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“LA BELLEZZA RITROVATA”: ULTIMI GIORNI DI MOSTRA

di Elisa Pedini – Ultimissimi giorni, fino al 17 luglio, per visitare la mostra “La bellezza ritrovata”, presso le Gallerie d’Italia in Piazza Scala a Milano, con apertura straordinaria fino alle 23. L’esposizione fa parte del progetto “Restituzioni”, programma di restauri di opere appartenenti al patrimonio artistico pubblico, curato e promosso da Intesa Sanpaolo. Questa è la XVII edizione del progetto, che, per la prima volta, si tiene a Milano. Il restauro è un’eccellenza italiana e mi piace, anche, sottolineare che, questo progetto, nel tempo, ha consentito la scoperta di nuove tecniche di restauro come, ad esempio, quello degli smalti medievali. Un’occasione davvero unica e imperdibile, dunque, per gustare, in anteprima, 145 capolavori sottoposti a restauro, che, poi, torneranno ai rispettivi luoghi d’appartenenza. Ben trenta secoli di storia attraverso il nostro patrimonio artistico culturale. Opere eterogenee che ci conducono a spasso nel tempo e nel nostro magnifico paese, come, per esempio, la “Statua naofora di Amenmes e Reshpu” in calcare egiziano di ben 32 secoli fa. Un restauro precedente, per preservare l’opera, l’aveva ricoperta con una miscela al silicone che, purtroppo, però, impedì la normale traspirazione del calcare, comportandone la frattura interna. Questo capolavoro è stato ora riportato alla sua bellezza. Altra opera, di ben 25 secoli fa, è il “Cavaliere Marafioti” in terracotta policroma, rappresentante, probabilmente, un Dioscuro. Il suo nome deriva da “Casa Marafioti”, ovvero, la villa, vicino Locri, sotto le cui fondamenta, fu ritrovato, a pezzi, questo capolavoro. Oggi, lo ammiriamo in tutto il suo splendore, grazie, anche, a un’accurata opera d’uniformazione del colore. È interessante notare come il restauro, secondo le leggi di Cesare Brandi nella sua “Teoria del restauro”, debba seguire i principî di “storicità” e “reversibilità”, ovvero: ogni lavoro di ripristino effettuato deve, rigorosamente, rispettare sia l’opera che la sua epoca e deve poter essere totalmente rimosso. Principî che, purtroppo, non furono rispettati dal primo restauratore dell’“Adorazione del bambino” di Lorenzo Lotto, che trattò il dipinto con una pasta abrasiva molto aggressiva, devastandolo completamente. L’unica azione di restauro che è stato possibile attuare su quest’opera è stata di sola conservazione. Scempio a parte, sarà, però, molto interessante paragonare il lavoro su quest’olio con i lavori su altri olî, come, a titolo d’esempio, la “Madonna con il Bambino tra i santi Gennaro, Nicola di Bari e Severo” di Filippo Vitale, oppure il “Cristo risorto” di Rubens, ove, invece, il lavoro di restauro raggiunge la perfezione, ridonando bellezza, lucentezza e completezza alle opere senza manipolarle troppo. Un equilibrio veramente perfetto. Cito solo alcune delle altre chicche presenti in questa mostra e da gustare come, per esempio, i vetri dei maestri vetrai muranesi. È straordinario apprendere come il vetro nasca perfetto in sé e pertanto, il lavoro successivo di restauro e conservazione di tale materiale necessiti un procedimento particolarissimo e molto delicato, poiché, persino la semplice acqua rovinerebbe, irreversibilmente, le opere. E ancora, la magnificente armatura da parata giapponese donata ai Savoia, del tipo do-maru a fettucce di seta azzurra e composita di numerosi materiali. Proprio quelle fettuccine hanno richiesto l’intervento d’una restauratrice di tessuti che ha lavorato su ciascuna di esse. Si noterà che, l’armatura, dietro ha degli anellini: essi servivano a chiuderla con un nastro rosso, purtroppo, andato distrutto; per non mutare la “storicità” dell’opera, si è ritenuto opportuno, non sostituirlo con nastro moderno. Infine, vorrei spendere una parola sui disegni restaurati in mostra, perché, per chi l’avesse visitata nei primi mesi, essi sono stati cambiati, ora, troviamo esposti trentasette disegni di Sebastiano Ricci e vi spiego perché. Il “disegno” è un’opera delicatissima che deteriora molto rapidamente, pertanto, non può essere esposto per più di novanta giorni e sempre sotto una luce fredda di massimo 30A. Decorso questo periodo, deve, tassativamente, essere riposto, al buio, per cinque anni. Saputo questo, posso assicurarvi che diventa estremamente affascinante osservare questi capolavori, così intensi, ma anche, così fragili. Eventuali buchi o lacune sono stati restaurati utilizzando una finissima carta di riso giapponese prodotta a Tokyo.

