“Minchia signor tenente” da Faletti a Grosso
“Minchia signor tenente” è una commedia che racconta l’incontro tra l’Italia che c’è e quella che avremmo voluto avere. Un tema oggi più che mai attuale. Cinque carabinieri, un tenente e la mafia che li circonda… questa potrebbe sembrare la classica storia del cattivo e dei buoni in cui il bene vince sempre… invece no… Lo spettacolo rappresenta quell’Italia che tante volte ci ha fatto soffrire, ridere, piangere e sperare…dove la riflessione si accompagna al sorriso e al racconto degli ultimi, degli eroi minori che troppo spesso fanno la storia e ne sono dimenticati. Dopo 300 repliche in dieci anni lo spettacolo si avvia a dare il suo arrivederci al pubblico …per ritrovarlo quanto prima al cinema. Un’occasione quindi da non lanciarsi sfuggire.
“Minchia signor tenente”, opera prima di Antonio Grosso e diretto da Nicola Pistoia, è in scena al Teatro San Babila di Milano dal 20 al 25 marzo e vede tra i suoi protagonisti oltre allo stesso Grosso, anche Gaspare Di Stefano Alessandra Falanga, Francesco Nannarelli, Antonello Pascale, Francesco Stella, Ariele Vincenti e Natale Russo.
Sicilia “isola, isola bella” come la definisce lo spettacolo in apertura, terra di contraddizioni in un anno, per di più esemplare, il 1992, l’anno delle stragi di mafia. In un piccolo paesino dell’isola c’è una caserma dei carabinieri, posta sul cucuzzolo di una montagna. I nostri militari, ognuno proveniente da una diversa regione italiana, affrontano la quotidianità del paesino, dove la cosa che turba di più la gente del posto è il ladro di galline: una volpe. Tra sfottò e paradossi, un matto che denuncia continuamente cose impossibili e situazioni personali, i ragazzi si sentono parte di una famiglia, un’unica famiglia. L’arrivo di un tenente destabilizzerà l’unione dei cinque carabinieri. “Minchia Signor Tenente” racconta la quotidianità, lenta, a volte divertente, interrotta da un importante evento.”Minchia Signor Tenente” è l’espressione amara, quasi sussurrata tra i denti perché “urlarla perché significherebbe insubordinazione”, ma che, allo stesso tempo, esce dal cuore. Non n dirla significherebbe arrendersi al male. “Ho cercato di rappresentare al massimo il rapporto di quotidianità che un gruppo di carabinieri ha dovuto affrontare durante gli anni in cui il nostro paese era devastato dalla furia omicida della mafia. Come può reagire una piccola caserma in un piccolo paese dopo l’uccisione di Cassarà, Dalla Chiesa, Falcone? “Minchia Signor Tenente”, non è il solito spettacolo in cui si cerca di raccontare le storie dei protagonisti della guerra di mafia. Ma è semplicemente parlare in modo leggero, addirittura comico, di un argomento che è stato per anni il cancro della nostra società”.
Nicola Pistoia rappresenta rapporto di quotidianità che accompagna i cinque militari sembrano non accorgersi della guerra di mafia che perversa nel Paese, di cui arrivano solo delle notizie fugaci, ma la loro terra sembra uno stato nello stato, in cui tutto ciò non può succedere, in cui tutto ciò è solo fantasia. Ma quando ci si alza dalla poltrona si realizza che forse il racconto andato in scena non riguarda solo il passato. “La mafia prima era presente con bombe, attentati e omicidi: oggi tutto questo non c’è più, ed oggi che si presenta silenziosa e sembra essere sconfitta, proprio oggi la mafia è a mio avviso più pericolosa che mai” sosteneva infatti Grosso presentando lo spettacolo.
Il titolo dello spettacolo richiama apertamente “Signor tenente” presentata a Sanremo da Giorgio Faletti nel 1994 in cui l’autore (ex comico di Drive in e in seguito apprezzato scrittore) denunciava al pubblico nazional-popolare del Festival, abituato a ben altri temi (“sole, cuore e amore ” cantavano per la’ppunto anni dopo), le stragi di mafia e la sotto valutazione del ruolo dei carabinieri come argine della legalità nel Paese.
“…Minchia signor tenente e siamo qui con queste divise
Che tante volte ci vanno strette
Specie da quando sono derise da un umorismo di barzellette
E siamo stanchi di sopportare quel che succede in questo paese
Dove ci tocca farci ammazzare per poco più di un milione al mese
E c’è una cosa qui nella gola, una che proprio non ci va giù
E farla scendere è una parola
Se chi ci ammazza prende di più di quel che prende la brava gente”
Giorgio Faletti – 1994
Grosso, in merito raccontava qualche tempo fa “Era l’anno 1994,il Festival di Sanremo era arrivato quasi alla fine, Pippo Baudo aveva la busta con il nome del vincitore, erano rimasti in due: Aleandro Baldi con il brano “Passerà” e Giorgio Faletti con “Signor Tenente”. Ricordo gli occhi di mio padre fissi che penetravano il televisore. Papà disse “Se vince Faletti, L’Italia cambia…” Faletti non vinse e L’Italia rimase sempre quello che era e che è…la patria dei “rifugiati”. Io figlio di un ex maresciallo dei carabinieri ho provato forse, dopo un po’ di anni, quella sensazione che mio padre provò allora. Da bambino io vivevo nel terrore, quando ascoltavo la radio, oppure guardavo la televisione e vedevo parlare di carabinieri, poliziotti che a “causa” soltanto del loro lavoro, venivano ammazzati senza alcuna pietà. La mia paura era che mio padre avesse dovuto fare lo stesso lavoro dei suoi colleghi morti ammazzati. Intanto il tempo è passato e qualche anno fa, per caso, ho riascoltato il brano “Signor Tenente” alla radio, improvvisamente la paura e la voglia di reagire sono contemporaneamente riemersi e non avendo altro strumento che la scrittura, ho elaborato lo spettacolo “Minchia Signor Tenente”. C