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La Valtellina eroica: Casa Vinicola Nera

Simone, Stefano, Angela e il padre Pietro. Sono loro i protagonisti di una storia di una viticoltura “eroica” (il lavoro è totalmente manuale a causa della conformazione del territorio)  che affonda le proprie radici in Valtellina, alla fine dell’800 e per poi trovare il suo attuale assetto negli Anni 40: la “Casa Vinicola Nera”. Oggi, giunti alla quarta generazione di Nera che si sono succeduti in cantina e in vigna,, la “Casa Vinicola Nera” è ormai tra le realtà più conosciute sul territorio grazie a una produzione di qualità proveniente da 35 ettari di vigneto nelle zone della Sassella, Inferno, Grumello e Valgella. E Valtellina vuol dire Nebbiolo, fratello stretto del nebbiolo piemontese, che in Valtellina trova le sue condizioni ideali. “Negli ultimi anni abbiamo impiantato circa 10 ettari di nuovi vigneti, utilizzando tre cloni di Nebbiolo – Chiavennasca selezionati dalla Fondazione Dott. Piero Fojanini di Studi Superiori” racconta Simone Nera. Ma non solo.  In questa tanto piccola quanto meravigliosa valle, che si trova all’estremo nord della Lombardia, c’è spazio anche per la produzione di vini bianchi ottenuti dalla vinificazione in bianco delle uve di Nebbiolo, notoriamente a bacca rossa.

Saranno quindi vini bianchi, sebbene vinificati in bianco dalle uve del nebbiolo, le novità che presenterete al prossimo Vinitaly?
Alla manifestazione veronese presenteremo: l’IGT Alpi Retiche “La Novella” e l’IGT Alpi Retiche “Rezio” che, peraltro, sono prodotti dall’azienda da circa 30 anni. Questo ci fa capire che la voglia  di “sperimentare” qualcosa di diverso, utilizzando un vitigno conosciuto quasi esclusivamente per la produzione di vini rossi, ha radici consolidate. In particolare l’IGT Alpi Retiche “La Novella”, la cui annata 2017 sarà in commercio entro la fine di marzo, è ottenuto dalla vinificazione delle uve rosse dei vigneti valtellinesi, 50% Nebbiolo “Chiavennasca” e 50% Rossola, altro vitigno autoctono della Valtellina, a bacca rossa. Il vitigno Nebbiolo “Chiavennasca” conferisce a questo vino una notevole sapidità e una buona struttura al gusto, con profumi di frutti bianchi come ananas e banana, nonché una buona
longevità. La Rossola apporta invece un’acidità fresca accompagnata da sentori agrumati sia all’olfatto che al gusto.

Quali sono i vostri prodotti d’eccellenza?
L’azienda produce tutti i vini a denominazione di Valtellina: lo Sforzato di Valtellina D.O.C.G., i Valtellina Superiore D.O.C.G. con le varie sottozone Sassella, Inferno, Grumello, Valgella e le relative Riserve, il Rosso di Valtellina D.O.C. ed gli I.G.T. Terrazze Retiche di Sondrio Rosso, Bianco e Passito Rosso.  Le Riserve vengono prodotte con uve provenienti da vigneti storici monitorati da Stefano solamente nelle annate migliori.  Tra queste segnaliamo i due CRU: Valtellina Superiore D.O.C.G. Signorie Riserva che nasce da un vigneto nella sottozona Valgella sito nel comune di Chiuro ed il Valtellina Superiore D.O.C.G. Paradiso Riserva, che nasce invece da un vigneto nella sottozona Inferno sito a cavallo tra i comuni di Poggiridenti e Tresivio. Oltre ai vini segnaliamo le esclusive grappe ottenute dalle vinacce di uva Sassella, Inferno e Sforzato, e lo spumante Cuvee Caven metodo classico.

E l’ultima vendemmia?
Ottima. Abbiamo solo registrato un calo del 30% nella vinificazione, ma la qualità del 2017 è eccelsa.

Dove è possibile venirvi a trovare per provare le eccellenze della Valtellina?
Dal 2009 abbiamo aperto, presso le nostra cantine, direttamente sulla strada statale dello Stelvio, un Wine Bar ed un nuovo punto vendita aziendale, anche Corner Valtellina, dove è possibile degustare e conoscere i grandi vini Nera accompagnati dai prodotti tipici della Valtellina, quali i formaggi D.O.P. Bitto e Casera, la Bresaola di Valtellina I.G.P., i pizzoccheri e tutti gli altri sapori di questa ricca terra.




Stefano Colli racconta Il Magico Zecchino d’Oro

Sta per arrivare al Teatro Manzoni di Milano, il 24 e 25 marzo, Il Magico Zecchino d’Oro, un musical davvero speciale scritto proprio per celebrare i 60 anni della manifestazione canora più famosa d’Italia

Stefano Colli, che nel musical interpreta vari personaggi (Abdullà, il carciofo, Ignacio), ci racconta lo spettacolo.

Il Magico Zecchino d’Oro nasce da un’idea di Fondazione Aida di Verona, in collaborazione con l’Antoniano di Bologna e il Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento. L’dea è nata proprio per celebrare i 60 anni di questa importante manifestazione che è lo Zecchino d’Oro.

La regia è firmata da Raffaele Latagliata che, insieme a Pino Costalunga, firma anche il libretto. Un testo che è stato approvato dall’Antoniano stesso che, per la prima volta, ha autorizzato un progetto costruito sulle canzoni dello Zecchino.

Lo spettacolo, dallo scorso novembre, ha girato per tutta l’Italia e ora siamo giunti quasi alla fine di questa prima tournée. Dopo le due date milanesi, saremo a Viterbo e chiuderemo poi a Roma al Teatro Italia il prossimo 8 aprile.

La storia parte dalla figura dell’Omino della Luna che vive sulla faccia luminosa della luna. L’Omino distribuisce, attraverso il suono di uno zecchino d’oro, i sogni a tutti i bambini della terra. La sua antagonista è la Strega Obscura che è molto infastidita dal suono dello zecchino e dai gridolini di felicità dei bambini che fanno bei sogni. La Strega vorrebbe soltanto abitare la parte buia della luna, prendere l’ombra tutto il giorno sulla sua sedia a sdraio e non essere disturbata da nessuno.

Un giorno, sfinita dal continuo tintinnio dello zecchino, la Strega Obscura decide di impadronirsene e affronta l’Omino della Luna. Durante il litigio, lo zecchino cade dalla luna sulla terra e finisce nella cameretta di una bambina di nome Alice.

Lo zecchino diventa così un portale di acceso ai sogni di Alice. Qui comincia l’avventura per Alice che, accompagnata dall’Omino della Luna, sempre inseguita dalla Strega Obscura, attraversa i suoi sogni, rappresentati da alcune canzoni dello Zecchino d’Oro. E così Alice incontrerà la Peppina con il suo caffè, Abdullà e Abdullì che cercheranno di vendere il Katalicammello alla Strega, il Torero Camomillo e il Carciofo bulletto che terrorizza tutte le verdure dell’orto di nonno Piero

Le canzoni scelte affrontano tematiche anche molto forti come il bullismo o la perdita di una persona cara. È un momento molto emozionante e commovente nello spettacolo la scena in cui Alice deve affrontare la perdita del nonno. Sarà proprio la Strega Obscura, con la canzone Prendi un’emozione, a spiegare alla bambina l’importanza di vivere ogni tipo di emozione, positiva o negativa come la tristezza e la malinconia, proprio perché è fondamentale per il percorso di crescita di un bambino imparare a viverle. Le emozioni non vanno tenute lontano, vanno vissute.

