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Il fuorisalone milanese all’insegna del concetto della metanoia

di Cristina T. Chiochia
Metanoia è una traslitterazione dal greco antico che significa cambiare parere,da meta appunto meta e voeo che significa pensare.
Mai come oggi, la società è intrisa di questo concetto.
Di questo profondo mutamento nel modo di pensare, sentire e giudicare le cose.
Quasi ad accogliere questo mutamento sociale, dovuto al periodo pandemico, il fuorisalone milanese, andato in scena in questi giorni a Milano, in un totale capovolgimento rispetto alla semplificata edizioneprecedente, torna ad operare su concetti cardine del mutamento sociale attraverso il valore del design concept.
Metanoia nel pensare. Qualità progettuale e cambiamenti in atto. La bella mostra che si è svolta a Palazzo Reale presso la sala delle Cariatidi ha voluto offrire proprio questo spunto. Con “LA SCATOLA MAGICA” dal 7 giugno al 17 ad ingresso gratuito, i visitatori avranno la possibilità di immergersi nel pensare i valori fondamentali del design e del racconto del salone del mobile. Come recita il comunciato stampa “In occasione della sua 60a edizione, il Salone del Mobile. Milano sceglie un approccio originale per raccontarsi e far conoscere i suoi valori fondanti a un pubblico internazionale. Dal 7 giugno al 17 giugno, nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, andrà in scena La Scatola Magica. Undici parole per undici autori: un’installazione audiovisiva site-specific dedicata a 11 principi istituzionali che sono, da sempre, impressi nel suo dna – Emozione, Impresa, Qualità, Progetto, Sistema, Comunicazione, Cultura, Giovani, Ingegno, Milano, Saper Fare. Tireranno le fila del racconto, rispettivamente, altrettanti registi italiani: Francesca Archibugi, Pappi Corsicato, Davide Rampello, Wilma Labate, Bruno Bozzetto, Luca Lucini, Claudio Giovannesi, Gianni Canova, Donato Carrisi, Daniele Ciprì, Stefano Mordini. L’obiettivo? Risvegliare il nostro senso della meraviglia per creare un’esperienza memorabile e, attraverso il linguaggio del cinema e del teatro, celebrare il compleanno della Manifestazione e Milano nel segno della bellezza“.
Metanoia nel sentire. Vivere i cambiamenti come un modo per “uscire dal tunnel”, sentire i cambiamenti in atto attraverso punti di luce come quello di Flos che, sempre dal 7 giugno fino al 24 giugno per i suoi 60 anni di attività ha scelto di ambientare il suo racconto del sentire i cambiamenti come un viaggio celebrativo nella fabbrica di via orobia 15 , vicino a Fondazione Prada. Calvi Brambilla stupisce ed usa lo spazio come un “rivedere le stelle”, nel buio e il degradare del vuoto post industriale più completo. Una esperienza immersiva dove le luci delle lampade tipiche del made in italy si declinano per stimoli. Sensazioni. percezioni. Come il giardino ricreato in interno per realizzare il percorso delle lampade outdoor e dove schermi che proiettano immagini di animali selvaggi osservati nel loro habitat naturale notturno, rendono la metonoia del sentire unica.
Da segnalare anche l’evento – mostra dal titolo “Ancora, dalle fondamenta della terra” che haaffrontato il tema del rispetto per la natura, “portando l’attenzione sul valore dell’artigianato e sull’utilizzo di materie prime che provengono dalla natura stessa, in questo particolare momento di crisi pandemica, climatica e morale”, come recita il comunicato stampa, presso la Fondazione Feltrinelli di Milano ,sempre sino al 13 giugno 2022.
Metanoia del giudicare nei Labirinth Gardner sparsi per i chiostri ed i cortili della università degli studi di Milano, chiamata STatale, vero epicentro di questo fuorisalone, una sorta di “quartier generale” , insieme ai labirinth garden degli orti di Brera. Una sorta di liturgia un atto reverenziale che fa toccare le piante, la terra arida o la paglia sparsacome una esperienza di “giudizio” su quello che si è vissuto durante la pandemia.
COme quello nel cortile del ‘700 in Statale che tra le tante opere in mostra e molte esperienze,come quella del Brasile, per esempio, fino al 13 giugno offre la suggestione di un “labirinto verde” oper di Raffaello Galiotto per Nardi outdoor.
Perdersi. Ritrovarsi. Metanoia di questo mondo oramai irrealizzabile se non per stati di emergenza e decreti. Labirinti dove pero’ si passeggia e si cerca di non perdersi. Percorsi circolari in cui non è facile ritrovarsi uguali, come appunto insegna il palindromo visivo della scultura “LOVE SONG” in Statale
dello Studio Ron Arad and Associates anima il cortile della Statale con Love Song, in marmo bianco.
Dubbi e rinascite.
Come appunto il concetto di METANOIA insegna.
Mutare i parametri, i modi di pensare di sentire e di giudicare la vita, renderla migliore, per poterla godere meglio, renderla più semplice , certo, non è facile. Capovolgere il mondo, renderlo vivibile al meglio forse impossibile. Starci bene, comodo, si. Non è questo poi, lo scopo di un creare, realizzare e vendere mobile? Metanoia docet.



A Verona torna il Nabucco risorgimentale

Un fil rouge unisce l’Arena di Verona e Teatro alla Scala di Milano nell’allestimento del Nabucco di Arnaud Bernard che, dopo aver inaugurato il festival de 2017, torna in scena per otto serate. Dopo il debutto del 25 giugno sono previste altre sette repliche dell’opera di Giuseppe Verdi ambientata in epoca risorgimentale: 1, 7, 10, 23, 29 luglio, 18 agosto, 3 settembre.

