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Jesus Christ sempre Superstar

di Giuliana Tonini – A grande richiesta è ritornata a Milano, al Teatro Nuovo, nell’allestimento di Massimo Romeo Piparo, la mitica ‘opera rock’ Jesus Christ Superstar, di Tim Rice ed Andew Lloyd Webber, uno dei musical più famosi e amati di sempre.
Lo spettacolo che nel 2014 ha sbancato i botteghini dei teatri di tutta Italia è stato, strameritatamente, l’evento teatrale dell’anno. ‘Osannato a Milano e nel mondo’ , come ci dicono le locandine sparse per tutta la città. E la tappa milanese è solo l’inizio di un tour che questa volta porterà la produzione tutta italiana della Peep Arrow Entertainment anche in giro per l’Europa.
E come non poteva essere il successo teatrale dell’anno una produzione con protagonista Ted Neeley nel ruolo di Gesù, con quel carisma e quella voce che sono nel cuore di tutti i ‘Jesusmaniacs’ da più di quarant’anni, dall’indimenticabile versione cinematografica di Norman Jewison del 1973?
Per non dire della ‘reunion edition’ dello scorso autunno. Un evento unico e imperdibile, che ha visto di nuovo insieme, per la prima volta dall’uscita del film-culto, oltre a Ted Neeley, anche Yvonne Elliman e Barry Dennen, nei ruoli di allora, Maria Maddalena e Ponzio Pilato.
Ovviamente sono corsa a vedere, (quasi) in prima fila, la prima del 5 giugno. Dal punto di vista tecnico, la messa in scena del Teatro Nuovo perde un po’ in resa scenica e acustica rispetto all’allestimento del Teatro degli Arcimboldi. Ma le emozioni che lo spettacolo trasmette al pubblico rimangono intatte. Come lo rimarrebbero anche se Jesus Christ Superstar venisse rappresentato in uno scantinato. Ancor più con Ted Neeley come protagonista. Quelle emozioni che spero di essere riuscita a descrivere nel mio pezzo di novembre su Cosmopeople, dopo avere assistito, due volte, alla reunion edition.
Perché Jesus Christ Superstar, da quarantacinque anni, da quando nel 1970 è uscito il doppio 33 giri che ha subito lasciato il segno, continua a riscuotere un enorme successo ovunque?
Proviamo a capirlo andando indietro agli anni in cui l’opera è nata.
Tim Rice, l’autore dei testi delle meravigliose canzoni, racconta che, sin da quando era un ragazzo appassionato di musica rock, ha sempre avuto un grande interesse per la figura di Giuda Iscariota. Se fosse stato un pittore, uno scultore o uno scrittore, lo avrebbe considerato un ottimo soggetto per una propria opera. Era affascinato dall’idea di raccontare la storia di Gesù dal punto di vista di Giuda, l’apostolo che tanto lo ammirava, ma che lo tradisce nel momento in cui inizia a pensare che stesse perdendo il controllo della situazione.
L’occasione di tradurre in realtà questa idea si presenta quando, grazie ad un agente teatrale, nel 1965 Tim Rice conosce Andrew Lloyd Webber, musicista con la passione di comporre musica per il teatro.
E così nasce la storia di Gesù raccontata attraverso gli occhi di Giuda, che i due artisti cercano di portare sul palcoscenico. Ma nessun produttore teatrale ha il coraggio di dare fiducia ad un’opera dal tema così delicato. Così Rice e Webber si devono ‘accontentare’ di fare conoscere la loro creazione solo su disco. Prima viene inciso e messo sul mercato il singolo con la canzone ‘Superstar’, che piace al pubblico ed apre la strada alla pubblicazione, nel 1970, del disco doppio. È subito successo, e solo un anno dopo le porte dei teatri si spalancano per l’opera rock Jesus Christ Superstar. Opera perché è una narrazione cantata, senza dialoghi, e rock perché…..beh, è incontrovertibilmente rock! Una grande opera moderna.
Ovviamente, al momento della sua uscita, la creatura del formidabile duo ha fatto non poco scalpore, venendo anche accusata di blasfemia. Ma Rice e Webber hanno sempre messo in chiaro che la loro intenzione era di rappresentare la storia di Gesù in un’ottica non religiosa, bensì umana. Ai due autori interessava delineare la figura di Gesù come uomo. Presentare il suo aspetto umano, coi suoi tormenti interiori, non quello divino.
Nella loro opera non si dice che Gesù è il figlio di Dio, e allo stesso tempo non si dice che non lo è. Jesus Christ Superstar non prende posizione e lascia alla gente la possibilità di interpretare, ciascuno secondo il proprio sentire, la rappresentazione che viene fatta a teatro, o sullo schermo, della storia di Gesù. Non a caso Jesus Christ Superstar si conclude con la crocifissione, non con la resurrezione. Credere o meno che dopo ci sia la resurrezione sta ad ognuno di noi.
Ed è questo aspetto la ragione principale del successo ultraquarantennale di Jesus Christ Superstar. Perché si rivolge a tutti e può raggiungere chiunque – cristiani, non cristiani e anche non credenti – col suo travolgente racconto a suon di rock della magnifica, come dice lo stesso Rice, e universalmente conosciuta storia di Gesù di Nazareth.
Non stupisce che niente meno che papa Paolo VI, che vide in anteprima il film in Vaticano prima che venisse proiettato nelle sale, non solo non ebbe nulla da eccepire sulla rappresentazione della storia, ma anzi – come ha poi riferito il regista Jewison – osservò che quell’opera nuova avrebbe contribuito, tramite il linguaggio universale di quella musica moderna, alla conoscenza del cristianesimo nel mondo.
Non dimentichiamo, inoltre, che la rappresentazione della storia di Gesù come uomo è stata al centro di un’altra meravigliosa opera in musica. L’album ‘La buona novella’ del nostro grandissimo Fabrizio De Andrè, ispirato ai Vangeli Apocrifi e pubblicato nel 1970, lo stesso anno del doppio 33 giri di Jesus Christ Superstar.
Andate a teatro a vedere Jesus Christ Superstar. Non ve ne pentirete.




