Dirty Dancing, numeri da record per lo show che fa rivivere la magia del film

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imageSuccesso annunciato per Dirty Dancing che, a un mese dal debutto presso il Barclays Teatro Nazionale di Milano vanta numeri da record. Sono stati  ben 75.000 i biglietti venduti per le otto repliche settimanali, a conferma di un fenomeno trasversale che, partito dal cinema nell’agosto del 1987, è poi passato nei maggiori teatri internazionali, coinvolgendo le teenager degli Anni ’80 e le Millenial.

Ognuno ha la propria versione del successo di una storia senza tempo. Per Eleanor Bergstein, autrice della versione cinematografica e di quella teatrale, il segreto dello spettacolo consiste nel fatto che  “in tutti noi si nasconde un ballerino, questa è la storia di Baby”. Per me nella magia con cui gli attori in scena riportano indietro alla prima volta in cui tutte noi, adolescenti di ieri e di oggi, ci siamo immedesimate in Baby nelle braccia di Patrick Swayze, il mai dimenticato Johnny Casttle cinematografico. Sara Santostasi nel ruolo di Frances “Baby” Houseman e Gabrio Gentilini nel ruolo di Johnny Castle alla guida cast italiano e accompagnati da un’orchestra di otto elementi, sono in grado di  trasportarci nella storia e nel film che abbiamo amato con una prova a cui vale la pena di assistere. Belle voci, buona presenza scenica anche se forse un maggior coinvolgimento del pubblico in sala (in genere, soprattutto per quel che riguarda il pubblico femminile, pubblico adorante),  sarebbe stato gradito. Ma comunque uno show in grado di soddisfare pienamente le aspettative. … quelle  per una volta di chiudere gli ochi e far finta di essere Baby

D’altro canto per capire il fenomeno del cult rappresentato da Dirty Dancing, basta fare un veloce test. se si chiede a una donna tra gli i 9 e i 90 anni quale siano  i momenti cinematografici più emozionanti, almeno una su dieci appartiene alla storia in scena al Barclays Teatro Nazionale di Milano . “Nessuno può mettere Baby in un angolo…”, frase in chiusura dello show (e per di più seguita dalle note di The Times of My Life, premio
Oscar del 1988 per la migliore canzone originale) si attesterà probabilmente sul podio.  In quel momento cougar o Lolite siamo tutte Baby che, nascosta in un’ angolo lontano dagli sguardi del resto del mondo, viene strappata dall’anonima routine dall’ingresso con il chiodo di ordinanza del moderno (o quasi) principe azzurro, il muscoloso e dolce Johnny.

Cosa ha trasformato una moderna versione di Cenerentola in un mito intergenerazionale? Elementi semplici, piuttosto anche banali a voler essere onesti, ma non pretenziosi e soprattutto accompagnati da coreografie e musiche (che si ritrovano a teatro come vecchi amici) indimenticabili.

Era il 1963, prima che il presidente Kennedy venisse assassinato, prima ancora dell’avvento dei Beatles, l’America non aveva ancora perso la sua innocenza  e neppure Baby, o meglio Frances Houseman intelligente e ricca cocca di papà destinata ad una esperienza nei Peace Corp prima di una brillante carriera nelle istituzioni. Era quel breve periodo per cui per una ragazza non esistono altri uomini che il proprio padre. Ed è così anche per Baby, in vacanza con la famiglia, forse per l’ultima volta,  in un resort a Catskills Mountains, di quelli che solo gli americani possono capire e replicare (incredibile a dirsi ma negli usa esiste un festival dedicato a Dirty Dancing, con tanto di gara dei cocomeri e una location ispirata Catskills Mountains). A scompigliare le carte arriva Johnny Casttle, aitante istruttore di danza del centro vacanze con cui Baby scoprirà tutti i passi del proibiti del mambo e a
vincere le proprie paure.

“Una storia d’amore stanca e scontata tra due ragazzi  provenienti da due stile di vita differenti” era stato la dura recensione del Time all’indomani della prima, il 16 agosto del 1987.  A ventisette anni dal debutto è proprio il caso di dire che, ogni tanto, anche i grandi scivolano su una buccia di banana. Lo dimostra il pubblico che sera dopo sera riempie i teatri nel mondo, compreso finalmente anche il Barclays Teatro Nazionale di Milano.