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Le Rappresentazioni dell’inconscio di Marina Berra

Rappresentazioni dell’inconscio è la nuova esposizione di opere pittoriche dell’artista Marina Berra (Milano, 1969), presentata da Made4Art, in mostra da questa sera fino al 15 giugno 2016 presso Castelli Gourmet – Castelli Gallery in Via Cerano 15 a Milano.

In mostra una selezione di lavori di Marina Berra rappresentativa della sua produzione artistica più recente, tele che fanno parte delle serie Espressionismo astratto e Materici. Le composizioni dell’artista lombarda sono caratterizzate da una presenza cromatica decisa e affascinante, colori che talvolta si uniscono a materiali diversi quali sabbia e gesso e che danno origine a dipinti capaci di stupire e avvincere, di esprimere i sentimenti e le emozioni dell’essere umano. Opere che si rivelano essere delle vere e proprie rappresentazioni dell’inconscio dell’artista, nelle quali ognuno di noi può riconoscersi e ritrovare aspetti della propria interiorità.

Marina Berra, Invincibile per proteggerti, 2016, tecnica mista su tela, 60x60 cm Marina Berra, Perché lei è speciale, 2016, tecnica mista su tela, 70x70 cm

Marina Berra | Rappresentazioni dell’inconscio

Castelli Gourmet – Castelli Gallery | Via Cerano 15 | 20144 Milano
31 maggio – 15 giugno 2016

Evento a cura di:
M4A – MADE4ART
| Spazio, comunicazione e servizi per l’arte e la cultura
di Vittorio Schieroni ed Elena Amodeo
www.made4art.it – info@made4art.it

Un progetto M4E – MADE4EXPO




Impressioni e memoria: i Sillabari di Anna Caruso in mostra a Milano

di Emanuele Domenico Vicini – Il pomeriggio milanese, nonostante il maggio avanzato, è ancora piuttosto fresco e si gira bene per le vie del centro città, dove, stretto tra gli imponenti palazzi di classica foggia, tra piazza della Scala e via Clerici, si trova l’edificio che ospita lo Studio d’Arte Cannaviello, al civico 4 di piazzetta Bossi.

Gli ambienti, illuminati da un bianco di geometrica pulizia, si articolano in un corridoio passante che si apre nella grande sala espositiva, mossa da sguanci e nicchie, perfetta per ospitare un’esposizione così elegante e provocante come quella di Anna Caruso.

La giovane pittrice milanese, formatasi all’Accademia di Belle Arti di Bergamo, rispecchia questa atmosfera e le dà, con la sua presenza ancora più fascino. Ci accoglie e ci guida tra le sue tele e si sottopone al fuoco di fila delle domande con molta determinazione e pacatezza, mostrando così quella sicurezza, tipica di un’artista che, seppur giovanissima, ha già deciso quale strada seguire nella sua arte.

Le chiediamo innanzi tutto da dove nasca l’interesse per Goffredo Parise, dai cui Sillabari la mostra prende le mosse. Il testo parisiano, composto di due parti, Sillabario n. 1 uscito nel 1972 per i tipi di Einaudi e Sillabario n. 2, nel 1982 per i tipi di Mondadori, si compone di racconti brevi sulla labilità dei sentimenti umani. Quasi piccoli poème en prose, distribuiti per lettere alfabetiche, mai completati, i racconti sono spesso coperti da una patina di malinconia e infondono un senso di caducità e di morte che si alterna a scene di gioia semplice, fatta delle cose elementari della storia e della vita.

