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MORANDI 1890-1964 la grande mostra a Palazzo Reale

 di Cristina T. Chiochia

Gli occhi aperti sul mondo. Come una porta aperta spalancata la mostra sulla pittura di Morandi. Dal 5 ottobre fino al 4 febbraio 2024 a Palazzo Reale  a Milano è stata aperta  al pubblico una mostra che va oltre la mostra: Morandi 1890 – 1964 a cura di Maria Cristina Bandera è un capolavoro.

Non solo per la qualità delle opere ma anche per l’accurata ricerca ed il loro accostamento, alcune addirittura cronologiche ed esposte una di seguito all’altra. Perché il visitatore potrà ammirare non solo il modus operandi del pittore, ma anche la sua evoluzione stilistica nel tempo.

Un piccolo capolavoro di ricerca e cura. Di passione e di ideazione. Un piccolo capolavoro realizzato su un pittore bolognese molto amato ma anche complesso. E per molti versi questa mostra segna un punto di partenza ideale per comprenderlo a tutto tondo, essendo una delle più importanti e complete retrospettive mai realizzate.

Milano a Palazzo Reale, nel suo piano nobile, insomma ospita 120 capolavori provenienti da ogni dove con un allestimento ben curato e realizzato per mettere in risalto la produzione del pittore, in particolare appunto degli ultimi decenni in cinquant’anni di attività.

Con questa nota di continuità che non potrà non essere notata dai visitatori , la mostra segue il filo ideale di altre retrospettive, in particolari internazionali sempre curare dalla stessa curatrice, tra cui Mosca, Bilbao e New York.

Ma perché Milano? Per il forte legame che il pittore ebbe con la città, come infatti recita il comunicato stampa: erano infatti lombardi o vivevano a Milano i primi grandi collezionisti di Morandi come Vitali, Feroldi, Scheiwiller, Valdameri, De Angeli, Jesi, Jucker, Boschi Di Stefano, Vismara – parte delle cui raccolte furono donate alla città, e milanese era la Galleria del Milione, con la quale il pittore intrattenne un rapporto privilegiato”. Ma sono appunto gli accostamenti dei quadri a colpire. Fino ai quadri dell’ultima sala, che spostano l’attenzione allo studio del pittore. E con due opere su ci che vedeva da casa sua, fa immaginare un mondo , fatto di grandi e di piccole cose, come una porta spalancata.

Giorgio Morandi nel suo studio, fotografato da Herbert List
1953
© International Center of Photography/Magnum Photo




Sorolla: quando l’arte di un grande artista della pittura si tinge di sole spagnolo

