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Bruno Biondi e il fascino delle sue stanze verticali

Siamo sballottati dalla vita odierna come se fosse un caos, quindi arriviamo a sera e cerchiamo una tranquillità, un appiglio. La linea verticale è trovare se stessi in una serenità stabile” – Bruno Biondi

di Federico Poni – “Le Stanze Verticali” è una mostra personale dell’artista Bruno Biondi, curata da Massimiliano Binazza, in esposizione presso la galleria Statuto13.

I dipinti dell’artista si basano su tre colori, il nero, il grigio ed il bianco, colori freddi che, con le diverse tecniche usate, sembrano prendere parola e creare una sensazione che si può percepire con tutti i sensi.

La particolarità delle composizioni è la verticalità: una richiesta di salvataggio dal buio grazie alla luce, tema principale delle serie di Biondi. Inoltre l’artista lavora sulle tecniche di scavo, taglio del legno, della tela o del cartone, che richiamano una caduta, una non accettazione, quasi un odio, della società.

Qualche volta, però, troviamo anche dei dipinti bianchi, casti, puri: la salvezza è arrivata anche se rimane sempre una “ferita”, rappresentata da un taglio o uno scavo nel cartone.

Il cartone ondulato, oltre ad essere il nome di una serie, è un materiale scelto spesso da Biondi: lucido e omogeneo sulle contrapposte facce che sono però tenute insieme da onde. Queste onde, secondo l’artista, rappresentano, allo stesso tempo, ordine e disperazione, un silenzioso urlo di dolore.

A contrasto con i dipinti bianchi se ne trova uno completamente nero, senza altre tonalità, con due nette linee scavate: una strada senza uscita, un’imperfezione voluta, come un segno di autocritica.

La maggior parte delle opere sono suddivise in due parti, una più cupa e una più chiara, con in mezzo la fatidica linea: un bipolarismo formato da sofferenza e speranza in cui l’artista è completamente perso, immerso in un mare colmo di odio.

Queste sensazioni melanconiche sono idealmente riassumibili nel concetto schopenhaueriano del pendolo: un continuo alternarsi di totale dolore e, in questo caso, di una costante minima speranza: un “memento mori” astratto.

Il minimo comune denominatore delle opere, quindi, sono le linee verticali, che fungono da specchio, in primis, per l’artista ma anche per gli individui della nostra odierna società. Una, due o tre linee: delle pseudo strade opache, ruvide o lisce, brevi o lunghe che richiamano sempre un’autobiografia del momento.

Bruno – come lo descrive il curatore della mostra – è riflessivo, profondo, dallo sguardo impenetrabile. Le sue opere sono una via per esorcizzare le sue paure, i suoi fantasmi inconsci”.

Le Stanze Verticali sono quindi dei luoghi onirici che dominano la mente ma che l’artista desidera poter dominare, “come se personificassero il luogo dove un regista teatrale/l’artista riesce a scrutare da dietro la quinta scenica, a regolare, a dirigere e infine a decidere quale sarà la trama, quale sarà il finale”.

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Le Stanze Verticali – Mostra personale di Bruno Biondi

Galleria d’Arte Contemporanea Statuto13
Via Statuto, 13 (corte int.) – 20121 Milano

In mostra fino al 24 gennaio 2017
Apertura al pubblico: ore 11-19 da martedì a sabato




“ROBERTO BOLLE. L’ARTE DELLA DANZA” – VERSO UN NUOVO ”RINASCIMENTO”