Se il primo Sillabario (dalla A di Amore, Affetto, Allegria, alla F di Famiglia) si muove tra toni lievi e tinte mai eccessivamente forti, il secondo (che copre fino alla S di Sesso), al contrario, rappresenta una realtà molto feroce e controversa. Gli ambienti delle narrazioni si fanno disordinati e cupi, le azioni quasi sempre drammatiche e violente.

Anna Caruso, lontana da qualsiasi intento citazionistico o puramente referenziale, che avrebbe decisamente impoverito il senso della sua arte, ci spiega che i Sillabari, soprattutto il secondo, fanno parte delle sue letture e della sua formazione classica. Si coglie molto bene il percorso della pittrice nelle maglie di un testo apparentemente semplice, ma di fatto denso di temi: l’emozione della memoria, il dolore del ricordo e la sua stringente necessità, la complessità dell’animo umano, fatto di dolcezza e violenza fatalmente impastate, tornano con sapiente finezza nelle tele esposte allo Studio Cannaviello.

Anna Caruso racconta con dettaglio il suo processo compositivo. Fotografie di uomini e donne, spesso – ma non sempre – legate alla vita della pittrice, immagini durature di memorie altrimenti labili, sono lo spunto ridipinto sulla tela, come un fondo che via via emerge o scompare alla vista, ma che con la sua evidenza a tratti fantasmatica ci dice quanto l’oggi sia fatto di storia, individuale e singolare.

Il confronto con l’emozione e il sentimento non tarda però a palesarsi con le taglienti e nette geometrie cromatiche che incontrano le immagini umane, le separano dalla superficie, le sdoppiano, le moltiplicano le allontanano e le rendono sempre meno percepibili, ma non meno incombenti sulla scena.
Piccoli segni e grandi interventi grafico linearistici, sempre accomunati dai toni freddi del giallo, del verde o dei blu acidi, legano gli elementi, raccontandoci la metafora della storia che avvolge uomini e cose, ineluttabilmente.

L’inquietudine delle opere, stemperata e apparentemente alleggerita dall’attentissima cura nel comporre e pesare gli equilibri cromatici e spaziali, non fa che aumentare quando, a uno sguardo ravvicinato, ci accorgiamo della perfetta stesura delle forme, quasi prive del segno della pittrice, apparentemente, “fatte da sé”. Anna va fiera di questa capacità, conquistata sicuramente con lavoro e pazienza e ne parla come di un elemento che spesso stupisce il pubblico. In realtà, ci spiega, l’effetto di lucida omogeneità, d’ineccepibile ordine delle cose e delle forme, non fa che accentuare il senso della sua pittura: non si sfugge all’immagine della memoria e della storia. Fatalmente, il rapporto che ci lega alle emozioni e alle vicende del nostro passato, personale e familiare, non può essere mai negato, né evitato. Ci guarda, ci chiama al confronto, ci impone di riflettere, pacatamente, ma inesorabilmente.

I Sillabari in pittura di Anna Caruso nelle loro messe a fuoco e nella varietà di giochi prospettici diventano uno specchio da cui non è possibile sfuggire, un invito al confronto con la complessità della persona umana.

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Sillabari di Goffredo Parise. Mostra personale di Anna Caruso