di Cristina T. Chiochia Il “pittoresco” spagnolo non è facile di definire. Forse per questo, essendo cambiato il mondo spagnolo, oramai “pronto” per Picasso ed il cubismo, fu presto dimenticato. Dovettero passare molti anni fino alla sua riscoperta, con il nuovo millennio. Forse perché Sorolla ed il “suo mondo” era un modo di sentire la vita,  un sentimento che nelle due guerre venne spazzato via, troppo in fretta. Fatto prima di buio (il suo realismo, come la fotografia della società) e poi di luce accecante (il suo luminismo). Quasi di una ossessione per la vita contemporanea per lui, compresa solo da chi , come lui, gli era contemporaneo, ma che risulta ora nel suo essere tipicamente spagnola di quegli anni: dalla siesta silenziosa post prandiale e dalla luce, accecante, del cielo andaluso. La mostra che si sta svolgendo a Palazzo  Reale a Milano è un modo per vedere (o rivedere) con le emozioni che evoca, il “tanto paesaggio spagnolo” che fa amare ora questo paese e non solo come meta turistica, ma anche come filosofia di vita: luce e vita.
JOAQUIN SOROLLA PITTORE DI LUCE L’opera di Joaquín Sorolla (nato nel 1863 e morto nel 1923), diventa in questa mostra a Milano dal titolo “Joaquin Sorolla: pittore di luce” e visitabile sino al 26/6/2022, un straordinario esempio della pittura spagnola moderna esportata nel mondo prima della rivoluzione di Picasso come idea di luce nel colore “bianco assoluto”. Come recita il comunicato stampa: “per la prima volta in Italia, a Palazzo Reale dal 25 febbraio al 26 giugno, un’esposizione monografica ripercorre la ricca e fortunata produzione artistica del grande pittore spagnolo Joaquín Sorolla y Bastida (Valencia 1863-Cercedilla 1923). 
UN ARTISTA TRA I MASSIMI RAPPRESENTATI DELLA PIUTTURA IBERICA A CAVALLO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO Poco noto al pubblico italiano, Sorolla è stato uno dei massimi rappresentanti della moderna pittura iberica a cavallo tra Ottocento e Novecento, contribuendo in modo determinante al suo rinnovamento e aprendola al clima della Belle Époque. Tra gli artisti più amati e apprezzati del suo tempo sia per la grande qualità tecnica che per il carattere umile e benevolo, Joaquín Sorolla ottiene una fama che travalica ben presto i confini nazionali, partecipando e ottenendo prestigiosissimi premi alle grandi manifestazioni internazionali. Sarà però l’ambito Grand Prix, ottenuto alla nota Esposizione Universale di Parigi nel 1900, a lanciare la sua pittura di luce e colore definitivamente sulla scena internazionale. A Londra nel 1908 viene acclamato come “il più grande pittore vivente al mondo”.
INNOVATORE DELLA PIUTTURA ESPRESSIONISTA  PROTAGONISTA NEL RALISMO SOCIALE SPAGNOLO  Pittoresco spagnolo quindi, innovatore della pittura espressionista spagnola, ha dipinto più di 2000 opere. Legato profondamente all’ Italia, dove visse e si formò con borse di studio (ad Assisi e partecipando a varie Biennali a Venezia oltre che alla Esposizione di Roma del 1911), si distinse sempre per l’uso della luce en plein air, delle spiagge spagnole. Capolavori colmi di elementi atmosferici, colti con mano veloce ma mai fugace in opportunità quasi fotografiche di chi osserva in pennellate veloci e pastose di cui la pittura di Sorolla dà spesso conto. Capolavori  indiscussi per comprendere la liricità del suo lavoro, nella prima e terza sala della mostra, le celebri tele di “realismo sociale” spagnolo con cui alla fine del diciannovesimo secolo veniva spesso definita per quell’idea di una “povertà feudale” di cui spesso erano “vittime” i giovani: prostituzione, sifilide, tubercolosi. È  a questo popolo di innocenza che dedica spesso le sue tele come nel caso di “Tratas de Blancas” del 1895 sulla prostituzione spagnola delle adolescenti  o la “Triste Herencia” del 1899.
LA FMAIGLIA AL CENTRO DELL’OPERA DI SOROLLA Un realismo sociale che lascia spazio alla luce e la freschezza del mare, in tutte le sue forme, visione di un  Joaquín Sorolla pittore che vuole raccontare la luce anche attraverso una gioventù spensierata, colta nei giochi in riva al mare. Un pittore che racconta, come recita il comunicato stampa “attraverso circa 60 opere la straordinaria evoluzione artistica di questo pittore ambizioso e determinato, che ha fatto dell’arte la sua ragione di vita. Accanto al profondo amore per la pittura, tuttavia, Sorolla ha sempre accompagnato un ancor più intenso legame con la sua famiglia, il suo soggetto prediletto. In molte delle sue splendide tele, Sorolla racconta l’amore per la sua Clotilde, moglie, musa e vera compagna di vita, e per i tre figli, María, Joaquín ed Elena. Un legame che nutre la sua ispirazione e guida la ricerca verso la “verità” dell’immagine da riportare sulla tela, la quale può essere generata solo da una reale partecipazione e un’intensa emozione” . Pittore dedito al “luminismo” facendolo diventare un modo di esprimere la sua appartenenza alla terra spagnola.
UNA MOSTRA PREZIOSA PER CHI AMA LA  SPAGNA E NON SOLO Un pittore proposto in mostra come perenne scoperta: dagli esordi negli anni Ottanta dell’Ottocento a Valencia, che si commuove con il colore della musica del cielo e del mare,  fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1923. Sorolla ha sempre davanti gli occhi il mare. L’azzurro. Fino alla luce del cielo, come una esplosione di fuoco vivo, come scriveva lui in una lettera, indirizzata alla moglie. Grazie anche al bel catalogo, edito da Skyra, la mostra prone un po’ tutte le tematiche del pittore suddiviso in sezioni tematiche tra cui lo sguardo sulla realtà, i ritratti, i giardini e i riflessi di luce, il mare, i tipos e gli studi classici. Una mostra preziosa. Dove vengono esposti anche piccole meraviglie tra cui una piccola veduta di Toledo e del cielo atmosferico su Segovia: piccoli quadri di vera poesia che mostra come la pittura sia uno stato d’anima. Nella piccola veduta di Toledo, la sagoma umana in primo piano offre la riflessione sul movimento. Dipende dal motivo e dal momento. La pennellata è il momento della vita del pittore. E’ azione. Quella su Segovia invece, il pittore che gioca con il tempo atmosferico come quello ideale. Ed il tempo cambia. Velocemente.
Una mostra per chi ama la Spagna e ne ha fatto esperienza diretta, vissuto come “tempo prezioso”, o chi desidera farla. L’arte di un grande artista della pittura spagnola che si tinge di luce. Il progetto nato dalla collaborazione con molti musei, tra cui il Museo de Bellas Artes di Valencia, l’Hispanic Society di New York, la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro di Venezia, i Civici Musei di Udine, Musei di Nervi Raccolte Frugone.  Patrocinata dell’Ambasciata di Spagna in Italia, del Consolato Generale spagnolo a Milano, dell’Ente del Turismo spagnolo.



Direttrici di musei italiani in una mostra fotografica

di Cristina T. Chiochia  Si è svolta mercoledì 2 marzo dalle ore 11.00 alle ore 13.00 presso il Palazzo Reale Piazza Duomo 12 Sala degli Arazzi primo piano l’anteprima per la stampa della mostra fotografica RITRATTE Direttrici di musei italiani  che sarà aperta sino al 3 aprile 2022 . “Ritratte – Direttrici di musei italiani” è sicuramente una mostra nella mostra, un omaggio all’ essere donne che parla non solo di curriculum vitae in poche righe di direttrici di musei italiani importanti sparsi per l’Italia, ma anche di cosa le ha spinte a fare questo lavoro, a prendersi cura del patrimonio artistico nazionale e non, ma soprattutto, cosa significhi “essere donna” nel mondo dei beni culturali in Italia. Un viaggio, insomma, avvincente dove si scoprono attraverso la fotografia, le “carte vincenti” che non devono mai mancare ad una donna per avere successo. Un modo unico, insomma, per festeggiare questa festa della donna, per comprendere da una prospettiva avvincente, cosa sia il patrimonio culturale in Italia, oggi.

