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Aida, con il nuovo allestimento la Scala torna a Verdi

Il nuovo allestimento di Aida di Giuseppe Verdi, che sarà in scena dal 15 febbraio, unisce al Teatro alla Scala di Milano, due protagonisti assoluti della musica e del teatro del nostro tempo, il direttore Zubin Mehta e per la regia Peter Stein. Il nuovo allestimento dell’Aida si caratterizza, per esplicita volontà di Stein, da un ritorno a Verdi.“Il primo pensiero di un regista è fare tutto secondo le intenzioni di Giuseppe Verdi: ma poi nessuno lo fa…” sostiene in merito Peter Stein che, con la sua Aida, vuole tornare di fatto alle origini dell’opera stessa.

Il cast vede in scena Kirstin Lewis, che aveva debuttato alla Scala il 6 marzo 2014 come Leonora in Trovatore. Accanto a lei Fabio Sartori, recentemente applaudito nel Simon Boccanegra come Gabriele Adorno. Amneris è Anita Rachvelishvili che da allieva dell’Accademia di Arti e Mestieri del Teatro alla Scala è stata scelta da Daniel Barenboim come protagonista della Carmen di apertura della stagione 2009/2010 . Il ruolo di Amonasro è affidato a George Gagnidze – già affermatosi nei maggiori teatri internazionali oltre che a Milano (Traviata, Rigoletto, Tosca) – e a Ambrogio Maestri, baritono verdiano di casa alla Scala.
L’approccio a Aida di Peter Stein è avvenuto innanzitutto attraverso lo studio della partitura e dei documenti relativi alla prima edizione scaligera, curata da Verdi stesso nel febbraio 1872, poche settimane dopo la prima assoluta avvenuta al Cairo nel dicembre 1871. La partitura di Aida, stesa da Verdi con cameristica cura, reca per la maggior parte l’indicazione “piano”, né mancano insistiti “pppp”. E la vicenda narrata è una storia di amori impossibili sui cui grava dal principio l’ombra della morte. Insomma tutto il contrario del kolossal verso il quale l’immensità delle rovine egizie hanno spinto gli autori di tante produzioni. Proprio dalla partitura muove la lettura di Stein: movimenti scenici in corrispondenza delle indicazioni dinamiche, rispetto della dimensione cameristica e dello scavo psicologico. “Verdi chiamava attori i suoi cantanti” ricorda Stein: lavorare sulla partitura significa allora anche approfondire la grandezza di Verdi come uomo di teatro. Nella scena del trionfo la banda sarà in scena, come da indicazione del compositore, e le “sei trombe diritte” (per la prima Verdi se le fece costruire appositamente da una fabbrica di Milano) sfileranno in corteo come strumenti di un drappello militare invece di essere relegate negli angoli in veste di araldi. Ma il lavoro di Stein si concentra soprattutto sui rapporti tra i personaggi. In una scena essenziale, in cui troveranno posto solo oggetti destinati a essere utilizzati, i cantanti-attori e la loro interazione anche fisica saranno protagonisti assoluti. “Purificare, ridurre al necessario, questo è il mio stile” sottolinea Stein. L’orientalismo che innerva la partitura è presente in scena ma, come nella musica, occupa una posizione secondaria rispetto al dramma umano e universale dei protagonisti, perché proprio lo spessore dei personaggi fa emergere Aida al di sopra dell’immensa produzione operistica riconducibile all’esotismo musicale.

Lo spettacolo, che riprende una produzione del Teatro Stanislavskij di Mosca, è stato completamente ricreato nei magazzini del Teatro alla Scala all’Ansaldo. Due scene sono interamente di nuova concezione.

