Trentodoc, lo spumante metodo classico “figlio” delle Dolomiti

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Capodanno si avvicina e per il count down le bollicine di alta quota del Trentodoc, il metodo classico italiano nato sulle Dolomiti, possono essere una valida alternativa alle blasonate bollicine francesi. Con poco più di un secolo di storia e a 26 anni dal riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata, il Trentodoc è una delle più apprezzate alternative italiane allo Champagne. Produzione di nicchia, viticoltura eroica e una forte identità sono le carte vincenti di queste bollicine di montagna capaci di attrarre sempre di più i wine lovers di tutto il mondo.

Il Trentodoc ha saputo esaltare fin da subito la forte identità territoriale che contraddistingue queste bollicine di montagna unendo le 54 cantine (e 189 etichette) alleate nel Consorzio Trentodoc. Il risultato è un prodotto riconoscibile grazie alle sue caratteristiche distintive determinate dalle diverse altitudini (l’altitudine media dei vigneti si trova intorno ai 450 metri), dal microclima fresco e temperato che influisce sull’acidità dell’uva e dall’effetto termoregolatore dell’ “Ora del Garda” (il vento con effetto termoregolatore, fondamentale per la viticoltura, che soffia dall’omonimo lago), dalle forti escursioni termiche tra giorno e notte e, inifne, dal terreno caratterizzato a una forte componente calcarea e pietrosa.

La produzione di Trentodoc inizia nel 1902 con la capacità visionaria di Giulio Ferrari, studente all’Imperial Regia Scuola Agraria di San Michele, di identificare le analogie rispetto al territorio dello champagne e replicare in quota il metodo di produzione delle bollicine francesi. Le Cantine Ferrari, sono poi passate negli Anni ’50 alla famiglia Lunelli, mentre le orme di Ferrari sono state seguite da numerosi altri viticoltori tanto che, nel 1984, è stato fondato l’Istituto Trento Doc per la promozione delle bollicine di montagna, nel 1993, si è arrivati al riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata Doc “Trento”, la prima Doc riconosciuta in Italia riservata a un metodo classico e la seconda al mondo dopo lo Champagne.

Oggi la produzione di Trentodoc è affidata al disciplinare che fissa canoni e controlli lungo la filiera a cominciare dai territori dedicati che comprendono la Valle dell’Adige, la Valle di Cembra, la Vallagarina, la Valle del Sarca, la Valsugana e le Valli Giudicarie, incidendo praticamente sul territorio della provincia. Quanto alle uve dalle quali si ottiene il Trentodoc sono lo Chardonnay che dona longevità, eleganza e carica aromatica; il Pinot nero a cui si deve il bouquet fruttato; il Pinot bianco e il più raro e il Pinot meunier, in grado di adattarsi a qualsiasi terreno. La vendemmia è svolta manualmente ed è in genere anticipata rispetto a quella di uve legate alla produzione di vini fermi per assicurare il giusto equilibrio tra acidità e zuccheri.

Secondo quanto previsto dal disciplinare, il “vino base”, dopo l’introduzione di lieviti e zuccheri selezionati, è affidato a una lenta maturazione in bottiglia, che varia da un minimo di 15 mesi a un minimo di 36 per la riserva ma arriva fino a 10 anni sui lieviti per i Trentodoc più raffinati ed evoluti. Rispetto al sentire comunque che vuole le bollicine un prodotto da godere giovane, sono numerose le cantine che stanno sperimentando affinamenti sui lieviti sempre più prolungati per esaltare la ricchezza e la lunga vita del prodotto. I nuovi trend intrapresi negli ultimi anni dal Trentodoc sono infatti legati a tempi e forme di affinamento. La cantina Cesarini Sforza, ad esempio, fondata nel 1974 da Lamberto Cesarini Sforza, conserva per ogni annata mille bottiglie magnum per verificare l’evoluzione del prodotto nel tempo. In un caso, quello dello spumante Lagorai prodotto dalla cantina Romanese (Trento), l’affinamento avviene in acqua, nel Lago di Levico (bandiera Blu d’Europa) dove, a partire dal 2013, 2.000 bottiglie (Dosaggio Zero Lagorai, 100% Chardonnay) riposano per 500 giorni chiuse in quattro gabbie d’acciaio a venti metri di profondità e il vino acquista un perlage con bollicine più cremose e più fini. La temperatura costante del fondale del Lago di Levico, una sorta di cantina naturale, intorno ai sette gradi permette al vino di maturare sui lieviti nelle migliori condizioni anche grazie alla pressione esercitata dall’acqua sul tappo. Un metodo di eccellenza che deve le sue origini al ritrovamento, 10 anni fa, nel Mar Baltico di un antico galeone carico di bottiglie di champagne invecchiate sul fondale marino per oltre 300 anni. È stato proprio questo ritrovamento storico che ha spinto i fratelli Romanese a provare una nuova strada che unisce enologia, territorio e natura.