di Elisa Pedini – In sala ancora per due date: stasera 22 e domani 23 novembre, il film “ROBERTO BOLLE. L’ARTE DELLA DANZA”, a cura di Francesca Pedroni. Tutte le sale su www.nexodigital.it. Un tour formidabile ed entusiasmante alla scoperta delle grandi interpretazioni di Roberto Bolle, attraverso immagini esclusive, dal palcoscenico e dal backstage, degli spettacoli del suo gala “Bolle and Friends” in tre luoghi simbolo del patrimonio culturale italiano: l’Arena di Verona, il Teatro Grande di Pompei, le Terme di Caracalla a Roma. Una pellicola che trasuda la passione, la determinazione, la fatica, la gioia del protagonista e dei suoi compagni d’avventura: dieci eccezionali danzatori di tutto il mondo scelti dallo stesso Bolle per avvicinare la danza a un pubblico di migliaia di spettatori: Nicoletta Manni, del Teatro alla Scala, Melissa Hamilton, Eric Underwood, Matthew Golding del Royal Ballet di Londra, i gemelli Jiři e Otto Bubeníček, rispettivamente del Semperoper Ballet di Dresda e dell’Hamburg Ballett, Anna Tsygankova del Dutch National Ballet di Amsterdam, Maria Kochetkova e Joan Boada del San Francisco Ballet, Alexandre Riabko dell’Hamburg Ballett. Un film che è, sicuramente, dedicato agli appassionati di danza, ai fans di Roberto Bolle, ma anche e soprattutto, dedicato a un’italianità da riscoprire ed esaltare. La nostra Étoile sottolinea, infatti, la sua missione: in questo momento di crisi profonda, bisogna ripartire dalla bellezza, intesa come arte, cultura e patrimonio artistico, «un nuovo Rinascimento italiano», lo definisce. L’immagine è quanto meno affascinante e aulica. Per questo, aggiunge Bolle, il suo obiettivo è quello di portare la maestosità effimera della danza nell’eternità di luoghi di bellezza, che esistono da duemila anni. «È come ballare fuori dal tempo e dallo spazio» spiega. Devo ammettere che, veder danzare Roberto Bolle, con la sua figura maestosa, apollinea, principesca, capace di trasmettere emozioni persino attraverso il grande schermo, all’interno di imponenti cornici storiche di valenza mondiale, è un’esperienza davvero impattante. L’estasi che prova lo spettatore è la stessa che ci comunicano i ballerini, per i quali, il ballare fra gli scavi archeologici di Pompei è stata «un’esperienza unica nella vita». Inoltre, ci parlano delle Terme di Caracalla come d’un luogo magico, da cui si sprigiona un’energia speciale, che entra dentro e si riverbera nella danza. Infine, l’imponente Arena di Verona, simbolo della cultura e dell’arte italiane in tutto il mondo, in grado di far vivere un entusiasmo collettivo in una potenza, corporea ed emotiva, unica. Tanta spettacolare bellezza umana e monumentale non può, naturalmente, lasciare indifferenti. Mi sono sentita coinvolta e trascinata come in un sogno; ma, quello che mi è piaciuto in modo particolare e che ci tengo molto a sottolineare, è che “ROBERTO BOLLE. L’ARTE DELLA DANZA” non è una mèra esaltazione della bellezza, della danza e dell’arte, non è una copertina patinata da guardare; ma è, soprattutto, un percorso, un viaggio, in quello che significa avere una passione, un sogno, una missione. La danza è un’arte, uno sport, che, come nessun’altra pratica, plasma e forgia il corpo in un’armonia perfetta di forme. Tuttavia, la danza è un’amante gelosa ed esigente: pretende sacrifici, lavoro durissimo quotidiano, passione indefessa, cieca abnegazione, disciplina ferrea, allenamento estenuante alla sbarra. Tutto questo, a prescindere che tu sia alle prime armi o un’Étoile. Con la danza si forgiano corpo e anima. Nulla di tutto ciò viene nascosto allo spettatore. Il corpo è uno strumento di lavoro e lo si deve plasmare a compiere movimenti complessi, duri, contro natura, sin da bambini. Mi è piaciuto moltissimo questo messaggio di tenacia e passione. L’idea di forgiare se stessi, il proprio corpo, il proprio carattere e quindi il proprio futuro. Immagine molto bella di grande forza e spinta verso il “domani”, verso i propri obiettivi. Come già detto sopra, ma mi piace, anche qui, specificare meglio, “ROBERTO BOLLE. L’ARTE DELLA DANZA” riprende la filosofia dei gala “Bolle and Friends”, ispirata dal suo grande maestro e mentore: Rudolf Nureyev, il quale fu il primo a dare vita a una nuova figura di ballerino, rompendo gli schemi; oltre ad aver portato in scena, per la prima volta, la formula del gala “ Nureyev and Friends”. Un omaggio, dunque, al suo maestro, di cui vorrebbe «seguire le orme, portando la danza dove essa non è mai stata».




Gallerie d’Italia ospitano Bellotto e Canaletto

Un grande evento si prepara a conquistare Milano. Dal 25 novembre al 5 marzo 2017 le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, nella sede milanese in Piazza Scala, ospiteranno la mostra “Bellotto e Canaletto. Lo stupore e la luce“. Si tratta del primo progetto espositivo che Milano dedica al genio pittorico e all’intelligenza creativa di due artisti di spicco del Settecento europeo: Antonio Canal, detto “il Canaletto” (Venezia 1697-1768) e suo nipote Bernardo Bellotto (Venezia 1722 – Varsavia 1780).

Curata da Bożena Anna Kowalczyk, l’esposizione è organizzata da Intesa Sanpaolo in partnership con alcuni tra i più importanti musei europei che conservano le opere dei due artisti.