Nel musical ci sono dieci canzoni: cinque sono della storia più recente dello Zecchino, come Quel Bulletto del Carciofo, Prendi un’emozione, Chi ha paura del buio, Dove vanno i sogni al mattino; le altre cinque invece fanno parte della storia della manifestazione canora, come ad esempio il Katalicammello, Volevo un gatto nero o l’Omino della Luna.

Tutte le canzoni sono state riarrangiate da Patrizio Maria D’Artista. La scenografia è stata realizzata da Geomag ed è composta da cubi che, a seconda di come vengono girati, creano un ambiente, come la cameretta di Alice o l’orto di nonno Piero, o un pezzo della storia, come il cammello. La scelta dei cubi è molto interessante: vuole riportare lo spettatore a giocare con la creatività, rifacendosi un po’ ai giochi di una volta, oggi soppiantati dai computer, dai tablet e dai telefonini.

La soddisfazione più grande, per me, è il consenso che sta ricevendo lo spettacolo: ogni sera i teatri sono pieni. Il pubblico è coinvolto completamente, sia i bambini sia gli adulti. È bellissimo sentire la gente partecipare allo spettacolo: tutti cantano e battono le mani a tempo quando partono le canzoni. Non per niente lo Zecchino d’Oro è una delle manifestazioni più importanti del nostro paese e ha segnato l’infanzia di tutti. Le sue canzoni creano un trait d’union tra le generazioni: le mamme cantano Volevo un gatto nero, i figli Quel bulletto del carciofo.

Il Magico Zecchino d’Oro è un vero e proprio family show: fa commuovere, divertire, ballare e cantare grandi e piccini. È assolutamente da vedere!

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Sul palco con Stefano, ad interpretare questo magico spettacolo, troviamo Rebecca Pecoriello, Giada Maragno, Maddalena Luppi, Enzo Forleo e Gennaro Cataldo.

Teatro Manzoni – Milano
24 – 25 marzo 2018

Il Magico Zecchino d’Oro
regia di Raffaele Latagliata




Ennio Morricone: The 60 Years of Music Tour. Un’esperienza indimenticabile

di Giuliana Tonini – Ho avuto il privilegio di assistere a un concerto di Ennio Morricone. Lo scorso 6 marzo il Maestro è tornato a Milano, al Mediolanum Forum di Assago, con un’altra tappa del The 60 Years of Music Tour.

La tournée, iniziata più di due anni fa per festeggiare i sessant’anni anni di carriera da compositore del Maestro, ha finora toccato diverse città in tutta Italia e in molti paesi d’Europa. Precisamente Inghilterra, Irlanda, Germania, Belgio, Olanda, Francia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria, Svizzera, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia.

Ennio Morricone non ha bisogno di presentazioni. Classe 1928, conosciuto in tutto il mondo, ha composto le colonne sonore di più di 500 film, lavorando con i maggiori registi del cinema italiano e internazionale.

Tra i film per cui ha scritto la musica ci sono, solo per citarne alcuni tra i più famosi, gli indimenticabili spaghetti western di Sergio Leone, di cui, per l’aneddotica, Morricone è stato compagno di scuola alle elementari, C’era una volta in America (il mio film preferito fra tutti), sempre di Sergio Leone, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri, Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo, Salò e le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini, Novecento di Bernardo Bertolucci, Mission di Roland Joffè, Gli Intoccabili di Brian De Palma, Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, fino al recente The Hateful Eight di Quentin Tarantino.

Forse non tutti sanno che sono sue le colonne sonore di diversi film di Dario Argento, di Bianco, Rosso e Verdone e di vari film per la televisione, tra cui La Piovra.

Per la sua musica per il cinema ha vinto, in Italia e all’estero, innumerevoli premi, tra cui un Oscar alla carriera nel 2007 e, nel 2016, è finalmente arrivato, dopo molte candidature, l’Oscar per la migliore colonna sonora originale, per The Hateful Eight.

Ma Ennio Morricone non ha scritto solo musica per il cinema. Lui stesso ci tiene molto a ricordare di essere sempre stato anche un compositore di musica classica assoluta, pura, svincolata da esigenze di narrazione e di rappresentazione scenica. Le sue opere di musica assoluta sono circa cento.

Ai suoi concerti, il Maestro dirige le sue opere eseguite da un’orchestra di 125 elementi e da un coro di 75 persone. Al Forum di Assago, sul palco con lui c’erano l’Orchestra Roma Sinfonietta e il Nuovo Coro Lirico Sinfonico Romano, assieme alla voce solista femminile Dulce Pontes, cantante portoghese regina del fado.

Come era prevedibile, tutti i quasi tredicimila posti erano esauriti. Il palazzo dello sport alle porte di Milano era stracolmo di gente arrivata per sentire dal vivo i propri brani preferiti, diretti dal loro geniale autore.

Il concerto è stato un evento emozionante e dalla potenza coinvolgente. Eseguiti dal vivo, da duecento persone, i pezzi cui noi pensiamo come al sottofondo musicale delle scene dei film esplodono in tutta la loro bellezza di suggestivi brani di musica classica contemporanea. Non c’è neanche bisogno di dirlo, la musica di Ennio Morricone è magnifica in sé e per sé, indipendentemente dall’opera cinematografica per cui è stata composta e indipendentemente dall’averla vista o meno.

Una serata di pura musica, con un pubblico rapito ed emozionato, applausi scroscianti, numerose standing ovations e il Maestro che, alla fine di ogni esecuzione, si alzava e si voltava a raccogliere il calore del pubblico.

Il programma è stato molto vario. Sono stati eseguiti, solo per citarne alcuni, L’uomo dell’armonica, da C’era una volta il west, di Sergio Leone, e il celeberrimo tema di Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo, sempre di Sergio Leone, tema universalmente conosciuto, da tutti e ovunque. Sono convinta che anche i bambini lo conoscono e lo canticchiano, senza sapere che è la melodia di un film di cowboy di più di cinquant’anni fa. Il brano, eseguito dal vivo, fa un effetto nuovo e portentoso. Andare su Youtube per credere. Non è la stessa cosa che dal vivo, ma rende l’idea.

In quanto a potenza suggestiva, non è da meno l’esecuzione di L’estasi dell’oro (la mia preferita), sempre da Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo, la musica della scena in cui Tuco-Eli Wallach corre tra le tombe del cimitero di Sad Hill alla ricerca della tomba di Arch Stanton, in cui il Biondo-Clint Eastwood gli ha detto che sono nascosti i duecentomila dollari.

