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“COLONIA” – LA FORZA DELL’AMORE, L’ATROCITÁ D’UN REGIME

di Elisa Pedini – Nelle sale italiane dal 26 maggio, il film “Colonia”, ad opera del regista tedesco Florian Gallenberger, che ne è anche sceneggiatore. Regista versatile che nella sua carriera ha dimostrato di sapersi confrontare con generi diversi e sempre con successo. Vincitore del Premio Oscar per il miglior cortometraggio nel 2001 con “Quiero ser”, è poi passato al lungometraggio. Già col suo precedente film, “John Rabe”, il regista s’è incanalato sul filone delle storie ispirate a eventi realmente accaduti. “Colonia” è un film drammatico, severo, crudele. La tematica trattata è molto pesante, ma vera e la pellicola ne mostra in modo lucido tutta l’atrocità. Forse, un po’ troppo romanzata la sceneggiatura in certi punti, ma rientra, senza forzature, nei canoni della trasposizione degli eventi in linguaggio cinematografico. La trama è complessa e profonda perché, seppur sostenuta da due binari molto chiari: l’amore da un lato, la dittatura dall’altro, di fatto sottende e mostra tutta una serie di riflessioni ad ampio spettro. Vi accennerò i punti salienti, ma è un film che va visto perché sono molti, troppi, i pensieri suscitati, le emozioni evocate, da poter essere trasposti; vanno provati in prima persona. La storia è ambientata a Santiago del Cile nel 1973. Siamo in piena guerra fredda e questa terra ne diviene uno specchio, un terreno di disputa. Il traffico d’armi passa per il territorio cileno e gli interessi, sia politici che economici, sono troppi. Salvador Allende è Presidente del Cile in quel momento. Il primo Capo di Stato marxista, eletto democraticamente dal popolo nell’America del Sud. Gli USA ne contrastano la presidenza, ma il popolo, invece, è in piazza per appoggiarlo. Il clima è teso e le manifestazioni si susseguono. Il mondo tiene gli occhi puntati sul Cile. Si teme una guerra civile. Daniel, giovane foto-reporter tedesco, s’è trasferito a Santiago da quattro mesi per motivi di lavoro. Vuole documentare quanto sta avvenendo in Cile. È attivo nel movimento a sostegno di Allende e quindi costantemente in piazza insieme al comitato socialista. La sua fidanzata, Lena, è una hostess e si fa assegnare sulla tratta per Santiago per fargli visita. In teoria, deve restare solo quattro giorni, fino al volo di rientro. Una mattina, invece, arriva una telefonata a Daniel. È la mattina dell’11 settembre 1973. C’è stato un golpe. Salvador Allende è stato assassinato. Augusto Pinochet ha preso il potere. I sostenitori e i simpatizzanti di Allende e del socialismo vengono arrestati. È iniziata la dittatura. I due ragazzi scappano immediatamente dalla casa, primo posto dove, eventualmente, verrebbero a cercare Daniel. Corrono in strada. Il ragazzo si porta dietro la macchina fotografica e s’attarda a scattare fotografie ai soldati che reprimono la folla. Lena lo chiama, lo sprona a correre. Tardi. I soldati s’accorgono, lo picchiano, gli sequestrano la macchina fotografica e li arrestano. Tutte le persone “rastrellate” vengono riunite allo Estadio Nacional de Chile”. È notte ormai. Arriva un elicottero della Fuerza Aérea de Chile, ne scendono dei militari e un uomo a volto coperto. Quest’ultimo, passa in rassegna la schiera di persone e indica, uno per uno, i sostenitori, i simpatizzanti, i sindacalisti. Daniel, ovviamente, viene segnalato come tedesco attivista. Il ragazzo viene caricato su un pulmino, che sembra un’autoambulanza e portato via. Lena, invece, viene liberata. La ragazza rientra a casa e trova tutto a soqquadro. Si reca alla sede del comitato socialista, ma non ne riceve l’aiuto sperato. Descrive il mezzo con cui è stato portato via Daniel e le spiegano che quello è il pulmino per “Colonia Dignitad”, un posto che si trova nel sud e dal quale nessuno ha mai fatto ritorno. Lena decide di non fare rientro in patria e di cercare Daniel, ad ogni costo. Si reca alla sede di Amnesty International, dove viene a scoprire che “Colonia Dignitad” è una setta, guidata da tale Schäfer e che gode della protezione del regime. Le viene, anche, confermato che nessuno ne è mai