Il film scritto da Eleanor Bergstein e diretto da Emile Ardolino,  era una produzione a basso costo, appena 5 milioni di dollari a budget (rispetto ad una media dell’epoca di 12 milioni), girato in poche settimane (un mese e mezzo) e destinato  a rimanere nei cinema per un week end, massimo due, prima di finire nel circuito dei video-noleggi e  poi approdare senza infamia o lode nei palinsesti delle tv commerciali (oggi le due-tre repliche annuali di Dirty Dancing fanno ancora il pienone in tv…persino le nonne rimangono incollate allo schermo). Difficilmente, almeno sulla carta, avrebbe fatto molta strada, privo oltretutto di grandi sponsor alle spalle: persino Clearsil si era tirata indietro a causa della scena di aborto illegale procurato a Penny (a teatro una incredibilmente brava e statuaria Federica Capra), insegnante di danza del resort (“suvvia signore…il Signore non vi avrebbe dato le tette se non avesse voluto farvele scuotereeeee”).

Passaparola dopo passaparola Dirty Dancing ha guadagnato già a pochi mesi dall’uscita del 1987 ben 170 milioni di dollari, è stato il film più noleggiato nel 1988, il primo a superare il milione di copie vendute in videocassetta (e continua su questi ritmi: un milione di dvd all’anno circa) e ha collezionato titoli e premi per ogni categoria. Dopo i riconoscimenti ufficiali (Oscar per la migliore canzone originale, Golden Globe sempre per la migliore canzone, e Grammy per il miglior duo pop, a quelli più originali come film preferito dalle donne, secondo un’indagine di Sky Movie nel 2007 ovvero ben vent’anni dopo l’uscita, alla frase più romantica (per il Daily Mail) mai pronunciata sul grande schermo (provate a indovinare quale … no, troppo semplice non si tratta di Baby nell’angolo, ma, per la cronaca, è quella con cui Baby convince Johnny ad andare oltre i passi di mambo: “ho paura che uscendo da questa stanza non sentirò più per tutto il resto della mia vita quello che sento ora con te”). Un vero e proprio show dei record, è proprio il caso di dirlo, con una colonna sonora da urlo (l’album è rimasto incollato alla prima posizione
del Billboard 200 per 18 settimane consecutive). Non solo:  un tour di concerti nel 1988, 90 città in tre mesi (all’epoca i musical erano di moda solo a Broadway e nel West End loninese), un sequel del 2004 (“Dirty Dancing 2: Havana Nights”), un video game e un reality in Gran Bretagna, oltre alle attuali rappresentazioni teatrali che hanno portato “Dirty Dancing -The Classic Story On Stage” fino al centro di Milano dopo Londra a New York.

E’  la magia di Dirty Dancing. Certo la trama non  è proprio originale e i dialoghi sono tutt’altro che brillanti …. eppure a teatro non c’è femmina che non reciti inevitabilmente ogni singola battuta insieme a Sara Santostasi. Ma nonostante la trama scontatissima, ognuno ha una sua scena preferita. A iniziare dall’ingresso di una Baby ancora imbranata e con i cocomeri in mano nella sala dove il personale dell’albergo si lancia in balli sensuali che tutti e tutte prima o poi abbiamo cercato di copiare. Dirty Dancing -The Classic Story On Stage è tutto questo…un musical semplicemente romantico che ripercorrendo il film scena dopo scena ci fa rivivere la magia del cult.

Da vedere quindi perché Dirty Dancing, dall’uscita cinematografica nell’agosto del 1987, è diventato un titolo cult entrato nella memoria collettiva  e capace di sbancare su ogni mercato ( 40 milioni di copie della colonna sonora vendute e, solo negli Stati Uniti, oltre 11 milioni di dvd).

Per assistere allo spettacolo c’è tempo fino al fino al 28 dicembre 2014. Prezzi da 21 euro esclusa prevendita.

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