Con circa 100 opere, tra dipinti, disegni e incisioni, un terzo delle quali mai prima d’oggi esposto
in Italia, il percorso espositivo intende illustrare uno dei più affascinanti episodi della pittura europea, il vedutismo veneziano, attraverso l’opera dei due artisti che, legati da vincolo di sangue (Canaletto e Bellotto erano rispettivamente zio e nipote), seppero trasformare questo peculiare genere nella corrente d’avanguardia che tanto caratterizzò il Settecento.

Mentre Canaletto si impose sul teatro europeo grazie ai particolari procedimenti compositivi, risultato del razionalismo di matrice illuminista e delle più moderne ricerche sull’ottica (sarà in mostra anche la “camera ottica” che egli mise a punto e utilizzò per le sue creazioni), Bellotto, ne comprese i segreti della tecnica per poi sviluppare secondo una personale chiave interpretativa il proprio originale contributo.

Il confronto tra le loro soluzioni pittoriche offre l’occasione per cogliere un eloquente panorama sulla colta Europa del tempo e sulla sua classe dirigente, che fece a gara per commissionare i dipinti ai due grandi veneziani: il viaggio artistico parte da Venezia per toccare Roma, Firenze, Verona, Torino, Milano e il suo territorio, con Vaprio e Gazzada – dove Bellotto mette a frutto l’insegnamento di Canaletto nelle sue vedute e paesaggi di stupefacente modernità – e prosegue quindi alla volta dell’Europa, con i ritratti di Londra, Dresda, Varsavia o Wilanòw, fino a raggiungere luoghi fantastici e immaginari, immortalati nei memorabili “capricci”.

Inoltre la recente riscoperta dell’inventario della casa di Bellotto a Dresda, distrutta dal bombardamento prussiano del 1760, ha permesso di conoscere la biblioteca gettando una nuova luce sulla personalità e l’indipendenza intellettuale dell’artista, sulle sue passioni, la letteratura, il teatro, il collezionismo. L’eccezionale documento (cui viene dedicato un saggio nel catalogo) è esposto assieme a una selezione dei libri più sorprendenti che appartenevano alla sua ampia biblioteca, la più straordinaria tra quelle finora note formate da un artista.

Il catalogo della mostra, realizzato da Silvana Editoriale, contiene saggi su ambedue gli artisti e la loro opera, presenta la nuova ricerca storica e archivistica e illustra i risultati delle analisi tecniche più innovative che hanno permesso di confrontare per la prima volta in modo esaustivo i dipinti e i disegni dei due artisti.

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Bellotto e Canaletto
Lo stupore e la luce

Gallerie d’Italia – Piazza della Scala, 6
Sede museale di Intesa Sanpaolo a Milano

25 novembre 2016 – 5 marzo 2017

Mostra a cura di Bożena Anna Kowalczyk

Apertura
dal martedì alla domenica ore 9.30 – 19.30 (ultimo ingresso ore 18.30)
giovedì ore 9.30 – 22.30 (ultimo ingresso ore 21.30)
chiuso lunedì

Informazioni
numero verde 800.167619; info@gallerieditalia.com; www.gallerieditalia.com

Biglietto
Biglietto: intero 10 euro, ridotto 8 euro, ridottissimo 5 euro
Gratuito per meno di 18 anni e scuole e la prima domenica del mese




La Breaking Art di Alex del Santo al MONO Bar

La Breaking Art di Alex del Santo apre la stagione artistica del MONO Bar di Milano.

Dal 4 al 19 ottobre, le pareti del MONO Bar mostreranno la street art di Alex del Santo: immagini shock-pop-punk, pezzi unici, tumultuosi ed estremamente originali, stampati su carta patinata.

Le ispirazioni vengono dal rock’n’roll duro e da icone senza tempo come Stonehenge, i Clash, la Monnalisa, i lipstick e i brand, le religioni, le dittature e il terrorismo del nostro tempo. Tematiche rinnovate nella creazione di “un tutto analogico, un ritaglio, una maniacale ricerca di accostamenti che solo oggi – spiega l’artista – riconosco come un’ossessione che mi ha spinto già da molti anni a spedire i miei lavori ad amici in giro per il mondo, esclusivamente via posta”.

Alex del Santo è uno street artist nel vero senso del termine. La sua arte pungente ed attuale nasce per strada, tra la gente, cercando ispirazione tra i vizi e le virtù della società. Le sue creazioni smuovono le coscienze e oltre al divertimento immediato, suscitano una riflessione. I riferimenti iconoclastici e sessuali sono la matrice fondamentale dei suoi lavori provocatori e dirompenti che in un modo quasi punk risvegliano le pulsioni primordiali di chi li guarda.

