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DRAGPENNY OPERA. Il ritorno delle Nina’s Drag Queens

Metti che ti trovi in un vecchio teatro, dove a calcare le scene – per chissà quanto tempo – è stata la polvere e nessun altro più; e metti pure che adesso ad abitarlo ci sono solo le storie che lo hanno animato – prima, però; e poi non più per chissà quanto tempo –. E metti che a un certo punto la storia di uno (anche uno qualsiasi, che poco o nulla aveva contato) prenda il sopravvento sulle altre storie (magari più strepitose e di gente che conta) e metti che questa storia di uno qualsiasi inizi a proiettare tra le quinte abbandonate e il sipario logoro le donne che nella vita ha incontrato. E metti, anche, che tutto si anima e prende vita, mentre le altolocate storie, che tacciono (e che continuano a tacere), sono costrette a vedere puttane e mendicanti e a sentire quello che hanno fatto e detto e quando è successo e come e perché… E, infine, metti pure che queste puttane e questi mendicanti – appartenenti alla storia di uno (che era) qualunque – ricevano applausi e abbiano successo e conquistino il tempo al punto che questo decide di tornare indietro e portare in vita storie e luoghi dimenticati, lasciando stupite e a bocca aperta le storie dei ben pensanti e di tutta quella gente che chissà che cosa credeva di essere.

E se metti tutto questo, hai il DRAGPENNY OPERA delle Nina’s, che si fanno esse stesse (o lo sono di loro?) metafora e allegoria nella riscrittura del The Beggar’s Opera di John Gay.

È l’alba. Nel cortile di un carcere, sotto il patibolo, si danno ritrovo alcune figure. Attendono l’esecuzione capitale del bandito Macheath. Sono le donne della sua vita. Saranno loro a raccontare questa storia: dalle nozze segrete di Macheath con Polly, regina dei mendicanti, agli incontri con l’amante, che batte, per giungere al momento dell’esecuzione, al giudizio finale… e forse ad un imprevisto: a quel qualcosa che capita quando nemmeno te lo aspetti.

The Beggar’s Opera di John Gay (1728) nasce come scrittura polemica e parodistica nei riguardi di un certo teatro lirico dell’epoca fatto di improbabili soggetti, messe in scena pompose e spettacoli che vogliono seguire le mode. Contro tutto questo va l’Opera di J. Gay, determinato a rompere gli schemi, a mostrare l’altro lato (quello vero e verace) del mondo e a esprimersi liberamente e in maniera tanto originale quanto anticonformista.

Di qui, la scelta delle Nina’s; di qui il DRAGPENNY OPERA.

John Gay miscelava la musica colta e la canzone da osteria, la presa in giro del “gran teatro”, la satira più nera, e soprattutto adattava canzoni già note al pubblico, fossero ballate o arie d’opera. Allo stesso modo, le Nina’s Drag Queens attingono al repertorio della musica contemporanea, reinventando (grazie alle composizioni originali di Diego Mingolla) alcuni riferimenti dell’immaginario pop che ci circonda. E lo fanno con la stessa allegra ferocia messa in campo da Gay, sotto il segno di un umorismo amaro e politicamente scorretto.

TEATRO ELFO PUCCINI

3 – 8 novembre, sala Shakespeare

DRAGPENNY OPERA
liberamente ispirato a The Beggar’s Opera di John Gay
regia Sax Nicosia
con Alessio Calciolari, Gianluca Di Lauro, Stefano Orlandi, Lorenzo Piccolo, Ulisse Romanò
drammaturgia Lorenzo Piccolo
costumi Gianluca Falaschi
scene Nathalie Deana
coreografia Alessio Calciolari
musiche originali Diego Mingolla
produzione Nina’s Drag Queens

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