QUANDO E QUANTO

domenica 15 febbraio 2015 ore 20 ~ prima rappresentazione
mercoledì 18 febbraio 2015 ore 20 ~ turno A
sabato 21 febbraio 2015 ore 20 ~ turno B
martedì 24 febbraio 2015 ore 20 ~ turno C
domenica 1 marzo 2015 ore 11 ~ fuori abbonamento
mercoledì 11 marzo 2015 ore 20 ~ turno E
domenica 15 marzo 2015 ore 17 ~ turno D

Prezzi: da 250 a 15 euro

Infotel: 02 72 00 37 44

 




Scala: “L’incoronazione di Poppea” in scena dal 1° febbraio

L’incoronazione di Poppea in scena dal 1° febbraio conclude il trittico dedicato a Claudio Monteverdi realizzato dal Teatro alla Scala in coproduzione con l’Opéra National de Paris e affidato a Rinaldo Alessandrini per la direzione d’orchestra e a Robert Wilson per la regia. Il progetto è stato inaugurato da L’Orfeo nel 2009 ed è proseguito con Il ritorno di Ulisse in patria nel 2011. Per la Scala si tratta di un viaggio alle radici del melodramma e alla riscoperta di un musicista immenso il cui teatro conserva un’efficacia che incanta e seduce anche gli ascoltatori di oggi.
Personaggi e interpreti

Si tratta di un nuova produzione in coproduzione con Opéra National de Paris. Dirige Rinaldo Alessandrini. Regia, scene e luci portano al firma di Robert Wilson, mentre i costumi sono firmati da Jacques Reynaud.

Con L’Incoronazione di Poppea Monteverdi e il suo librettista Gian Francesco Busenello presentano per la prima volta nella storia del teatro musicale accadimenti storici e non mitologici, attingendo ai resoconti di Tacito e mettendo in scena personaggi reali se pure con abbondanti licenze. Il racconto si dipana rapido tra sfrenate ambizioni, delitti e una sensualità che non conosce costanza o rimorso, ostentando un’indifferenza ai dettami della morale che desta stupore anche tenuto conto dei costumi della Venezia secentesca e delle correnti culturali libertine che animavano consessi quali l’Accademia degli Incogniti, di cui il Busenello faceva parte.

Lo spettacolo scaligero si avvale dell’esperienza di Rinaldo Alessandrini, uno dei più prestigiosi musicisti italiani. Organista, clavicembalista, direttore d’orchestra e fondatore del Concerto Italiano, Alessandrini ha dato un contributo decisivo all’interpretazione della musica barocca in particolare italiana, restituendo alla prassi esecutiva storicamente informata gli elementi di cantabilità, fluidità e soprattutto attenzione all’articolazione della parola che restavano difficilmente accessibili a molti dei migliori complessi europei.

Robert Wilson colloca la vicenda in una scena continuamente cangiante, in cui il restringersi e l’allargarsi degli spazi segue la stringente concatenazione degli eventi. Il prologo si svolge in un atrium romano il cui muro è stato ricoperto dalle radici di un fico, simbolo di una natura che insidia le costruzioni della civiltà (il riferimento è anche alle radici del fico che coprono il muro del tempio di Angkor, in Cambogia, delle quali si dice che destino l’amore in chi le tocca). Il muro torna, libero e intatto, nella casa di Poppea: ma all’infittirsi dell’intrico delle passioni corrisponderà il moltiplicarsi degli alberi che via via sostituiranno le colonne come nella Betsabea al bagno del Veronese. Il palazzo di Nerone è uno spazio aperto delimitato da colonne in cui l’irrequietezza dei sentimenti è rappresentata da un blocco di pietra incrinato. Si torna a spazi delimitati per la casa di Seneca, un atrio da cui s’intravede un albero le cui radici sono state strappate dal suolo. L’obelisco oggi sito in Piazza San Pietro (un tempo circo di Nerone) campeggia nella scena successiva, che si svolge in una strada romana. Vedremo poi anche un enorme capitello proveniente dal foro romano. Lo spettacolo si conclude in una stilizzazione astratta della Domus Aurea. Ammantando le scene in luci dai sovrannaturali colori pastello Wilson ci ricorda che L’incoronazione di Poppea è un racconto che attraversa gli istinti peggiori dell’uomo ma si conclude con il trionfo di Amore.