La Breaking Art, della quale è fondatore Alex del Santo, è l’arte del recupero della carta, unita alla ricerca maniacale di accostamenti cromatici pop, che regala nuova vita ad oggetti ed immagini che assumono forme e significati dove contraddizione e provocazione si intrecciano costantemente. Un’arte suonata e creata dalle dita del corpo e dell’anima, oltre il surreale nascosto, per fare emergere il subliminale nella coscienza di tutti i giorni.

Le opere di Alex del Santo rimarranno in mostra al MONO Bar dal 4 ottobre al 19 ottobre 2016.

Inaugurazione mostra: martedì 4 ottobre ore 18:30.

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MONO Bar

Via Lecco 6 
- Milano

Tel. 339 4810264

FB/ MONO Bar




LUGANO, GRANDE SUCCESSO PER LA MOSTRA MUNDUS DEL MAESTRO ITALIANO BONGIOVANNI

E’ stata prolungata fino al 31 luglio Mundus – Exclusive Art Exhibitionevento istituzionale che celebra la pittura del Maestro italiano Daniele Bongiovanni nuovamente su scala internazionale. La mostra, presentata ufficialmente come progetto itinerante, che in autunno, a grande richiesta verrà riproposta anche in Italia, ha aperto i battenti il 17 maggio in pieno centro a Lugano, nelle sedi della CD Arts, con il patrocinio della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera. L’esposizione, presenziata da molte personalità della cultura, e dal sindaco di Lugano Marco Borradori, fin dal giorno della sua apertura, ha riscosso grande successo di critica e di pubblico, attirando così l’attenzione di moltissimi esperti del settore, collezionisti, e fruitori d’arte. Mundus, lanciato come un percorso in crescendo, progressivo, e volutamente antologico, ha dato modo al pubblico di ammirare quelle che fino ad oggi sono i lavori più rappresentativi e importanti della carriera del pittore, oggi operante tra l’Europa e gli Stati Uniti. In mostra è possibile ammirare ancora per un mese, opere appartenenti a collezioni pubbliche e private, come: Il creatore (m’illumino d’immenso), Croma Sophia, Studi sulla pura forma, Collezione Pelle Sporca, ciclo dedicato al rapporto tra uomo e spazio naturale, già esposto alla 53. Biennale di Venezia, la collezione Aesthetica/Natural, il trittico di grandi dimensioni T.d.C (mundus), opera centrale di tutto il percorso, ed elaborati recenti, interamente realizzati nel suo studio in Svizzera.

”Mundus, entrando dentro questo percorso, e guardando le opere del Maestro Bongiovanni, vediamo che ogni soggetto dipinto durante la sua carriera, da una delle tante prospettive possibili, ha parzialmente abbandonato la forma concreta, quasi tutti i lavori dell’artista hanno a che fare con il il progredire interiore, il ritrovarsi in un punto di svolta, su dei campi figurativi, e all’occorrenza informali che vengono elaborati come metafora del tempo sulle cose. Nel dettaglio, in questo processo, per l’occasione contestualizzato in un percorso antologico, la chiave di lettura rimane la filosofia, la ricerca cromatica e la luce. Una luce che abbagliante ed estesa su un tessuto materico, filtrato da velature dai toni a volte corposi, a volte leggeri, si apre in un doppio movimento, esterno e interno al quadro. Tecnicamente, in questo movimento, che si manifesta sublime nello sfondo, i volti e gli spazi sbiadiscono parzialmente, generando presenze e assenze. Mundus, come emblema, ci suggerisce di seguire un ritmo lento e complesso per i nostri occhi, simile a quello della natura, qui rielaborata; natura contaminata che si manifesta come teorema visivo, come risultato di una consolidata sapienza artistica, traguardo di numerosi anni di studio sulla materia pittorica. Le letture di Daniele Bongiovanni appartengono alla realtà: ”L’Uomo”, realizzato per omaggiare ”l’essere” che dialoga con la storia, ha uno sguardo emblematico, che indaga e s’interroga sulla vita. In questa cronologia, Bongiovanni è più volte pittore del ritratto, ritratto di persone e dettagli, dettagli di un’estetica generale. Le sue opere in ordine cronologico emergono come un racconto del vissuto, suo e degli altri. Loro come tasselli numerati hanno una logica precisa, e legano per coerenza e appartenenza ad una trama articolata e importante. Una poetica nel complesso autentica, perchè originale, poetica come linguaggio che diventa opera, appartenente al passato e al presente, indubbiamente legata ad un’iconografia già storica.”

