è proprio rispetto a questa nuova tendenza per l’estate 2022 che la sentiamo durante la Milano Beauty Week.
Chiedendole cosa ne pensa del “mood smoky” e come mai anche i capelli castani e bruni, si stanno avvicinando a questo modo di decolorare i capelli.
Ciao Deborah, raccontaci di te e di come “estrai la bellezza” dalle persone che si affidano a te?
 Sono nata a Milano il 5 aprile 1977, mia madre ha avuto le doglie mentre era dal parrucchiere … sarà forse un segno? Probabilmente attraverso il suo ombelico invece di galleggiare oziando, già guardavo il mondo, i volti della gente e immaginavo come estrarne la bellezza.Molti di noi passano troppo poco tempo a guardarsi allo specchio, forse là beauty routine e il make-up, hanno molto più a che fare con la sola seduzione e la bellezza. Sono convinta che a volte non ci si ami abbastanza!
Da qui parte il mio percorso, la mia prima parola è stata sicuramente mascara, amavo Bambi i suoi occhioni languidi e quelle ciglia che ti fanno ad ogni battito sognare!
Tutto era molto chiaro a 4 anni, già avevo per le mani cosmetici make up station e il merlo ( mio papà) come modello, essendo il primo ad aver bisogno di una ristrutturazione dato che aveva un riporto da urlo! Non mi sono più fermata
I miei studi si sono concentrati sulla bellezza a 360 gradi, pelle, capelli, mani, trucco, gesti semplici senza impazzire, esaltare i nostri pregi e non nascondere i difetti, che il più delle volte sono proprio quelli che fanno la differenza e che ci contraddistinguono.
Ma il fascino si può insegnare?
Certo! Il fascino non si può insegnare, dicono sia innato, ma il look ci da la possibilità di acquisire sicurezza e di essere ogni giorno un personaggio diverso. Parola d’ordine: no agli eccessi, a meno che non ce ne sia l’occasione o il desiderio, luce, eleganza ed a proprio agio sempre.
E cosa ne pensi del creare tendenza e nuovi mood nel campo della bellezza?
Sono passata da centri estetici, spa ,parrucchieri sfilate di moda, spose, consulenze, corsi di trucco, ma resto sempre lì a guardare dall‘amorevole ombelico di mia madre tutte le donne, gli uomini, gli X del mondo ed a desiderare solo una cosa: venite da me vi aiuterò a risplendere , basta levare la polvere dell’insicurezza e il vostro sorriso sarà la più bella ricompensa.
A volte non ci si immagina nemmeno come si potrebbe essere con piccoli stratagemmi che, data la soddisfazione regalata, daranno la costanza che è l’unica cosa che paga sempre ed è infallibile.
Hai uno slogan?
Sì è “glitteriamo il mondo”! Perche’ abbiamo tutti bisogno che ogni superficie riflettente ti urli a gran voce “ehi innamorati di te”.
E della tenenza “smoky 2022” anche per i capelli femminili? Cosa ne pensi per questa estate 2022 ? 
La tendenza sono i capelli lunghi che rende molto affascinanti e molto femminili da sempre. Toni caldi che rendono “fumoso” anche il look dei capelli, non solo quello degli occhi. E sta praticamente sta bene a tutte. Anche ai tagli medio lunghi.
La tendenza è curare i capelli. Non solo cambiargli colore.
Ci sono dei piccoli trucchi?
Certo! Per esempio andare a letto ed usare una federa di seta oppure tamponarli sempre quando si asciugano. Anche poi scegliere uno shampoo adatto, non seguire la marca in voga ma quello più adatto. E come piccolo trucco di bellezza, sicuramente applicare un  henne’ neutro sulla chioma che la rende più folta e lucente. Iniza l’estate. E sotto il sole bisogna nutrili! Si a olio di cocco sui capelli bagnati e mai  asciutti perchè cosi porta via l’acqua contenuta nella fibra dei capelli.
Capelli sani e “Smoky” per tutti quindi? 
Certo! Perchè no! Stanno bene molto bene e con tagli appropriati rendono il viso fresco e anche il colore dei capelli aiuta a miglioare le proporzioni del viso. Sia che sia un look selvaggio pratico e libero sia che sia un colore scuro o chiaro, tutto viene sorpassato dai contrasti dello “smoky” che come un vero e proprio “make up” dei capelli illumina e perchè no, assottiglia.
Salutiamo Debora con un sorriso. Ebbene si, estrarre bellezza insomma, pare possibile. Buona estate “smoky” a tutti.