Abbiamo poi ascoltato, ad esempio, il tema di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, L’ultima diligenza per Red Rock, da The Hateful Eight, Rabbia e tarantella, dal film Allonsanfan, dei fratelli Taviani, pezzo ripreso anche in Bastardi senza gloria, di Quentin Tarantino. Davvero di impatto anche Abolição, dal film Queimada, di Gillo Pontecorvo. Non poteva poi mancare Gabriel’s oboe, da Mission.

Attendevo palpitante Sacco e Vanzetti – Here’s to you, la ballata con la musica di Ennio Morricone e il testo di Joan Baez, ispirata alle parole attribuite a Bartolomeo Vanzetti pochi mesi prima dell’esecuzione sulla sedia elettrica. Non era in programma quella sera, ma non importa. Il concerto è stato per me un’esperienza unica, e, tra i bis eseguiti alla fine, c’è stata anche L’estasi dell’oro. Meglio di così non poteva andare.

Il The 60 Years of Music Tour è un evento davvero da non perdere. Ma gli indecisi si affrettino a prendere i biglietti. Il Maestro Ennio Morricone fa sempre il tutto esaurito in poco tempo.

Dove e quando
Musica per il cinema: dal 16 al 18 giugno 2018, Roma, Terme di Caracalla; 20 giugno, Locarno, Piazza Grande; 21 giugno, Parma, Parco La Cittadella; 23 giugno, Nimes, Arena; 24 novembre, Bruxelles, Palais 12.
Musica assoluta: 15 luglio, Praga, Smetana Hall.

Siti Internet e biglietti
Per la gioia degli appassionati, non è da escludere che, come è già successo in passato, vengano aggiunte altre date. Consultare per aggiornamenti, e per l’acquisto dei biglietti, i seguenti siti Internet:
www.enniomorricone.org
www.ticketone.it
www.dalessandroegalli.com

Pagina Facebook:
Maestro Ennio Morricone




Quattro chiacchiere con Umberto Noto, zio Fester ne “La Famiglia Addams “

Al Teatro Nuovo di Milano, fino al 25 marzo, è in scena il musical La Famiglia Addams con la regia di Claudio Insegno. Una favola noir, ispirata ai personaggi di Charles Addams, con un forte messaggio sui valori della famiglia, resa credibile e godibile da un cast di grandissimo livello.

Umberto Noto, in questa nuova produzione, interpreta Zio Fester.

Umberto, raccontaci qualcosa di te.

Mi sono diplomato nel 2002 alla MTS – musical the school di Milano e da allora ho sempre lavorato, passando dalle navi da crociera prima, dove ho girato il mondo come performer, alla prosa, al musical e alla televisione. Solo per citare alcuni titoli di spettacoli teatrali: I Promessi sposi , Il ritratto di Dorian Gray, Saranno Famosi, Gian Burrasca, Sogno di una notte di mezza estate, La Sposa in Blu, commedia della quale ho curato la mia prima regia, Be Italian, una produzione italo paraguayana,  fino a Spamalot e La Famiglia Addams con Claudio Insegno.

Ho  recitato anche in importanti serie tv come Camera Café e Piloti, sono stato acting coach della quarta stagione della serie tv Disney Alex & Co. e ho avuto l’onore di far parte del cast internazionale del film di prossima uscita nelle sale Ulysses – A dark Odyssey.

La filosofia di vita di Umberto si può sintetizzare con un verso di una canzone di Spamalot: Always look at the bright side of life, guarda sempre il lato positivo della vita.

Certe cose succedono perché devono succedere. Bisogna sempre tenerlo a mente, crederci e mai arrendersi di fronte alle avversità della vita, perché alla fine sono quelle che fanno crescere.

Ho fatto provini per ruoli per cui alla fine non sono stato preso. Non era semplicemente il momento. Ne sono poi arrivati altri perfetti per me come Sir Robin in Spamalot ed  attualmente Zio Fester ne La Famiglia Addams e ne sono infinitamente felice.

Parliamo degli Addams e di Fester.

Lo spettacolo parla della famiglia, dei valori della famiglia, ma anche di stranezze, verità nascoste, normalità diversa o diversa normalità. Fester incarna un po’ tutte queste cose. Ho lavorato molto sul personaggio per cercare di dargli tante sfaccettature. Non volevo che fosse solo “calvo, grasso e con una sessualità indefinita” come si definisce lui. Il mio Fester è giocherellone, umano, divertente e romantico. È capace di lasciare la sua famiglia, a cui è profondamente legato, per realizzare il suo obiettivo.

Fester infatti è innamorato della luna. La luna gli regala emozioni forti e lui riesce a raggiungerla, dimostrando così che quando si prova qualcosa per qualcuno, se il sentimento è vero e  puro, lo puoi avere. Io credo molto nella legge dell’attrazione che nasce da un desiderio profondo, dalla semplice volontà del cuore.

Nella vita l’energia positiva è la chiave di tutto.

La storia d’amore di Fester con la luna è una provocazione: parla dell’amore universale, di un amore profondo che va al di là di tutto e che regala emozioni, di un amore, per qualcuno o per qualcosa, che è sempre giusto.

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Come ti sei trovato a lavorare con gli altri membri del cast, con Elio, Gabriele Cirilli e con Claudio Insegno?

Per fare questo lavoro bisogna avere solidi valori e credere nel lavoro di gruppo. Sotto questo punto di vista, questo cast, così come quello di Spamalot, è perfetto: è come stare in famiglia, si cresce insieme, ci si compensa, senza invidie o desideri di primeggiare gli uni sugli altri. Sono tutti grandi e bravissimi professionisti. Elio è stato una grande scoperta, umanamente parlando, un perfetto Re Artù ed un compagno di viaggio indimenticabile. Gabriele Cirilli è un uomo e un artista eccezionale, è il fratello maggiore che tutti vorrebbero avere, forte sostenitore del lavoro di squadra. Porta in dote la sua esperienza teatrale trentennale iniziata alla scuola di Gigi Proietti. Claudio Insegno è un grande attore e Maestro: ci forgia, ci insegna a svecchiare il teatro e la comicità adattando il tutto ad un pubblico che cambia continuamente. Lavorare con lui è una continua esperienza formativa. Non vuole attori impostati, non vuole sentire una voce: cerca la verità nel personaggio. Per fare questo, lascia molta libertà interpretativa a noi attori. Capisci che hai trovato la giusta chiave di lettura quando gli si illuminano gli occhi e sorride. Vuol dire che lo hai convinto. Con Claudio ti devi lasciare andare, devi giocare a carte scoperte. Lui è lì, sempre disponibile, ti segue passo per passo. Ama ciò che fa, è nato per insegnare e lo capisci perché mentre lo fa si emoziona sempre.

Quali ruoli ti piacerebbe interpretare in futuro?

Ci sono tanti ruoli! Una volta, come primo ruolo, avrei forse scelto Jean Valjean, il protagonista dei Miserabili, ma credo che ora non sarebbe il momento. Oggi mi sento più orientato verso un teatro che va dalla riflessione al divertimento. Mi piacerebbe interpretare il Genio in Aladdin della Disney, perché è un signor ruolo, con belle canzoni e lo spettacolo è pura magia. Mi piacerebbe anche o un ruolo en travesti, come quello di Bernadette in Priscilla, un personaggio irriverente, simpatico e nostalgico; o l’ambiguo Maestro di Cerimonie di Cabaret o Lumière nella Bella e la Bestia.