L’opera
L’incoronazione di Poppea è titolo tra i più misteriosi e più interessanti della storia del melodramma. La prima opera della storia ad abbandonare i cieli della mitologia per scendere nel crogiuolo delle passioni di esseri umani realmente esistiti ci giunge in forma parziale, incompleta. “La coronatione di Poppea” andò in scena al Teatro dei SS. Giovanni e Paolo di Venezia nel 1643 ma l’unico documento che ce ne resta è un sunto della trama. Il libretto di Gian Francesco Busenello, sorprendente per realismo, sensualità e disincanto, viene pubblicato nella raccolta Delle hore ociose nel 1656 ma senza l’indicazione del nome del compositore, che manca anche nelle due partiture manoscritte conservate a Venezia e a Napoli. Gli studiosi convergono ormai nel considerare antecedente il manoscritto veneziano che, attraverso diverse versioni intermedie oggi perdute e verosimilmente riferibili a riprese nella città lagunare realizzate nella cerchia di Francesco Cavalli (dalla cui Doriclea proviene la Sinfonia introduttiva) si arricchisce e si sviluppa fino a sfociare nell’edizione napoletana del 1651. Numerosi e diversi gli apporti musicali: oltre al citato Cavalli si fanno i nomi di Benedetto Ferrari, Francesco Sacrati e Filiberto Laurenzi, così che a Monteverdi non può essere attribuito più del 60% della partitura. Certamente non attribuibile a Monteverdi è il celebre duetto finale, il cui testo compariva già nel Pastor regio di Ferrari (1641) e sarebbe tornato nel Trionfo della fatica del Laurenzi (1647). Dopo decenni di studi e ricerche le versioni di Venezia e di Napoli restano non sovrapponibili, lasciando alla scelta degli esecutori la collazione dei numeri da eseguire. I casi più vistosi, come la scelta di una delle due sinfonie o l’inserimento o meno del coro degli Amori al termine, sono solo una piccola parte delle decisioni che il direttore deve assumere. Entrambe le partiture, inoltre, non indicano quali e quanti strumenti utilizzare e neppure da quali voci far interpretare i diversi personaggi.

Poppea alla Scala
A lungo dimenticata, L’incoronazione di Poppea torna alla vita nel 1905 grazie alla passione del compositore Vincent d’Indy, che organizza e dirige un’esecuzione in forma di concerto al Conservatorio di Parigi. La prima italiana moderna avviene nel 1917 al Liceo Musicale di Torino, ma va ricordata l’esecuzione in forma scenica del 1937 al Giardino di Boboli per la regia di Corrado Pavolini: dirige Gino Marinuzzi, cantano tra gli altri Gina Cigna, Magda Olivero e Tancredi Pasero.
Alla Scala Poppea arriva nel 1953 nella revisione e strumentazione di Giorgio Federico Ghedini, con Carlo Maria Giulini a dirigere Carla Petrella come protagonista, Rolando Panerai come Ottone e Mario Petri come Seneca in uno spettacolo di Margherita Wallmann. L’edizione successiva, nel 1967 è diretta da Bruno Maderna e riprende la revisione di Giacomo Benvenuti già ascoltata a Boboli trent’anni prima. Un cast sontuosissimo formato da Grace Bumbry (Poppea), Giuseppe di Stefano (Nerone, in alternanza con Renato Gavarini) e Leyla Gencer (Ottavia) anima un nuovo allestimento firmato dalla Wallmann. Nel 1978 Nikolaus Harnoncourt porta alla Scala la fortunata messa in scena di Jean-Pierre Ponnelle di cui esiste anche documentazione cinematografica. Harnoncourt cura personalmente la revisione, cantano Rachel Yakar (Poppea), Vincenzo Taramelli (Nerone), il controtenore Paul Esswood (Ottone) e Matti Salminen come Seneca. Anche Alberto Zedda nel 1994 è revisore e direttore d’orchestra. Le voci, tutte italiane, comprendono Anna Caterina Antonacci nel ruolo del titolo, William Matteuzzi come Nerone e Bernadette Manca di Nissa come Ottone.

