Edoardo Sylos Labini rivive la Grande Guerra al Manzoni
di Giuliana Tonini – Dopo l’anteprima al Teatro Sociale di Busto Arsizio, il 22 ottobre è andato in scena in prima nazionale, al Teatro Manzoni di Milano, lo spettacolo ‘La Grande Guerra di Mario’, liberamente ispirato al capolavoro cinematografico di Mario Monicelli ‘La Grande Guerra’.
La regia è di Edoardo Sylos Labini – che è anche l’attore protagonista assieme a Debora Caprioglio – su drammaturgia di Angelo Crespi. L’allestimento è co-prodotto dalle eccellenze di Busto Arsizio B.A. Film Festival, prestigioso festival cinematografico giunto quest’anno alla tredicesima edizione, e dall’Istituto Cinematografico Michelangelo Antonioni, accademia del cinema nata nel 2008 con l’obbiettivo di essere una fucina per forgiare i futuri attori e registi di successo. In scena al Manzoni fino all’8 novembre, il debutto dello spettacolo è stato accompagnato, prima dell’apertura del sipario, da una sentita esibizione della Fanfara dei Bersaglieri nel foyer del teatro.
In occasione dei cento anni dall’entrata in guerra dell’Italia, il poliedrico e apprezzatissimo attore Edoardo Sylos Labini – che, di recente, ha dato corpo e voce sul palco a personaggi della nostra Storia come il Vate Gabriele d’Annunzio e l’imperatore romano Nerone – dà vita al fante di trincea Mario Rossi. La Grande Guerra di Mario è, sì, liberamente ispirato al gioiello di Mario Monicelli, ma, dalla prima all’ultima scena, sviluppa una sua propria personalità nel delineare la figura dell’italiano medio che non ha voluto la guerra per cui è costretto a combattere e che più di una volta viene tentato dall’evitare il rischio e dalla diserzione. E che invece, inaspettatamente, non esita a comportarsi in extremis da eroe, quando sente dentro di sé che la Patria che è stato chiamato a difendere contro voglia non è quell’ideale astratto e inculcato di cui si riempie la bocca il Capitano suo superiore, che ottusamente giustifica la guerra e le sue logiche spietate (lo spettatore però scoprirà che anche dietro la durezza del rigido Capitano si cela un dramma); ma la Patria da difendere sono i compagni di trincea che, all’alba dell’indomani, dovranno affrontare uno di quegli assalti dai quali difficilmente si torna indietro, e la donna di cui si rende conto che, se la guerra non avesse deciso diversamente, avrebbe potuto innamorarsi e con cui avrebbe potuto costruire una vita.
Non è un caso che i personaggi dei soldati abbiano nomi come Mario Rossi, Ambrogio e Gennaro, che personificano l’uomo medio, brianzolo, napoletano oppure, come appunto Mario Rossi, l’archetipo dell’Italiano. La Grande Guerra di Mario – come il film di Monicelli e tutta la drammaturgia di genere bellico – ci sbatte in faccia le vite stravolte e in bilico di persone che, come tutti noi, avevano una vita e un lavoro normale, talvolta anche una piccola proprietà, come la cascina di Ambrogio, e che sono stati mandati in mezzo al fango delle trincee e dei campi di battaglia, con la consapevolezza che ogni giorno avrebbe potuto essere l’ultimo della loro vita. E ci mostra le vite non certo serene di chi è rimasto a casa, come Adalgisa, vedova di guerra (il marito è morto durante il suo primo assalto di sfondamento), che si trova a dovere fare la prostituta.
Durante lo spettacolo si riflette e ci si commuove, ma si riesce anche a sorridere, sdrammatizzando la tragedia secondo i canoni della migliore commedia all’italiana, di cui Monicelli è stato uno dei grandi maestri.
Da applausi tutti gli attori in scena. Edoardo Sylos Labini, che riesce a farci identificare nel suo Mario Rossi; Debora Caprioglio, brava e intensa nel fondere nella sua recitazione i tratti di commedia e di tragedia del suo personaggio; Gualtiero Scola e Francesco Maria Cordella, i compagni di trincea Ambrogio e Gennaro; Marco Prosperini, il capitano Corti; Giancarlo Condè, lo spietato ufficiale austriaco. E, ultimi ma assolutamente non ultimi, i componenti di unQuartettoParticolare, Francesco Bossi, Federico Pinardi Faletti, Giacomo Giannangeli e Marco Cusenza, che, nell’ambito dell’azione teatrale e nel ruolo di soldati in trincea, interpretano dal vivo celeberrime canzoni del tempo di guerra, tra cui La Canzone del Piave, Tapum e La Tradotta, la canzone che ci racconta del treno adibito al trasporto dei soldati, che ormai non fa più fermate e va diretto al Piave, cimitero della gioventù.
Cento di questi spettacoli, per noi che abbiamo la fortuna di essere nati e di vivere in un’Europa in pace da settant’anni, cosa mai successa prima d’ora. Per noi per cui le guerre avvengono solo in Paesi lontani e dai cui orrori la gente cerca di fuggire, venendo a bussare alle porte dei nostri tranquilli Paesi. Per noi che corriamo a prendere l’ultimo modello di iPhone appena esce sul mercato altrimenti, se non l’abbiamo, può anche darsi di sentirci sfigati, è sempre un bene quando qualcuno ci ricorda che solo cento anni fa – sì, solo cento, perché la Storia insanguinata del nostro Continente è lunga parecchi secoli – ognuno di noi avrebbe potuto essere Mario, Ambrogio, Gennaro o Adalgisa, o uno di quegli adolescenti spediti al fronte, uno dei ragazzi del ’99.
DOVE, COME, QUANDO
A Milano, al Teatro Manzoni dal 22 ottobre all’8 novembre 2015
Orari: feriali 20,45 – domenica ore 15,30
Biglietti: da 23,00 euro. Giovani fino a 26 anni, 15,00 euro.