Hai dei performer italiani di riferimento?

I miei esempi sono Manuel Frattini, Giampiero Ingrassia, Pierfrancesco Favino, Gigi Proietti, professionisti a completo servizio del teatro, che regalano sempre grandi emozioni.




Storie di resilienza al Premio Wondy

di Morgan Le Fay – A Milano la premiazione dei finalisti del “Premio Wondy”.

Un premio letterario dedicato alla resilienza, di certo l’unico in Italia, probabilmente anche nel mondo: “Premio Wondy” è l’iniziativa lanciata circa un anno fa dall’associazione “Wondy sono io”, nata in memoria di Francesca Del Rosso, giornalista, blogger e scrittrice, morta nel dicembre 2016, a 42 anni, dopo una lunga battaglia contro il cancro. L’idea è venuta, quasi d’istinto, ad Alessandro Milan, giornalista e marito di Francesca.

Francesca, “Wondy” per gli amici, amava i libri e ha portato avanti, fino all’ultimo, una straordinaria testimonianza di resilienza, affrontando la malattia non soltanto con grande coraggio e forza d’animo, ma anche con ironia e quasi leggerezza. Anche grazie a lei, che, tra le altre cose, per diverso tempo ha tenuto un blog su “Vanity Fair” dal titolo “Le chemioavventure di Wondy”, la parola resilienza ci sta diventando un po’ più familiare: una capacità, insita in ognuno di noi (anche se magari non ne siamo sempre consapevoli), di resistere agli urti, alle difficoltà della vita, senza spezzarci, di trasformare anche le esperienze più negative in opportunità, in qualcosa di positivo. L’associazione intende diffondere proprio questa cultura della resilienza, attraverso varie iniziative (potete trovare tutte le informazioni sul sito wondysonoio.org).

Il “Premio Wondy” è una di queste. Alle case editrici (e ben ottanta hanno risposto) è stato chiesto di inviare un’opera, di recente pubblicazione, che avesse a che fare con la resilienza. Tra i sei romanzi arrivati in finale, ne è stato premiato uno da una giuria tecnica e uno da una giuria popolare, che ha potuto votare sulla pagina Facebook dell’associazione.

Le opere finaliste sono:
La rondine sul termosifone, di Edith Bruck, ed. Nave di Teseo
Non volevo morire vergine, di Barbara Garlaschelli, ed. Piemme
Voi due senza di me, di Emiliano Gucci, ed. Feltrinelli
Magari domani resto, di Lorenzo Marone, ed. Feltrinelli
La notte ha la mia voce, di Alessandra Sarchi, ed. Einaudi;
Quello che mi manca per essere intera, di Ilaria Scarioni, ed. Mondadori.

La giuria tecnica, presieduta da Roberto Saviano, era composta da Daria Bignardi, Paolo Cognetti, Ferruccio de Bortoli, Luca Dini, Donatella Di Pietrantonio, Chiara Fenoglio, Chiara Gamberale, Emanuele Nenna, Paola Saluzzi e Gianni Turchetta.

La premiazione dei vincitori si è svolta il 5 marzo al teatro Manzoni di Milano, in collaborazione con Edizioni Condé Nast, rappresentata per l’occasione da Luca Dini, direttore editoriale e membro della giuria, che Wondy l’aveva conosciuta molto bene.

L’evento è stato presentato da Ambra Angiolini e Alessandra Tedesco, giornalista di Radio 24 e amica di Francesca, che hanno trascinato sul palco anche un Alessandro Milan, in verità un po’ riluttante, e ha visto la partecipazione di numerosi personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo, come Roberto Bolle, Rossella Brescia, Caterina Balivo, Martina Colombari, le cantanti Malika Ayane e Paola Turci, con le loro voci straordinarie.

Di ogni opera finalista era stato scelto un brano rappresentativo, letto da altrettanti attori, tutti bravissimi e visibilmente commossi: Alessandro Borghi, Marco D’Amore, Matilda De Angelis, Marta Gastini, Vittoria Puccini e Valeria Solarino.

I romanzi, di cui alcuni autobiografici, raccontano, senza sconti, storie segnate da eventi dolorosi, che hanno dato una svolta, spesso drammatica, alle vite dei personaggi. Eppure, nello stesso tempo, sono vicende percorse da un incrollabile, ineludibile, amore per la vita. Storie resilienti, appunto, di chi ha saputo rialzarsi, affrontare e superare anche le situazioni più dure, trovando in sé inaspettate risorse.

Un momento particolarmente toccante è stata la testimonianza di Mutlu Kaya, una ragazza diventata, tre anni fa, la star di un talent show in Turchia, grazie alla sua voce angelica e a una sfolgorante bellezza. Il fidanzato, che non gradiva la sua carriera televisiva, le ha sparato alla testa. Lei è miracolosamente sopravvissuta, ma purtroppo con gravi danni cerebrali, che l’hanno costretta su una sedia a rotelle e a un lungo, difficile percorso di recupero. Eppure, l’altra sera Mutlu era lì, sul palco, a sorridere e cantare ancora, a raccontare la sua storia, a manifestare il suo ottimismo e la sua gioia di vivere, salutata dal pubblico con una lunga standing ovation.

Ma è giunto il momento di sciogliere finalmente la suspense con la proclamazione dei vincitori:
la giuria popolare ha scelto “Non volevo morire vergine” di Barbara Garlaschelli, mentre la giuria tecnica ha assegnato il premio a “La notte ha la mia voce” di Alessandra Sarchi. Due storie, per alcuni aspetti simili, che affrontano problematiche forti, estreme, ma che hanno molto da dire a tutti noi, perché non è necessario ammalarsi di cancro o essere colpiti da una disabilità o da un lutto per essere (o imparare a essere) resilienti. Ognuno, poi – come ha sottolineato Alessandra Tedesco a mo’ di conclusione – trova il suo modo, la sua strada, per superare le avversità.

La serata è stata un successo, che ha mescolato parole e musica, allegria e commozione, toccando le corde più profonde di tutti i presenti, ospiti e pubblico (e la cosa era palpabile), senza mai cedere alla tristezza: una festa, insomma, proprio come sarebbe piaciuto a Wondy.
Appuntamento, dunque, alla prossima edizione, e buona resilienza a tutti!

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Pamela Petrarolo da “Non è la Rai” a “Ballando con le Drag”

Gli Anni 90 sbancano in tv e a teatro. Dopo le ragazze di “Non è la Rai“, le Drag. Pamela Petrarolo, dopo aver ballato e cantato per tutte le edizioni di “Non è la Rai” approda sul palco del Teatro Nuovo di Milano con “Ballando con le Drag“, un progetto che nasce in Sardegna e a cui la stessa Pamela aveva fatto da madrina nel 2014. “In questo show mi ispiro a “Priscilla la regina del deserto” e sogno uno spettacolo ancora tutto da scrivere, una commedia brillante e musicale da portare in tutto il mondo dove poter ballare, recitare e cantare” confessa Pamela che poi cita come suoi riferimenti nel showbiz “Lorella Cuccarini, Heather Parisi e Raffaella Carrà, gli stessi miti di quando ero ragazzina, Ornella Vanoni e Milva per quanto riguarda invece la voce“.

