Simbolismo: inquietudine, fascino e sperimentazione nell’arte europea tra ottocento e Novecento
E’ un tempio la Natura ove viventi
pilastri a volte confuse parole
mandano fuori; la attraversa l’uomo
tra foreste di simboli dagli occhi
familiari. I profumi e i colori
e i suoni si rispondono come echi
lunghi che di lontano si confondono
in unità profonda e tenebrosa,
vasta come la notte ed il chiarore.
di Emanuele Domenico Vicini – Con queste parole si apre Corrispondences, uno dei testi chiave dei Fiori del Male, raccolta poetica del 1854 di Charles Baudelaire, nonché uno dei punti di riferimento della cultura simbolista europea, nel passaggio tra XIX e XX secolo.
La natura, luogo di forme reali e di suggestioni spirituali, non è più solo spazio per l’esercizio delle facoltà razionali dell’uomo, non può più solo accogliere lo spirito indagatore, di scoperta, di invenzione, dell’intellettuale che nella scienza ripone ogni fiducia; essa diventa al contrario luogo dell’indistinto, tempio dove albergano forze spirituali profonde e arcane. Le sue parole sono confuse, i segni che ci invia non possono che affascinarci e confonderci allo stesso tempo, perché stimolano i nostri sensi.
La metafora del mondo è la sintesi di profumi e colori che si confondono in un’unità vasta e profonda come la notte e come la luce.
Sinestesie, contraddizioni logiche, suggestioni arazionali sono i tratti tipici dell’immaginario simbolista, nella poesia di Baudelaire espressi con il fascino di una sintesi verbale potente e immaginifica.
Questi, d’altra parte, sono i temi della cultura simbolista, raccontati anche dalla pittura con indubbia efficacia espressiva. E questi sono i percorsi della mostra milanese “Simbolismo”, a Palazzo Reale fino al 5 giugno 2016.
Non è facile raccogliere in un’esposizione compatta e unitaria le fila di un movimento così eterogeneo: a Milano sono esposti artisti molto lontani tra loro, con opere di grande interesse: dalla straordinaria donna ghepardo della Sfinge di Fernand Khnopff; alla Testa di Orfeo galleggiante sull’acqua di Jean Delville (provenienti dal Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles); o ancora dall’opera di Ferdinand Hodler, intitolata l’Eletto (dall’Osthaus Museum di Hagen), al Silenzio della foresta di Arnold Böcklin (dalla Galleria Nazionale di Poznan).
Non dimentichiamo però gli italiani, come Aristide Sartorio presente con l’imponente ciclo pittorico Il poema della vita umana, realizzato per la Biennale del 1907, la stessa dove venne allestita la famosa Sala dell’Arte del Sogno che ha rappresentato la consacrazione ufficiale del Simbolismo in Italia.
È quindi decisamente interessante percorrere le sale della mostra, molto ben allestite, con luce soffusa e intrigante, accompagnati dalle parole di Baudelaire e dei suoi Fiori del male, dipinte alle pareti, per introdurre il visitatore nei diversi temi del percorso. Si coglie, nella messe di pittori, temi e tecniche presenti (da echi tardo romantici a suggestioni post impressioniste, da elegantissime citazioni di sfumature leonardesche ai tecnicismo del divisionismo all’italiana) prima di tutto la complessità dei movimento, e in particolare la sofisticata scelta tematica che spesso torna al mito classico.
È il caso di uno dei pezzi più famosi in mostra, giustamente scelto come immagine dell’evento, L’arte o La Sfinge o Le carezze, di Fernand Khnopff. Un Edipo efebico viene dolcemente accarezzato dal un ghepardo, mollemente adagiato al suo fianco, con il volto femminile della sfinge.
I due personaggi sono l’emblema dell’ambiguità (l’androginia di Edipo e la duplice natura umana e felina della Sfinge) come cifra fondamentale dell’esistenza stessa, ma nello specifico come carattere proprio di ogni forma di comunicazione.
Edipo comunica il mistero risolto, ma non provoca la sconfitta e il suicidio della sfinge, la quale, al contrario, lo coccola e lo blandisce, insinuando il dubbio che Edipo non si sia ancora liberato (né mai si libererà) dalle maglie invisibili della seduzione dell’enigma. Per questo Edipo accetta l’insidiosa carezza di lei, dimostrando che la condizione del dubbio e dell’incertezza suscitano sull’uomo un fascino ineguagliabile e inesplicabile.
Assolutamente meritevoli sono gli italiani in mostra, il già citato Sartorio, Gaetano Previati e Giovanni Segantini.
Di Previati dominano alcune opere meno note, come Il chiaro di Luna, dove le lumeggiature argentee, sui toni cupi della notte, sono capaci di creare un effetto sognante e quasi mistico. Non dimentichiamo però il Trittico dell’Eroe, molto famoso, che apre, con la sua relazione con la Sinfonia Eroica di Beethoven, il tema del Gesamkunstwerk, l’opera d’arte totale. L’eroe è celebrato con un ritmo solenne e sacro dal tocco divisionista del pittore, ricordando così l’andamento imponente della sinfonia. Nel mondo simbolista, l’ispirazione artistica è trasversale, passa dalla musica alla pittura, e viceversa, come espressione prima di tutto di un’idea di bellezza superiore, non tanto destinata alla percezione dei sensi, quanto dell’intelletto nella sua superiore capacità intuitiva.
Tra i temi che spiccano per la loro potenza evocativa va ancora citato quello della figura femminile, rivisitata nella sua immagine da molti artisti. Il più affascinante esempio è decisamente Il Peccato (qui esposto nella versione abitualmente a Palermo), di Franz Von Stuck, cofondatore del movimento della Secessione di Monaco, che apre la strada alla cultura simbolista in Germania.
La sua Eva, avvolta della spire del serpente, ci guarda con inquieto e spregiudicato erotismo; il rettile non simboleggia più solo l’abiezione del male, ma prima di tutto il suo fascino perverso e ammaliante. Quasi come la stola di una nobildonna, le squame lucide della bestia circondano il corpo nudo di Eva, sicura di sé, nella posa eretta e nello sguardo. Eva di Von Stuck, come Elena Muti di D’Annunzio, o le donne vampiro di Munch, è l’emblema di quel processo di rinnovamento della figura femminile che segna l’inizio della modernità del XX secolo.
SIMBOLISMO
Palazzo Reale – Milano
fino al 5 giugno 2016