uscito. Ma, l’amore, si sa, è il più potente motore del mondo. È l’unica passione che può dare la forza di superare qualunque ostacolo, anche la morte. Lena decide che, se Daniel non può uscire, allora, sarà lei a entrare. Avvisa al lavoro che ci sono problemi grossi in Cile e che lei non può rientrare. Si veste da pudica educanda, prende una piccola borsa di effetti personali e parte. Destinazione: Colonia Dignitad. Quando arriva, è ben chiaro, da subito, che c’è qualcosa di strano: il posto sembra una zona militare con tanto di filo spinato e torrette di controllo. Lena entra. Subito le vengono sequestrati passaporto ed effetti personali, quindi, incontra Schäfer, o, come si fa chiamare lui, “Pius, il buon pastore”. La ragazza non ci mette molto a capire che, in realtà, è un luogo di prigionia dove regnano terrore e atroce violenza. Il luogo è triste, l’oppressione è tangibile, le camerate sono squallide, le persone totalmente spersonalizzate e costrette a lavori estenuanti. Contestualmente, Daniel viene torturato crudelmente e ridotto in fin di vita. Trasportato in infermeria, dove lo credono totalmente privo di coscienza, sente dire che con altissima probabilità non sopravvivrà e quand’anche vivesse, non si riprenderà. I danni cerebrali subiti potrebbero essere irreversibili. In tutto questo, lo spettatore sente il peso dell’oppressione: la vive coi protagonisti e soprattutto vive lo strazio di Lena, dovuto alle violenze ignominiose che vede, a quelle che vive, ma, soprattutto, al suo più grosso, intimo, personale problema: Daniel non sa che lei è lì, né lei è in grado di scoprire dove lui sia e questo perché, a “Colonia Dignitad”, uomini, donne e bambini vivono totalmente separati senza avere contatto alcuno tra loro. Non siamo molto distanti dalle tristi realtà dei lager. Lena è prostrata. Lo sdegno, il dolore e l’impotenza la devastano. Tutto quello che succede attorno a lei è allucinante. Una notte, scopre un modo per farsi vedere da Daniel, è pericoloso, potrebbe costarle la vita, ma lei deve rivederlo, deve sapere, almeno, se è vivo. Il folle piano della ragazza non da l’esito cercato. È, in verità, la parata organizzata per l’arrivo di Pinochet a “Colonia Dignitad” a offrire ai due ragazzi l’opportunità di vedersi. È in questa occasione che veniamo a scoprire che la colonia non serve solo da campo di tortura e prigionia per dissidenti, ma anche da centro di reperimento armi per il regime e di test per le armi chimiche sui prigionieri. Daniel, ritenuto inutile nella colonia per i suoi apparenti problemi neurologici, è la vittima designata per il test del gas asfissiante. Non resta che tentare una fuga disperata, ma, è noto a tutti che, da “Colonia Dignitad”, nessuno ha mai fatto ritorno. Inoltre, vi ricordo, che uomini e donne sono separati e senza possibilità alcuna d’incontrarsi. Da qui non vi dico altro perché se cominciassi a descrivervi tutto quello che succede, tutto quello che passano i due protagonisti, ma anche le stesse persone che vivono nella colonia, finirei per raccontarvi tutto il film. Quello che, invece, voglio sottolineare ancora, è che si tratta di una pellicola che va vissuta, fino in fondo. Il bagaglio emotivo, così forte da essere stordente, con cui sono uscita dalla sala s’è tradotto in un silenzio profondissimo, non trasponibile in parole. “Colonia” è un film che ha centrato in pieno l’obiettivo di Florian Gallenberger: mettere in luce quanto accadeva aColonia Dignitad realmente e le torture di cui era capace il regime di Pinochet per punire quelli che a lui erano contrari. Sublime l’interpretazione dei protagonisti. Un’intensa e superlativa Emma Watson, nel ruolo di Lena, trasmette la sensazione che la parte le sia stata cucita addosso come una seconda pelle. Sarà perché ella stessa è davvero un’attivista impegnata nella vita, ma, veramente, in questa parte, riesce a oltrepassare la soglia dell’“ottima interpretazione”, va decisamente oltre. Emma è Lena. Impeccabile anche Daniel Brühl, nel ruolo di Daniel, che si mostra fortemente intenso e versatile, rendendo con grande naturalezza e realismo ogni azione del protagonista.

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