Roberto Manca mi ha rivoluto nello show e ne sono felicissima: sono affascinata dal modo di fare spettacolo delle Drag Queen, dalla musica, dai costumi, dall’ironia e dalla grande capacità di stare in scena che accomuna le protagoniste di questo spettacolo davvero unico. È un’arte speciale che al pubblico regala molto più delle aspettative. Io mi inserirò nello show con uno sketch con una Barbara D’Urso un po’ diversa dal solito” ci racconta Pamela che poi aggiunge “Ballando con le Drag” è un show che rompe gli schemi abituali, lo standard su cui gli spettacoli dal vivo sono proposti sui palcoscenici italiani. Al teatro italiano d’altro canto manca, spesso, un po’ di effervescenza e di trasgressione“.

Per il futuro Pamela Petrarolo, che Gianni Boncompagni aveva soprannominato The Voice, ha l’uscita di un nuovo album di hit, il terzo, a metà aprile e un’agenda fitta di serate con alcune delle ragazze di “Non è la Rai” per celebrare i mai dimenticanti Anni 90.  “Non mi pesa il brand “Non è la Rai”: devo tutto allo show, il primo reality italiano e a Gianni Boncompagni che è stato il pigmalione mio e di molti altri artisti che calcano oggi i palcoscenici tv e cinematografici.  Mantengo vivi i rapporti con molte persone del cast e continuiamo a divertirci insieme“.

 

SAVE THE DATE

 Il 21 febbraio al Teatro Nuovo di Milano è in scena Ballando con le Drag: in un’ora e mezza di show, insieme a danzatori professionisti, si raccontano gli ultimi otto anni di avventure delle protagoniste, note Drag Queen tra cui Peperita e Shantey Miller. Nella tappa di Milano ci saranno anche Pamela Petrarolo, Vincenzo de Lucia, Elena Nieri, Giovanna D’Angi e Nadia Scherano. Un fantastico corpo di ballo capitanato dalla coreografa, danzatrice e performer Sabrina Orlando che, insieme a Davide Talarico, Danilo Musci e i Gd Group, accompagnerà le Drag Queen in questa fantastica avventura. Arrivano a Milano, sul palco del Teatro Nuovo, anche le sarde Gyna Canesten e Marta Sechi,  insieme a Darla Fracci e Claudio Smaldone, rispettivamente Drag Queen e danzatore, vere colonne portanti dell’evento. A condurre la serata  Roberto Manca, direttore artistico dell’Associazione Culturale MUSIC & MOVIE.




Giulia Fabbri è Mary Poppins: praticamente perfetta sotto ogni aspetto

Si avvicina il debutto di Giulia Fabbri in Mary Poppins, forse uno dei musical più attesi del 2018. Una prima assoluta per l’Italia che finalmente si apre alle grandi produzioni stile Londra e Broadway. E per Giulia, classe 1987, diplomata alla Bernstein School of Musical di Bologna, talentuosa performer già apprezzata in spettacoli quali Newsies, Footloose e Grease, un’occasione d’oro per arrivare dritti al cuore di milioni di persone che hanno amato Mary Poppins sul grande schermo, con le sue magiche canzoni, e nei racconti di P.L. Travers, sua creatrice. Nessuno timore di confronto. “Non cerco di essere come Julie Andrews perché nessuno sarà mai come lei, ma conosco Mary Poppins, ho un’idea precisa di cosa voglio raccontare e cercherò di farlo al meglio possibile” sostiene Giulia.

Mary Poppins è un traguardo importante per una performer. Come sei arrivata al ruolo della tata più famosa del mondo?

Il ruolo di Mary Poppins l’ho ottenuto dopo cinque audizioni. E fin qui nulla di strano…ma essendo coinvolti direttamente la Disney e Cameron Mackintosh, i produttori dello show in tutto il mondo, per me è stata un’emozione grandissima. E poi, che dire, Mary Poppins rappresenta un fortissimo richiamo alla mia infanzia: quelle musiche mi portano in luoghi stupendi e mi mettono gioia ogni volta che le sento. Questo mi ha aiutato moltissimo sia durante le varie audizioni sia durante l’attesa della risposta, che è stata la più lunga della mia esperienza lavorativa fino ad ora: ben un anno e mezzo!

Cosa ti piace di più di questo ruolo?

Amo questo personaggio in tutto. È elegante e vezzosa, vanitosa e permalosa ma anche pratica, efficiente e ha un cuore enorme, anche se non dà mai a vedere cosa pensa o cosa sente, non si perde in parole o smancerie. È sempre presente per i bambini e per la famiglia, è un po’ angelo custode, un po’ super eroe, è praticamente perfetta come dice lei, e ha sempre la situazione sotto controllo e la risposta a tutto. A livello personale interpretare un personaggio che sa sempre esattamente cosa fare è meraviglioso.

Hai avuto occasione di vedere le produzioni estere di Mary Poppins? Cosa ne pensi?

Ho avuto la fortuna di vedere Mary Poppins a Londra 10 anni fa, era la prima volta che vedevo un musical nel West End. Sono letteralmente rimasta a bocca aperta, stupefatta davanti a una macchina scenica di quella portata e alla incredibile bravura degli attori sul palco. In particolare, mi hanno colpito i bambini, così piccoli ma professionalmente allo stesso livello dei colleghi adulti. L’emozione più grande l’ho provata quando Mary è volata sulla platea e poi su, sopra la galleria fino a raggiungermi…mi ha quasi sfiorato nel suo volo.
Non lo dimenticherò mai.

Ti spaventa il paragone con Julie Andrews?

Il paragone con Julie Andrews non mi spaventa semplicemente perché è impossibile. Julie Andrews è una dea, è perfetta, senza “praticamente”, la sua Mary ha fatto la storia e ha segnato generazioni di persone. Io non cerco di essere come Julie Andrews perché nessuno sarà mai come lei, ma conosco Mary Poppins, ho un’idea precisa di cosa voglio raccontare e cercherò di farlo al meglio possibile. Tra l’altro il musical è diverso dal film, ci sono altre scene, altri linguaggi da usare, altre sfumature da sottolineare. Il minimo comune denominatore è la storia della famiglia Banks e Mary Poppins ma la versione teatrale è un’altra cosa rispetto al film.

La tua Mary assomiglia a quella di Julie Andrews?

La mia Mary Poppins certamente assomiglia a quella di Julie Andrews per certi versi, il personaggio è quello, ma, come dicevo, lo spettacolo teatrale mette a disposizione altri aspetti del personaggio da mettere in evidenza. Il mio scopo non è assomigliare a Julie Andrews, per quanto darei un braccio per poterci riuscire, ma è presentare un personaggio credibile, efficace e omogeneo alla regia di Federico Bellone.

Ti senti di più una cantante che recita o un’attrice che canta?