La mostra promossa e prodotta da Palazzo Reale, Comune di Milano Cultura e Fondazione Bracco sarà visitabile inoltre gratuitamente . Come recita il comunicato stampa: “con questa mostra Fondazione Bracco continua nel proprio impegno per valorizzare l’expertise femminile presentando le professioniste che dirigono i luoghi della cultura italiani. Il progetto artistico con gli scatti d’autore del fotografo Gerald Bruneau si colloca nell’impegno della Fondazione per valorizzare le competenze femminili nei diversi campi del sapere e contribuire al superamento dei pregiudizi, così da incoraggiare una sempre più nutrita presenza di donne in posizioni apicali. La mostra illumina vita e conquiste professionali di 22 donne alla guida di primarie istituzioni culturali del nostro Paese, una sorta di Gran Tour che tocca 14 importanti città italiane da Nord a Sud: da Trieste a Palermo, da Napoli a Venezia per citarne solo alcune.

Il soggetto principale di “Ritratte” è la leadership al femminile. I musei, “luoghi sacri alle Muse”, sono spazi dedicati alla conservazione e alla valorizzazione del nostro patrimonio artistico, custodi del nostro passato e laboratori di pensiero per costruire il futuro. Inoltre, sono anche imprese con bilanci e piani finanziari, che contribuiscono in modo cruciale alla nostra economia. Dirigere tali istituzioni comporta competenze multidisciplinari, un connubio di profonda conoscenza della storia dell’arte e di capacità gestionali e creative”. Una visione dove l’amore per i musei e soprattutto i sentimenti che trasmettono, diventano quasi immediati.

Le fotografie, sparse per le sale ed in grandi dimensioni, catturano lo sguardo e rendono le protagoniste quasi in dialogo con il visitatore.  Con i ritratti, insomma, a puro titolo di esempio quello di  Francesca Cappelletti, Direttrice della Galleria Borghese di Roma o di Emanuela Daffra, Direttrice Regionale Musei della Lombardia, la Fondazione Bracco rende visibili e riconosce le competenze di tante donne vincenti, declinando al femminile e sottolineando un movimento necessario per la parità di genere. Inoltre, essendo da tempo impegnata per contribuire alla costruzione di una società paritetica, fissa immagini di donne vincenti che hanno raggiunto posizioni sociali apicali dove essere donna, fa, spesso, la differenza.

Come lo sguardo del fotografo Gerald Bruneau sottolinea : “Il mio intento è stato quello di mettere in risalto, insieme all’incommensurabile vastità e bellezza del patrimonio artistico italiano, la bellezza di queste donne che si impegnano quotidianamente per rimettere i musei al centro di una proposta culturale elaborata in rete insieme ai soggetti più rappresentativi delle realtà in cui sono immerse, invitano alla partecipazione, stimolano confronto e pensiero critico”,  incarnando così un viaggio nella bellezza del patrimonio culturale italiano attraverso gli occhi e l’aspetto di chi li custodisce, la mostra prosegue idealmente il progetto  “100 donne contro gli stereotipi” (100esperte.it) . Vera e propria narrazione complementare, le foto di Gerald Bruneau, torna a fotografare per Fondazione Bracco dopo la mostra fotografica “Una vita da scienziata” (con i ritratti di alcune delle più grandi scienziate italiane, che da allora è stata esposta non solo a Milano, Roma, Todi ma anche a Washington, Philadelphia, Chicago, Los Angeles, New York, Città del Messico e, per la festa della Donna , l’ 8 marzo a Praga. Donne protagoniste. Ritratti professionali finalmente e non glamour o pubblicitari e un museo, non solo ricorrenze per ricordarlo. Se con una mostra fotografica, tanto meglio.




de Pisis: piccole riflessioni dopo la mostra al Museo del Novecento

di Silvia Ferrari Lilienau – Intanto: che sollievo visitare una mostra che sia tale, non un’esperienza immersiva in cui i dipinti siano manipolati per coinvolgere i sensi e la fantasia degli spettatori. Che sollievo che la mostra di Filippo de Pisis al Museo del Novecento non sia un piccolo Luna Park, ma la mostra di una novantina di opere in un crescendo cronologico, con pannelli esplicativi a introduzione delle sale. 

Che poi una mostra così allestita non sia facile è pegno inevitabile da pagarsi all’arte, visto che sarebbe sensato – contro l’insensatezza di ogni banalizzazione – accettare che l’arte non sia facile. Che sia comunque lecito accostarvisi è fuor di dubbio, come pure che sia doveroso provare a renderla accostabile. Ma, appunto, lo spostamento dovrebbe essere del cultore verso l’arte, per tramite di studiosi tenuti a offrire strumenti interpretativi, e non, invece, dell’arte verso il cultore, perché in tal caso si rischia una spettacolarizzazione quasi mai rispettosa della natura dell’opera.

