“Tutti vogliono qualcosa”: una commedia che parla anche di noi

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di Elisa PediniDal 12 maggio sarà nelle sale italiane “Tutti vogliono qualcosa” del regista Richard Linklater. Appuntamento assolutamente da non perdere perché si tratta di una commedia spassosa che vi farà passare 116 minuti in allegria. La storia si basa sull’esperienza personale del regista del suo ingresso al college e per questa ragione la pellicola si discosta totalmente da quelle cui il cinema americano ci ha abituato su tale tematica e sulle abitudini degli studenti statunitensi.

Tutta la storia di “Tutti vogliono qualcosa”  si gioca nei tre giorni antecedenti l’inizio delle lezioni e ci mostra la vita di ragazzi normalissimi intenti a cominciare la loro nuova vita “da adulti”. Niente scene esacerbate o iperrealismi improbabili: qua, la comicità, è data proprio dalla vita quotidiana, quindi, dalle esperienze/inesperienze dei ragazzi, dalle diverse personalità, dalle scempiaggini che normalmente si fanno a quell’età. Questo taglio rende, forse, il ritmo un po’ lento in certi punti; ma, è proprio questo realismo di “vita quotidiana” che rende la pellicola originale. La trama di “Tutti vogliono qualcosa” , dunque, è, di suo, abbastanza semplice e lineare, mentre è il sottinteso che da profondità a quanto si sta guardando. Siamo nel 1981 e il protagonista, Jake Bradford, si trasferisce al college. È il classico bravo ragazzo: timido, faccino d’angelo e buone maniere. Arriva pieno d’entusiasmo nell’abitazione della squadra di baseball universitaria di cui entrerà a far parte. Si ritrova in una palazzina fatiscente con un manipolo di spostati. Insomma, l’approccio non è certo dei migliori e Jake è, evidentemente, spiazzato. Tuttavia, è proprio lì, già dai primi momenti del suo arrivo, che il protagonista comincia a crescere. Passo dopo passo, impara a conoscere le diverse personalità dei compagni e ad approcciarvisi. Tra cameratismi, attriti, competizione fortissima, che s’estrinseca in tutto: dalle garette più futili al campo da baseball, feste, notti folli, e “caccia” alle ragazze, Jake inizia il suo percorso verso “l’età adulta”.

Il concetto di base che viene fuori in “Tutti vogliono qualcosa” è proprio l’ostacolo che, nel nostro cammino, abbiamo incontrato tutti: al liceo si è dei grandi, i migliori, poi, s’arriva all’università e il mondo reale spalanca le sue porte e ci apre gli occhi sulla dura verità che, come noi, ce ne sono altri mille e altrettanti sono anche migliori di noi. Tutti i parametri, che valevano fino al giorno prima, vengono sovvertiti. Se si vuole restare i migliori, allora, bisogna eccellere, bisogna competere, bisogna distinguersi fra migliaia di altri, che, per nessuna ragione al mondo, sono disposti a cedere il passo. Un’età che sta a metà strada tra l’adolescenza, coi suoi sogni, le sue grandi aspettative, i suoi desideri e l’età adulta, che, invece, chiama al banco di prova e obbliga alla scelta e all’affermazione della propria volumetria. Jake, rappresenta tutto questo. Impara a difendere i suoi sogni e a lottare per loro. Impara a scegliere occasioni e persone, anche nell’amore.

“Tutti vogliono qualcosa” è un film molto dialogato, cosa che consente l’estrinsecarsi sia delle diverse psicologie, che delle differenti personalità. Esattamente come nella vita di tutti i giorni, è proprio dall’incontro e talvolta dallo scontro d’individualità molteplici, che scaturiscono gli avvenimenti comici, quando non esilaranti, o filosofici, o esistenziali. La forza di questa pellicola è proprio il nascere dalla vita reale, che consente allo spettatore di tornare indietro ai suoi vent’anni e al proprio vissuto, finendo per ridere non solo di ciò che accade davanti ai suoi occhi, ma anche dei propri ricordi, che, via via, riaffiorano. Sicuramente un film da ridere, da gustare, ma anche su cui riflettere.

Un giovane e già affermato cast ne completa la riuscita, essendo tutta la pellicola, basata, proprio, sull’esecuzione degli interpreti e sulla loro capacità d’incarnare e far emergere le diverse personalità: il protagonista, Jake Bradford, è reso con grande realismo dal giovane e talentuoso Blake Jenner, diventato famoso con la musical comedy “Glee”, affiancato da: Tyler Hoechlin, già apprezzato nel film “Era mio padre” del 2002 al fianco di Tom Hanks, che gli ha dato la gloria sul grande schermo; Wyatt Russell, figlio d’arte di Kurt Russell e Goldie Hawn, ha iniziato a recitare sin da piccolo e conta numerosi film di successo e la deliziosa Zoey Deutch, nota al pubblico per “Vampire Academy” del 2014. La sceneggiatura è curata dallo stesso regista, ovviamente, essendo autobiografica la materia di partenza. La fotografia è, invece, affidata alle sapienti mani di Shane F. Kelly, che, lo ricordo, aveva già curato quella di “Boyhood”, sempre per la regia di Linklater, film che, ai Golden Globes 2015, fece letteralmente incetta di premi.

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