Se fai un musical, sia che tu canti sia che tu balli, sei comunque un attore. Siamo tutti innanzitutto attori, perché nel musical canto e danza sono solo altri linguaggi che vengono usati per raccontare la storia. Perciò, che tu stia dicendo una battuta o ballando una coreografia, o cantando una nota tenuta, sei comunque un attore.

Ritieni che una produzione così imponente come quella di Mary Poppins possa considerarsi come una sorta di apertura dell’Italia ai grandi musical del West End e di Broadway?

Ritengo che Mary Poppins sia un progetto fortemente voluto, estremamente ambizioso e imponente, e mi auguro che il successo che speriamo abbia lo spettacolo sia uno stimolo per le grandi produzioni e per gli investitori a scommettere di più sul nostro paese con altri grandi titoli.

Qual è il tuo sogno, professionale, nel cassetto? Quale ruolo vorresti interpretare e per quale motivo?

Il mio sogno professionale lo sto vivendo adesso, cammino a un metro da terra e mi sento fortunata e grata di stare dove sto. Ci sono tantissimi altri ruoli che vorrei interpretare, uno dei tanti è Cinderella in Into the Woods di Stephen Sondheim, perché è uno dei miei musical preferiti, scritto da uno dei miei autori preferiti. Il personaggio di Cinderella ha molte sfaccettature che vanno ben oltre alla facciata da principessa della fiaba che tutti conosciamo, così come ogni personaggio di quel musical!

Dove ti vedi tra vent’anni?

Tra vent’anni non ho idea di dove sarò, ma ho intenzione di fare in modo di vedermi col sorriso che ho stampato in faccia in questo momento




RHOK, al debutto un cantautore da scoprire

“RHOK”: un nome, un destino. Il primo disco di RHOK, “Fibrillazione Atriale”, sta destando l’interesse di alcune case discografiche, nonostante l’autore non sia uscito da uno dei mille talent show, da Amici a X Factor, che imperversano in televisione. I dodici inediti di “Fibrillazione Atriale”, in vendita su Amazon e su altre piattaforme online come Spotify e iTunes (e a breve anche in negozio), hanno infatti riscosso un ottimo riscontro nella web community. “Sto facendo alcune riflessioni, ma sono geloso dell’indipendenza che mi ha portato a riarrangiare alcuni brani scritti qualche tempo fa e a crearne di nuovi, con l’obiettivo di raccogliere, in un solo album, melodie semplici ma mai banali e caratterizzate da testi interessanti. Ho pensato a “Fibrillazione Atriale” come a un lavoro destinato a rimanere nel tempo, un album in grado di mantenere attuale nel tempo il valore dei testi e la piacevolezza della musica. Oggi purtroppo si brucia tutto velocemente, troppo. Non volevo questo per il mio primo cd” sostiene RHOK una sigla dietro a cui si cela Riccardo Moraca,  medico di base, pediatra, musicoterapeuta, omotossicologo e omeopata, oltre a autore e compositore iscritto alla Siae.

RHOK 2

Qual è la metamorfosi di Riccardo Moraca, medico con esperienza pluridecennale, in RHOK, autore di “Fibrillazione Atriale”?
A Melissa, un borgo a pochi chilometri da Crotone quando, da giovane, suonavo in una band, da me chiamata The Doctors quale preludio della mia professione,  avevo scelto come nome d’arte Richard Homak.  E, anche anni dopo, quando mi ero ormai trasferito a Pavia per motivi di studio, per gli amici di questa prima band sono sempre rimasto Richard Homak. Da qui, dalla crasi del mio nome d’arte di un tempo, ha avuto origine il mio futuro come cantante, autore e compositore.

Sta già lavorando quindi a nuovi progetti?
Al momento sto promuovendo “Fibrillazione atriale”, anche con serate dal vivo, spettacoli teatrali e presentazioni. E sto lavorando a un duo acustico. Ma ho diverso materiale su cui vorrei tornare a lavorare per altri cd.

Dove ha trovato il tempo di studiare musica in un percorso professionale così articolato?
Sono e resto un autodidatta con una irrefrenabile passione per la musica che mi ha portato, negli Anni 70, a superare gli esami Siae come autore e compositore melodista.

Come ha scoperto questa passione RHOK?
In casa mia non si ascoltava musica, per così dire, moderna. Solo il nonno medico, di cui ho seguito le gesta, era melomane, ma è mancato quando ero piccolo. Avrò avuto dieci anni quando un giorno sono entrato nell’unico negozio di musica di Crotone e ho chiesto al proprietario di consigliarmi un disco “agitato”.  Ho comprato sulla fiducia Twist and Shout” dei Beatles. È stato una rivelazione e l’inizio di una grande avventura. Ho iniziato allora a studiare da autodidatta e ho persino dato vita a una band, The Doctors, che suonava a molti eventi di Melissa e dei paesi vicini, matrimoni, comunioni e feste di piazza.  Cover certo, dai Beatles ai Dik Dik, Camaleonti e ai Nomadi, e in generale alle band musicali del momento. Ma non solo. Già da adolescente scrivevo testi e musica, inserendole nel repertorio che poi cantavo e suonavo sul paleo … e non mi sono mai più fermato.

Quali sono state le tappe che l’hanno portata dai The Doctors a “Fibrillazione Atriale”?
Dopo i The Doctors ho cantato e suonato in altre band tra cui i Music Live di Pavia, con i quali ho suonato negli Anni 90  cover e brani da me composti. Ma mi sono sempre visto soprattutto come autore. In questi anni infatti non ho mai smesso di scrivere testi e musica, diciamo che la musica è stata la colonna sonora della mia vita. Ho vinto tra l’altro il Derby Nazionale della Canzone a Salice Terme presentato da Daniele Piombi con “Non Voglio Vivere” nel 1973, ho  partecipato al primo Festival di Città di Novara presentata da Corrado con “Quanto Tempo ci Vorrà”  e ho lavorato con Pierquinto Carraggi, l’imprenditore che ha portato Frank Sinatra in Italia e che, nel 1985, mi ha aperto le porte dell’Ambrogino trasmesso in Eurovisione. Ho vinto come autore anche quest’ultima manifestazione con la canzone “Tu, Tu, Tu” interpretata sul palco da Paola Carra.

È mai stato tentato dall’idea di dedicare maggiore spazio professionale alla vena creativa e artistica?
Certo. E non sono mancate neanche le offerte, persino un abboccamento dalla Ricordi. Ma all’epoca avevo altre esigenze. Oggi è venuto il momento di tornare in campo con i miei tre figli che hanno partecipato a “Fibrillazione Atriale”: Marco ha curato gli arrangiamenti oltre a suonare chitarre e basso e a cantare alcuni brani; Valentina si è occupata del design e ha cantato in “Ma Dimmi un Po’ Cos’è Questa Musica” ed Emanuele ha suonato alla batteria.

RHOK

Come nasce a questo punto “Fibrillazione Atriale”?
Fibrillazione Atriale” nasce da una chiacchierata con mio figlio Marco, psicologo musicista, cantatore e leader dei Back to the Beatles. Volevo raccogliere alcuni brani che avevo composto nel corso del tempo e, insieme a mio figlio, ho integrato e riaggiornato alcuni testi, lavorando agli arrangiamenti e completando la collezione con nuovi brani.