5 maggio – 21 giugno 2016

Studio d’Arte Cannaviello

Piazzetta Bossi, 4 – Milano




“DA MONET A MATISSE. L’ARTE DI DIPINGERE IL GIARDINO MODERNO”: IL MONDO INCANTATO DELLA NATURA E DELL’ARTE

di Elisa PediniEsce nelle sale italiane solo per due date: il 24 e il 25 maggio, il film-documentarioDa Monet a Matisse. L’arte di dipingere il giardino moderno”, della Royal Academy of Arts, che, partendo dalla sua imponente e magnifica mostra, ci porta dentro un tour cinematografico per raccontare la passione che lega alcuni dei più grandi artisti moderni, come Monet, Matisse, Bonnard, Renoir, Kandinskij, Pissarro, Sorolla, Nolde, Libermann, ai loro giardini prediletti. Per trovare la sala più vicina a voi che avrà questo film in programmazione consultate il sito: www.nexodigital.it. Pellicola delicata, che fa sognare e rilassare, passeggiando nell’arte e in alcuni dei giardini più belli del mondo. Non è un documentario sulla storia dell’arte, per nulla, è il racconto d’una storia d’amore: quella tra gli artisti e la natura che li ha ispirati. Il film rientra nel progetto della “Grande Arte al Cinema” di Nexo Digital ed è un’occasione, unica e irripetibile, per visitare la coinvolgente mostra, allestita dall’Accademia londinese, per raccontare l’evoluzione del tema del giardino nell’arte moderna: dalle bellissime e colorate visioni degli Impressionisti fino alle sperimentazioni più audaci, oniriche e simboliche dei movimenti d’avanguardia. Il film si apre trasportando lo spettatore dentro una natura meravigliosa e colorata. Una musica rilassante accompagna questo spettacolo di luce e colore. Si entra in una dimensione parallela, soave e incantevole: quella della natura e dell’arte. Come l’uomo abbia sempre e costantemente tratto ispirazione dalla natura è assai noto e non è difficile comprenderne il perché. Impossibile sottrarsi alla bellezza d’un fiore, ai suoi colori, al suo profumo, a quella tecnica perfetta rappresentata dalla sua stessa conformazione. Distese di fiori di altezze diverse, colori diversi. L’incanto che una persona normale subisce dall’osservare certi capolavori della natura, viene portato all’ennesima potenza dallo sguardo e dalla sensibilità dell’artista. Monet, forse il più noto ed importante pittore di giardini nella storia dell’arte, è il punto di partenza della mostra e quindi del nostro film. Personalità affascinante, nonché appassionato ed esperto orticoltore. «Se sono diventato pittore lo devo ai fiori» diceva Claude Monet. Pensate che, per cogliere le diverse inclinazioni di luce e tutte le sfumature di colore, si svegliava all’alba e dipingeva. Dipingeva sotto il sole cocente e sotto la pioggia battente. Intorno alla sua casa rosa a Giverny aveva creato un giardino con uno stagno e un ponte giapponese, che ancor oggi accoglie migliaia di visitatori con le sue tinte e i suoi avvolgenti profumi. Dalle passeggiate sulle colline intorno alla proprietà, Monet tornava con semi di fiori selvatici per coltivarli nelle sue aiuole. È così che lo spettatore viene preso per mano e visita i più bei giardini del mondo, raffigurati, poi, all’interno di opere d’arte: oltre alle ninfee di Monet a Giverny, visita il giardino di Bonnard a Vernonnet, in Normandia, o quello di Kandinskij a Murnau, in Alta Baviera, luogo dincontro di musicisti e artisti provenienti da tutto il mondo. Ma non è tutto: questo film è anche ricco d’interventi di studiosi e artisti che spiegano, anche da un punto di vista storico e sociale, l’importanza dei giardini e per conseguenza il perché di questo tanto ricercato ritorno alla natura, che caratterizzò il periodo tra la l’Ottocento e il Novecento. Quello che la natura, attraverso i giardini, inizialmente va a dimostrare è la magnificenza dei nobili, poi diviene specchio d’intimità familiare ed ecco che, allora, vi si colgono scene più private, fino a divenire una vera e propria oasi di pace, una fuga personalissima e protetta dal rumore e dal caos. Una pellicola davvero unica per tantissime ragioni. Prima fra tutte, perché rappresenta un’occasione imperdibile di vedere una mostra che, altrimenti, bisognerebbe andare a Londra per poter visitare. Inoltre, perché consente di vedere giardini incantevoli, veri e propri gioielli d’architettura, in giro per tutto il mondo. In più, perché si parla di arte in modo molto intrigante e interessante: infatti, come ho detto all’inizio, si tratta di un “tour”, sia dentro la storia, l’arte e le opere, sia “dietro le quinte” dei magnifici paesaggi, di cui lo spettatore gode sullo schermo. Arricchito, dagli interventi e dalle intuizioni di esperti internazionali di giardinaggio e critici d’arte per svelare il rapporto tra l’arte e i giardini. Impreziosito, dalle interviste ad artisti moderni, come Lachlan Goudie e Tania Kovats, che rivelano come il rapporto tra l’artista e il mondo naturale sia tema di grande attualità. Infine e soprattutto, perché è uno degli aspetti che, davvero, mi ha colpito di più, per come mi sono sentita alla fine del film: incredibilmente bene. Rinnovata d’energia. Mi sento d’affermare che questo film andrebbe visto proprio per fare un regalo a se stessi: ovvero, donarsi la gioia di lasciare il mondo fuori e passare un’ora e mezza nella serenità e nella pace che soltanto la natura e l’arte sono in grado di dare.