(Mundus, L’uomo e la natura diventano operaTicinolive, 2016)




“LA BELLEZZA RITROVATA”: ULTIMI GIORNI DI MOSTRA

di Elisa Pedini – Ultimissimi giorni, fino al 17 luglio, per visitare la mostra “La bellezza ritrovata”, presso le Gallerie d’Italia in Piazza Scala a Milano, con apertura straordinaria fino alle 23. L’esposizione fa parte del progetto “Restituzioni”, programma di restauri di opere appartenenti al patrimonio artistico pubblico, curato e promosso da Intesa Sanpaolo. Questa è la XVII edizione del progetto, che, per la prima volta, si tiene a Milano. Il restauro è un’eccellenza italiana e mi piace, anche, sottolineare che, questo progetto, nel tempo, ha consentito la scoperta di nuove tecniche di restauro come, ad esempio, quello degli smalti medievali. Un’occasione davvero unica e imperdibile, dunque, per gustare, in anteprima, 145 capolavori sottoposti a restauro, che, poi, torneranno ai rispettivi luoghi d’appartenenza. Ben trenta secoli di storia attraverso il nostro patrimonio artistico culturale. Opere eterogenee che ci conducono a spasso nel tempo e nel nostro magnifico paese, come, per esempio, la “Statua naofora di Amenmes e Reshpu” in calcare egiziano di ben 32 secoli fa. Un restauro precedente, per preservare l’opera, l’aveva ricoperta con una miscela al silicone che, purtroppo, però, impedì la normale traspirazione del calcare, comportandone la frattura interna. Questo capolavoro è stato ora riportato alla sua bellezza. Altra opera, di ben 25 secoli fa, è il “Cavaliere Marafioti” in terracotta policroma, rappresentante, probabilmente, un Dioscuro. Il suo nome deriva da “Casa Marafioti”, ovvero, la villa, vicino Locri, sotto le cui fondamenta, fu ritrovato, a pezzi, questo capolavoro. Oggi, lo ammiriamo in tutto il suo splendore, grazie, anche, a un’accurata opera d’uniformazione del colore. È interessante notare come il restauro, secondo le leggi di Cesare Brandi nella sua “Teoria del restauro”, debba seguire i principî di “storicità” e “reversibilità”, ovvero: ogni lavoro di ripristino effettuato deve, rigorosamente, rispettare sia l’opera che la sua epoca e deve poter essere totalmente rimosso. Principî che, purtroppo, non furono rispettati dal primo restauratore dell’“Adorazione del bambino” di Lorenzo Lotto, che trattò il dipinto con una pasta abrasiva molto aggressiva, devastandolo completamente. L’unica azione di restauro che è stato possibile attuare su quest’opera è stata di sola conservazione. Scempio a parte, sarà, però, molto interessante paragonare il lavoro su quest’olio con i lavori su altri olî, come, a titolo d’esempio, la “Madonna con il Bambino tra i santi Gennaro, Nicola di Bari e Severo” di Filippo Vitale, oppure il “Cristo risorto” di Rubens, ove, invece, il lavoro di restauro raggiunge la perfezione, ridonando bellezza, lucentezza e completezza alle opere senza manipolarle troppo. Un equilibrio veramente perfetto. Cito solo alcune delle altre chicche presenti in questa mostra e da gustare come, per esempio, i vetri dei maestri vetrai muranesi. È straordinario apprendere come il vetro nasca perfetto in sé e pertanto, il lavoro successivo di restauro e conservazione di tale materiale necessiti un procedimento particolarissimo e molto delicato, poiché, persino la semplice acqua rovinerebbe, irreversibilmente, le opere. E ancora, la magnificente armatura da parata giapponese donata ai Savoia, del tipo do-maru a fettucce di seta azzurra e composita di numerosi materiali. Proprio quelle fettuccine hanno richiesto l’intervento d’una restauratrice di tessuti che ha lavorato su ciascuna di esse. Si noterà che, l’armatura, dietro ha degli anellini: essi servivano a chiuderla con un nastro rosso, purtroppo, andato distrutto; per non mutare la “storicità” dell’opera, si è ritenuto opportuno, non sostituirlo con nastro moderno. Infine, vorrei spendere una parola sui disegni restaurati in mostra, perché, per chi l’avesse visitata nei primi mesi, essi sono stati cambiati, ora, troviamo esposti trentasette disegni di Sebastiano Ricci e vi spiego perché. Il “disegno” è un’opera delicatissima che deteriora molto rapidamente, pertanto, non può essere esposto per più di novanta giorni e sempre sotto una luce fredda di massimo 30A. Decorso questo periodo, deve, tassativamente, essere riposto, al buio, per cinque anni. Saputo questo, posso assicurarvi che diventa estremamente affascinante osservare questi capolavori, così intensi, ma anche, così fragili. Eventuali buchi o lacune sono stati restaurati utilizzando una finissima carta di riso giapponese prodotta a Tokyo.