Meo Fusciuni: i profumi che parlano al cuore

di Claudia Marchini – “Quando annuso il profumo che sto creando e piango, allora capisco che è pronto”.

Così risponde alla mia domanda sui tempi di creazione di una fragranza artistica Meo Fusciuni (all’anagrafe Giuseppe Imprezzabile, ma ormai nemmeno sua madre lo chiama più Giuseppe), uno dei più originali e potenti creatori di profumi in Italia.

E pensare che prima del 2010 mai avrebbe pensato che questo sarebbe diventato il suo prossimo lavoro…dopo gli studi di chimica industriale, Meo ha iniziato infatti a lavorare nel campo dell’aromaterapia e della fitoterapia, ambiti che gli procuravano anche molte soddisfazioni. Perciò, quando una sua amica – quasi per scherzo, ma non troppo – gli ha buttato lì la fatidica domanda: “Ma perché non crei profumi”?, ne è rimasto molto stupito. Anche perché non aveva una particolare passione per i profumi, né tantomeno conosceva il mondo della profumeria di nicchia. Fino a quel viaggio ad Istanbul. 

Lì, tra il turbinio di voci del gran bazar e la cacofonia di spezie, tra il profumo delle stoffe preziose e i fumi dell’incenso, l’erborista ha lasciato il posto al profumiere. Tutti noi viviamo ad un certo punto della nostra vita un rito di passaggio, e per Meo quel viaggio nella capitale dei tre imperi rappresenta il momento in cui ha lasciato la via della “pianta medica” per intraprendere un nuovo cammino. La sua prima creazione si chiama infatti 1# nota di viaggio (Rites de passage) ed è dedicata a questo viaggio e questa città.

Il progetto Meo Fusciuni nasce proprio con lo scopo di raccontare viaggi, pensieri, emozioni, sensazioni, attraverso una complessa ricerca olfattiva e la creazione di profumi unici, 100% Made in Italy, e utilizzando materie prime di altissima qualità.

La collezione è composta al momento da 12 fragranze (la tredicesima è in dirittura d’arrivo), divise in Trilogie e Cicli. Le Trilogie parlano di viaggi “veri”, luoghi fisici, mentre i Cicli rappresentano viaggi mentali. 

La prima trilogia (Rites de passage, Shukran, Ciavuru d’amuri) parla di 3 paesi che hanno significato molto per Meo: di Istanbul abbiamo già parlato; la seconda nota di viaggio è invece dedicata al Marocco e alla bevanda che meglio rappresenta lo spirito gioioso ed energico del paese, il tè alla menta; e infine la terza nota di viaggio – uno stupendo fico – ci porta nella sicilia della sua infanzia.

Il Primo Ciclo (della Poesia), racconta la ricerca interiore del profumiere: Notturno, con le sue note di Rum e Inchiostro, ci trasporta in stanze vere ed immaginarie, dentro ad un tunnel di bellezza e poesia; mentre Luce grida il desiderio di trovare un equilibrio tra natura e uomo, illuminando la via con note di Betulla, Abete, Cedro e Tabacco.

La Trilogia della Mistica (Narcotico, Odor 93 e L’oblio) è ispirata a 3 luoghi veri (Palermo, la Danimarca, la Cambogia) che hanno una forte componente mistica per Meo, che ha voluto con essi raccontarci dei vecchi cassetti polverosi della casa di famiglia a Palermo; oppure di un fiabesco bosco del nord Europa da cui si esce chiedendosi se fosse tutto vero oppure un sogno; e ancora del potere della dimenticanza e della nostra ricerca della salvezza che essa ci può portare.

Il Secondo Ciclo (della Metamorfosi), è dedicato alla solitudine, attraverso due differenti riflessioni sulla libertà dell’anima. Con Little Song Meo riesce a raccontare perfettamente il profumo del tempo che passa: una tazzina di caffè lasciata sul tavolo da lavoro, una sigaretta ormai consumata, e un mazzo di rose tenuto in mano…Un profumo stupendo e melanconico, commovente fino alle lacrime. Spirito è invece dedicato ad Emily Dickinson: immaginiamo le pianure del Massachusetts dove la poetessa amava camminare, in un tripudio di Camomilla, Angelica, Semi di Carota, Cipresso, Lavanda. Lì, dove uomo e natura, spirito e poesia si fondono.