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La pittura e la bellezza della contemplazione. Intervista esclusiva al Maestro Daniele Bongiovanni

L’arte e i suoi processi, l’etica, la relazione tra l’artista e la sua opera. Questi sono alcuni dei temi che hanno stimolato la nostra curiosità e caratterizzato la nostra conversazione. Per indagare sul campo, siamo entrati nello studio di un affermato pittore italiano: Daniele Bongiovanni, che si è intrattenuto con noi di CosmoPeople, per rilasciarci un’ intervista esclusiva.

Daniele Bongiovanni, nasce a Palermo nel 1986, laureato presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo, oggi è impegnato professionalmente tra l’Europa e gli Stati Uniti. negli anni le sue opere sono state esposte e rappresentate  in molti paesi del mondo: Parigi, Las Vegas, Australia, Milano, Dublino, Brescia, Chicago, Padova, Boston, Napoli, Liverpool, Treviso, Bari, Istanbul, Torino, Palermo, Irlanda, Singapore, Bologna, Udine, Brasile. Recentemente, in concomitanza con eventi espositivi in Italia, in Inghilterra e negli Usa, è stato invitato come ospite internazionale al Museo Stadio di Domiziano di Roma – Piazza Navona, ad esporre le sue opere, con acquisizione d’opera in permanenza, al Centro Documentazione Amedeo Modigliani – archivio storico, monografico ufficiale, e in un grande progetto di ricerca, al Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston sempre con acquisizione.

Ben scrive la storica e critica d’arte Inmaculada Martin Villena descrivendo l’opera del Bongiovanni: “L’opera del Maestro Daniele Bongiovanni, pittore di formazione accademica, è un connubio tra pittura classica e moderna, uno studio continuo sulla figura e lo spazio, valorizzato da un saper gestire con estrema eleganza il corpo del soggetto e il colore che lo rappresenta. Una delle manifestazioni più affascinanti di questo raffinato linguaggio la troviamo nella collezione ”Aesthetica”, e in opere come “Terremoto” e “Il creatore”, dove in una composizione studiata perfettamente nei contrasti, il colore, esaltato da aperture luminose diventa centrale come figura. L’artista attraverso la sua pittura, il suo sapere moderno, contemporaneo, ci porta inevitabilmente a comprendere quali siano state le sue influenze, è ciò che maggiormente emerge è sicuramente il suo aver guardato e analizzato con attenzione, le tendenze d’avanguardia del primo Novecento: l’ espressionismo di Oskar Kokoschka e quello del Munch più figurativo e perfezionista. Il Maestro, esalta i limiti assoluti del sentimento e della realtà; con disciplina e genio, dipinge il vero, che seppur esaltato, grazie alla sua grande tecnica, nella psicologia e nella percezione visiva, rimane ugualmente concreto. Guardando le sue opere in qualsiasi ordine, diventa inevitabile attraverso questi valori di bellezza universale, il tentare di ostacolare i lati oscuri dell’essere, tutto ciò grazie a questo omaggio continuo alle evoluzioni dell’uomo e alla purezza. Il pittore nei suoi lavori esorcizza ogni volta ciò che del reale ci spaventa, il suo lavoro ci porta oltre i nostri limiti fisici, lasciandoci esprimere attraverso il fruire un senso di emancipazione. L’opera omnia si distingue anche per il bianco e nero, esplicito e perfetto nella collezione  “Neri”, collezione di ritratti, dai toni diluiti e contrastanti, dove dietro alla perfezione dei volti, il contesto fumoso, il suono della materia, è protagonista sublime. Daniele Bongiovanni in questo contesto, cattura i momenti e il progredire del tempo, qui i modelli diventano profondi ritratti che ci interrogano”.

Maestro, cosa avviene alla fine, una volta portata a termine un’opera?