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Le Rappresentazioni dell’inconscio di Marina Berra

Rappresentazioni dell’inconscio è la nuova esposizione di opere pittoriche dell’artista Marina Berra (Milano, 1969), presentata da Made4Art, in mostra da questa sera fino al 15 giugno 2016 presso Castelli Gourmet – Castelli Gallery in Via Cerano 15 a Milano.

In mostra una selezione di lavori di Marina Berra rappresentativa della sua produzione artistica più recente, tele che fanno parte delle serie Espressionismo astratto e Materici. Le composizioni dell’artista lombarda sono caratterizzate da una presenza cromatica decisa e affascinante, colori che talvolta si uniscono a materiali diversi quali sabbia e gesso e che danno origine a dipinti capaci di stupire e avvincere, di esprimere i sentimenti e le emozioni dell’essere umano. Opere che si rivelano essere delle vere e proprie rappresentazioni dell’inconscio dell’artista, nelle quali ognuno di noi può riconoscersi e ritrovare aspetti della propria interiorità.

Marina Berra, Invincibile per proteggerti, 2016, tecnica mista su tela, 60x60 cm Marina Berra, Perché lei è speciale, 2016, tecnica mista su tela, 70x70 cm

Marina Berra | Rappresentazioni dell’inconscio

Castelli Gourmet – Castelli Gallery | Via Cerano 15 | 20144 Milano
31 maggio – 15 giugno 2016

Evento a cura di:
M4A – MADE4ART
| Spazio, comunicazione e servizi per l’arte e la cultura
di Vittorio Schieroni ed Elena Amodeo
www.made4art.it – info@made4art.it

Un progetto M4E – MADE4EXPO




Impressioni e memoria: i Sillabari di Anna Caruso in mostra a Milano

di Emanuele Domenico Vicini – Il pomeriggio milanese, nonostante il maggio avanzato, è ancora piuttosto fresco e si gira bene per le vie del centro città, dove, stretto tra gli imponenti palazzi di classica foggia, tra piazza della Scala e via Clerici, si trova l’edificio che ospita lo Studio d’Arte Cannaviello, al civico 4 di piazzetta Bossi.

Gli ambienti, illuminati da un bianco di geometrica pulizia, si articolano in un corridoio passante che si apre nella grande sala espositiva, mossa da sguanci e nicchie, perfetta per ospitare un’esposizione così elegante e provocante come quella di Anna Caruso.

La giovane pittrice milanese, formatasi all’Accademia di Belle Arti di Bergamo, rispecchia questa atmosfera e le dà, con la sua presenza ancora più fascino. Ci accoglie e ci guida tra le sue tele e si sottopone al fuoco di fila delle domande con molta determinazione e pacatezza, mostrando così quella sicurezza, tipica di un’artista che, seppur giovanissima, ha già deciso quale strada seguire nella sua arte.

Le chiediamo innanzi tutto da dove nasca l’interesse per Goffredo Parise, dai cui Sillabari la mostra prende le mosse. Il testo parisiano, composto di due parti, Sillabario n. 1 uscito nel 1972 per i tipi di Einaudi e Sillabario n. 2, nel 1982 per i tipi di Mondadori, si compone di racconti brevi sulla labilità dei sentimenti umani. Quasi piccoli poème en prose, distribuiti per lettere alfabetiche, mai completati, i racconti sono spesso coperti da una patina di malinconia e infondono un senso di caducità e di morte che si alterna a scene di gioia semplice, fatta delle cose elementari della storia e della vita.

Se il primo Sillabario (dalla A di Amore, Affetto, Allegria, alla F di Famiglia) si muove tra toni lievi e tinte mai eccessivamente forti, il secondo (che copre fino alla S di Sesso), al contrario, rappresenta una realtà molto feroce e controversa. Gli ambienti delle narrazioni si fanno disordinati e cupi, le azioni quasi sempre drammatiche e violente.

Anna Caruso, lontana da qualsiasi intento citazionistico o puramente referenziale, che avrebbe decisamente impoverito il senso della sua arte, ci spiega che i Sillabari, soprattutto il secondo, fanno parte delle sue letture e della sua formazione classica. Si coglie molto bene il percorso della pittrice nelle maglie di un testo apparentemente semplice, ma di fatto denso di temi: l’emozione della memoria, il dolore del ricordo e la sua stringente necessità, la complessità dell’animo umano, fatto di dolcezza e violenza fatalmente impastate, tornano con sapiente finezza nelle tele esposte allo Studio Cannaviello.