Ed eccoci infine all’ultima Trilogia di Viaggio, la Trilogia senza Tempo, dedicata all’attuale “ossessione” di Meo Fusciuni: l’Asia. Si parte dal colpo al cuore e allo stomaco di Varanasi, città simbolo dell’India, ricca di contrasti e significati, magia e mistica. Oud, Cuoio, Zafferano, Cardamomo, Rose e Gelsomini ci trasportano in un vortice di emozioni; un profumo magnetico, animalico, per palati forti dall’animo gentile.

Il secondo profumo della trilogia, Encore du temps, è dedicato al Laos e all’amore (la sua Federica – si illumina tutto quando ne parla, Meo); è un fiore che cade in una tazza di tè verde, la dolcezza del tempo che scorre lento e la voglia che quel tempo si dilati per sempre, per poter stare ancora e sempre di più con la persona amata.

In attesa della terza fragranza, che sarà ispirata dal Giappone, vi invitiamo a scrivere a info@meofusciuni.com per conoscere il punto vendita più vicino a voi. Noi siamo andati alla Profumeria La Nicchia di Legnano!

“Il profumo è un’anima che disegna la nostra ombra”

Meo Fusciuni




Balla come idea del femminile a Bottegantica

di Cristina T. Chiochia Dal 6 novembre 2021 al 30 aprile 2022, presso la sede di Milano di Banca d’Italia è stata esposta la propria collezione di opere di Giacomo Balla per una mostra piccola ma suggestiva dal titolo “Esistere per dare”. Un omaggio alle opere di Balla presenti nella collezione che hanno creato a Milano una sorta di percorso anche presso la Galleria Bottegantica  (con la stessa curatrice della mostra ) e presentata dall’ 1 al 30 aprile con il titolo BALLA AL FEMMINILE | TRA INTIMISMO E RICERCA DEL VERO con cui la galleria , recita il comunicato stampa : “intende rendere omaggio a Giacomo Balla, uno dei più importanti e originali esponenti dell’arte italiana del XX secolo. Una “preview” speciale con una selezione di opere inaugurerà la mostra alla fiera MIART di Milano, dal 31 marzo al 3 aprile, dove la Galleria sarà presente nella sezione Decades allo stand A100. L’esposizione si sposterà dal 6 al 30 aprile negli spazi espositivi di Galleria Bottega Antica in via Manzoni 45.Dopo quattro anni dalla rassegna Giacomo Balla. Ricostruzione futurista dell’universo (2018), incentrata sull’esperienza futurista del pittore, Bottegantica dedica una mostra alle declinazioni della femminilità interpretate dall’artista in due periodi apparentemente lontani della sua produzione, quello divisionista di inizio Novecento e quella figurativo-realista degli anni Trenta e Quaranta”.

Una mostra curata nei minimi dettagli a cui a fatto da padrona la grande storica Elena Gigli che ha soddisfatto nella preview riservata alla stampa aneddoti e curiosità sul lavoro di questo grande artista. Opere incredibili. Dai colori lucidi e vivi che custodiscono quel senso di “stare accanto” in famiglia a cui Balla era tanto affezionato. Balla maturo e molto attento agli accostamenti con grande capacità di sviluppare temi come la quiete o la famiglia oltre alla figura femminile. Veri e propri primi piani d’artista. Dove ritrarre significa generare, in quella sorta di “generatività” che gli fu tanto cara nei ritratti dei primi del 900.  Visibili quindi Quiete operosa (1898) e La famiglia Stiavelli (1905) ma anche grandi ritratti delle figlie, anche loro pittrici. ED è proprio quella casa dove nell’estate del 1929 Balla si trasferisce, che diventa il tutto.  La misura di tutte le cose, insomma. Tanto che per tutto il 2022 a casa in via Oslavia 39/b sarà visibile al pubblico e visitabile grazie alla collaborazione del MAXXI e la Soprintendenza speciale di Roma oltre che al supporto della banca Finnat. Spazio. Percezione della realtà e luce ridente. Balla che forse, da lassù, sorride soddisfatto.