Personaggi e interpreti

Nerone Leonardo Cortellazzi
Poppea / La Fortuna Miah Persson
La virtù / Ottavia Monica Bacelli
Amore Silvia Frigato
Ottone Sara Mingardo
Lucano, 1° soldato, 2° famigliare, 2° console Luca Dordolo
2° soldato, Liberto, 1° tribuno Furio Zanasi
Arnalta Adriana Di Paola
Nutrice Giuseppe De Vittorio
Seneca Andrea Concetti
Valletto, 1° console Mirko Guadagnini
Drusilla Maria Celeng
Mercurio, Littore, 3° famigliare, 2° tribuno Luigi De Donato
Damigella Monica Piccinini
1° famigliare Andrea Arrivabene

Date:

domenica 1 febbraio 2015 ore 20 ~ turno E
mercoledì 4 febbraio 2015 ore 20 ~ turno A
sabato 7 febbraio 2015 ore 20 ~ turno N
martedì 10 febbraio 2015 ore 20 ~ turno B
venerdì 13 febbraio 2015 ore 20 ~ turno D
martedì 17 febbraio 2015 ore 20 ~ turno C
venerdì 20 febbraio 2015 ore 20 ~ turno G La Scala Under 30
venerdì 27 febbraio 2015 ore 20 ~ ScalAperta

Prezzi: da 180 a 11 euro




Daniel Harding e Rudolf Buchbinder tornano alla Scala per la Stagione Sinfonica

Daniel Harding torna al Teatro della Scala di Milano per la Stagione Sinfonica il 23, 24 e 26 gennaio insieme al pianista Rudolf Buchbinder.
In programma il concerto “Imperatore” di Beethoven, “la Suite dal Mandarino meraviglioso” di Béla Bartók e “la Danza dei sette veli” dalla Salome di Richard Strauss.
Appuntamento alle ore 20.00 alla Scala. Biglietti a partire da 6,5 euro.




La Scala in famiglia: cinque proposte per coinvolgere grandi e piccini

La Scala in Famiglia è un ciclo che comprende 5 concerti da camera che si svolgono la domenica pomeriggio dal 18 gennaio al 25 ottobre – oltre a una recita di balletto (Lo schiaccianoci) e a una recita di opera (Carmen). I ragazzi fino a 18 anni entrano gratuitamente se accompagnati da un adulto pagante e i prezzi dei biglietti vanno da 5 a 12 euro.

Da quest’anno i concerti saranno preceduti da un’introduzione alle musiche eseguite affidata a un attore: i protagonisti sono Antonio Albanese, Michele Nani e Giacomo Poretti (più noto come Giacomo di Aldo, Giovanni e Giacomo). Tutti i testi sono a cura di Franco Pulcini.

Il primo appuntamento, il 18 gennaio alle 16, vedrà i Cameristi della Scala impegnati nelle celeberrime “Quattro stagioni” di Vivaldi con la spalla dell’orchestra scaligera Francesco Manara nella brillante parte solistica e la presentazione di Antonio Albanese.

Il 25 gennaio i Virtuosi del Teatro alla Scala insieme alle prime parti scaligere Marco Zoni (flauto) e Fabien Thouand (oboe) eseguiranno di Antonio Vivaldi il concerto RV 428 “Il gardellino”, di Alessandro Marcello il Concerto per oboe in re minore, di Antonio Salieri il Concerto per flauto in do maggiore e di Leopold Mozart la Sinfonia dei giocattoli. Introdurrà Michele Nani.