Uno spettacolo di ampio respiro storico e cinematografico che si rifà visivamente a Senso, capolavoro di Luchino Visconti, aiutato dall’imponente scenografia di Alessandro Camera che, fra barricate e saloni, ruota intorno al Teatro alla Scala di Milano, città al centro dei moti risorgimentali del 1848. Bernard ricolloca la vicenda biblica negli anni in cui Verdi compose l’opera, mentre gli italiani combattevano per la propria indipendenza e identità nazionale, eleggendo il Nabucco di Verdi, al debutto su libretto di Temistocle Solera, alla Teatro alla Scala di Milano nel 1842 icona di questa lotta. Ecco quindi il tripudio sul palco dell’Arena di bandiere tricolori e anche di un “Viva Verdi” (che, negli ultimi anni dell’occupazione austriaca del lombardo veneto, sottendendo Vittorio Emanuele Re d’Italia, permetteva ai patrioti di manifestare senza incorrere in repressioni) che travolgono il pubblico di emozioni. Efficace la rappresentazione del coro degli ebrei, il coro dei cori con  “Va’, pensiero, sull’ale dorate…”,  all’interno dell’allestimento del Nabucco nel Teatro alla Scala. Una rappresentazione nella rappresentazione, un teatro nel teatro” che, grazie a questo espediente è capace di raccontare la nostra storia

L’allestimento di Bernard legge quindi nel contrasto insito nella vicenda narrata nell’opera – il conflitto tra Babilonia e Gerusalemme – la storia d’Italia negli anni turbolenti del Risorgimento. Ed è questa visione profondamente risorgimentale suggerita da musica e libretto, e propria dei rivoluzionari italiani negli anni in cui Verdi componeva, che ha permesso a Nabucco di diventare nell’immaginario collettivo il titolo patriottico per eccellenza, con il suo Va’, pensiero che si eleva ad inno del riscatto nazionale. Bernard parte da questa interpretazione per rendere il dramma più storico, umano e verosimile.

Il collegamento tra Milano e Verona ha inoltre un doppio valore storico per due motivi: la collaborazione tra le due fondazioni e le stesse origini del teatro milanese che, inaugurato nel 1778, ha ereditato nome e sede dalla chiesa di Santa Maria alla Scala (così chiamata in onore di Regina della Scala, della dinastia degli Scaligeri, Signori di Verona, e moglie di Bernabò Visconti, Signore di Milano) demolita proprio per fargli posto,  Poi, nel ‘900, si è stabilito un tradizionale stretto rapporto tra le due Fondazioni liriche (tanti anni fa l’Arena era definita la “Scala d’estate”).

Con il Nabucco sale sul podio il maestro Daniel Oren che dirige (richiamando anche il pubblico scatenato nella richiesta di bis dopo la prima esecuzione “Va’ pensiero”) Orchestra e Coro, preparato da Ulisse Trabacchin. Nel ruolo del titolo il baritono Amartuvshin Enkhbat che, acclamato in Arena fin dai suoi esordi, torna a Verona immediatamente dopo il successo personale riscosso come nuovo Rigoletto al Teatro alla Scala. Accanto a lui, il soprano uruguaiano Maria José Siri interpreta per la prima volta a Verona il difficilissimo ruolo di Abigaille, al suo debutto areniano il basso Abramo Rosalen nei panni di Zaccaria, mentre il tenore Samuele Simoncini e il mezzosoprano Francesca Di Sauro interpretano rispettivamente Ismaele e Fenena.




Balla come idea del femminile a Bottegantica

di Cristina T. Chiochia Dal 6 novembre 2021 al 30 aprile 2022, presso la sede di Milano di Banca d’Italia è stata esposta la propria collezione di opere di Giacomo Balla per una mostra piccola ma suggestiva dal titolo “Esistere per dare”. Un omaggio alle opere di Balla presenti nella collezione che hanno creato a Milano una sorta di percorso anche presso la Galleria Bottegantica  (con la stessa curatrice della mostra ) e presentata dall’ 1 al 30 aprile con il titolo BALLA AL FEMMINILE | TRA INTIMISMO E RICERCA DEL VERO con cui la galleria , recita il comunicato stampa : “intende rendere omaggio a Giacomo Balla, uno dei più importanti e originali esponenti dell’arte italiana del XX secolo. Una “preview” speciale con una selezione di opere inaugurerà la mostra alla fiera MIART di Milano, dal 31 marzo al 3 aprile, dove la Galleria sarà presente nella sezione Decades allo stand A100. L’esposizione si sposterà dal 6 al 30 aprile negli spazi espositivi di Galleria Bottega Antica in via Manzoni 45.Dopo quattro anni dalla rassegna Giacomo Balla. Ricostruzione futurista dell’universo (2018), incentrata sull’esperienza futurista del pittore, Bottegantica dedica una mostra alle declinazioni della femminilità interpretate dall’artista in due periodi apparentemente lontani della sua produzione, quello divisionista di inizio Novecento e quella figurativo-realista degli anni Trenta e Quaranta”.

Una mostra curata nei minimi dettagli a cui a fatto da padrona la grande storica Elena Gigli che ha soddisfatto nella preview riservata alla stampa aneddoti e curiosità sul lavoro di questo grande artista. Opere incredibili. Dai colori lucidi e vivi che custodiscono quel senso di “stare accanto” in famiglia a cui Balla era tanto affezionato. Balla maturo e molto attento agli accostamenti con grande capacità di sviluppare temi come la quiete o la famiglia oltre alla figura femminile. Veri e propri primi piani d’artista. Dove ritrarre significa generare, in quella sorta di “generatività” che gli fu tanto cara nei ritratti dei primi del 900.  Visibili quindi Quiete operosa (1898) e La famiglia Stiavelli (1905) ma anche grandi ritratti delle figlie, anche loro pittrici. ED è proprio quella casa dove nell’estate del 1929 Balla si trasferisce, che diventa il tutto.  La misura di tutte le cose, insomma. Tanto che per tutto il 2022 a casa in via Oslavia 39/b sarà visibile al pubblico e visitabile grazie alla collaborazione del MAXXI e la Soprintendenza speciale di Roma oltre che al supporto della banca Finnat. Spazio. Percezione della realtà e luce ridente. Balla che forse, da lassù, sorride soddisfatto.