L’arte coltivata di Giorgio Riva

di Cristina T. Chiochia Un invito alla lettura quello de “L’antro di Efesto” di Giorgio Riva e presentato al Museo della Permanente a Milano in cui l’autore a voluto esprimere l’essenzialità del suo libro cercando di mettere in luce il suo essere architetto ma che “coltiva arte” con una tipica forma di “essenzialità che gli appartiene”. E nel libro ce ne sono molti esempi a partire dall’idea di “bontà del caso”, quando l’autore racconta del suo talento. Anche pittorico. “In quel periodo” racconta nel libro “avevo accanto cugini e amici già studenti di Lettere e filosofia con i quali trovavo le categorie necessarie per un primo passo: distinguere la veduta cosiddetta “dal vero” dalla “veduta della mente”. Poco dopo il distinguo ha rinnovato il suo abito verbale: imago (dal latino imitor – it. “imitare”) aut phàntasma (in greco “visione”, libera dall’obbligo di imitare)”. La pittura come prima grande sintesi espressiva.

Per Riva, insomma l’idea del  progetto architettonico si colloca in una sorta di interregno. Che esemplifica con il suo modo di fare pittura fin dalla più tenera età e che poi lo ha portato addirittura alla pittura informatica fusa con il suono.

Sempre nel libro infatti dice ” tutti i progetti ritraggono ciò che non c’è, o almeno che non c’è ancora. Si annunciava così anche l’affascinante idea di utopia che in politica si candida a diventare ideologia. Contemporaneamente il mio dipingere si allontanava dall’imitazione veristica del soggetto ritratto per dare maggiore importanza al modo di condurre le pennellate sulla tela: cosa facevano macchiaioli e impressionisti? Ritraevano atmosfere di paesaggi o inseguivano da innamorati un loro nuovo modo di agitare il pennello? Stava insomma prendendo corpo un linguaggio pittorico in cui la realtà cessava di essere “rappresentata”, diventava per me molto più interessante “alluderla” o “citarla”: potevo semplicemente “usarla”, insomma, per ritrarre non più oggetti, ma “itinerari” del pensiero visivo. Contemporaneamente stavo preparandomi a rivedere anche i grandi ritratti dei realisti come specchi ingannevoli”.

Una realtà , quella che esprime Riva nel libro, che è sempre più interessante proprio perché da scoprire là, in quel “dentro” dove è  il pensiero visivo. Che è proprio quanto la pittura insegna, da sempre. Dalla superficie di un “vero apparente” a qualcosa che con il talento cresce e si rafforza. Forse per questo, dice sempre l’autore “c’era sempre un velo da togliere, altrimenti si sarebbe perso ogni senso, spessore e, in definitiva, la profondità del dipinto”. La realtà, insomma si raggiunge al contrario in pittura, come in architettura. E poi l’esperienza della testimonianza. Dove la Casa-Museo I Tre tetti nel Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone a Lecco , mostra ai visitatori una raccolta privata delle opere di Giorgio Riva presso la sua residenza estiva e come si è aperta al pubblico con una prima mostra notturna di “sculture luminose” (visibili al tramonto) nel 2005.

Sempre in ascolto. Per saper vedere e saper guardare. Ecco in estrema sintesi il libro. E questa l’intuizione dell’autore ,oltremodo attuale che, come recita il comunicato stampa: “nella confusa temperie delle culture che regna attualmente è fondamentale essere vigili e pronti a navigare controvento. La mia rotta mi ha condotto su un dosso del Parco di Montevecchia a fare un luogo destinato all’intreccio delle arti”. Villa 3 Tetti di Sirtori non è tanto una raccolta di opere, è piuttosto un’opera complessiva dentro la quale si cammina. Arte del paesaggio, arte della luce, architettura, scultura, pittura vi s’intrecciano con poesia e musica: qui il vero protagonista è il metalinguaggio che le unisce”. E questo libro, edito da Skira ditore, sicuramente ne è un valido esempio.




Gabbie d’oro, il singolo di Emil Spada contro gli status symbol

Gabbie d’oro è il nuovo lavoro di Emil Spada, giovane cantautore emiliano con al suo attivo un ricco percorso artistico. Gabbie d’oro nasce dal bisogno di comunicare che la strada più difficile è sempre quella che, se compiuta con logica e maturità, regala più soddisfazioni e serenità; utilizzando linee melodiche e arrangiamenti contemporanei, Emil vuole porre in evidenza, la superficialità legata alla ricerca esasperata dell’apparire, dello status symbol, del voler essere al centro dell’attenzione a tutti i costi.