Avviene un silenzioso e lucido distacco. Poi c’è la responsabilità, ma forse non alla fine, ma durante. La responsabilità di portare a termine un lavoro, seguirne e arrotolarne il filo, mantenendo l’intenzione naturale di far convivere la progettazione con il lato emotivo della situazione. Durante questo processo, terminata un’opera, tutto diventa un evento di impatto importante, un momento dilatato, quello fluido e necessariamente critico della contemplazione, la ricerca del bello. Diciamo che trovo fondamentale valutare i dettagli, valutare il risultato atteso, misurandolo con lo spazio e giudicandolo da una prospettiva prima diretta e poi laterale.

Un momento dilatato, la bellezza della contemplazione. La sua pittura incontra la filosofia, l’etica. Qual’è l’etica dell’arte?

Nella mia pittura la filosofia ha sempre avuto una sua importanza, è il terzo fenomeno tra il significato e il significante. Recentemente sono stato ancora più diretto, realizzando uno studio di figurazione sull’Estetica. Per quanto riguarda l’etica, posso parlare di una morale che riguarda l’aspetto tecnico e teorico dell’arte: quello di avere una reale conoscenza della disciplina. Se parliamo in generale, io ho sempre visto una grande morale, un criterio nel fare arte, questo lavoro oltre a raccontare la storia, arricchire i sensi e la percezione, ha sempre raccontato dei fatti e delle idee, quindi nel farlo c’è anche una responsabilità di comunicazione. La responsabilità di raccontare qualcosa tramite l’arte, che nel suo essere rappresentazione onirica e virtuosa, ha sempre avuto a che fare con il vero. Credo che questa sia una delle spiegazioni più semplici e meno articolate.

Parliamo del passato. Quando ha concretizzato il suo primo progetto artistico?

Pensandoci bene, il mio primo progetto artistico concretizzato è stato quello di dare importanza a tutto ciò che realizzavo. Alcune cose che ho realizzato in passato, segni, disegni e aperte campiture, oggi sono nelle mani dei collezionisti che mi seguono.

Parlando di storia, quanto gli artisti dell’800 e del 900  hanno influenzato la sua pittura?

Diciamo che le mie influenze sono molteplici, se parliamo in termini di studi e di percorso.
Io credo che per fare il nuovo, bisogna conoscere, leggere ed analizzare ogni periodo storico, Difficilmente in arte, o in qualsiasi altro campo, artistico – scientifico e non solo, si può affrontare se stessi, fare nuove scoperte, senza reali conoscenze del passato. Non credo ad un innovazione che nasce dal nulla. Quella a volte è solo una scusa.

Ci anticipi qualcosa dei suoi prossimi progetti.

Quest’anno è iniziato con degli eventi in Inghilterra, negli Usa, poi Roma e Milano, tra pochi giorni sarò di nuovo in viaggio, per dei nuovi progetti che vedranno luce molto presto. Diciamo che si lavora giorno per giorno. A breve sarò anche Al Centro Documentazione Amedeo Modigliani, dove sono stato invitato, sia in mostra che in permanenza con acquisizione ufficiale d’opera, nella loro prestigiosa collezione.

In mostra ci saranno opere inedite?

Attualmente sono in mostra con opere appartenenti a collezioni private e opere nuove ovviamente.
Ciò si ripeterà nei prossimi appuntamenti.

Lo vedremo nuovamente all’estero nei prossimi mesi, per l’anno 2016?

Certo, il percorso iniziato qualche mese fa, è itinerante. Per questo motivo, sto anche ampliando la collezione Aesthetica.

Sito ufficiale dell’artista:
www.danielebongiovanni.com

 




Marina Berra stupisce con I Colori dell’Anima

I colori dell’anima, personale dell’artista Marina Berra (Milano, 1969), inaugura il nuovo anno espositivo di Made4Art di Milano. La mostra presenterà una selezione di opere della più recente produzione artistica della pittrice lombarda.

Le opere esposte, infatti, sono tutte realizzate nel corso del 2015 e nei primi giorni del 2016. Si tratta di lavori che ci trasportano nel poetico universo della Berra, dove i colori dell’artista, ricchi di energia, forza vitale, matericità e al tempo stesso caratterizzati da una profonda armonia, indagano i sentimenti, le emozioni e l’interiorità dell’essere umano: i diversi aspetti che compongono la sua complessa, molteplice anima.