Rudy Profumi: 100 anni di storia e una lunga strada da percorrere

Fondata nel 1920 a Milano da Spiridione Calabrese che inizia l’avventura di profumiere nella sua piccola bottega di parrucchiere, partendo dalla miscelazione di tinture per capelli, Rudy Profumi guarda al futuro con la quarta generazione che si è succeduta in azienda e punta su sostenibilità, rispetto dell’ambiente e ricerca. L’azienda, nata dall’intuizione di un uomo dei primi del ‘900 è oggi un’impresa, presente in oltre 30 paesi con una distribuzione capillare che oltre alle profumerie e a 4.000 porte tra farmacie, parafarmacie ed erboristerie.

Ad oggi Rudy Profumi presenta un’ampia gamma di prodotti per la cura del corpo: bagnoschiuma, body cream e saponi liquidi, oltre alle iconiche acque di colonia, ad una linea di diffusori ambiente per la casa. I prossimi progetti del brand riguardano l’ampliamento di tutta la categoria dei prodotti legati all’Home Care, oltre ai già presenti emanatori, così da poter offrire una proposta completa con linee dedicate. La
partecipazione al prossimo Maison&Objet sarà, infatti, un’occasione per consolidare i rapporti con i partner e per aprire nuove possibili collaborazioni nel settore Home Decor.

Le formulazioni delicate e performanti caratterizzano fragranze piacevoli ed evocative che spaziano dal floreale, all’esotico fino alla dolcezza delle note fruttate. Profumazioni ricercate e packaging di design sono la peculiarità dei prodotti masstige di Rudy Profumi. Questo connubio si realizza, in particolare, nella collezione Maioliche: una linea caratterizzata da fragranze ispirate ai profumi tipici italiani e dedicate alle città che ne
rappresentano la storia. Gli agrumi di Sicilia, le erbe aromatiche mediterranee, le rose di Positano e di Amalfi sono solo alcune delle profumazioni racchiuse nelle ceramiche italiane dai disegni esclusivi realizzati a mano e riprodotti sulla confezione.

Tra le novità di Rudy Profumi  la nuova collezione di fragranze per il bucato, profumi pensata per vuole personalizzare i propri capi con fragranze uniche.  Rudy Profumi offre una gamma di 5 fragranze contraddistinte da diverse piramidi olfattive per evocare le più positive sensazioni: toni floreali, fruttati e aromatici.

GIADA: freschezza della primavera grazie alle note di Limone e Pesca. La nota olfattiva si apre con sentori di Limone e Pesca, con un cuore tenero e floreale di Rosa, Gelsomino e Orchidea Bianca per finire con aromi caldi e persistenti di Legni Preziosi, Vaniglia e Fava Tonka.

QUARZO: fragranza caratterizzata da un bouquet floreale seducente. Il profumo si annuncia con le note di Pesca e Limone con un cuore irresistibile di Rose e Fiori di Loto per finire con la freschezza e delicatezza di Muschio Verde.

ZAFFIRO: note verdi e fiorite di Neroli e Fiori Bianchi si combinano alla perfezione con le note calde e preziose di Legni Preziosi, Muschio e Spezie per creare un accordo intenso e persistente.

AMETISTA: fragranza fiorita e frizzante connotata da note verdi di Limone e delicati frutti. Il suo cuore fiorito di Rosa Bianca e Ylang Ylang unitamente alle note di fondo di Legni Preziosi e Muschio Bianco la completano, rendendola fresca e persistente.

TURCHESE: composizione fiorita e delicata. La nota olfattiva è caratterizzata da testa di Vaniglia e Talco su dolci e romantici sentori di Rosa e Geranio. Le note di fondo di Muschio e delicata Vaniglia conferiscono alla fragranza persistenza.




L’arte coltivata di Giorgio Riva

di Cristina T. Chiochia Un invito alla lettura quello de “L’antro di Efesto” di Giorgio Riva e presentato al Museo della Permanente a Milano in cui l’autore a voluto esprimere l’essenzialità del suo libro cercando di mettere in luce il suo essere architetto ma che “coltiva arte” con una tipica forma di “essenzialità che gli appartiene”. E nel libro ce ne sono molti esempi a partire dall’idea di “bontà del caso”, quando l’autore racconta del suo talento. Anche pittorico. “In quel periodo” racconta nel libro “avevo accanto cugini e amici già studenti di Lettere e filosofia con i quali trovavo le categorie necessarie per un primo passo: distinguere la veduta cosiddetta “dal vero” dalla “veduta della mente”. Poco dopo il distinguo ha rinnovato il suo abito verbale: imago (dal latino imitor – it. “imitare”) aut phàntasma (in greco “visione”, libera dall’obbligo di imitare)”. La pittura come prima grande sintesi espressiva.

Per Riva, insomma l’idea del  progetto architettonico si colloca in una sorta di interregno. Che esemplifica con il suo modo di fare pittura fin dalla più tenera età e che poi lo ha portato addirittura alla pittura informatica fusa con il suono.

Sempre nel libro infatti dice ” tutti i progetti ritraggono ciò che non c’è, o almeno che non c’è ancora. Si annunciava così anche l’affascinante idea di utopia che in politica si candida a diventare ideologia. Contemporaneamente il mio dipingere si allontanava dall’imitazione veristica del soggetto ritratto per dare maggiore importanza al modo di condurre le pennellate sulla tela: cosa facevano macchiaioli e impressionisti? Ritraevano atmosfere di paesaggi o inseguivano da innamorati un loro nuovo modo di agitare il pennello? Stava insomma prendendo corpo un linguaggio pittorico in cui la realtà cessava di essere “rappresentata”, diventava per me molto più interessante “alluderla” o “citarla”: potevo semplicemente “usarla”, insomma, per ritrarre non più oggetti, ma “itinerari” del pensiero visivo. Contemporaneamente stavo preparandomi a rivedere anche i grandi ritratti dei realisti come specchi ingannevoli”.