Certo rifuggono da ogni forma di spettacolarizzazione i dipinti di Filippo de Pisis. Tutti, nessuno escluso, dalle prime nature morte che testimoniano l’incontro a Ferrara con de Chirico e Savinio, ai paesaggi e alle figurette agili degli anni parigini, e poi oltre, nei soggetti che tornano uguali, ma sempre più segnati da un pennello rapido e leggero, in cui sosta infine anche il suo arretrare alla vita.

A parte le prove che sono esplicito omaggio allo spaesamento metafisico, se si pensa alla pittura di de Pisis la si rivede costruita con segni brevi e vibranti, che toccano la tela in velocità. Carattere questo da più parti considerato troppo lieve, benché le parole di Elio Vittorini – citato in catalogo nel saggio di Pier Giovanni Castagnoli – bastino a garantirne il pondus: nel 1933, ne “L’Italia Letteraria” Vittorini scriveva infatti di come i detrattori di de Pisis non si rendessero conto dei “novemila metri di profondità ch’egli raggiunge senza nemmeno indossare lo scafandro”.

A ben vedere, si ha l’impressione che dipingere fosse, per de Pisis, come scrivere, là dove la scrittura era stata la sua vocazione prima e precoce, nonché una prassi mai interrotta. Rimangono di lui lettere, articoli, scritti di storia dell’arte, prose, poesie, diari. Non aveva ancora venti anni quando conobbe de Chirico e Savinio, e però a casa di Corrado Govoni, che aveva scritto per lui la prefazione a I Canti de la Croara, pubblicati già nel 1915.

Solo che nella sua pittura, la polpa materica un po’ sfatta si carica di un silenzio invece difficile a tradursi in parola scritta.

Come ne La lepre del 1932, con l’animale morto allungato sul tavolo, la pelliccia stropicciata dai picchiettamenti del pennello e la piccola chiazza di sangue accanto al muso, quasi colore sgocciolato, quasi una dimenticanza.

Il silenzio che si fa tattile, alla fine, dentro alle nature morte dipinte nella casa di cura dove avrebbe concluso i suoi giorni. In Cielo a Villa Fiorita, del 1952, l’esterno diventa un piccolo quadro in un interno, un quadro nel quadro in cui de Pisis sembra ricordarsi di se stesso quando componeva nature morte su uno sfondo di mare e cielo, a dire – allora – lo spazio senza margini anche del suo pensiero.

de Pisis

Milano, Museo del Novecento, 4 ottobre 2019-1 marzo 2020

a cura di Pier Giovanni Castagnoli con Danka Giacon

Catalogo a cura di Pier Giovanni Castagnoli, Milano, Electa, 2019




Luigi Ghirri: il paesaggio dell’architettura in mostra alla Triennale

di Federico Poni – È stata inaugurata, in occasione della Milano Arch Week 2018, la mostra “LUIGI GHIRRI, IL PAESAGGIO DELL’ARCHITETTURA

Devoto della pop art, Ghirri, sicuramente uno dei più grandi fotografi italiani, è stato pioniere del mezzo della pellicola a colori con cui ritrae il binomio paesaggio/architettura, partendo sempre dal legame con il suo territorio natio, con la dimensione della storia e della memoria, che rappresenta la costante di tutte le sue fotografie.

Attraverso l’adozione di metodi di osservazione e registrazione ispirati al modello della collezione (ma non del collezionismo), Ghirri vuole stabilire un inventario della cultura materiale italiana (e non). Infatti, buona parte della retrospettiva mette in luce la decennale collaborazione tra il fotografo emiliano e la rivista Lotus International, che ha dato all’architettura un nuovo punto di vista.

È proprio grazie agli archivi di Lotus International che ha preso vita  questa grande esposizione.

Ghirri, che ha avuto una formazione da geometra, ha sperimentato la fotografia da autodidatta. I suoi riferimenti culturali derivano da diversi ambiti artistici: non cerca né vuole la citazione colta, non vuole nemmeno formulare un credo estetico. Ghirri indaga modelli di comportamento e ci riesce tramite lo studio del medium dell’architettura.

Entrando nell’esposizione si riesce a vedere tutto l’allestimento, composto da due parti: la sala delle stampe e il corridoio delle diapositive.

Nel primo scenario le preziose stampe originali sono poste su piedistalli che permettono al pubblico di entrare realmente a contatto con le opere: le fotografie, non essendo di grandi dimensioni, rendono possibile una lettura veramente intensa e semplice.

Più in particolare, questo spazio espositivo è suddiviso in sette sezioni: “Un’idea dell’Italia”, che raccoglie molte opere dalla celebre mostra Paesaggio Italiano tenuta a Reggio Emilia nel 1989; “La grande pianura”, dedicata ai servizi fotografici svolti da Ghirri sui progetti di Aldo Rossi a Modena e a Parma su commissione di Lotus; “Nel Giardino” che racconta il servizio svolto nel 1983 sul cimitero di Carlo Scarpa a San Vito di Altivole; “Il percorso” dedicato al servizio del 1988 sulle opere di Jože Plečnik installate sul lungofiume di Lubiana; “Progetto domestico” sulla mostra omonima del 1986 esposta in Triennale; “La Triennale e il parco” con una selezione di immagini inedite di un ampio servizio realizzato nel 1986 sulla Triennale ma anche sul parco Sempione, il Castello Sforzesco, l’Arco della Pace, la fontana dechirichiana dei Bagni Misteriosi e altri luoghi milanesi. Infine “Atlante Metropolitano” comprende fotografie anche di altri autori internazionali sul tema della città e della metropoli.