… Per la discesa in campo ha scelto un titolo piuttosto complesso…
Mi sono ispirato ad alcuni album di Franco Battiato. D’altro canto, cercavo un titolo che si distinguesse e, allo stesso tempo, rispecchiasse la mia identità che racchiude sia l’aspetto scientifico sia il lato creativo. Sotto a un vocabolario prettamente medico, si cela in realtà una metafora della vita. Sono in ogni caso convinto che la musica possa aiutare a far comprendere la scienza e, allo stesso tempo, possa essere un sostegno terapeutico per la guarigione.

Sin da un primo ascolto di “Fibrillazione Atriale” balza all’orecchio la prevalenza di testi impegnati rispetto a quelli, più classici almeno nella tradizione italiana, d’amore Si spazia dalla denuncia della violenza contro le donne, in “La Mattina Appena Sveglia”, a temi economici in “Recessione”.  …una scelta peculiare.
Tengo molto ai testi, sia che si parli d’amore sia che si parli di realtà sociali o di sofferenza interiore. Per questo in “Fibrillazione Atriale” trovano posto brani come “C’era Una Volta” che è una denuncia sulla società, dai veterinari corrotti che firmavano anche l’idoneità delle carni gonfiate di ormoni alla corruzione negli uffici pubblici; “Aiutami, Sostienimi, Soccorrimi”, dove si parla di ansia, depressione e attacchi di panico, una condizione che riguarda sempre più persone e soprattutto giovani e “Come On” che parla di persone che aspettano la manna dal cielo. Non mancano infine poi melodie come “Cade Lenta la Neve” e “Uno Spruzzo di Mare”. Peraltro proprio di “Fibrillazione Atriale” ho già prodotto e pubblicato su YoutTube il primo video in cui arte, scienza e musica si fondono.

Oltre alla sua musica e a quella dei Beatles, cosa ascolta? Qual è l’ultimo concerto a cui ha assistito?
Mi piace la musica italiana De Andrè, Fossati, De Gregori, Battiato, Paolo Conte e tutta la buona musica classica, jazz, pop, leggera, dalle origini ai giorni nostri. Ma non solo. Sono andato, tra l’altro, al concerto degli Aerosmith, a quello dei Rollig Stones e, più volte, a quelli di Paul McCarthy, il mio idolo.




UNA STANZA PIENA DI EMOZIONI

di Morgan Le Fay – Ha calcato i palcoscenici di tutto il mondo, è stata Ambasciatrice per la Danza nel Grande Giubileo del 2000, ha aperto le Paraolimpiadi di Torino del 2006, ha partecipato al Festival di Sanremo, ha scritto libri, i suoi quadri sono esposti in Mostra Permanente nella città di London Ontario, in Canada…

Era quasi inevitabile che le strade di Simona Atzori e dell’associazione “Wondy sono io” si incrociassero. “Tutte le cose più significative della mia vita, soprattutto quelle belle, sono nate da un incontro”, afferma la danzatrice. E proprio grazie a questo incontro, il 10 gennaio Simona ha deciso di portare in scena il suo spettacolo “Una stanza viola” al teatro Manzoni di Milano, con il sostegno del Gruppo 24 Ore. Al termine, si è raccontata davanti al pubblico, chiacchierando con Alessandro Milan, giornalista di Radio 24 e presidente dell’associazione, creata in memoria di sua moglie Francesca Del Rosso, giornalista e scrittrice, mancata poco più di un anno fa, dopo una lunga battaglia contro il cancro.

DANZARE PER FRANCESCA

In una sala gremita, il pubblico è stato travolto da un turbine di musiche, anche inaspettate (dalle ballate irlandesi a Vasco Rossi…), colori, emozioni e, naturalmente, danze contemporanee, coinvolgenti nei gesti e nei ritmi, ora dolci ora indiavolati, con coreografie mai convenzionali.

Il tema centrale, l’amore, in tutte le sue sfumature, con il suo carico di speranza, ma anche di inquietudine, delusione, tormento. L’amore può essere amicizia, empatia, solidarietà, ma può sfociare nel tradimento, nella violenza e nella prevaricazione.

Perché una stanza viola? La stanza è il luogo in cui tutto può succedere e di cui il palcoscenico diventa il simbolo. Il viola è il colore della rinascita, creato dal bianco, dal rosso e dal blu, una sorta di fusione tra maschile e femminile.

Sul palco, oltre a Simona Atzori, i suoi collaboratori (“ma prima di tutto amici” ha precisato l’artista al termine dell’esibizione), i ballerini Beatrice Mazzola e Mariacristina Paolini della SimonArte Dance Company, Marco Messina e Salvatore Perdichizzi del balletto della Scala di Milano, tutti bravissimi e applauditissimi dagli spettatori entusiasti.

UNA STORIA DI RESILIENZA

Wondy sono io” è un’associazione culturale, nata per diffondere quella che è la più grande eredità di Francesca Del Rosso: la resilienza, la capacità di reagire alle avversità della vita, di reggerne gli urti senza spezzarsi, e di trasformare ciò che può apparire un limite o un ostacolo in un’opportunità di crescita e cambiamento. Perché – diceva lei – siamo tutti un po’ supereroi e la resilienza è alla portata di ciascuno di noi.

Simona Atzori ha confessato che lei, di resilienza, non sapeva granché, prima di imbattersi in “Wondy sono io” e nella storia di Francesca. In teoria. Perché, nella pratica, tutta la sua vita ne è la celebrazione. Nata senza braccia, amatissima dai genitori, che l’hanno sempre incoraggiata a non farsi determinare dalla sua particolarità fisica e a seguire le sue passioni, è diventata una ballerina e una pittrice apprezzata in tutto il mondo, tiene corsi e seminari motivazionali nelle aziende, testimonia ovunque la sua esperienza, le lotte contro la paura, le difficoltà ma soprattutto i pregiudizi (“spesso il limite della disabilità è soltanto negli occhi degli altri”), usando sempre come “arma” il suo sorriso solare e la sua ironia. Sorriso e ironia che non la abbandonano mai, come quando, a un certo punto dell’incontro, si libera delle calzature: “Scusate, ora che avete visto queste bellissime scarpe, me le tolgo, perché io devo gesticolare!”.

Racconta che ha capito realmente la resilienza quando ha dovuto affrontare la malattia e la morte dell’adorata mamma, cinque anni fa. Un percorso doloroso, da cui è però nata una Simona più forte e coraggiosa. È stato in quel momento difficile che ha deciso di dipingere di viola la sua stanza da letto: era necessario ripartire, intraprendere nuove strade, imparare a percepire la presenza della madre con modalità diverse.

È fondamentale diventare protagonisti della propria vita, non lasciare che le cose ci accadano e basta” conclude l’artista.