Jesus ci lascia, benedice Milano e prosegue il suo tour di evangelizzazione.

 Dopo tre settimane quasi sold out, il 2/11 agli Arcimboldi di Milano ha chiuso Jesus Christ Superstar, super classico, super apprezzato musical, firmato A. L. Webber e Tim Rice, che porta le sue 42 primavere come pochi altri spettacoli di teatro musicale sanno fare. Dalla prossima settimana riprende la tournée per l’Italia, toccando i principali capoluoghi (Torino, Firenze, Bergamo, Genova, Bologna e Parma).

Scandaloso quando nacque come opera rock, incisa in prima battuta dalla voce roca, aspra e graffiante di Ian Gillan, il Jesus divenne famosissimo con l’approdo in teatro prima e poi al cinema (diretto da Norman Jewison), dando fama e lustro a un Ted Neeley trentenne, smilzo, naturalmente emaciato, sguardo dolce e melanconico, ma dotato di una voce spettacolare: netta, potente, capace di acuti siderali e di una intensità emotiva di rara efficacia.

Oggi, dopo un film che è diventato icona di giovanile ribellismo anni Settanta, dopo centinaia di allestimenti teatrali in Europa e nel Mondo che, secondo le più rigorose tradizioni legate a questo titolo, ci hanno proposto la rock band dal vivo, gli apostoli hippy flower power, Maddalena fidanzata di Gesù (pardon: di Jesus), i soldati con elmetto e fucile, Anna e Caifa vagamente sadomaso e – come dimenticarle? – le più improbabili, irriverenti surreal demenziali interpretazioni di Erode, dopo tutto ciò, Jesus è tornato. L’allestimento è minimalista, giocato sui soliti pochi elementi scenici, che citano un’arena simil classica, e su proiezioni che ricreano i diversi ambienti della storia (dall’ingresso in Gerusalemme alla morte in croce) e tutto è come copione e tradizione richiedono.

Ma Jesus è lui: Ted Neeley. A 71 anni, il volto rugoso e sofferente quanto basta per la parte, la testolina inclinata, per somigliare in modo impressionante alla più classica delle iconografie romantico pietistiche di Gesù e una voce spettacolare, potente, ampia che vola dritta al cuore e lascia senza parole.

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Al Getsemani dove Jesus, nella sua profonda e inquieta umanità, si chiede perché un destino di morte lo aspetti, Ted si muove su un pezzo di estrema difficoltà, con fraseggio veloce e note lunghe, acuti spaventosi e note scure che rivelano tutto il dolore, l’incertezza e l’infinita sofferenza di un uomo che lì capisce il suo rapporto con un Dio apparentemente lontano, ma profondamente radicato in lui.

Ted non interpreta Jesus. Lui è Jesus. Nel fuori scena di Giuda, che dalla platea commenta tutta la storia e canta il tema portante dello spettacolo, Ted/Jesus/Gesù segue giuda, entra con lui dal foyer e attraversando la sala non perde mai la posa tra il pietoso e il meditativo che gli dà il diritto di benedire (proprio così: benedire) il pubblico, accarezzare i bambini presenti in platea e – forse, in futuro – moltiplicare di certo non pani e pesci ma un cocktail e un panino.

La performance di Ted, che giganteggia dal suo ingresso in scena alla crocifissione, non offusca Maddalena, anche lei recuperata dal cast originale (del film e della prima incisione). Yvonne Elliman sa ancora emozionare con la sua voce morbida e vagamente sensuale, le vocali trascinate e lo sguardo pieno d’amore per il suo Gesù. Così anche Pilato, Barry Dennen, il più anziano della vecchia guardia, è ancora pieno di sentimenti contrastanti che la voce sa perfettamente restituire: paura, desiderio di potere, insicurezza.

Non dimentichiamo che l’intuizione geniale degli autori fu di dare a Giuda il ruolo chiave dell’opera: vede Gesù come il liberatore di Israele dall’oppressione romana; è il rivoluzionario che non accetta discorsi sul Paradiso ma vuole una vittoria umana qui e subito. Lo interpreta Feysal Bonciani, giovane e dotatissimo cantante di Firenze che aggiunge a questo bellissimo allestimento il dinamismo energetico di chi sa vivere la scena con potente intensità.

Emanuele Domenico Vicini