Anna Caruso racconta con dettaglio il suo processo compositivo. Fotografie di uomini e donne, spesso – ma non sempre – legate alla vita della pittrice, immagini durature di memorie altrimenti labili, sono lo spunto ridipinto sulla tela, come un fondo che via via emerge o scompare alla vista, ma che con la sua evidenza a tratti fantasmatica ci dice quanto l’oggi sia fatto di storia, individuale e singolare.

Il confronto con l’emozione e il sentimento non tarda però a palesarsi con le taglienti e nette geometrie cromatiche che incontrano le immagini umane, le separano dalla superficie, le sdoppiano, le moltiplicano le allontanano e le rendono sempre meno percepibili, ma non meno incombenti sulla scena.
Piccoli segni e grandi interventi grafico linearistici, sempre accomunati dai toni freddi del giallo, del verde o dei blu acidi, legano gli elementi, raccontandoci la metafora della storia che avvolge uomini e cose, ineluttabilmente.

L’inquietudine delle opere, stemperata e apparentemente alleggerita dall’attentissima cura nel comporre e pesare gli equilibri cromatici e spaziali, non fa che aumentare quando, a uno sguardo ravvicinato, ci accorgiamo della perfetta stesura delle forme, quasi prive del segno della pittrice, apparentemente, “fatte da sé”. Anna va fiera di questa capacità, conquistata sicuramente con lavoro e pazienza e ne parla come di un elemento che spesso stupisce il pubblico. In realtà, ci spiega, l’effetto di lucida omogeneità, d’ineccepibile ordine delle cose e delle forme, non fa che accentuare il senso della sua pittura: non si sfugge all’immagine della memoria e della storia. Fatalmente, il rapporto che ci lega alle emozioni e alle vicende del nostro passato, personale e familiare, non può essere mai negato, né evitato. Ci guarda, ci chiama al confronto, ci impone di riflettere, pacatamente, ma inesorabilmente.

I Sillabari in pittura di Anna Caruso nelle loro messe a fuoco e nella varietà di giochi prospettici diventano uno specchio da cui non è possibile sfuggire, un invito al confronto con la complessità della persona umana.

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Sillabari di Goffredo Parise. Mostra personale di Anna Caruso