Tra i trend in crescita nel mercato delle bollicine di montagna, aumentano poi le richieste di dosaggio zero (pas dosé o, per chi preferisce, nature), ovvero lo spumante a cui alla fine dell’affinamento in bottiglia, dopo la fase della sboccatura, non viene aggiunto nient’altro (in caso contrario la bottiglia viene rabboccata con il “liquer d’expedition” che costituisce una ricetta segreta per ogni cantina e può evidentemente intervenire sul vino). Le Cantine Revì, fondate nel 1982 da Paolo Malfer ad Aldeno, sono tra i pionieri questo ambito per cui utilizzano uve Chardonnay e Pinot nero. In ascesa anche le vendite di millesimati (prodotto con uve di una singola annata) e rosé.

Vicepresidente dell’Istituto Trentodoc è Carlo Moser, figlio di quel Francesco Moser che ha fatto sognare l’Italia intera a cavallo di una bici, campione del mondo, recordman dell’ora (e non è un caso che una delle etichette dell’azienda sia il metodo classico Brut 51,151 dal numero di chilometri percorsi in un’ora il 23 gennaio 1984) e vincitore di 273 corse su strada per professionisti. Viticoltori da generazioni, Francesco e il fratello Diego hanno acquistato Maso Villa Warth nel 1979 e da lì hanno avviato la produzione di bollicine di montagna (e non solo) e hanno allestito una sala con bici e trofei dello “Sceriffo”.

Chi vuole saperne di più su questa realtà cosi unica (il Trentodoc è la sola area di produzione di bollicine di montagna) e distintiva può programmare un week end lungo o, meglio ancora, una vacanza a Trento e dintorni, magari iniziando da Palazzo Roccabruna, nel centro del capoluogo di provincia, sede dell’enoteca del Trentino. Quasi tutte le 53 cantine prevedono visite guidate e percorsi di degustazione che permettono di comprendere meglio il territorio e le sue realtà. Meglio tuttavia informarsi in anticipo sugli orari e prenotare per non rischiare di rimanere a bocca asciutta. Le Cantine Ferrari prevedono addirittura sei proposte di tour per un minimo di due persone e con prezzi compresi, a seconda dei prodotti degustati, tra i 15 e i 48 euro Per una giornata indimenticabile si può poi abbinare (a iniziare da 70 euro a persona), la visita alla cinquecentesca Villa Margon, sede di rappresentanza dell’azienda, e una sosta alla Locanda Margon dove si possono gustare i piatti stellati di Alfio Ghezzi. Pedrotti organizza invece visita in cantina e degustazioni a partire da 12 euro fino a 44 euro; Endizzi propone pacchetti a partire da 10 fino a 26 euro; Cantine Monfort da 5 a 20 euro a testa; Maso Martis da 7 a 20 euro. Le 53 meritano tutte di essere scoperte, ognuna infatti ha una sua storia, i suoi valori e i suoi prodotti da raccontare. E sono storie speciali, come il territorio da cui nascono.

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