Il 5 luglio i Percussionisti del Teatro alla Scala diretti da Loris Francesco Lenti presenteranno uno spettacolare programma contemporaneo con opere di Alan Hovhaness, Fabio Nuzzolese, Stefano Martinotti, dei percussionisti dell’Orchestra Cacciola, Lenti e Marchesini, di Maurizio Fabrizio e ancora di Loris Francesco Lenti, ben cinque delle quali in prima esecuzione assoluta. Le spiegherà al pubblico Giacomo Poretti.

Il programma del concerto del Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala diretto da Bruno
Casoni è ancora in via di definizione. L’introduzione sarà ancora di Giacomo Poretti.

L’ultimo concerto, il 25 ottobre, vedrà i Corni del Teatro alla Scala diretti da Angelo Sormani impegnati in una serie di trascrizioni da celebri pagine di Schubert, Gounod, Beethoven, Dvořák e Bruckner. Introdurrà Giacomo Poretti.




Die Soldaten, alla Scala un’occasione unica per scoprire l’opera di Bernd Alois Zimmermann

In arrivo al Teatro alla Scala di Milano il capolavoro di Bernd Alois Zimmermann: un’opera gigantesca e totalizzante, un appuntamento irrinunciabile per chi ama la musica, il teatro, la letteratura. Lo spettacolo sarà in scena al Piermarini dal 17 gennaio al 3 febbraio. Prima di ogni recita un incontro introduttivo gratuito con Franco Pulcini nel Ridotto dei palchi.
“Se ci fosse un Guinness dei primati per le opere, Die Soldaten vincerebbe in molte categorie” scherza il regista Alvis Hermanis. I primi aspetti che colpiscono del capolavoro di Bernd Alois Zimmermann sono il gigantismo e la complessità di una produzione che prevede 25 cantanti solisti e un’orchestra sterminata che dalla buca si espande nei palchi: in tutto 112 professori inclusi 15 percussionisti, 4 dei quali occuperanno i palchi doppi situati nel 1° e 2° ordine a sinistra, e 6 (Stage Bands I, II e III) saranno dislocati nella Sala Prove dell’Orchestra e riprodotti live in sala da altoparlanti collocati nel soffitto; infine un complesso “Jazz Combo” di 4 elementi è collocato nella barcaccia stampa.

Ma Die Soldaten è anche un capolavoro totalizzante, un classico del Novecento non solo musicale capace di atterrire con complessità inaudita e livelli di tensione parossistici e nello stesso tempo di emozionare e commuovere il pubblico, come testimonia il successo caloroso ottenuto da tutte le produzioni e in particolare da questa, presentata al Festival di Salisburgo nel 2012.

Per aiutare il pubblico ad accostarsi all’universo affascinante e complesso di Zimmermann il Teatro alla Scala ha organizzato prima di ogni recita un incontro preparatorio nel Ridotto dei Palchi a cura del professor Franco Pulcini. L’incontro avrà luogo alle ore 19 (apertura porte ore 18.30) e sarà aperto gratuitamente  a tutti i possessori di abbonamento o biglietto, fino a esaurimento dei posti.

 

