Intervista a Renzo Martinelli. “Ustica: vi racconto cosa ho scoperto”

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di Elisa Pedini – L’idea dell’intervista diretta al regista nasce dalla volontà di dare al pubblico una visione completa d’un film, dunque, non solo con l’occhio della critica, che riporta certi aspetti tecnici e le impressioni emotive che ho ricevuto nel momento in cui ho assistito alla proiezione; ma anche dal punto di vista di chi lo ha pensato e realizzato. Renzo Martinelli è un regista italiano, profondamente impegnato nella realtà della nostra terra e dei misteri, che, purtroppo, costellano le nostre cronache. Renzo Martinelli è un uomo di grande sensibilità e cultura, che non si ferma alle apparenze e usa la telecamera come strumento per vivisezionare la verità e il cinema come mezzo di divulgazione. Il suo desiderio di verità, il suo occhio clinico e la sua mente indagatrice li avevamo già apprezzati in film del valore di “Vajont”, o “Piazza delle Cinque Lune”. Ma, ora, lascio a lui, Renzo Martinelli, la parola, per parlarci di “Ustica”:

D: “Interessante la tematica scelta, che, peraltro, è tornata fortemente in auge proprio ultimamente. Hai affrontato: una mole di materiale informativo immensa e frammentaria, le migliaia di pagine dell’istruttoria, problemi economici e di produzione e tutto per realizzare questo film. Cosa ha determinato la scelta del soggetto? Qual è stato il fattore scatenante?”

R: “È il film che sceglie il regista e non il contrario, secondo me. Per esempio, mi trovavo a Erto per dei sopralluoghi per fare un film sui partigiani, quando arrivò un uomo in canottiera e bandana, era Mauro Corona. Mi parlò del disastro del Vajont. Mi portò nella sua bottega e mi diede anche un libro “Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont.” (scritto nel 1963, solo nel 1983 un editore fu disposto a pubblicarlo, n.d.r.) di Tina Merlin, una giornalista che pubblicò moltissimi articoli per avvisare che la diga era pericolosa e che avrebbe causato la frana del monte Toc. Restò inascoltata (fu addirittura denunciata e processata per falso allarmismo, n.d.r.). Il monte franò. Perirono circa duemila persone. Così nacque il film “Vajont”. Per “Ustica” è accaduta la stessa cosa: il film ha trovato me. Due miei amici, ingegneri aeronautici, che sono poi quelli che mi hanno supportato per tutta la produzione, mi dissero che avevano molto materiale su Ustica. Lessi anche tutti i quotidiani che, a ridosso della strage, parlarono di collisione in volo. Ma, quattro giorni dopo, i servizi segreti erano già intervenuti mettendo in moto la cosiddetta “macchina della disinformazione”: ovvero, vennero avanzate tali e tante altre ipotesi che le acque si confusero completamente. Approfondii leggendomi tutti gli atti. Il film si basa su tutte testimonianze reali e spero che lo spunto venga raccolto da qualche magistrato per riaprire il caso.

D: “Tra fiction e realtà. Tutte le vicende private dei personaggi sono fiction?

R: “Il personaggio di Caterina Murino, Roberta Bellodi, è tratto da una persona esistente. Nella realtà è un papà, che ha perso la sua bambina nella tragedia. La sua piccola nuotava molto bene e lui s’è recato ogni giorno alla spiaggia, sperando di vederla tornare. Per tutela della sua privacy, ovviamente, il personaggio è stato cambiato. Il ruolo che interpreta Lubna Azbal, Valja, è totalmente inventato, serviva un testimone che andasse sul posto e vedesse cos’era accaduto. Il personaggio di Marco Leonardi, l’onorevole Corrado di Acquaformosa, è ugualmente di fantasia: serviva un uomo delle istituzioni che facesse da tramite tra Roma e il testimone.

D: “Relativamente al MIG-23: la fiction mette il ritrovamento del relitto e la ricerca della verità nelle mani d’una donna albanese. Come mai questa scelta?”