Una realtà , quella che esprime Riva nel libro, che è sempre più interessante proprio perché da scoprire là, in quel “dentro” dove è  il pensiero visivo. Che è proprio quanto la pittura insegna, da sempre. Dalla superficie di un “vero apparente” a qualcosa che con il talento cresce e si rafforza. Forse per questo, dice sempre l’autore “c’era sempre un velo da togliere, altrimenti si sarebbe perso ogni senso, spessore e, in definitiva, la profondità del dipinto”. La realtà, insomma si raggiunge al contrario in pittura, come in architettura. E poi l’esperienza della testimonianza. Dove la Casa-Museo I Tre tetti nel Parco Regionale di Montevecchia e della Valle del Curone a Lecco , mostra ai visitatori una raccolta privata delle opere di Giorgio Riva presso la sua residenza estiva e come si è aperta al pubblico con una prima mostra notturna di “sculture luminose” (visibili al tramonto) nel 2005.

Sempre in ascolto. Per saper vedere e saper guardare. Ecco in estrema sintesi il libro. E questa l’intuizione dell’autore ,oltremodo attuale che, come recita il comunicato stampa: “nella confusa temperie delle culture che regna attualmente è fondamentale essere vigili e pronti a navigare controvento. La mia rotta mi ha condotto su un dosso del Parco di Montevecchia a fare un luogo destinato all’intreccio delle arti”. Villa 3 Tetti di Sirtori non è tanto una raccolta di opere, è piuttosto un’opera complessiva dentro la quale si cammina. Arte del paesaggio, arte della luce, architettura, scultura, pittura vi s’intrecciano con poesia e musica: qui il vero protagonista è il metalinguaggio che le unisce”. E questo libro, edito da Skira ditore, sicuramente ne è un valido esempio.




L’opera donata da Emilio Isgrò “Cinque Maggio. Minuta cancellata”

 di Cristina T. Chiochia Ci sono occasioni per perdersi negli archivi e trovare un concetto di prossimità artistica del tutto nuovo anche in capolavori come la poesia del Cinque Maggio. Una sorta di generatività al contrario e di connessione con una comunità ritrovata quella del dono di Emilio Isgrò della minuta cancellata del Cinque Maggio. Prossima come Milano e Manzoni.
E di linguaggio, con una nuova pubblicazione, presentata presso la Biblioteca Braidense di Milano, che riporta poi la magia di un incontro, quello di Isgrò ed i suoi lavori, con quel Cinque Maggio, poesia unica e stra conosciuta in Italia che si fa anche inno. Anche grazie al catalogo ragionato per Skira Editore, Isgrò presenta il suo lavoro in modo inedito ed attraverso una donazione che ha il sapore del fare una sorta di transizione sulla parola che non va mai rinviata. Ma asciugata. Cancellata. Come se il cambiamento della forma scritta e della cancellatura diventasse in questo modo quodiano e costante per tutti gli autori e gli scrittori, quando diventa qualcosa di importante. Qualcosa che non può non deve essere demandata. Cancellatura necessaria e reale. Una virtualizzazione del processo creativo che virtualizza la conoscenza della poesia stessa e la rende importante, sincera, più di quanto potesse esserlo, leggerla nella versione definitiva. O pubblicata.
Scrittura a mano. Inchiostro secco. Cosa sarebbe senza la presenza di quelle cancellature? Attraverso la donazione di questa minuta insomma, Isgro entra nel processo creativo di Manzoni con competenza e lascia delle risposte ad una fase storica che, purtroppo, è molto attuale. quella degli eroi e della guerra.  La poesia per Napoleone, eroe invitto diventa memoria di presente,  che come recita il comunicato stampa” ancora una volta unisce la grande arte con la grande letteratura, la memoria con il presente, è la protagonista della donazione di Emilio Isgrò alla Biblioteca Nazionale Braidense: “Cinque Maggio. Minuta cancellata”.  L’artista ha infatti apportato le sue cancellature sul manoscritto autografo della celebre poesia manzoniana dedicata a Napoleone, manoscritto conservato in biblioteca, uno dei più celebri della Braidense, istituto che accoglie il più importante fondo manzoniano nazionale, volendo così rendere un nuovo omaggio alla lingua poetica del grande scrittore”. Una presentazione interessante. Che coglie tutta la drammaticità del presente, con gli occhi artistici di un artista che guarda il suo lavoro in prospettiva e dall’alto, mentre Manzoni raccontava “il suo” futuro attraverso il condottiero più famoso, Napoleone.



La prima Beauty Week milanese, un nuovo mood tra bellezza e benessere

di Cristina T. Chiochia Ci sono eventi che entrano nella tradizione anche alla loro prima edizione. Pare questo il caso della settimana milanese dedicata alla cultura della bellezza e del benessere che si è svolta dal 3 all’8 maggio.  La prima edizione della Milano Beauty Week sorprende per i numeri. oltre 10mila visitatori che , come recita il comunicato stampa “hanno partecipato a incontri di approfondimento, mostre, laboratori, esperienze di bellezza e iniziative di beneficenza”.