L’opera

È il 1957 quando il direttore dell’Opera di Colonia suggerisce a Zimmermann (1918-1970) il testo teatrale di Jakob Lenz (1751-1792) come soggetto per un’opera (c’era un precedente, composto da Manfred Gurlitt nel 1930). Lenz, nato a Cēsvaine (Seßwegen) in Lettonia, cresciuto a Königsberg e per un certo tempo amico di Goethe, è stato un esponente di spicco dello Sturm und Drang: Die Soldaten è ricordato anche come applicazione pratica delle Osservazioni sul Teatro in cui Lenz teorizza il superamento delle unità aristoteliche di tempo, luogo e azione; la breve e tragica vita dello scrittore, del quale dopo un duro litigio con Goethe vaga per diversi paesi, prossimo alla follia, fino al trasferimento a Mosca dove viene trovato morto per strada una notte di maggio, ispira il racconto “Jakob Lenz” di Büchner, da cui nel 1978 Wolfgang Rihm trae l’opera omonima. Zimmermann, cresciuto negli anni del nazismo e traumatizzato dall’esperienza della guerra (era stato in Polonia, Francia e Russia prima di essere riformato per malattia), è certamente colpito dagli aspetti di polemica antimilitarista ma anche e soprattutto dalla modernità del linguaggio e dal superamento delle unità di tempo e di luogo. “Dio è uno soltanto in tutte le sue opere, e deve esserlo anche il poeta” aveva scritto Lenz; Zimmermann parla di “Unità dell’azione interiore, deduzione della molteplicità dei fenomeni a partire da una unità logicamente rigorosa, ma capace di aprirsi, di svilupparsi…”.

Dal punto di vista musicale, il modello di questa unità è la perfetta costruzione musicale del Wozzeck (tratto da Büchner: si disegna così una precisa costellazione estetica, e sarà interessante ascoltare le due opere dirette dal medesimo maestro nel corso della stagione scaligera). Come Berg, Zimmermann costruisce i suoi numeri musicali (15 scene nei Soldaten come in Wozzeck) adottando in massima parte il linguaggio dalla dodecafonia ma rifacendosi a forme della musica strumentale classica e preclassica: Ciaccone, Ricercari, Toccate… Il riferimento a queste forme è tuttavia più simbolico che letterale, e l’universo musicale che Zimmermann, memore anche dei suoi anni di lavoro per la radio, include nel suo lavoro è vastissimo: dal jazz, rappresentato da una band nella scena della ballerina andalusa nel Café d’Armentières nel II atto e presente come suggestione in molti altri luoghi dell’opera, a due corali dalla Matthäuspassion di Bach che irrompono nell’intermezzo del II atto insieme al Dies Irae, alla musica elettronica e concreta. Ne emerge una “forma pluralistica del teatro musicale” la cui ambizione totalizzante (o apocalittica) è riaffermare una concezione del tempo non lineare ma circolare presentando un intreccio di piani temporali che in alcune scene (II e IV atto) giunge alla rappresentazione simultanea di azioni diverse. Non a caso, se il dramma di Lenz era ambientato nelle Fiandre nel 1775, la partitura dell’opera di Zimmermann (il cui libretto aggiunge alla “commedia” di Lenz quattro poesie) reca l’indicazione “Tempo: oggi, ieri e domani”. Agostino, Bergson, Husserl sono tra le fonti di ispirazione del pensiero del compositore. In questo circolo allucinato sono prigionieri tutti i personaggi, condizionati, scrive Zimmermann, “non dal destino ma piuttosto dalla costellazione fatale delle classi sociali, delle circostanze, dei caratteri, a partire dalla quale essi subiscono in fondo innocentemente eventi ai quali non possono sfuggire”.

Il progetto originale di Zimmermann prevedeva che il pubblico sedesse al centro di una dozzina di gruppi orchestrali separati: un’impostazione visionaria che nel 1960, insieme alla complessità della partitura, fece recedere l’Opera di Colonia dal progetto nonostante il forte sostegno di Hans Rosbaud, cui l’opera sarà dedicata. Secondo il Sovrintendente Oskar Schuh e il Direttore Musicale Wolfgang Sawallisch il lavoro era semplicemente ineseguibile. Il rifiuto spinse l’autore a importanti ripensamenti ma non ad abbandonare l’impresa. Nel 1963 la Westdeutscher Rundfunkorchester diretta da Michael Gielen presentò un estratto sinfonico dell’opera, confutando almeno in parte la tesi dell’ineseguibilità. Le ultime due scene del III atto, il IV atto e gli intermezzi furono composti nel 1963/64, e Die Soldaten andò finalmente in scena a Colonia il 15 febbraio 1965.