Nel corridoio a lato si succedono proiezioni di grande formato, che permettono al pubblico di immergersi nelle opere.

Sul fondo compare una gabbia, ispirata dalle fotografie di Ghirri dell’installazione di Achille Castiglioni per la Triennale del 1986, con applicate fotografie di vari allestimenti di artisti e architetti, da Marcel Duchamp a Mario Merz, da Carlo Santachiara a John Hejduk e altri.

Nel contesto di un violento capitalismo in continua crescita, dopo la fine della guerra fredda, Ghirri ha elaborato un nuovo modo di guardare il mondo intorno a sé, in primo luogo attraverso una tecnica (l’uso del colore in particolari condizioni atmosferiche che danno risalto al concetto di temporalità), ma soprattutto attraverso una nuova e inedita riflessione sul paesaggio urbano.

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Informazioni

Luigi Ghirri. Il paesaggio dell’architettura

A cura di Michele Nastasi

Allestimento di Sonia Calzoni

Grafica di Pierluigi Cerri

Fino al  26 agosto 2018

Triennale di Milano

Da martedì a domenica, ore 10.30 – 20.30

Biglietti: 7 euro (intero) / 6 euro (ridotto)

Triennale di Milano

Viale Alemagna 6

20121 Milano

T. +39 02 724341

www.triennale.org




I volti che hanno cambiato la storia: Lady Be al Castello Visconteo di Pavia

di Emanuele Domenico ViciniLady Be, nome d’arte di Letizia Lanzarotti, dedica alla città di Pavia, nella cui provincia è nata e cresciuta, una mostra personale sui volti che hanno cambiato la storia.

L’artista pop, giovanissima ma già famosa in tutto il mondo (ha esposto a New York, Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Malta, Berlino, Barcellona, Londra, Düsseldorf) presenta 50 opere tutte realizzate con la tecnica di sua invenzione definita dai critici d’arte “mosaico contemporaneo”.

Sentivo la necessità di esporre a Pavia – dice Lady Becittà che mi ha dato tanto e in cui ho compiuto i miei studi. Ho realizzato la maggior parte delle opere esposte proprio per questa mostra. La mia tecnica consiste nel comporre mosaici, utilizzando come tessere oggetti di plastica di recupero di uso comune. Ognuno, avvicinandosi alle mie opere, potrà riconoscere penne, tappi, giocattoli, bottoni: mi piace l’idea di lanciare, con la mia tecnica, un messaggio forte per il recupero e la sostenibilità ambientale”.

Le opere di Lady Be vanno guardate da lontano, per godere della visione di insieme di un’immagine che sembra un dipinto e che, avvicinandosi passo passo, mostra tutta la sua matericità, la sua ruvidezza, la scabra complessità della sua superficie, nata dall’accostamento paziente e maniacale di piccoli oggetti, di frammenti del quotidiano, triturati dal consumo e dal tempo, che ritornano, loro malgrado, vivi, in un’opera d’arte.

La seconda vita della materia e delle cose è un tema ormai ben consolidato nella pratica artistica del Novecento e oltre, da Marcel Duchamp in avanti. Fa parte di quelle intuizioni che non invecchiano, che sanno adattarsi ai tempi e riescono a comunicare con forza in ogni epoca, soprattutto quando, come fa Lady Be, sono reinterpretate in una chiave pop attualissima.

Le star della modernità che Lady Be immortala sono colte nelle loro iconografie, o pose, più note, più divulgate, più commerciali; sono riconoscibili perché riprodotte così come siamo abituali a vederle. Così paiono perdere la loro individualità, la loro unicità umana, per trasformarsi in icone del loro tempo, un tempo che, come ogni atto comunicativo moderno, è infinitamente potente, ma infinitamente breve. L’Andy Warhol di Lady Be non è solo l’“uomo”: è la “persona” di uno dei più famosi autoritratti del pittore. Il Gesù della prima sala è il Gesù di Nazareth di Zeffirelli, interpretato da Robert Powell.

I colori flash che Lady Be usa, l’efficacissima intuizione stilistica di creare sfumature come successione di toni saturi, amplificano la comunicazione artistica e generano l’“effetto megafono”, specchio del nostro tempo.

Allo stesso tempo, la parcellizzazione molecolare dei frammenti riciclati nella superficie ci rivela a caducità inarrestabile dell’immagine, la fine imminente di un ciclo temporale che tutto travolge e travolgerà.

Molto efficace è naturalmente la collocazione delle opere di Lady Be a ridosso dei mosaici romanici: è facile intuire la relazione che si compie nei medesimi gesti di artisti che a centinaia di anni di distanza compiono lo stesso paziente lavoro e sanno passare con disinvoltura dal grande al piccolo, alla ricerca di una misura visibile della realtà.

