Gli Uccelli di Aristofane al teatro Menotti: in scena la Nubicuculia di Emilio Russo

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di zZz – Resta, ormai, poco tempo prima che la città degli Uccelli (Nubicuculia) chiuda i suoi battenti. Venite ad abitare tra le nuvole: a metà strada tra la terra degli uomini (corrotta) e il cielo degli dèi (distratto). Basta seguire il verso dell’Upupa (o dell’allodola, o magari dell’usignolo…) e varcherete le porte del non-luogo felice (forse) e godrete di ali e sentirete dolci melodie e camminerete al ritmo di Bodhran. Cercate una nuova patria? Una nuova carta d’identità?  Ebbene, Nubicuculia ve la darà: bastano solo 120 minuti – intervallo compreso – per entrare nel misterioso universo ri-creato da Emilio Russo, che ha sapientemente “riscritto”, con (e per) i suoi attori (tutti giovani e davvero bravi), la commedia di Aristofane, rendendo ancora attuale un testo del quinto secolo a.C. Ma solo chi è in grado di cogliere gli ultrasuoni durante lo spettacolo sentirà il sussurro allusivo ai nostri tempi; un riferimento sottile che fa giustamente a meno delle retoriche pompose sullo ‘straniero’ e sui miti della politica attuale. Tutto è trattato con la giusta leggerezza: con quella ironia e con quel garbo di cui Aristofane fu maestro grande, irriverente e cinico. Non è facile – diciamolo – mettere in scena una tragedia e una commedia antica in un teatro ‘chiuso’; non è facile ammaliare il pubblico senza una scenografia naturale, quale invece può offrire un teatro greco o un sito archeologico. Eppure, Emilio Russo ci è riuscito, senza strafare e senza grandi ‘arredamenti’, ma interpretando bene lo spirito dell’opera originale. È bastata una gradinata in legno per richiamare i teatri antichi; è bastato sfruttare i diversi livelli (alto/basso) per enfatizzare i conflitti tra i personaggi e per creare l’illusione di altre dimensioni poste al di sopra e al di sotto del palcoscenico; è bastato un gruppo di attori ‘vivi’ e ‘naturali’ per riportare alla luce (con il bel contributo delle ombre della compagnia “Controluce”) la storia, il viaggio e il progetto dei due ateniesi fuoriusciti dalla loro città (Pisetero ed Evelpide). Peccato – ma è comprensibile – che il numero degli attori sia ridotto al minimo indispensabile; peccato non aver potuto vedere sulla scena un coro di uccelli più consistente. Peccato davvero perché, anche se formato da pochi elementi, il coro è stato proprio ben diretto: una bella sorpresa degna di nota per i movimenti, la forza, il ritmo e la coordinazione degli attori (anzi, delle attrici in questo caso: tutte giovani, quasi tutte abbastanza brave e ben vestite da Pamela Aicardi). Un bel coro davvero, dunque. Il che non è cosa da poco. Una delle difficoltà da affrontare quando si mette in scena una commedia o una tragedia greca è costituita sicuramente dal coro; ma Emilio Russo ha trovato un’ottima soluzione gradevole alla vista e all’udito. La seconda difficoltà riguarda gli dèi. E in questo la scelta delle maschere non mi è piaciuta. Forse si è trattato di una scelta obbligata perché gli attori erano pochi (e un attore doveva interpretare due o tre parti); in ogni caso, mi sarei aspettato una soluzione diversa, soprattutto perché lo spettacolo è di qualità e il gran lavoro fatto dagli attori e dal regista si vede tutto… ed è degno di essere visto e applaudito.  

Gli Uccelli di Aristofane al Teatro Menotti dal 17 gennaio al 3 febbraio 2019

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