5 maggio – 21 giugno 2016

Studio d’Arte Cannaviello

Piazzetta Bossi, 4 – Milano




“DA MONET A MATISSE. L’ARTE DI DIPINGERE IL GIARDINO MODERNO”: IL MONDO INCANTATO DELLA NATURA E DELL’ARTE

di Elisa PediniEsce nelle sale italiane solo per due date: il 24 e il 25 maggio, il film-documentarioDa Monet a Matisse. L’arte di dipingere il giardino moderno”, della Royal Academy of Arts, che, partendo dalla sua imponente e magnifica mostra, ci porta dentro un tour cinematografico per raccontare la passione che lega alcuni dei più grandi artisti moderni, come Monet, Matisse, Bonnard, Renoir, Kandinskij, Pissarro, Sorolla, Nolde, Libermann, ai loro giardini prediletti. Per trovare la sala più vicina a voi che avrà questo film in programmazione consultate il sito: www.nexodigital.it. Pellicola delicata, che fa sognare e rilassare, passeggiando nell’arte e in alcuni dei giardini più belli del mondo. Non è un documentario sulla storia dell’arte, per nulla, è il racconto d’una storia d’amore: quella tra gli artisti e la natura che li ha ispirati. Il film rientra nel progetto della “Grande Arte al Cinema” di Nexo Digital ed è un’occasione, unica e irripetibile, per visitare la coinvolgente mostra, allestita dall’Accademia londinese, per raccontare l’evoluzione del tema del giardino nell’arte moderna: dalle bellissime e colorate visioni degli Impressionisti fino alle sperimentazioni più audaci, oniriche e simboliche dei movimenti d’avanguardia. Il film si apre trasportando lo spettatore dentro una natura meravigliosa e colorata. Una musica rilassante accompagna questo spettacolo di luce e colore. Si entra in una dimensione parallela, soave e incantevole: quella della natura e dell’arte. Come l’uomo abbia sempre e costantemente tratto ispirazione dalla natura è assai noto e non è difficile comprenderne il perché. Impossibile sottrarsi alla bellezza d’un fiore, ai suoi colori, al suo profumo, a quella tecnica perfetta rappresentata dalla sua stessa conformazione. Distese di fiori di altezze diverse, colori diversi. L’incanto che una persona normale subisce dall’osservare certi capolavori della natura, viene portato all’ennesima potenza dallo sguardo e dalla sensibilità dell’artista. Monet, forse il più noto ed importante pittore di giardini nella storia dell’arte, è il punto di partenza della mostra e quindi del nostro film. Personalità affascinante, nonché appassionato ed esperto orticoltore. «Se sono diventato pittore lo devo ai fiori» diceva Claude Monet. Pensate che, per cogliere le diverse inclinazioni di luce e tutte le sfumature di colore, si svegliava all’alba e dipingeva. Dipingeva sotto il sole cocente e sotto la pioggia battente. Intorno alla sua casa rosa a Giverny aveva creato un giardino con uno stagno e un ponte giapponese, che ancor oggi accoglie migliaia di visitatori con le sue tinte e i suoi avvolgenti profumi. Dalle passeggiate sulle colline intorno alla proprietà, Monet tornava con semi di fiori selvatici per coltivarli nelle sue aiuole. È così che lo spettatore viene preso per mano e visita i più bei giardini del mondo, raffigurati, poi, all’interno di opere d’arte: oltre alle ninfee di Monet a Giverny, visita il giardino di Bonnard a Vernonnet, in Normandia, o quello di Kandinskij a Murnau, in Alta Baviera, luogo dincontro di musicisti e artisti provenienti da tutto il mondo. Ma non è tutto: questo film è anche ricco d’interventi di studiosi e artisti che spiegano, anche da un punto di vista storico e sociale, l’importanza dei giardini e per conseguenza il perché di questo tanto ricercato ritorno alla natura, che caratterizzò il periodo tra la l’Ottocento e il Novecento. Quello che la natura, attraverso i giardini, inizialmente va a dimostrare è la magnificenza dei nobili, poi diviene specchio d’intimità familiare ed ecco che, allora, vi si colgono scene più private, fino a divenire una vera e propria oasi di pace, una fuga personalissima e protetta dal rumore e dal caos. Una pellicola davvero unica per tantissime ragioni. Prima fra tutte, perché rappresenta un’occasione imperdibile di vedere una mostra che, altrimenti, bisognerebbe andare a Londra per poter visitare. Inoltre, perché consente di vedere giardini incantevoli, veri e propri gioielli d’architettura, in giro per tutto il mondo. In più, perché si parla di arte in modo molto intrigante e interessante: infatti, come ho detto all’inizio, si tratta di un “tour”, sia dentro la storia, l’arte e le opere, sia “dietro le quinte” dei magnifici paesaggi, di cui lo spettatore gode sullo schermo. Arricchito, dagli interventi e dalle intuizioni di esperti internazionali di giardinaggio e critici d’arte per svelare il rapporto tra l’arte e i giardini. Impreziosito, dalle interviste ad artisti moderni, come Lachlan Goudie e Tania Kovats, che rivelano come il rapporto tra l’artista e il mondo naturale sia tema di grande attualità. Infine e soprattutto, perché è uno degli aspetti che, davvero, mi ha colpito di più, per come mi sono sentita alla fine del film: incredibilmente bene. Rinnovata d’energia. Mi sento d’affermare che questo film andrebbe visto proprio per fare un regalo a se stessi: ovvero, donarsi la gioia di lasciare il mondo fuori e passare un’ora e mezza nella serenità e nella pace che soltanto la natura e l’arte sono in grado di dare.

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A Venezia i musei si visitano al chiaro di luna

A partire dal 20 maggio 2016, la Fondazione Musei Civici di Venezia ha deciso di avviare un ciclo di aperture serali nei musei dell’Area MarcianaPalazzo Ducale e Museo Correr – per tutto il periodo estivo.

Ecco quindi che, nell’ambito delle iniziative volte a creare nuove occasioni per visitare il patrimonio e le collezioni della città lagunare, è stato disposto il prolungamento dell’orario di apertura fino alle ore 23.00 nei giorni di venerdì, sabato e domenica.

La decisione è stata presa dopo gli ottimi risultati ottenuti con l’apertura straordinaria del 1° maggio dei musei della città, fortemente voluta dal Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, che ha visto la partecipazione di ben 10.235 visitatori totali e nei soli Correr e Ducale di 7813 persone di cui 399 dalle ore 18 alle ore 23.

Scopo dell’iniziativa è offrire ai cittadini di Venezia, dell’area metropolitana e a tutti i turisti una programmazione più ampia, incentivando i giovani e quel pubblico che normalmente non può visitare i musei negli ordinari orari di apertura, a scoprire il patrimonio artistico e culturale cittadino in una eccezionale cornice notturna.

Fondazione Musei Civici di Venezia
call center: 848082000 (dall’Italia) +39 041 42730892 (dall’estero)
web: visitmuve.it

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