A fine serata, con tutti i ballerini, i fondatori e molti amici di “Wondy sono io” riuniti sul palco, è stato annunciato anche il prossimo appuntamento importante: il 5 marzo, sempre al teatro Manzoni, ci sarà la premiazione del primo concorso letterario dedicato alla resilienza. La giuria, presieduta da Roberto Saviano (che, come sottolineato da Milan, è lui stesso un esempio di resilienza) e con molti altri nomi di peso, proclamerà il vincitore tra le sei opere finaliste, scelte tra le tantissime che hanno partecipato.
Intanto, continua a girare l’Italia la mostra fotografica “In viaggio con Wondy”: i viaggi fatti da Francesca Del Rosso con la sua famiglia negli ultimi sei anni, quando era già ammalata. La malattia, infatti, non l’ha mai fermata, non ha minimamente scalfito il suo tenace attaccamento alla vita.

Noi spargiamo dei semi – ha spiegato Milan al termine dell’incontro – non sappiamo quanti attecchiranno, ma continueremo a farlo”.

Per info, www.wondysonoio.org

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Milano, sono la nuova moda i motorini a noleggio per girare la città

Uno dei fondatori di MiMoto spiega come funzionano le nuove motociclette elettriche, lanciate nello scorso ottobre

di Matteo Rolando – A inizio autunno di quest’anno furono le 4.000 nuove biciclette rosse Mobike e quelle gialle Ofo a farsi notare per le strade di Milano:un successo la nuova forma di bike sharing, grazie alla sua caratteristica principale, descritta con il termine inglese free-floating, ovvero la libertà di lasciare la bicicletta dove si vuole senza l’obbligo di ancorarla ad una rastrelliera come avveniva, ad esempio, per il noleggio Bikemi di Atm. Ma Milano viaggia sempre avanti:così da un mese a questa parte è partito anche il moto sharing, un servizio con caratteristiche analoghe per il noleggio di scooter elettrici che include casco, batteria carica e assicurazione. A poco meno di due mesi dal suo lancio, con l’arrivo di 100 motorini in città, <lo scooter sharing si pone a metà strada tra il car sharing e il bike sharing, coniugando i vantaggi di entrambe le soluzioni di mobilità>. Lo rivela uno dei fondatori, Vittorio Muratore, intervistato in esclusiva per Cosmopeople.

Come nasce MiMoto Sharing?

Il progetto è nato dall’idea di un team composto da me e i miei due soci e compagni d’avventura Alessandro Vincenti e Gianluca Iorio, anche noi studenti fuori sede a durante l’università. Analizzando quali sono state le nostre esigenze di mobilità e vivendo la trasformazione di Milano da questo punti di vista, abbiamo voluto creare qualcosa per la città che ci ha ospitato che potesse essere al tempo stesso utile e innovativo e a misura di cliente, quindi pensato sui bisogni condivisi dalla maggior parte degli studenti, ma allo stesso tempo dedicato a tutti, residenti, pendolari e turisti.Il nostro obiettivo è stato fin dall’inizio fare un uso avanguardistico della tecnologia, integrandola con il rispetto dell’ambiente, per rendere la città più vivibile, sostenibile e car free.

Quali sono le differenze e quali le analogie con gli attuali servizi di bike sharing “free floating” operativi in città?

Due sono le caratteristiche principali di MiMoto che lo differenziano dagli altri sevizi di sharing: è il primo servizio di scooter elettrico, a impatto zero e free floating, ossia non ha vincoli di stazioni di ricarica, quindi è più semplice da parcheggiare rispetto ad altri veicoli elettrici, purché venga rilasciato negli appositi parcheggi per i veicoli a due ruote.Inoltre, rispetto ai servizi di bike sharing – ovviamente a impatto zero – e alle auto elettriche, MiMoto ha un grande vantaggio: accorciare i tempi di percorrenza e permettere di muoversi nel traffico in maniera più agevole e veloce rispetto agli altri veicoli.

MiMoto ha iniziato a operare a Milano circa un mese fa e quindi è ancora in fase di “rodaggio”: quanti utenti si sono registrati e quanti utilizzano abitualmente uno dei 100 ciclomotori disponibili?

Abbiamo lanciato il servizio in data 14 ottobre ed è ancora prematuro congelare qualsiasi tipo di considerazione su numeri e andamento. Detto questo, possiamo felicemente affermare che il primo mese di vita di MiMoto è andato oltre le nostre aspettative, sia in termini di utilizzo, sia in termini di percezione. Anche l’andamento delle registrazioni è positivo considerando il fatto che gli scooter per strada sono essi stessi un media di comunicazione molto efficace. I primi numeri, quindi, ci confermano l’esistenza di un bisogno e presenza di domanda da soddisfare e ci danno convinzione ed entusiasmo per affrontare il futuro.

Milano è la prima città italiana al mondo a offrire uno scooter sharing ecosostenibile e completamente Made In Italy: quali altre città europee possono essere prese a riferimento per la presenza di offerte analoghe di “scooter sharing”? In quali il servizio ha avuto maggior successo?

Ci sono Motit a barcellona, Emmy sharing in 6 città tedesche, Coup a Berlino e Parigi e City scoot sempre a Parigi, e Scooltra a Roma, Madrid, Barcellona e Lisbona, Zig Zag a Roma.I casi di maggior successo sono certamente Emmy e Ecooltra per numero veicoli e numero di città in cui il servizio è attivo.

Un profiling dell’utente tipo di MiMoto?

L’utente tipo di MiMoto, anche se è prematuro definirne un profilo definitivo, è certamente giovane, sportivo e “EcoFriendly” ovvero attento ai suoi bisogni, senza trascurare l’ecosostenibilità. MiMoto, a differenza di quanto si possa magari immaginare, ha un grande impatto sul pubblico femminile grazie alla scelta di un mezzo facile da guidare, leggero, e cosa che non guasta mai di design e anche i costi, questo ovviamente non vale solo per le donne, sono contenuti.

Quali sono gli obiettivi di MiMoto in termini di utenza e di espansione, pensandoli a un anno da oggi?

Solo a Milano ogni giorno arrivano più di mezzo milione di pendolari, quindi sicuramente il nostro obiettivo è aumentare la flotta, riuscire a coprire un’area operativa più ampia, raggiungendo una flotta composta da circa 500 mezzi già nei primi 12 mesi di vita. Ma Milano è solo un punto di partenza perché per il futuro abbiamo grandi progetti e vogliamo replicare il modello di Milano anche in altri principali capoluoghi italiani, ma stiamo valutando l’apertura del servizio all’estero fin dal primo anno di vita di MiMoto.

Per noleggiare gli scooter bisogna essere maggiorenni e possedere la patente B o in alternativa il patentino per i ciclomotori. Il costo per l’attivazione del servizio è di 9,90 euro e comprende 60 minuti di utilizzo: il modo per noleggiare è uguale al bike-sharing. È sufficiente scaricare un App sul telefonino e creare un’utenza, che individua e segnala la posizione dei motorini sulla mappa dando la possibilità di prenotare quello più vicino.Il noleggio costa 23 centesimi al minuto, mentre per un’ora di noleggio è prevista la tariffa forfettaria di 6,90 euro.Chi volesse tenere il mezzo per l’intera giornata pagherebbe invece 29,90 euro.Si può decidere anche di mettere in sosta lo scooter,ad esempio per andare a fare una commissione, per 9 centesimi al minuto.Gli scooter MiMoto sono operativi nella zona del centro di Milano con limite della circonvallazione.