 

L’allestimento

Nonostante la relativa rarità di esecuzione, o proprio perché ogni messa in scena costituisce uno sforzo produttivo straordinario e un evento culturale di primo piano, Die Soldaten ha impegnato alcuni dei maggiori registi del nostro tempo. La prima esecuzione ebbe luogo a Colonia nel 1965, per la direzione di Michael Gielen e la regia di Hans Neugebauer. La prima italiana avviene a Firenze nel 1977. Tra gli allestimenti più importanti si ricordano quello di Harry Kupfer a Stoccarda alla fine degli anni ’80, quello della Semperoper di Dresda con l’acclamata regia di Willy Decker nel 1995 e  quello della Biennale della Ruhr nel 2006 con la messa in scena di David Pountney. Nel 2013 l’opera di Zurigo propone un allestimento di Calixto Bieito con la direzione di Marc Albrecht, mentre è dello scorso maggio la versione di Andreas Kriegenburg per l’Opera di Monaco con Kirill Petrenko sul podio.

Il presente allestimento è stato presentato nei vasti spazi della Felsenreitschule nel corso del Festival di Salisburgo nell’agosto 2012, con Ingo Metzmacher alla testa dei Wiener Philharmoniker: ma la versione scaligera sarà radicalmente ripensata anche in base alle diverse caratteristiche del palcoscenico. “Con infinita sottigliezza il regista lettone Alvis Hermanis rende ciascuno di noi colpevole di voyeurismo. Ogni dettaglio di questa produzione è rifinito fino alla perfezione”, scrisse allora Shirley Apthorp sul Financial Times, aggiungendo che se un difetto si poteva trovare era la troppa bellezza nell’interpretazione di un’opera così corrosiva e brutale: “Sia la seduttiva bellezza della messa in scena di Hermanis sia la direzione meticolosa di Ingo Metzmacher sembrano smussare gli spigoli della dura partitura di Zimmermann”. Sul versante musicale, notava George Loomis sul New York Times, “Oltre a un magistrale lavoro sull’insieme, Ingo Metzmacher dirige con palpabile dedizione per questa partitura… Laura Aikin, alla testa di un numeroso cast, è impressionante nella parte della protagonista Maria e garantisce che le numerose note acute previste siano tutte al loro posto.  Impressionante il lamento di Gabriela Benackova come Contessa de la Roche”.

 

Nello spettacolo alla Scala, come a Salisburgo, la partitura di Zimmermann sarà interamente eseguita dal vivo inclusi i passaggi all’inizio del Quarto atto per i quali, in considerazione dell’estrema complessità esecutiva, il compositore aveva raccomandato di utilizzare un nastro registrato. Le modifiche della partitura, per quanto riguarda l’utilizzo di nastri registrati, corrispondono alle rappresentazioni del Festival di Salisburgo e sono state riprese nella stessa forma al Teatro alla Scala.

 

La trama

La storia della caduta di Marie, borghese promessa a un giovane che l’ama e sedotta da un ufficiale che non mantiene le sue promesse, ha radice nelle esperienze di Lenz. Nel 1774 il barone Friedrich Georg von Kleist, al servizio del quale Lenz si era trasferito a Salisburgo, si era impegnato a sposare la giovane borghese Cleophe Fibich, per poi partire lasciandola tra le braccia del fratello minore, non senza che anche Lenz se ne innamorasse riassumendo poi la vicenda in un Diario. Proprio questo diario, insieme alle considerazioni sulla moralità dei soldati espresse nel saggio Del matrimonio dei soldati (Lenz fu uno dei primi sostenitori degli eserciti popolari e nazionali in opposizione alle armate mercenarie) fu alla base del dramma Die Soldaten. Nel testo di Lenz padre e figlia alla fine si riconoscono e si abbracciano lasciando spazio alla morale esposta dalla Contessa; nell’opera la ricongiunzione non avviene e i personaggi restano nella disperazione e nella solitudine.