Un evento diffuso nella città che aveva al suo centro  Palazzo dei Giureconsulti con numerosi esercizi e spazi che hanno reso uniche le attività proposte durante la settimana. Non solo luoghi d’arte ma anche iniziative accattivanti dove , con oltre 900 eventi e ben 100 aziende cosmetiche che vi hanno aderito, i partecipanti hanno potuto cogliere le sfaccettature della riapertura degli store del benessere aderenti e dei molti operatori del settore.
Un primo felice incontro nei giorni dell’evento è stato quello con Enrico Gambera, visagista. Tra green e made in Italy parla della eccellenza e dell’esigenza della qualità dei prodotti allo spazio espositivo di Unconventional Cosmetics e spiega perché è cosi importante la creatività e la innovazione incentrati sul benessere della persona. anche nel trucco. Tra prodotti innovativi e modelli nuovi insomma, le idee della linea sono appunto “unconventional” perché approcciano alla bellezza in modo inedito. Ed esplorano, anche grazie a talenti e concetti provenienti da lunghe esperienze di esperti come Gambera, un nuovo mood tra bellezza e benessere.
Nuovo mood possibile? Addentrandosi per le varie aree espositive e seguendo i vari appuntamenti proposti, pare proprio di si. E e Unconventional Cosmetics riunisce l’eccellenza dei prodotti per la bellezza green handmade e made in Italy proposti solo online, interessante è l’approccio giocoso di Cantabria labs Difa Cooper che con uno spazio interamente coperto di specchi, fa “riflettere” il visitatore sul proprio aspetto esteriore declinandolo attraverso le proprie linee di prodotto tra cui Elancyl, che dal 1971 continua ad essere pioniere di innovazioni o la linea Heliocare che con fernblock ( un attivo brevettato di origine naturale estratto da una felce ) attiva veri e propri meccanismi antiossidanti.
Un nuovo modo di “essere” wellness è possibile? Così pare. Grazie anche allo splendido spazio dedicato ai profumi. Vero e proprio “locus amenus” per rigenerarsi attraverso il senso dell’olfatto, che dopo la pandemia, è stato piuttosto mortificato tra mascherine ed effetti della malattia. Riprendersi insomma corpo e mente. Nel migliore dei modi. Con giocosità e voglia di vivere. Ecco in sintesi questa Milano Beauty Week che ,come dice Renato Ancorotti, presidente di Cosmetica Italiana  ha premiato anche i numeri «i numeri di questa edizione di lancio testimoniano la calorosa accoglienza che la città ha riservato a Milano Beauty Week: un trampolino che senza dubbio ci proietta verso il 2023 con l’ambizione di rendere La settimana dedicata alla cultura della bellezza e del benessere una ricorrenza collettiva annuale da inserire nel calendario delle week milanesi . Una risposta in cui speravamo e che abbiamo constatato incontrando i numerosi visitatori che in questi giorni hanno avuto modo di scoprire il dietro le quinte del settore cosmetico e le molteplici sfaccettature che ne fanno un comparto di eccellenza. Cosmetica Italia, accanto ai partner Cosmoprof ed Esxence, ha creduto in Milano Beauty Week e lavorato con passione per costruire una manifestazione unica nel suo genere per il mondo della cosmesi. Un ringraziamento va a Regione Lombardia, Comune di Milano, Assolombarda, Camera Nazionale della Moda Italiana e Confcommercio Milano Lodi Monza e Brianza, che hanno dato il loro patrocinio a questa prima edizione, ai nostri sostenitori, agli sponsor, alle aziende, ai professionisti e alle realtà distributive, commerciali e di servizi del comparto: assieme siamo riusciti a sviluppare una sinergia vincente che ci ha permesso di raggiungere dei risultati di grande successo».
Valori sempre più green, raccolta fondi e un mood di ben-essere dove i consumatori sono sempre più partecipi del processo di innovazione di chi produce e vende prodotti di bellezza, in sicurezza e sostenibilità ambientale. Sinergie ritrovate tra gioia di vivere e serenità quasi dimenticate per ben due anni. Grazie anche al cinema che, per mezzo della similitudine tra profumo e cinema sprigiona un universo di grandi emozioni: profumo, in modo invisibile che approda, attraverso l’olfatto, al sistema limbico cerebrale facendo scaturire emozioni e ricordi e non più problemi connessi alla pandemia. Scelto in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino, sono stati proposti sei grandi film della cinematografia italiana e sono stati abbinati altrettante fragranze per completarne la narrazione.
Torna il mood del benessere. All’insegna della bellezza. Perché no.



Sorolla: quando l’arte di un grande artista della pittura si tinge di sole spagnolo