R: “Come si dice in gergo cinematografico, Valja nasconde dentro di sé un “fantasma”: ovvero, è il personaggio che da la motivazione personale. Lei ha avuto un’esperienza forte nella sua vita che l’ha condizionata, da cui, la sua reazione davanti alla strage. Relativamente alla scelta della nazionalità non c’è un motivo particolare. Semplicemente, a quei tempi, c’erano molte colonie albanesi in Calabria di gente che veniva a lavorare, quindi, la presenza della popolazione era molto alta.

D: “Il messaggio che viene ritrovato nel film: da dove nasce?”

R: “Dagli atti dell’istruttoria. Il messaggio è vero. Rosario Priore mette agli atti che venne ritrovata una carta aeronautica, tutta bruciacchiata, sulla quale si trovava un messaggio in arabo. Sempre agli atti viene riportata la convocazione d’un siriano nell’ufficio del generale Zeno Tascio (all’epoca dei fatti a capo del SIOS, i servizi segreti dell’aeronautica militare italiana, articoli reperibili on line n.d.r.) proprio per tradurre questo messaggio. Le parole che riporto nel film sono quelle degli atti. Il generale Tascio ritrattò tutto e il messaggio andò perduto. Infatti, all’estero, il film uscirà come “The missing paper” proprio perché, per il pubblico non-italiano, dare per titolo “Ustica” non avrebbe senso.

D: “Nella fiction abbiamo da un lato una Ragion di Stato, o meglio, una “ragion d’interesse” e dei militari sprezzanti e anche violenti, basti pensare alla reazione del soldato all’arrivo di Valja a Timpa delle Magare; dall’altro lato un militare libico con una coscienza e un’albanese che mette in gioco la sua vita per cercare la verità. Gli italiani, o tacciono, o intimano al silenzio, o agiscono su sprone esterno; ma di fatto, mai su iniziativa personale. Che lettura sottende tutto questo?”

R: “Si, Ustica è stata tutta una questione di ragion di stato. Due erano le grandi vergogne da tacere: la prima che, nonostante l’embargo americano, l’Italia permetteva il passaggio degli aerei libici usando aerei di linea italiani come scudo, la seconda che era accidentalmente implicato un aereo americano nella caduta del DC-9.
Relativamente agli italiani la visione è realistica. Oggi, il nostro, è divenuto un popolo d’opportunisti. Non c’è più indignazione. Non c’è più il senso della memoria. Si vive un hic et nunc che blocca l’azione. S’è perduto il passato e per conseguenza anche il futuro. A tal proposito è molto significativo un proverbio arabo, che cito: «Gli uomini somigliano più al loro tempo, che ai loro padri».

D: “Passiamo alla regia pura: veramente intensa, realistica, pregnante. Le scene di volo, in particolare, mi hanno davvero affascinata e so che hanno richiesto tre anni di duro lavoro in stretta collaborazione con due ingegneri aeronautici. Puoi spiegare al pubblico questo lavoro?”

R: “Certamente! Tutto il materiale doveva essere convertito in linguaggio cinematografico e soprattutto, doveva restare dentro tempi tollerabili dal pubblico. In questo caso abbiamo contenuto tutto in 104 minuti. Inoltre, il budget, già scarno, doveva essere rispettato. Le immagini digitali costano tantissimo e sono minime nel film. Le riprese sono tutte reali: del mare, delle montagne, delle nuvole e dei paesaggi. Le riprese nei velivoli sono tutte fatte dentro aerei veri, incluso un vero MIG-23. Quello che ho ricreato è una visione in soggettiva che desse allo spettatore gli occhi del pilota. Il sonoro, poi, amo curarlo moltissimo e gioca la sua parte nel dare il senso della verosimiglianza. Il suono deve essere avvolgente e totalizzante. Inoltre, distribuisco i suoni in maniera tale che seguano esattamente quello che avviene nella scena che lo spettatore sta guardando. Infine, la sceneggiatura poggia su tre passi fondamentali: il “set-up”, dove vengono presentati il protagonista, l’antagonista e la posta in gioco; la “zona centrale”, dove si sviluppano le vicende e la “conclusione”. La forza di “Ustica” è che ha un set-up molto rapido: in pochi minuti lo spettatore è completamente dentro alla storia.

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