Ancora più interessante forse però è la relazione che implicitamente si instaura tra i volti composti di frammenti di materia moderna e le sale del romanico pavese, musealizzate proprio per sottolineare il ruolo di quei materiali antichi. Essi sono frammenti del passato, da leggere per intuire la complessità della Storia.

Lady Be legge i frammenti del tempo presente, rivelandone immediatamente la caducità e l’ammaliante, ma drammatica instabilità.

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I volti che hanno cambiato la storia

11 marzo – 20 maggio 2018

Musei Civici – Castello Visconteo Viale XI Febbraio 35 – Pavia

Orario: Da martedì a domenica: ore 10 – 18 Sabato 19 maggio, apertura straordinaria anche dalle 21 alle 24, in occasione della Notte dei Musei.

Ingresso alla mostra con biglietto della sezione romanica (4 euro),
Gratuito fino a 26 anni e dai 70 anni, studenti universitari e soci ICOM.




Biennale al via a Venezia

Al grido di “Viva Arte Viva” sabato 13 maggio prende il via a Venezia l’Esposizione Internazionale d’Arte, meglio nota come Biennale, presso i Giardini e Arsenale . L’apertura ufficiale della Biennale sarà preceduta da intense giornate di anteprima in cui per i calli veneziani si riverserà la stipa internazionale oltre agli attesi buyers provenienti dai quattro angoli del pianeta. L’esposizione sarà aperta tutti i giorni dalle 10 alle 18, ad eccezione del lunedì, fino al 26 novembre 2017. Il biglietto di accesso giornaliero alla Biennale parte da 25 euro.

La 57° edizione dell’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia è curata da Christine Macel e organizzata dalla Biennale di Venezia presieduta da Paolo Baratta. La Mostra annovera la partecipazione di 120 artisti provenienti da 51 Paesi di cui 103 presenti per la prima volta in Biennale e 86 Partecipazioni Nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia. Il tema scelto per questa edizione della Biennale Arte è Viva Arte Viva, immaginando una mostra fatta dagli artisti, con gli artisti e per gli artisti. Il progetto espositivo pone gli artefici della creazione in prima linea, garantendo loro l’opportunità di esprimersi in totale libertà.

La mostra si sviluppa intorno a nove capitoli o famiglie di artisti, con due primi universi nel Padiglione Centrale ai Giardini e sette altri universi che si snodano dall’Arsenale fino al Giardino delle Vergini. “La Biennale si deve qualificare come luogo che ha come metodo, e quasi come ragion d’essere, il libero dialogo tra gli artisti e tra questi e il pubblico” sostiene Paolo Baratta, presidente della Biennale, secondo cui: “con questa edizione si introduce un ulteriore sviluppo; è come se quello che deve sempre essere il metodo principale del nostro lavoro, l’incontro e il dialogo, diventasse il tema stesso della mostra. Perché questa Biennale è proprio dedicata a celebrare, e quasi a rendere grazie, all’esistenza stessa dell’arte e degli artisti, che ci offrono con i loro mondi una dilatazione della nostra prospettiva e dello spazio della nostra esistenza”.  Per Christine Macel si tratta di una Biennale “ispirata all’umanesimo. Un umanesimo che celebra la capacità dell’uomo, attraverso l’arte, di non essere dominato dalle forze che governano quanto accade nel mondo, forze che se lasciate sole possono grandemente condizionare in senso riduttivo la dimensione umana. È un umanesimo nel quale l’atto artistico è a un tempo atto di resistenza, di liberazione e di generosità”.

Ognuno dei nove capitoli o famiglie di artisti della mostra costituisce di per sé un Padiglione. Dal “Padiglione degli artisti e dei libri” al “Padiglione del tempo e dell’infinito”, questi nove episodi propongono un racconto, spesso discorsivo e talvolta paradossale, con delle deviazioni che riflettono la complessità del mondo, la molteplicità delle posizioni e la varietà delle pratiche. Per la curatrice “la mostra si propone così come una esperienza che disegna un movimento di estroversione, dall’io verso l’altro, verso lo spazio comune e le dimensioni meno definibili, aprendo così alla possibilità di un neoumanesimo”. In definitiva Viva Arte Viva vuole al contempo infondere una energia positiva e prospettica, rivolta ai giovani artisti e che al contempo dedica una nuova attenzione agli artisti troppo presto scomparsi o ancora misconosciuti al grande pubblico, malgrado l’importanza della loro opera”.

Attorno alla mostra principale della curatrice, 86 padiglioni dei Paesi partecipanti daranno vita ancora una volta a quel pluralismo di voci che è tipico della Biennale di Venezia.

In particolare, il Padiglione Cina  presenta un progetto espositivo curato da un artista per gli artisti, dal titolo Continuum – Generation by Generation. La mostra propone una riflessione incentrata sul concetto di ‘eternità’: ponendo in dialogo arte contemporanea e arte vernacolare, offre una chiave di lettura del misterioso protrarsi della tradizione cinese nella produzione artistica, nel corso dei secoli. Qiu Zhijie è stato chiamato a curare questa esposizione. La missione che il Padiglione Cinese si pone è quella di catturare l’energia del continuum – o del “Bu Xi” così come definito nella cultura cinese – al fine di ritrovare nella vitalità che caratterizza il fare arte ai nostri giorni quel valore di rigenerazione narrato dai testi antichi, registrando le trasformazioni e il rinnovamento nelle arti applicate tradizionali.