di Cristina T. Chiochia Il “pittoresco” spagnolo non è facile di definire. Forse per questo, essendo cambiato il mondo spagnolo, oramai “pronto” per Picasso ed il cubismo, fu presto dimenticato. Dovettero passare molti anni fino alla sua riscoperta, con il nuovo millennio. Forse perché Sorolla ed il “suo mondo” era un modo di sentire la vita,  un sentimento che nelle due guerre venne spazzato via, troppo in fretta. Fatto prima di buio (il suo realismo, come la fotografia della società) e poi di luce accecante (il suo luminismo). Quasi di una ossessione per la vita contemporanea per lui, compresa solo da chi , come lui, gli era contemporaneo, ma che risulta ora nel suo essere tipicamente spagnola di quegli anni: dalla siesta silenziosa post prandiale e dalla luce, accecante, del cielo andaluso. La mostra che si sta svolgendo a Palazzo  Reale a Milano è un modo per vedere (o rivedere) con le emozioni che evoca, il “tanto paesaggio spagnolo” che fa amare ora questo paese e non solo come meta turistica, ma anche come filosofia di vita: luce e vita.
JOAQUIN SOROLLA PITTORE DI LUCE L’opera di Joaquín Sorolla (nato nel 1863 e morto nel 1923), diventa in questa mostra a Milano dal titolo “Joaquin Sorolla: pittore di luce” e visitabile sino al 26/6/2022, un straordinario esempio della pittura spagnola moderna esportata nel mondo prima della rivoluzione di Picasso come idea di luce nel colore “bianco assoluto”. Come recita il comunicato stampa: “per la prima volta in Italia, a Palazzo Reale dal 25 febbraio al 26 giugno, un’esposizione monografica ripercorre la ricca e fortunata produzione artistica del grande pittore spagnolo Joaquín Sorolla y Bastida (Valencia 1863-Cercedilla 1923). 
UN ARTISTA TRA I MASSIMI RAPPRESENTATI DELLA PIUTTURA IBERICA A CAVALLO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO Poco noto al pubblico italiano, Sorolla è stato uno dei massimi rappresentanti della moderna pittura iberica a cavallo tra Ottocento e Novecento, contribuendo in modo determinante al suo rinnovamento e aprendola al clima della Belle Époque. Tra gli artisti più amati e apprezzati del suo tempo sia per la grande qualità tecnica che per il carattere umile e benevolo, Joaquín Sorolla ottiene una fama che travalica ben presto i confini nazionali, partecipando e ottenendo prestigiosissimi premi alle grandi manifestazioni internazionali. Sarà però l’ambito Grand Prix, ottenuto alla nota Esposizione Universale di Parigi nel 1900, a lanciare la sua pittura di luce e colore definitivamente sulla scena internazionale. A Londra nel 1908 viene acclamato come “il più grande pittore vivente al mondo”.
INNOVATORE DELLA PIUTTURA ESPRESSIONISTA  PROTAGONISTA NEL RALISMO SOCIALE SPAGNOLO  Pittoresco spagnolo quindi, innovatore della pittura espressionista spagnola, ha dipinto più di 2000 opere. Legato profondamente all’ Italia, dove visse e si formò con borse di studio (ad Assisi e partecipando a varie Biennali a Venezia oltre che alla Esposizione di Roma del 1911), si distinse sempre per l’uso della luce en plein air, delle spiagge spagnole. Capolavori colmi di elementi atmosferici, colti con mano veloce ma mai fugace in opportunità quasi fotografiche di chi osserva in pennellate veloci e pastose di cui la pittura di Sorolla dà spesso conto. Capolavori  indiscussi per comprendere la liricità del suo lavoro, nella prima e terza sala della mostra, le celebri tele di “realismo sociale” spagnolo con cui alla fine del diciannovesimo secolo veniva spesso definita per quell’idea di una “povertà feudale” di cui spesso erano “vittime” i giovani: prostituzione, sifilide, tubercolosi. È  a questo popolo di innocenza che dedica spesso le sue tele come nel caso di “Tratas de Blancas” del 1895 sulla prostituzione spagnola delle adolescenti  o la “Triste Herencia” del 1899.
LA FMAIGLIA AL CENTRO DELL’OPERA DI SOROLLA Un realismo sociale che lascia spazio alla luce e la freschezza del mare, in tutte le sue forme, visione di un  Joaquín Sorolla pittore che vuole raccontare la luce anche attraverso una gioventù spensierata, colta nei giochi in riva al mare. Un pittore che racconta, come recita il comunicato stampa “attraverso circa 60 opere la straordinaria evoluzione artistica di questo pittore ambizioso e determinato, che ha fatto dell’arte la sua ragione di vita. Accanto al profondo amore per la pittura, tuttavia, Sorolla ha sempre accompagnato un ancor più intenso legame con la sua famiglia, il suo soggetto prediletto. In molte delle sue splendide tele, Sorolla racconta l’amore per la sua Clotilde, moglie, musa e vera compagna di vita, e per i tre figli, María, Joaquín ed Elena. Un legame che nutre la sua ispirazione e guida la ricerca verso la “verità” dell’immagine da riportare sulla tela, la quale può essere generata solo da una reale partecipazione e un’intensa emozione” . Pittore dedito al “luminismo” facendolo diventare un modo di esprimere la sua appartenenza alla terra spagnola.
UNA MOSTRA PREZIOSA PER CHI AMA LA  SPAGNA E NON SOLO Un pittore proposto in mostra come perenne scoperta: dagli esordi negli anni Ottanta dell’Ottocento a Valencia, che si commuove con il colore della musica del cielo e del mare,  fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1923. Sorolla ha sempre davanti gli occhi il mare. L’azzurro. Fino alla luce del cielo, come una esplosione di fuoco vivo, come scriveva lui in una lettera, indirizzata alla moglie. Grazie anche al bel catalogo, edito da Skyra, la mostra prone un po’ tutte le tematiche del pittore suddiviso in sezioni tematiche tra cui lo sguardo sulla realtà, i ritratti, i giardini e i riflessi di luce, il mare, i tipos e gli studi classici. Una mostra preziosa. Dove vengono esposti anche piccole meraviglie tra cui una piccola veduta di Toledo e del cielo atmosferico su Segovia: piccoli quadri di vera poesia che mostra come la pittura sia uno stato d’anima. Nella piccola veduta di Toledo, la sagoma umana in primo piano offre la riflessione sul movimento. Dipende dal motivo e dal momento. La pennellata è il momento della vita del pittore. E’ azione. Quella su Segovia invece, il pittore che gioca con il tempo atmosferico come quello ideale. Ed il tempo cambia. Velocemente.
Una mostra per chi ama la Spagna e ne ha fatto esperienza diretta, vissuto come “tempo prezioso”, o chi desidera farla. L’arte di un grande artista della pittura spagnola che si tinge di luce. Il progetto nato dalla collaborazione con molti musei, tra cui il Museo de Bellas Artes di Valencia, l’Hispanic Society di New York, la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro di Venezia, i Civici Musei di Udine, Musei di Nervi Raccolte Frugone.  Patrocinata dell’Ambasciata di Spagna in Italia, del Consolato Generale spagnolo a Milano, dell’Ente del Turismo spagnolo.



de Pisis: piccole riflessioni dopo la mostra al Museo del Novecento

di Silvia Ferrari Lilienau – Intanto: che sollievo visitare una mostra che sia tale, non un’esperienza immersiva in cui i dipinti siano manipolati per coinvolgere i sensi e la fantasia degli spettatori. Che sollievo che la mostra di Filippo de Pisis al Museo del Novecento non sia un piccolo Luna Park, ma la mostra di una novantina di opere in un crescendo cronologico, con pannelli esplicativi a introduzione delle sale. 