Di particolare interesse le opere appartenenti alle serie Nebulose, vere e proprie “espressioni dell’inconscio” realizzate mediante l’uso dei colori, e Materici, nelle quali, attraverso l’uso di materiali quali sabbia, gesso, legni e sassi, l’artista vuole rappresentare la profondità e la densità sia del vissuto interiore sia della realtà quotidiana.

I “colori dell’anima” che caratterizzano i lavori di Marina Berra ci invitano a indagare in noi stessi e nelle nostre emozioni, alla ricerca di un benessere e di una positività che l’arte può aiutarci a raggiungere.
La mostra, a cura di Elena Amodeo e Vittorio Schieroni, inaugurerà martedì 19 gennaio alle ore 18.30 e sarà aperta al pubblico fino al 25 dello stesso mese.

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Marina Berra | I colori dell’anima
a cura di Elena Amodeo e Vittorio Schieroni
19-25 gennaio 2016
Inaugurazione martedì 19 gennaio, ore 18.30
Lunedì ore 16-19, martedì-venerdì 10-13 e 16-19, sabato su appuntamento
M4A – MADE4ART
Spazio, comunicazione e servizi per l’arte e la cultura
Via Voghera 14 – ingresso da Via Cerano, 20144 Milano
www.made4art.it, info@made4art.it, t. +39.02.39813872
Media partner: Espoarte




GRAAL Spazio Arte presenta la prima mostra personale della pittrice Clara Luminoso: Acque in movimento.

— Come arriveremo al mare?

— Sarà lui che verrà a prenderci.

A. Baricco, Oceano mare

Giovanissima pittrice milanese, Clara Luminoso ha una formazione molto eterogenea ed eterodossa. Si avvicina alla pittura attraverso l’arteterapia, la cromatografia e la calligrafia, per allontanarsi poi, dopo aver appreso i principi tecnici della disciplina, da qualsiasi percorso tradizionale, influenzata anche dalla frequentazione di artisti molto originali come Slobodan Vulicevic (1927 – 2009).

Il colore, il segno e la stessa composizione di un dipinto sono per Clara un insieme di processi dinamici e profondi, che permettono di intraprendere un complesso percorso di conoscenza e di autocoscienza, conducendo alla scoperta di una relazione intima con il benessere della persona.

È allora più che naturale che il tema centrale della pittura di Clara Luminoso sia il mare.

Mito di antichissima e immortale tradizione, il mare ha assunto nel corso della storia letteraria e artistica moltissimi significati, ma non ha mai abbandonato il proprio compito di catalizzatore delle energie umane,metafora e segno di limiti cercati e non trovati, fonte di energia creatrice agognata e al contempo temuta.

Dall’Odissea fino a Moby Dick, il mare ha sempre rappresentato in vari modi il tramite per una uscita da se stessi, dai propri confini, dalla propria natura, e ha dunque incarnato un’istanza di scoperta anche rischiosa e violenta del mondo. Clara lo sceglie come luogo, reale e immaginario al contempo, nel quale vuole disperatamente incontrare se stessa.

Nel mare è la vita, dal mare nasce ogni forma di vita: a lui quindi la pittrice si rivolge per trovare risposte, o almeno per porre domande. Gli azzurri e i grigi, declinati nella multiforme varietà di mille toni e tinte, stesi con tocchi filamentosi che si sovrappongono a campiture più omogenee, sembrano i fili di un discorso avviato e non ancora concluso, aperto con l’elemento primigenio generatore di vita e necessariamente condotto con segni sempre diversi. Ai filamenti spesso si alternano i punti, i contrappunti chiaroscurali, i contrasti di luci e ombre.

Si compongono così tele leggere e profondissime che materializzano immagini dell’inconscio nelle quali tutti noi vorremmo riconoscerci e dalle quali, come la giovane Elisewin vorremmo essere guariti.

Emanuele Domenico Vicini

 

Acque in movimento. Mostra personale di Clara Luminoso

8 – 23 novembre 2014 presso GRAAL Spazio Arte, Corso Garibaldi 28 – Pavia

http://www.graalspazioarte.org

Mar – Ven: 16.30 – 19.30

Sab: 10.30 – 12.30, 16.30 – 19.30

Dom: 16.30 – 19.00

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