Bellissimo anche il videoclip (https://www.youtube.com/watch?v=7HkKEJz3WrA), la cui protagonista è una ragazza acqua e sapone, schiava della società e dei suoi modelli, per la necessita di essere accettata. È  interpretata da Astrid Toh per la regia, Milo Barbieri, che ha colto e rappresentato alla perfezione le idee della sceneggiatura elaborata da Emil.

Come è nato Gabbie d’oro?

Era un periodo in cui facevo ascolti musicali davvero eterogenei, passavo da Caparezza a Morricone, dalle colonne sonore di film classici a produzioni indipendenti locali… questa commistione di generi mi ha fatto ragionare sulla enorme quantità di dati che ci viene costantemente proposta ogni giorno, oltre alla superficialità con cui questi vengono da noi interpretati e a nostra volta proposti.

Volevo racchiudere tutto questo in un brano, volevo qualcosa che attirasse lattenzione musicalmente e che, al contempo, attaccasse questo modo superficiale di vivere solo per apparire.

Anche per il videoclip, cercavo una ragazza acqua e sapone, che cambiasse diversi outfit nella ricerca di accettazione da parte della società, questa lidea di base da cui sono partito per realizzare la sceneggiatura. È nata lidea di girare  una giornata tipo,  tra shopping, di locali della movida, piscina… L’aggiunta della mano che prende la ragazza e la trasporta da una location allaltra sottolinea la superficialità e la rappresenta come una sorta di “oggetto”, per lanciare un messaggio di disagio, quello che il mondo contemporaneo sottintende, quello che ci fa ridere durante tutto larco della giornata, ma essere tristi e depressi tra le mura domestiche.  Ovviamente devo ringraziare sia Milo Barbieri, bravissimo regista che ha sopportato la mia puntigliosità e ha colto appieno le idee proposte con la sceneggiatura sia Astrid, bravissima interprete.

Come hai scoperto la tua passione per la musica?

Mi piace sempre raccontare che ascoltavo le audiocassetta dei cantautori in auto con i miei genitori fin da piccolo, questo è sicuramente stato un grande input per indirizzarmi verso la musica; in realtà credo che la mia sia una passione innata, perché già a 3 anni saltavo sullo sdraio in spiaggia, cantando le canzoni estive in voga per intrattenere i bagnanti e i vicini di ombrellone.

Poi a 13 anni ricevetti una chitarra ed un cd dei Queen come regalo di compleanno e da li fu immediato amore.

Il tuo più grande sogno nel cassetto?

Nel corso degli anni ne ho già depennati tantissimi dalla lista, oltre al fatto di collaborare con grandissimi musicisti che calcano o hanno calcato palchi negli stadi e che riconoscono la qualità dei miei brani, posso anche dire di aver registrato le mie canzoni nello studio personale di Vasco Rossi a Bologna e, quando ero un ragazzino, non me lo sognavo nemmeno… ora di fronte a me c’è un nuovo progetto che sta crescendo, spero che la musica e i concetti espressi possano arrivare a più persone possibili; fare musica e vivere di musica è già un sogno bellissimo.

E allora, quali sono i tuoi progetti futuri?

Con la mia etichetta PMS Studio, siamo già al lavoro sul prossimo singolo, un brano progressive-rock che vanterà una incredibile collaborazione a livello di videoclip, con un altro settore artistico; per me è infatti una grandissima emozione poter dar vita a questo progetto, che racchiude oltre alla musica unaltra mia grande passione che è il fumetto.

Dopo questo singolo, si giungerà, se non ci saranno intoppi, alluscita del nuovo album, che racchiuderà in 8 brani, un eterogeneità di generi e temi.

La realizzazione dellalbum è infatti legata alla miriade di ascolti fatti negli ultimi anni, che mi hanno portato a scrivere brani in diverse chiavi, dal rock al pop, dalla bossanova al crossover… sarà un album spartiacque col passato, una sorta di partenza per un Emil 2.0” che, conscio della esperienza accumulata, vuole dar anelito ai suoi punti di forza e migliorare in ciò che è carente.

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