Che poi una mostra così allestita non sia facile è pegno inevitabile da pagarsi all’arte, visto che sarebbe sensato – contro l’insensatezza di ogni banalizzazione – accettare che l’arte non sia facile. Che sia comunque lecito accostarvisi è fuor di dubbio, come pure che sia doveroso provare a renderla accostabile. Ma, appunto, lo spostamento dovrebbe essere del cultore verso l’arte, per tramite di studiosi tenuti a offrire strumenti interpretativi, e non, invece, dell’arte verso il cultore, perché in tal caso si rischia una spettacolarizzazione quasi mai rispettosa della natura dell’opera.

Certo rifuggono da ogni forma di spettacolarizzazione i dipinti di Filippo de Pisis. Tutti, nessuno escluso, dalle prime nature morte che testimoniano l’incontro a Ferrara con de Chirico e Savinio, ai paesaggi e alle figurette agili degli anni parigini, e poi oltre, nei soggetti che tornano uguali, ma sempre più segnati da un pennello rapido e leggero, in cui sosta infine anche il suo arretrare alla vita.

A parte le prove che sono esplicito omaggio allo spaesamento metafisico, se si pensa alla pittura di de Pisis la si rivede costruita con segni brevi e vibranti, che toccano la tela in velocità. Carattere questo da più parti considerato troppo lieve, benché le parole di Elio Vittorini – citato in catalogo nel saggio di Pier Giovanni Castagnoli – bastino a garantirne il pondus: nel 1933, ne “L’Italia Letteraria” Vittorini scriveva infatti di come i detrattori di de Pisis non si rendessero conto dei “novemila metri di profondità ch’egli raggiunge senza nemmeno indossare lo scafandro”.

A ben vedere, si ha l’impressione che dipingere fosse, per de Pisis, come scrivere, là dove la scrittura era stata la sua vocazione prima e precoce, nonché una prassi mai interrotta. Rimangono di lui lettere, articoli, scritti di storia dell’arte, prose, poesie, diari. Non aveva ancora venti anni quando conobbe de Chirico e Savinio, e però a casa di Corrado Govoni, che aveva scritto per lui la prefazione a I Canti de la Croara, pubblicati già nel 1915.

Solo che nella sua pittura, la polpa materica un po’ sfatta si carica di un silenzio invece difficile a tradursi in parola scritta.

Come ne La lepre del 1932, con l’animale morto allungato sul tavolo, la pelliccia stropicciata dai picchiettamenti del pennello e la piccola chiazza di sangue accanto al muso, quasi colore sgocciolato, quasi una dimenticanza.

Il silenzio che si fa tattile, alla fine, dentro alle nature morte dipinte nella casa di cura dove avrebbe concluso i suoi giorni. In Cielo a Villa Fiorita, del 1952, l’esterno diventa un piccolo quadro in un interno, un quadro nel quadro in cui de Pisis sembra ricordarsi di se stesso quando componeva nature morte su uno sfondo di mare e cielo, a dire – allora – lo spazio senza margini anche del suo pensiero.

de Pisis

Milano, Museo del Novecento, 4 ottobre 2019-1 marzo 2020

a cura di Pier Giovanni Castagnoli con Danka Giacon

Catalogo a cura di Pier Giovanni Castagnoli, Milano, Electa, 2019




Sostenibilità in cucina

La cucina “zero waste” ovvero che non produce alcun rifiuto è tra i nuovi trend nella cucina d’autore. Non solo quindi attenzione spasmodica al prodotto biologico e, ancora meglio, ai piccoli fornitori locali, ma anche focus sul riciclo, riutilizzo e riduzione di ogni scarto. Una ristorazione pienamente sostenibile passa infatti inevitabilmente dalla lotta agli sprechi alimentari.
Tra i pionieri di questa scelta innovativa di ristorazione ci sono il tre volte stellato Massimo Bottura a e Dan Barber. Lo chef alla guida de “L’Osteria Francescana” ha dato vita nel 2016 al progetto Food for Souls, una Ong che anche grazie all’esperienza maturata con i Refettori, combatte gli sprechi alimentari. Barber invece, tra Londra e New York, ha creato dei temporary restaurant “WastED” con l’obiettivo di mostrare la creatività della cucina del riciclo e allo stesso tempo far riflettere sull’enorme spreco alimentare che, quotidianamente, avviene sulle tavole dei ristoranti di tutto il mondo. Ma non sono i soli. La sostenibilità permea ormai ogni ambito della vita sociale e personale e l’applicazione più integrale di questo approccio ai fornelli porta appunto all’approccio “zero waste”.

È un po’ come tornare indietro alle tradizioni contadine quando non era ammissibile sprecare le già limitate risorse (la francese bouillabaisse è un tipico esempio di queste tradizioni, ma anche la ribollita tanto per “giocare in casa”). Nel nuovo Millennio tuttavia la ricerca del “no waste” si sposa con una maggiore consapevolezza e con la volontà di perseguire fino in fondo i valori sostenibilità ambientale, economica e sociale.

In questi ultimi anni stanno aumentando le sperimentazioni di nuovi modelli di ristorazione a zero rifiuti anche se spesso si ricorre al format “pop up restaurant” piuttosto che a un locale stabile, come è accaduto con il trendy Zero Waste Bistrot di New York, inaugurato nel corso della Design Week per invitare a riflettere sull’economia circolare. In parallelo sono in crescita anche le certificazioni rivolte all’eco ristorazione come le americane Green Restaurant 4.0 Standards e Green Seal Gs-46, la neozelandese The Better Cafè and Restaurant e l’europea Nordic Ecolabelling for Restaurants.