Oltre al percorso ufficiale della Biennale, sono numerosi gli eventi artistici collaterali che, nei prossimi mesi, affiancheranno l’Esposizione Internazionale. Tra questi:

JAN FABRE Glass and bone sculptures 1977-2017 Venezia, Abbazia di San Gregorio (Dorsoduro 172) | 13 maggio -26 novembre 2017

MEMORY AND CONTEMPORANEITY – Venezia, Arsenale Nord – Tese 98-99 | 13 maggio -26 novembre 2017

SAM HAVADTOY. 18 – 17 Venezia, Palazzo Bembo (Riva del Carbon 4793) | 13 maggio -26 novembre 2017

BEAT KUERT. Good Morning Darkness – Venezia, Palazzo Bembo (Riva del Carbon 4793) | 13 maggio -26 novembre 2017

Con la Biennale nasce inoltre la Fondazione delle Arti presso il Palazzetto Pisani di Sestiere di S. Marco per promuovere gli eventi culturali veneziani di elevata qualità, legati alla salvaguardia dell’identità della città, del suo patrimonio artistico e storico e della qualità della sua offerta culturale.

Nel corso dei prossimi mesi poi, tra gli eventi che affiancheranno l’Esposizione vi sono: il Festival Internazionale di Danza Contemporanea e la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. 




Keith Haring in mostra a Milano

Dal 21 febbraio al 18 giugno 2017, Milano celebra il genio di Keith Haring (1958-1990) con una grande mostra allestita a Palazzo Reale.  L’esposizione di Keith Haring prevede con una vasta selezione di opere provenienti da tutto il mondo e mette in evidenza i riferimenti tra Haring e altri artisti e linguaggi.

A Palazzo Reale saranno presenti oltre 90 opere del geniale artista americano, molte di grandi dimensioni, alcune inedite o mai esposte in Italia, provenienti da collezioni pubbliche e private americane, europee, asiatiche.  La rassegna, per la prima volta, rende il senso profondo e la complessità della sua ricerca, mettendo in luce il suo rapporto con la storia dell’arte.

All’interno del percorso espositivo, i lavori di Haring vengono posti in dialogo con le sue fonti di ispirazione, dall’archeologia classica, alle arti precolombiane, alle figure archetipe delle religioni, alle maschere del Pacifico e alle creazioni dei nativi americani, fino a arrivare ai maestri del Novecento, quali Pollock, Dubuffet, Klee.

 

 

L’esposizione Keith Haring. About Art, curata da Gianni Mercurio,  ruota attorno a un nuovo assunto critico: la lettura retrospettiva dell’opera di Keith Haring non è corretta se non è vista anche alla luce della storia delle arti che egli ha compreso e collocato al centro del suo lavoro, assimilandola fino a integrarla esplicitamente nei suoi dipinti e costruendo in questo modo la parte più significativa della sua ricerca estetica.

Le opere dell’artista americano si affiancano a quelle di autori di epoche diverse, a cui Haring si è ispirato e che ha reinterpretato con il suo stile unico e inconfondibile, in una sintesi narrativa di archetipi della tradizione classica, di arte tribale ed etnografica, di immaginario gotico o di cartoonism, di linguaggi del suo secolo e di escursioni nel futuro con l’impiego del computer in alcune sue ultime sperimentazioni. Tra queste, s’incontrano quelle realizzate da Jackson Pollock, Jean Dubuffet, Paul Klee per il Novecento, ma anche i calchi della Colonna Traiana, le maschere delle culture del Pacifico, i dipinti del Rinascimento italiano e altre.

Keith Haring è stato uno dei più importanti autori della seconda metà del Novecento; la sua arte è percepita come espressione di una controcultura socialmente e politicamente impegnata su temi propri del suo e del nostro tempo: droga, razzismo, Aids, minaccia nucleare, alienazione giovanile, discriminazione delle minoranze, arroganza del potere. Haring ha partecipato di un sentire collettivo diventando l’icona di artista-attivista globale.

Tuttavia, il suo progetto, reso evidente in questa mostra, fu di ricomporre i linguaggi dell’arte in un unico personale, immaginario simbolico, che fosse al tempo stesso universale, per riscoprire l’arte come testimonianza di una verità interiore che pone al suo centro l’uomo e la sua condizione sociale e individuale. È in questo disegno che risiede la vera grandezza di Haring; da qui parte e si sviluppa il suo celebrato impegno di artista-attivista e si afferma la sua forte singolarità rispetto ai suoi contemporanei.

La mostra sarà ordinata in un allestimento emozionante e al contempo denso di rimandi al contesto in cui la breve ed esplosiva vita di Haring gli consentì di esprimersi come una delle personalità più riconosciute dell’arte americana del dopoguerra.

DOVE, COME E A QUANTO

 

 

 

KEITH HARING. ABOUT ART

Milano, Palazzo Reale: 21 febbraio – 18 giugno 2017

 

lunedì: 14.30-19.30
martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30-19.30
giovedì e sabato: 9.30-22.30

Biglietti: 12 euro

 

 




La Madonna della Misericordia di Piero della Francesca a Natale a Milano

Per un mese intero la Madonna della Misericordia di Piero della Francesca, tra le icone del Rinascimento italiano, sarà esposta a Palazzo Marino, in sala Alessi, e visitabile gratuitamente.