In Italia il trend è ancora agli albori, soprattutto per quanto riguarda l’interpretazione creativa della cucina “no waste”. Ma la direzione è ben segnalata non solo dalle esperienze estere, ma anche dall’elevata sensibilità che le nuove generazioni mostrando sul tema. E a Milano la sperimentazione appare già ben a avviata.

Franco Aliberti ha impresso una svolta sostenibile nella cucina del ristorante Tre Cristi. La parola chiave è cucina attenta all’ambiente ed ecosostenibile: ogni piatto esalta le singole materie prime, presentate in diverse consistenze e utilizzando tutte le parti commestibili di frutta e verdura. Una innata curiosità e voglia di sperimentare: Franco Aliberti si avvale delle più moderne tecniche di cottura ma predilige un ritorno all’uso di cucina ancestrale, materica, come quella della griglia, che diviene garanzia di una cucina personale e decisamente creativa. “Sotto i riflettori il singolo ingrediente, bilanciato al massimo da altri due di supporto, perché amo colpire con la semplicità più che con la complessità, reinterpretando anche un semplice broccolo con una vena giocosa, senza perdere di vista la sostanza del piatto” racconta Franco Aliberti.

Tra le apertura più recenti il Røst porta invece in scena milanese un concetto di cucina circolare, con la riscoperta dei tagli poveri e una selezione di vini naturali di nicchia.
Massima attenzione alla materia prima e utilizzo degli ingredienti nella loro totalità caratterizzano la proposta gastronomica di una carta che ha due focus principali: i vegetali, dove la verdura di stagione è regina del piatto e i tagli poveri. Piatti della tradizione con gusti decisi, realizzati con delicatezza, pensati per tutti. Al numero 3 di Via Melzo, che sempre di più si distingue come la nuova food street del distretto di Porta Venezia. La carta del Røst abolisce le categorie di ordine (antipasti, primi, secondi, contorni), prediligendo un racconto orizzontale tra piccoli piatti da condividere liberamente, per favorire l’assaggio e la convivialità. Le proposte cambiano in relazione alla disponibilità di materie prime, aggiornandosi anche giorno per giorno per valorizzare gli ingredienti ed evitare gli sprechi. Una successione numerica caratterizza ogni menù, a testimonianza della freschezza di ogni selezione. La parete d’ingresso mette in scena i protagonisti con il Wall of Fame: 16 piatti in ceramica, ognuno raffigurante un produttore/fornitore di materie prime, disposti nello spazio a creare la ø di Røst.

Tra le esperienze all’estero più significative in evidenza quella d el Silo a Brighton nel Regno Unito a cura di Douglas McMaster. Porta in alto un concetto integrale di “zero waste”: i prodotti sono coltivati localmente e consegnati senza packaging, le bevande alcoliche (prodotte attraverso la fermentazione) o meno sono prodotte in casa utilizzando anche le erbe del territorio, i piatti sono di plastica riciclata, tavoli e sgabelli derivano dal processo di riciclo del legno, gli avanzi alimentari infine finiscono in una compostiera (messa a disposizione anche al resto della comunità) in grado di generare fino a 60 chili di compost in 24 ore. “Silo è nato dal desiderio di innovare l’industria alimentare dimostrando rispetto per l’ambiente, per la produzione del cibo e per il nutrimento dato al corpo. Questo significa che noi partiamo dalla forma originaria degli ingredienti, evitando gli sprechi nella preparazione dei piatti e preservando l’integrità e i valori nutrizionali degli alimenti” racconta McMaster. Una nuova etica in cucina che si sposa a menù strabilianti. Nei menù degustazione (quattro portate a 33 sterline a testa) troneggia, ad esempio un gelato ai semi di zucca con foglie di fisco, mentre tra gli snack si può scegliere per 3 sterline un piatto di spine di sgombro croccanti fermentate nel chili.

L’idea alla base dei locali Instock, nati ad Amsterdam e ora presenti anche a Utrecht e Anversa, oltre che con furgoncini attrezzati per lo street food, è quella di utilizzare cibi brutti ma buoni, ovvero quelli scartati dalla catena della grande distribuzione per problemi di standard di qualità o di sovrapproduzione, così da sensibilizzare gli utenti a una scelta sostenibile “Buttare via un prodotto alimentare non significa solo gettare via i soldi, ma non curarsi dell’enorme spreco di energia prodotto per la produzione e la conservazione di un alimento poi buttato” sostengono da Instock dove sono persino riusciti a creare due tipologie da patate e pane di scarto, la Pieper Bier e la Bammetjes Bier. L’utilizzo di prodotti invenduti o di scarto da parte degli chef di Instock significa anche che ogni giorno è diverso dall’altro nei locali della catena di ristorazione dove la creatività è, necessariamente, la parola d’ordine.

Nolla a Helsinki di Carlos Henriques, Luka Balac e Albert Franch Sunyer. Il Nolla è il primo ristorante a zero rifiuti della penisola scandinava, divenuto alla fine stabile dopo una serie di aperture temporanee (in ultima quella presso il Christmas Markets). In pochi mesi di vita è subito diventato una delle esperienze da non perdere per chi va a Helsinki grazie creatività ai fornelli e alla tecnologia utilizzare per render possibile il progetto. La scelta dei tre startupper, finanziati tramite una raccolta di crowdfunding, è stata integrale: non solo l’attenzione a evitare ogni spreco in cucina è totale, anche oggetti, utensili, energia e arredi per il locale sono stati accuratamente scelti seguendo il mantra “riduzione degli sprechi, riciclo e riutilizzo”. Il locale si è perfino dotato di una macchina da compostaggio per gli avanzi alimentari. Il percorso degustazione da due portate costa 45 euro, quello da tre invece 59 euro.
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