Si tratta della prima opera documentata del pittore toscano e consiste nella pala centrale dell’omonimo polittico della Misericordia realizzato da Piero della Francesca per la Confraternita della Misericordia di Sansepolcro tra il 1445 e il 1472 e conservato al Museo Civico di Sansepolcro, città natale del maestro toscano. Accanto al municipio di Milano, presso le Gallerie d’Italia, un’altra novità terrà compagnia a milanesi e turisti per tutto l’arco delle vacanze di natale: le opere di Bellotto e Canaletto.

La  Madonna della Misericordia, nella tradizionale rappresentazione della Vergine Maria che apre il mantello per dare riparo ai fedeli, conclude l’anno dedicato al Giubileo della Misericordia ed evidenzia la modernità di Piero della Francesca nella ricerca della prospettiva.  La particolarità del suo mantello della Madonna della Misericordia di Piero della Francesca in mostra a Milano, consiste nel fatto che il maestro toscano ha realizzato il mantello come se fosse l’abside di una chiesa, sotto la quale si rifugiano diversi personaggi dal priore, ami membri della Confraternita in un abbraccio tra il divino e l’umano.

 

Madonna della Misericordia – Piero della Francesca
Sala Alessi – Palazzo Marino, piazza della Scala, Milano
dalle 9.30 alle 20 (ultimo ingresso alle 19.30). Il giovedì fino alle alle 22.30 (ultimo ingresso alle 22)

il 7 dicembre chiusura alle 12 (ultimo ingresso alle 11.30)
24 e 31 dicembre 2015 chiusura alle 18 (ultimo ingresso alle 17.30)
8 e 25 dicembre, 1 e 6 gennaio dalle 9.30 alle 20 (ultimo ingresso alle 19.30)




Georges Mathieu: alla nascita dell’Astrazione Lirica

di Andrea Farano – Resta ancora qualche giorno utile per accostarsi (ed ammirare coi propri occhi) alla strabiliante potenza del tratto segnico di Georges Mathieu (Boulogne sur Mer, 1921 – Boulogne-Billancourt, 2012), uno dei padri della pittura del novecento, al quale la giovane Dellupi Arte dedica una retrospettiva di valore assoluto.

Sito all’interno dello straniante panorama di City Life, lo spazio espositivo accoglie un’antologia di opere realizzate dal pittore francese nelle due decadi fondamentali per la nascita e lo sviluppo della propria espressione artistica, selezionate in collaborazione con il Comité Georges Mathieu, a garanzia della qualità dell’allestimento apparecchiato dalla galleria milanese.

Già all’ingresso si è quasi tramortiti dalla monumentalità delle tele alle pareti, compiute testimonianze di quella “Astrazione Lirica” che a partire dal 1947 canalizza – attraverso un binomio semantico apparentemente inconciliabile – la poetica innovativa di Mathieu, capace di concepire una via autonoma e sempre riconoscibile nell’oceano delle correnti di pittura informale: si accosta alla scuola americana dell’ Action Painting e dell’Espressionismo Astratto (Pollock e De Kooning), guarda allo Spazialismo di Fontana e lambisce le avanguardie giapponesi del gruppo Gutai, pur restando una voce sostanzialmente unica nel panorama mondiale del secondo dopoguerra.

Questa nuova astrazione – che resta pur sempre profondamente gestuale – eleva a proprio totem una fenomenologia puramente pittorica, dove il coinvolgimento corporeo è totale, da vivere spesso attraverso una performance teatrale svolta sotto gli occhi del pubblico: i colori, sovente applicati sulla tela (dal fondo rigorosamente monocromo) direttamente dal tubetto, sfociano alternativamente in simboli calligrafici o esplodono in dinamismi al limite del caos.

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Eppure, a ben vedere, ogni composizione, nonostante l’apparente disordine, si struttura quasi sempre a partire da un asse centrale – sviluppandosi poi per linee ortogonali e curve semicircolari spinte all’esterno da forze centrifughe – in un costrutto che piuttosto rivela, in ultima analisi, un’energia solenne e pacificata.

2Sarebbe un errore lasciarsi abbagliare dalla facilità compositiva di Mathieu e confonderne la mano innegabilmente virtuosa con un mero decorativismo vuoto di contenuti; se nella sua poetica il segno anticipa il significato è solo per divenire mezzo di connessione fra l’inconscio e il mondo reale.

Nel suo gesto – apparentemente incontrollato, ma in realtà figlio di un processo di automatismo psichico di matrice surrealista – traspare con forza la dimensione di un pensiero profondo e complesso, che riflette e indaga sul passato, sul presente, sulla propria esistenza, trasmettendoci la febbre e l’eccitazione della vita… sino a travolgerci.

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I primi concetti dell’intelletto preesistono in noi come semi di scienza, questi sono conosciuti immediatamente dalla luce dell’intelletto agente dall’astrazione delle specie sensibili… in questi principi universali sono compresi, come germi di ragione, tutte le successive cognizioni.” | Tommaso d’Aquino

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Georges Mathieu: 1951-1969
Dellupi Arte, via Spinola n. 8 – Milano
sino al 20 novembre 2016
Info: www.dellupiarte.com